Il Palazzo dei Giureconsulti
Sommario
Toggle“Spacchettato” da pochi giorni, dopo l’ennesima ristrutturazione, questo palazzo, con la sua elegante facciata e la torre dell’orologio, risulta essere il più antico e centrale centro congressi della città. Proprio grazie al ruolo che ha ricoperto nel corso dei secoli passati, oggi vuole essere luogo d’incontro, di scambio e d’innovazione per lo sviluppo della città del domani. Qui hanno ora sede la Milano&Partners, agenzia di promozione della città, creata dalla collaborazione fra Comune di Milano e Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, e la Parcam, una società partecipata da Camera di Commercio, che cura la valorizzazione del territorio nonché la gestione del Palazzo, i cui recentissimi lavori di ristrutturazione sono stati fatti proprio sotto la loro direzione. L’attento restauro esterno ed interno, recentemente eseguiti, oltre a valorizzare ulteriormente l’antica bellezza del complesso anche con illuminazione adeguata, ha permesso, nel contempo, di arricchirlo di nuove potenzialità infrastrutturali, tecnologiche e digitali, oggi necessarie per restare al passo con i tempi.
Davvero a pochi passi da Piazza del Duomo, è sicuramente, con i suoi 4.000 m2 di superficie complessiva (ripartiti su quattro piani), una delle location più eleganti di Milano, in un palazzo storico, di assoluto prestigio. Sono in tutto una decina le sale più o meno grandi, adatte ad ospitare convegni, seminari, ricevimenti, cocktail, show room, sfilate di moda, conferenze stampa, assemblee di soci ed altro. Indubbiamente, la più grande e prestigiosa di tutte, è la Sala Colonne al pianterreno, di fianco alla “reception”, adatta ad accogliere un centinaio di persone (ideale come sala congressi); poi ce ne sono altre, di dimensione varie, ripartite fra il seminterrato ed il secondo piano. Cominciando dal basso, al seminterrato, vi è una grande Sala delle esposizioni, per proseguire poi al primo piano con il Parlamentino, la Galleria Passi Perduti (adatta per colazioni di lavoro), la Sala Donzelli, e la Suite Affari, mentre al secondo piano, la Sala terrazzo (con vista su Piazza Duomo), la Sala Torre ed il Salone delle mostre, dotati tutti, all’occorrenza, di strumenti audiovisivi. C’è pure, a quanto pare, una saletta per videoconferenze.
Certamente nessuno, venendo qui oggi per qualunque “meeting”, può sospettare l’età di questi muri, alcuni dei quali sono davvero vetusti, risalendo addirittura all’età comunale (1250 d.C. circa). Ma vediamo brevemente la storia di questo palazzo.
Il Palazzo dei Giureconsulti
Ndr. – Giureconsulto è uno studioso ed esperto del diritto, che, avendo profonda conoscenza delle disposizioni legislative in una o più branche delle discipline giuridiche e sapendo elevarsi da quelle, ai principî generali del diritto e discenderne, per la loro applicazione ai casi concreti, ne fa oggetto d’insegnamento o di trattazione scientifica, di pareri o di decisioni, che, specialmente. in epoca romana e poi nel medioevo, ebbero grande influenza sullo svolgimento e il progresso del diritto. [rif. – Treccani]
La costruzione di questo palazzo, così come lo vediamo oggi (almeno esternamente), fu voluta nel 1560, da Giovanni Angelo Medici, un nobile milanese, membro del Collegio dei Giureconsulti, salito, proprio nel gennaio di quell’anno, al soglio pontificio, con il nome di papa Pio IV.
NOTA SUI PAPI LOMBARDI.
Pio IV fu uno dei due papi milanesi nella storia della Chiesa: l’altro fu Celestino IV nel 1241, che pontificò per 16 giorni in tutto (il terzo pontificato più corto della storia).
Ci furono poi altri tre pontefici provenienti però dalla provincia lombarda: Alessandro II, nato a Baggio (quando la località non faceva ancora parte di Milano) dal 1061 al 1073, poi Urbano III, nato a Cuggiono, dal 1185 al 1187 ed infine Pio XI, Achille Ratti, di Desio, dal 1922 al 1939.
CHI ERA PAPA PIO IV.
