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L’ingloriosa fine del vecchio “Regio Ducal Teatro”

Premessa

Una delle cose che, non nascondo, ancora oggi, ammirato, ho difficoltà a comprendere io stesso, è come, architetti del calibro di Gerolamo Quadrio o Giuseppe Piermarini, nel Settecento, riuscissero a realizzare, così bene e velocemente, opere ciclopiche, garantendo tempi di consegna dei manufatti con i mezzi tecnologici limitati, disponibili allora. A pensarci, lavoravano solo a pala e piccone e quanto a mezzi di trasporto, disponevano unicamente di semplici carretti trainati da cavalli! Certamente allora non avevano le pale meccaniche di oggi e gli altri mezzi che attualmente permettono di velocizzare il lavoro, riducendo enormemente la fatica degli operai. Il vecchio Regio Ducal Teatro, il cui disegno dell’interno è riportato in testata a questo articolo, venne realizzato in nemmeno cinque mesi! Il Teatro alla Scala, che tutti oggi conosciamo, in due anni esatti (comprensivi del tempo necessario per la demolizione della vecchia chiesa trecentesca di Santa Maria della Scala) che si trovava al suo posto! Intendo dire che non si trattava unicamente della gestione della mano d’opera specializzata alle loro dirette dipendenze, ma del coordinamento con diverse altre ditte indipendenti, per gli ordini, sia di materiali che di arredi, la fornitura dei quali e la cui consegna in tempo utile, non potevano certamente dipendere da loro, ma da mille altri fattori esterni, non esclusa la difficoltà di approvvigionamento dei materiali per la realizzazione dei semilavorati richiesti.

Che il Teatro alla Scala sia nato in seguito all’incendio del vecchio Regio Ducal Teatro, questo è un fatto noto, che nessuno contesta: l’ho riportato io stesso, in un precedente articolo in cui, parlando proprio di questo teatro, scrivevo: “In seguito all’incendio doloso che, il 25 febbraio 1776, distrusse il vecchio Regio Ducal Teatro nel grande cortile del Palazzo Ducale ….”. Probabilmente, a chi avrà letto quel mio articolo, non sarà sfuggita la parola “doloso” che, a dire il vero, in quella sede, non ho inteso giustificare, per non dilungarmi troppo.

Come tutti i teatri fino ad allora, anche il Ducale era stato costruito in legno, soprattutto per la difficoltà di creare dei soffitti a grande arcata in muratura, senza dover ricorrere a delle colonne di sostegno centrali. Naturalmente, se da un lato la costruzione era realizzabile in tempi brevi, dall’altro, questo comportava l’alto rischio di incendi, dovuti soprattutto all’illuminazione che, a quell’epoca, era necessariamente affidata alle deboli, libere e pericolosissime fiammelle delle candele.

Quel 24 febbraio 1776

Il 24 febbraio di quell’anno cadeva di sabato, ed era sabato grasso per la precisione. Essendo quindi l’ultimo giorno del Carnevale Ambrosiano, la nobiltà aveva organizzato una grande festa da ballo in maschera, nella platea di quel teatro. Essendo ancora in vigore l’ora italica, la mezzanotte, quei tempi, scoccava mezz’ora dopo il calar del Sole. La festa si prolungò fino alle prime ore del mattino successivo, come al solito, in questi casi. Era già quindi l’alba di domenica 25 febbraio, la prima domenica di Quaresima, quando avvenne il disastro. La festa era finita da poco, ancora rari i passanti per le strade del centro: un acre odore di bruciato si stava diffondendo nell’aria.

I due cortili del Palazzo Ducale di fianco alla facciata del Duomo di Milano (in centro) in una vecchia mappa del ‘600

Il Teatro in fiamme

Qualche cittadino, transitando a quell’ora lungo le strade laterali ancora deserte, sicuramente attratto dall’acre odore di bruciato, aveva sollevato d’istinto lo sguardo sui tetti del Palazzo Ducale (oggi Palazzo Reale) da dove pareva provenisse. Avendo notato un denso fumo nero sprigionarsi in corrispondenza del tetto del Teatrino (così amavano chiamarlo i milanesi) situato nel primo dei due cortili del palazzo, era corso ad avvisare i brentadori. Davvero strano quell’incendio a teatro vuoto!