Giovanni Angelo era nato a Milano nel 1499. Suo padre, Bernardino Medici di Nosigia, apparteneva alla famiglia dei Medici milanesi, che si riteneva imparentata, alla lontana, con i Medici di Firenze, pur senza prove effettive di discendenza comune. Sua madre, Cecilia Serbelloni, era figlia di Giovanni Gabriele, membro del Senato di Milano. Giovanni Angelo era inoltre fratello del celebre condottiero lombardo Gian Giacomo Medici, nominato in seguito marchese di Melegnano, nonché zio di San Carlo Borromeo. [rif. – Wikipedia]
Ndr. – San Carlo Borromeo infatti, era figlio di Margherita Medici di Marignano (1510 -1547), sorella di papa Pio IV (Giovanni Angelo Medici).
Papa PIO IV, per inciso, portò a compimento il famoso Concilio di Trento, uno dei più lunghi della storia della Chiesa essendo iniziato sotto papa Paolo III nel 1545, sospeso varie volte, e terminato diciotto anni dopo, nel 1563 sotto il suo pontificato!
Fra le prime cose che fece, il nuovo pontefice finanziò, con una cifra cospicua, la progettazione e la costruzione della nuova sede dei Giureconsulti e del Tribunale dei Giudici di Provvisione.
NOTA
I Giureconsulti erano coloro che avevano conseguito la laurea in legge e il collegio era l’ordine cui tutti i laureati appartenevano. Il collegio era per lo più composto da nobili ma era aperto anche ai non nobili che lo diventavano accedendovi. Il collegio rivestiva un’estrema importanza poiché da esso, per la loro preparazione legale, venivano scelti tutti gli alti funzionari del governo.
I Giudici di provvisione componevano il tribunale di provvisione: questo era principale organo dell’amministrazione cittadina, composto da dodici giudici e da un vicario, il tribunale sceglieva i suoi membri solo tra gli appartenenti al patriziato, generalmente già giureconsulti. I giudici di provvisione gestivano gli acquisti di granaglie per conto del Comune, determinando così il prezzo del pane, e concedevano i permessi per i negozi, regolamentavano i mercati e controllavano i bilanci e assumevano anche i dipendenti del comune. inoltre giudicavano in materia di tasse, di polizia e si facevano parte civile contro debitori, giocatori d’azzardo, truffe ed abusi edilizi.
La sede già esistente, che Pio IV aveva frequentato per anni, aveva ormai tre secoli di vita sulle spalle, ed aveva quindi urgente necessità di essere rinnovata. Tale struttura avrebbe dovuto accogliere il “Collegio dei Nobili Dottori”, istituto questo, destinato alla formazione dei nobili milanesi che avrebbero poi dovuto occuparsi della gestione della città, sia dal punto di vista amministrativo, che giudiziario.
Una lapide, murata nel passaggio Santa Margherita, (quello che da Piazza dei Mercanti, portava a via delle Farine), ricorda la posa della prima pietra dell’opera che, su progetto di Vincenzo Seregni, (o Vincenzo da Seregno 1520 – 1594) architetto del Duomo, sarebbe sorta sul medesimo luogo su cui, già dal XIII secolo, esistevano il Palazzo dei notai e l’antico palazzo della Credenza di Sant’Ambrogio, più noto come palazzo di Napo Torriani, in quanto, intorno al 1250 -1270, era stato il centro del potere guelfo dei Torriani, i Signori della Milano di allora.
In definitiva, più che di una costruzione ex-novo vera e propria, si trattava di fare un pesante riadattamento delle strutture già esistenti. Il progetto del Seregni era impostato sull’andamento orizzontale dell’edificio, con un primo ordine con loggia (portico) a colonne binate ed un secondo ordine con finestre decorate da volute, e dotato di marcati effetti di chiaroscuro.
I lavori partìrono in gran fretta, il 7 aprile del 1562, a progetto ancora ben lontano dall’essere ultimato. Il progetto originale, che inglobava la torre civica (già esistente) di Napo Torriani, venne più volte ritoccato, a causa delle continue implementazioni richieste in corso d’opera, per arrivare ad una versione definitiva appena nel 1568.
Perché tutta questa fretta nell’iniziare i lavori se, alla data, il progetto era ancora ben lontano dall’essere definitivo?
I SOLITI GIOCHI SPORCHI DELLA POLITICA.