Ndr. – Brentadori erano i pompieri “ante litteram”, nome questo che derivava dal termine brenta, cioè secchio. Di regola, in assenza di mezzi tecnologici più avanzati, i pompieri di allora, i brentadori appunto, usavano infatti i secchi d’acqua, per spegnere gli incendi.

Brentadori (o brentatori) con una sorta di gerla piena d’acqua e lancia per indirizzare il getto

I soccorsi

Ovviamente, alla segnalazione dell’incendio, i brentadori essendo di stanza lì vicino, in piazza dei Mercanti, erano giunti in forze, nel giro di qualche minuto, con i loro carri a cavallo e gli altri mezzi disponibili, nel tentativo di aver ragione delle fiamme. Trovarono lì la gendarmeria austriaca, già arrivata sul posto (proveniente dal Palazzo del Capitano di Giustizia e anche sede delle Carceri Nuove siti nell’attuale Comando del Vigili Urbani in piazza Beccaria). Non esistendo naturalmente impianti antincendio, l’unico sistema per tentare di spegnere il focolaio, era il creare una catena umana che, prelevando l’acqua dal Naviglio con dei secchi, passando questi di mano in mano, arrivasse a destinazione il prima possibile. Fortunatamente subito dietro il Palazzo Ducale, c’era la fossa Interna del Naviglio (sotto l’attuale via Larga), dove scorre, ancora oggi, il Seveso. Correndo persino in Duomo a richiamare quanti, ancora ignari dell’accaduto, stavano assistendo alla prima messa del mattino, reclutarono di corsa tutti i civili disponibili a quell’ora, che fossero in grado di dare una mano.

Troppo tardi però, era praticamente impossibile avvicinarsi al luogo per il gran calore. Le fiamme, avendo intaccato il soffitto del teatro, avevano appena fatto crollare parte del tetto e altissime lingue di fuoco, cominciavano a levarsi verso il cielo. L’impressionante rapidità con cui si erano propagate le fiamme, era naturalmente dipesa dalla struttura in legno del teatro, materiale questo troppo facilmente infiammabile. Sicuramente la presenza degli arredi all’interno, quali tendaggi, tappezzerie e sipario erano tutte delle autentiche micce rapide, in caso d’incendio. Per fortuna non c’erano vittime (almeno così sembrava) essendo il teatro chiuso. Se la cosa fosse accaduta solo un paio d’ore prima, nel bel mezzo della festa, a parte gli intossicati per il fumo, sicuramente ci sarebbero state vittime provocate dalla calca alle porte, nel tentativo di fuggi fuggi generale.

Se era comprensibilmente alta la probabilità che potesse accadere un incendio simile durante una festa, uno spettacolo o un banchetto (senza alcuna intenzione di dolo, sarebbe bastato il fortuito rovesciamento, per banale disattenzione, di un candelabro acceso in prossimità di un tendaggio perché potesse prendere fuoco, in pochi minuti, l’intero teatro), era sicuramente quasi nulla la probabilità di un incendio a teatro vuoto (dato che, esclusi eventi atmosferici avversi, senza candele accese, era praticamente impossibile prendesse fuoco qualcosa). E allora, com’era possibile quanto era accaduto? Anche perché, non essendo nuovi ad eventi simili in città, e conoscendone i rischi, si stava particolarmente attenti a questo genere di cose. Del resto questo stesso teatro era nato quasi sessant’anni prima (nel 1717) su progetto di Gerolamo Quadrio, proprio sulle ceneri di un precedente teatro, andato a fuoco: era il famoso Salone Margherita, primo luogo stabile della capitale lombarda, dedicato al melodramma. Il Salone era stato costruito nel 1598, per ordine del governatore spagnolo Ivan Fernandez de Velasco, in onore della quattordicenne arciduchessa Margherita d’Austria-Stiria (futura regina di Spagna) di passaggio quell’anno per Milano, con tutto il suo seguito, proprio per andare a sposare a Valencia, Filippo III, re di Spagna e Portogallo.