Qualche anno prima (1558) erano partiti i lavori di costruzione di Palazzo Marino affidati al perugino Galeazzo Alessi, lavori che procedettero alacremente assecondando il desiderio di Tommaso Marino, il committente, che intendeva fare di quello, il palazzo più bello della città. Nel 1560, il palazzo Marino era già quasi ultimato nei suoi tre, dei quattro lati (Case Rotte, piazza san Fedele, contrada Marino). Il genovese Tommaso Marino era un banchiere (o meglio, un filibustiere, molto odiato dalla gente in città). Avendo fatto dei consistenti prestiti al Governatore spagnolo di Milano, e continuando ad elargire denaro ai maggiorenti locali che ne avevano bisogno, applicando a tutti indistintamente, interessi da strozzinaggio, si era praticamente “comprato” gli incarichi istituzionali di maggior prestigio in città, quelli che, economicamente, erano i più ambiti. Ad esempio, ottenne dal governatore l’incarico di curare l’esazione delle tasse del Ducato, per riscuotere le quali, aveva assoldato un certo numero di “bravi”. Erano tutti feccia raccogliticcia dal coltello facile, che non si faceva molti scrupoli ad usarlo qualora qualcuno osasse ribellarsi alle loro richieste. Questo era il motivo per cui tutti odiavano il banchiere. Era riuscito ad avere pure l’appalto per il monopolio del sale, i cui magazzini si trovavano proprio al Broletto Nuovo, sul lato est della piazza chiusa, di fianco alla casa del podestà. Allora, quella zona di Milano era tutto un groviglio di vicoli e stradine. Non essendoci una strada che gli permettesse di raggiungere rapidamente il Broletto Nuovo da Palazzo Marino, aveva pensato di far costruire una strada che, dal portone del suo palazzo in Contrada Marino, arrivasse direttamente a piazza dei Mercanti, al Broletto nuovo. Brigò in Comune, distribuendo generose mazzette a chi di dovere, per oliare il percorso burocratico necessario al fine venisse approvato il primo abbozzo di Piano Regolatore che prevedesse la demolizione di alcuni isolati per soddisfare la sua richiesta. Ma per realizzare la strada si sarebbe dovuta aprire una piazza medioevale chiusa da oltre trecento anni, abbattendo parte del palazzo della Credenza di sant’Antonio, vecchia istituzione cittadina. Pio IV, venuto a conoscenza della cosa, bloccò sul filo di lana, ogni velleità del Marino su quella strada, finanziando con ben 5000 scudi d’oro, la costruzione del palazzo dei Giureconsulti, proprio lì dove il Marino pretendeva fosse aperta la sua strada.
Il progetto di risistemazione dell’intera piazza
A dire il vero, nell’idea del committente Pio IV, la costruzione del Palazzo dei Giureconsulti avrebbe voluto essere l’esempio per dare il via alla risistemazione cinquecentesca dell’intero Broletto Nuovo, uniformando, il più possibile, lo stile di tutti i palazzi che si affacciavano alla piazza stessa. L’idea di questa risistemazione estetica della piazza è desumibile dalla piantina qui sotto. eseguita dallo stesso Seregni. Si notano, al centro della stessa, i 21 pilastri della loggia del Palazzo della Ragione, poi cominciando da destra e, proseguendo in senso orario, si può notare come il palazzo dei Giureconsulti occupi tutto il lato destro del disegno. Sotto, vi è la Casa del Podestà, mentre a sinistra, la Ferrata, la Loggia degli Osii, ed infine il Portico di Azzone. In alto il palazzo dei Panigarola.
Nota: Quella sorta di cerchietto riportato nel disegno del Seregni vicino al pilastro angolare superiore destro della loggia del Palazzo della Ragione, è il pozzo che oggi troviamo sistemato nella piazzetta attigua, davanti la Loggia degli Osii
Come si può notare dal disegno, le numerose colonne binate su tutti i quattro lati della piazza (il riquadro più interno), lasciano intuire che l’idea del Seregni, per uniformare il tutto, avrebbe dovuto essere quella di un porticato a mo’ di chiostro, in modo da poter passeggiare tutt’intorno senza bagnarsi nelle giornate di pioggia. La cosa venne poi realizzata solo parzialmente in due dei quattro lati della piazza.
Tornando al Palazzo dei Giureconsulti, la testimonianza più evidente, ancora oggi ben visibile, di questa antica architettura, è proprio la torre centrale del palazzo, già torre dei Bottazzi, inglobata a partire dal 1271, nell’antico palazzo della Credenza di sant’Ambrogio. La torre andò a sostituire nel ruolo e nelle funzioni, un’altra torre che sorgeva a pochi metri da lì, l’antica torre dei Faroldi, esistente proprio accanto al Palazzo della Ragione, dove oggi. c’è la tanto contestata scala di sicurezza di Marco Dezzi Bardeschi. La torre in questione, molto antica, faceva parte di una casa fortezza di proprietà della famiglia Faroldi. Il complesso venne acquistato dal Comune assieme all’attiguo monastero benedettino femminile di Santa Maria del Lentasio, tutti beni destinati alla demolizione per lasciare posto alla costruzione della piazza del Nuovo Broletto e del Palazzo della Ragione. Alla fine, visto che la sua presenza non avrebbe interferito con la costruzione delle fondamenta della loggia del Palazzo della Ragione, la torre Faroldi non venne, al momento, demolita, come invece accadde per tutto il resto, ma venne utilizzata per una cinquantina d’anni ancora, con funzione di Torre Civica. Quando nel 1272, la torre di Napo Torriani venne ristrutturata (ed inglobata nel palazzo della Credenza di Sant’Ambrogio), quest’ultima divenne ufficialmente la nuova Torre Civica della città. La sua campana (in seguito sostituita dall’attuale orologio) era detta “Zavataria”, in onore del podestà Zavatario della Strada, che, alla fine del suo mandato, aveva voluto farne dono alla città. La campana annunciava il coprifuoco, il divampare di incendi, l’esecuzione dei condannati, segnalava le emergenze o i raduni importanti. Passate le consegne alla torre restaurata, la vecchia torre Faroldi venne finalmente demolita.
A partire dal 1562, i lavori affidati alla ditta di Francesco Cucchi da Lonate, si trascinarono per anni, andando avanti molto a rilento, a causa di diatribe giudiziarie infinite, sospensioni dovute a due lunghr e micidiali epidemie di peste, rallentamenti vari, rivendicazione di luoghi e spazi delle antiche magistrature.
La prima parte di fabbricato ad essere ultimata, fu quella alla sinistra della torre; solo parecchi anni dopo, prese corpo la struttura alla sua destra, comprendente la biblioteca, tanto che quest’ultima ala, sempre mantenendo valido il disegno originale del Seregni, venne ultimata, ben un secolo dopo, quando, tra il 1638 e il 1658, Carlo Buzzi, noto architetto della Fabbrica del Duomo, terminò la costruzione dell’edificio sul fronte orientale, fino a inglobare l’angolo col portone della Pescheria vecchia (il passaggio verso la Piazza del Duomo), cosa che avvenne nel 1656.
Il nuovo edificio, nel disegno del Seregni, delimitava, per intero, uno dei quattro lati di quel quadrilatero chiuso (la piazza del Broletto), al centro della quale, si trovava il Palazzo della Ragione (che oggi percorrendo l’attuale via Mercanti) vediamo, esattamente di fronte a quello dei Giureconsulti.
L’edificio, simbolo dell’autorità e del prestigio delle magistrature cittadine e della nobiltà che le controllava, oltre al Collegio dei Dottori e dei Notai, ospitava anche alcuni uffici dell’Amministrazione Comunale, dei Giudici delle strade, delle vettovaglie e dei dazi. Comprendeva delle sale per assemblee, una chiesa, ed una biblioteca.
Sebbene a guardare questo palazzo, dal punto di vista estetico, la sua concezione compositiva sia sicuramente cinquecentesca, nonostante a più riprese, sia stata rielaborata nei secoli successivi, almeno parte di questo palazzo non nacque ex novo, ma risultò essere quindi il risultato di una lunga ed elaborata stratificazione storica e architettonica.
L’ampio fronte manieristico della facciata, sormontato dalla torre con l’orologio, è scandito dall’armonia delle doppie colonne del maestoso porticato ad archi (a serliana), cui si accede con pochi gradini che salgono dal livello della strada.
Ndr. – Il manierismo è una corrente artistica, prima italiana e poi europea, del XVI secolo. La definizione di manierismo ha subito varie oscillazioni nella storiografia artistica, arrivando, da un lato, a comprendere tutti i fenomeni artistici dal 1520 circa fino all’avvento dell’arte del periodo della controriforma e del barocco, mentre nelle posizioni più recenti, si tende a circoscriverne l’ambito, facendone un aspetto delle numerose tendenze che animarono la scena artistica europea in poco meno di un secolo.
La serliana è un elemento architettonico composto da un arco a tutto sesto, affiancato simmetricamente da due aperture sormontate da un architrave: fra l’arco e le due aperture, sono collocate due colonne. Così denominata da Sebastiano Serlio, a cui è dovuta la pubblicazione e la diffusione di questo schema strutturale e decorativo. La serliana, sorta nel primo quarto del secolo XVI, ebbe grande rigoglio nell’architettura del Sansovino e del Palladio, e fiorì poi specialmente nell’arte veneta del Seicento e del Settecento. [rif. Treccani]
Il ritmo della facciata è esaltato dalla corrispondenza tra gli archi del porticato al pianterreno e le finestre rettangolari del piano superiore, decorate con grazia ed eleganza.