Salone Margherita
Margherita d' Austria (1584-1611)
Margherita d’ Austria (1584-1611)

Le indagini “stranamente” s’impantanarono …

Le indagini, subito condotte dagli inquirenti, presero a dire il vero, la strada giusta, l’unica possibile in questi casi, quella del dolo. Tuttavia, come spesso accade quando si scopre qualcosa che scotta, e che non “s’ha da sapere”, la tecnica più usata, allora come oggi, era quella di tentare di depistare l’opinione pubblica, insabbiando il tutto! Era chiaro che, nel caso specifico, quell’incendio era stato voluto da qualcuno, qualche “pezzo grosso”, naturalmente intoccabile.

Le voci che circolavano …

Chi poteva essere i responsabile di quel disastro? Cominciarono a circolare con insistenza delle voci che vedevano nel ventiduenne arciduca Ferdinando, allora già da cinque anni governatore austriaco della Lombardia, il principale colpevole dell’incendio.

Ferdinando Carlo Antonio Giuseppe Giovanni Stanislao d’Asburgo-Lorenaarciduca d’Austria e duca di Brisgovia e Ortenau (Castello di Schönbrunn, 1º giugno 1754 – Vienna, 24 dicembre 1806), era il quattordicesimo figlio di Maria Teresa d’Austria e di Francesco Stefano di Lorena. Fu nominato Governatore di Milano dal 15 ottobre 1771 al 21 maggio 1796.
Fu per suo volere che venne costruita la Villa Reale di Monza.

Perché proprio lui? Due, le ipotesi più accreditate:

Prima ipotesi: intolleranza ai rumori molesti

L’Arciduca e la moglie abitavano naturalmente a Palazzo Ducale, a due passi dal teatro. Pare che i loro appartamenti privati si trovassero nell’area del palazzo, a cavallo fra i due cortili interni.

La presenza del teatro nel primo vasto cortile del palazzo, era essenzialmente dovuta ad un retaggio della dominazione spagnola. Infatti, l’abitudine ad usare i cortili del Palazzo Ducale per lo svolgimento di spettacoli e tornei era dovuta principalmente a ragioni di sicurezza soprattutto perché l’organizzazione di questi eventi avveniva normalmente in concomitanza della visita di reali stranieri o comunque alte personalità dello Stato. Essendo un’area comunque recintata, era più facilmente controllabile. Così fin dal dicembre del 1548, in occasione della visita a Milano di Filippo II, re di Spagna, l’allora governatore Gonzaga, per festeggiare il suo arrivo, aveva fatto organizzare in suo onore, oltre a feste e tornei, come d’uso, l’allestimento di due commedie (grande novità per l’epoca) da recitarsi in una sala prestata dal Senato cittadino, allestita allo scopo, come teatro di prosa. Il Senato, allora era ospitato lì a Palazzo Ducale ed occupava un’ala del Palazzo stesso. Nel 1594 poi, in occasione dei preparativi per i festeggiamenti per le nozze di suo figlio Íñigo, il governatore Juan Fernandez de Velasco, aveva fatto costruire, un teatrino provvisorio in legno, coperto, all’interno del primo cortile del palazzo. Successivamente era poi stato costruito il Salone Margherita al posto del teatrino provvisorio, e infine, nel 1717, il Teatro Ducale. Tutto questo era anche giustificato dal fatto che il teatro all’epoca era unicamente riservato alla nobiltà. Nessun altro aveva diritto di accedervi.

Poiché gli spettacoli, le feste ed i banchetti (la platea del teatro serviva pure a organizzare pranzi o cene di gala) erano praticamente all’ordine del giorno, mal sopportando i continui schiamazzi fino a tarda ora così vicino agli appartamenti ducali, vi è chi asserisce che l’arciduca Ferdinando avrebbe pensato, in un momento di stizza, a questa drastica soluzione, per risolvere il problema, una volta per tutte.

Ferdinando Carlo Antonio Giuseppe Giovanni Stanislao d’Asburgo-Lorena, arciduca d’Austria

Seconda ipotesi: morbosa gelosia nei confronti della moglie

L’Arciduca d’Austria appena diciassettenne, era convolato a nozze, nel 1771, con Maria Beatrice Ricciarda d’Este (di quattro anni più vecchia di lui). Probabilmente a causa della differenza d’età fra i due (lui rispetto a lei era ancora un bambino), pare che Beatrice da qualche tempo, si fosse invaghita di un giovane aristocratico milanese, indubbiamente più maturo e adatto a lei per età, tale Giacomo Sannazzari ed avesse iniziato a flirtare con lui. Nulla di scandaloso, se si considera che è molto raro che da un matrimonio combinato da altri, potesse sfociare l’amore a prima vista fra i due interessati. Era quindi normale che lei posasse gli occhi su qualcuno che le piacesse e non fosse imposto da accordi “di Stato” fra famiglie.

Maria Beatrice d’Este (1750-1829)

Quando l’Arciduca Ferdinando venne a conoscenza della cosa, non la prese, a dire il vero, molto bene. Quella sera, alla festa dell’ultimo di carnevale, avendo dato ordine ai suoi sgherri di controllare la moglie in modo discreto, pare che fosse riuscito ad intercettare un bigliettino indirizzato al giovane, in cui la contessa gli dava appuntamento in un palco quando, a fine festa, tutti erano andati via e il teatro era deserto. Ferdinando, accecato dalla gelosia, avrebbe maturato in quel momento la sua tremenda vendetta: andati via tutti, convinto che il presunto amante della moglie fosse nascosto da qualche parte nel teatro, una volta chiusi gli accessi, avrebbe ordinato il rogo del salone stesso. Il giovane che i soccorritori trovarono semicarbonizzato nell’incendio non fu però l’odiato Sannazzari, bensì un suo amico che si era nascosto nel palco, per fare uno scherzo alla contessa.

Ndr. – Direi, una vendetta irrazionale condita da un pizzico di follia e di autolesionismo perché l’Arciduca non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che l’incendio avrebbe anche potuto intaccare i suoi stessi appartamenti!

Secondo molti, queste voci sono infondate anche perché l’arciduca certamente avrebbe avuto a disposizione mezzi più sicuri e meno cruenti per eliminare l’incomodo.

Conclusione

Naturalmente non si saprà mai quale versione sia quella vera: magari una terza, che però a tutt’oggi, non è ancora saltata fuori! Certo è che sotto sotto, indipendentemente dall’ipotesi che si preferisca sposare, il fatto che il personaggio coinvolto fosse effettivamente l’Arciduca Ferdinando, pare confermato. Lo si dedurrebbe dalla “inconsueta” facilità con cui sua madre, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (evidentemente a conoscenza della verità) dette alla nobiltà milanese il suo “sollecito” benestare per la costruzione non di un teatro in sostituzione del precedente ma addirittura di ben tre teatri! Fu suo figlio, inguaribile mondano, a convincere la madre “estremamente sparagnina”, a finanziare parzialmente la costruzione del nuovo Teatro, facendola contribuire alle spese per il tetto e gli esterni (cosa assolutamente non da lei, quasi un’ammissione implicita del dolo del figlio). Al resto avrebbero provveduto i nobili dei palchi, pagando di tasca loro (i famosi “palchettisti”).

Il nuovo teatro (il Regio Ducal Teatro alla Scala) non sarebbe più sorto nell’area del cortile del Palazzo Ducale, bensì, guarda caso, in altra zona centrale della città accessibile non più solo ai nobili, ma pure ai borghesi, precedentemente esclusi. Questa magnanima concessione dell’imperatrice ai milanesi, nasconderebbe fra le righe, il totale accoglimento della richiesta di suo figlio (l’Arciduca) di fare costruire il teatro in sito diverso dal cortile del Palazzo Ducale, perchè i continui schiamazzi notturni volti a turbare i suoi “augusti sonni”, avrebbero minato il suo sistema nervoso. Questo convaliderebbe l’ipotesi dell’intolleranza di Ferdinando, denunciata sopra. I teatri erano tre, come detto:

  • il Teatro alla Scala, in “muratura”, ancora più grande e bello del teatro Ducale andato distrutto, dedicato all’opera e ai melodrammi, che avrebbe iniziato la sua attività il 3 Agosto 1778. In attesa che terminassero i lavori,
  • il teatro interinale provvisorio in legno, tela e gesso, costruito a tempo di primato durante l’estate del 1776 in tre soli mesi e ospitato nel giardino della Ca’ di Can, la casa fortezza di Bernabò Visconti, a due passi dalla chiesa di san Giovanni in Conca. Per ultimo,
  • La Canobbiana (attuale Teatro Lirico) più piccolino ma aperto a tutti (cioè popolare), che avrebbe iniziato la sua attività esattamente un anno dopo l’inaugurazione della Scala, il 21 Agosto 1779.

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