Fra il Seicento e Settecento, il Palazzo fu la sede sia del Collegio dei Nobili Dottori, istituto che formava le figure amministrative dello Stato (senatori, giudici, capitani di giustizia) sia degli antichi Giureconsulti, del tribunale della Provvisione e della Camera dei Notai. Ognuno di questi enti, secondo l’usanza dell’epoca, aveva la propria cappella privata: queste cappelle erano ornate da cicli decorativi realizzati dai massimi pittori lombardi del tempo, molti dei quali, già impegnati pure nella decorazione della Cattedrale. Fra questi Giovanni Ambrogio Figino ed Aurelio Luini.
Essendo ora del tutto scomparsa, la notizia dell’esistenza della Cappella dei Giureconsulti (situata, a quanto pare, al piano inferiore al centro del Palazzo) viene confermata da quanto riportato nel 1738, dall’abate milanese Serviliano Latuada, in uno dei suoi volumi relativi alla Descrizione di Milano. La Cappella, ancora largamente incompleta, fu consacrata già nel 1563 e dedicata a San Giovanni Evangelista e a San Michele. In realtà questa Cappella era una chiesa, con obbligo della celebrazione quotidiana della messa, come da disposizioni del suo committente, papa Pio IV. Era aggregata al “Collegio dei Nobili”, fondato dal cardinale Carlo Borromeo per l’educazione dei giovani di “alto lignaggio”, e dedicato a Santa Maria. In seguito, il cugino Federico Borromeo vi istituì un’Accademia di Belle Lettere, detta “Accademia de’ Perseveranti“, in seno al Collegio dei Nobili. La realizzazione della chiesa (cappella), terminò appena nel 1585, e solo in seguito, si iniziò la decorazione della stessa.
Vi era pure un’altra cappella destinata ai soli dodici membri del Tribunale di Provvisione, con sede all’interno del nuovissimo Palazzo dei Giureconsulti. Di questa, non si hanno notizie prima del 1568, quando i “Signori di Provvisione” si accordarono con il Collegio dei Dottori Giureconsulti per occupare l’intero piano superiore del nuovo edificio. La decorazione plastica delle pareti e gli stucchi della volta di questa cappella furono eseguiti tra il 1577 e il 1578 da Antonio Abbondio, detto l’Ascona (dal luogo di origine), una personalità di spicco nella cultura figurativa della Milano ai tempi di Carlo Borromeo, autore fra l’altro dei celebri Omenoni, scolpiti per la facciata del palazzo di Leone Leoni attorno al 1565.
La lenta decadenza
Verso la fine del Settecento, all’indomani dell’abbandono del Broletto da parte delle antiche magistrature, il Palazzo dei Giureconsulti entrò in una fase di lenta, progressiva, inarrestabile decadenza. La cosa si acuì particolarmente nel decennio della Rivoluzione francese (1789 – 1799). In questo periodo infatti (1797), il Collegio dei Nobili Dottori fu soppresso per ordine di Napoleone e, dal 1798 il palazzo ospitò l’Ufficio di Conciliazione ed alcuni magazzini, mentre i locali adibiti a biblioteca e la cappella vennero affittati ad un tipografo.
Dal 1801, fu pure sede del Tribunale di Revisione. L’arrivo dei Giacobini a Milano (1796 – 1799) al seguito di Napoleone, comportò una serie di occupazioni che portarono ad un rapido degrado dell’edificio.
Ndr. – Il termine giacobinismo si riferisce alle posizioni di un gruppo politico emerso nel corso della Rivoluzione francese, caratterizzate da radicalismo e intransigenza nella promozione e nella difesa dei valori repubblicani.
In quell’occasione, venne totalmente smantellata la Cappella dei Giureconsulti, gioiello architettonico del Seregni, e così pure gli affreschi che ne adornavano la volta e le pareti. Persino la tiara papale, nello stemma del Palazzo, subì modifiche nel 1798 ad opera dell’ architetto Luigi Canonica, con rilievi in stucco, in berretto frigio (un copricapo conico, con la punta ripiegata in avanti).
La grande statua alla base della torre
Pure la facciata esterna del Palazzo subì dei vistosi rimaneggiamenti. L’onda lunga della Rivoluzione francese stava cominciando a mietere le sue vittime anche fra noi. Per loro, qualunque riferimento all’odiata monarchia andava cancellato. Così, nel 1796, la grande statua di re Filippo II di Spagna, opera di Andrea Biffi, che, quale severa rappresentazione della Prudenza, dal 1611, troneggiava su un alto piedestallo, nella grande nicchia alla base della torre dell’orologio, ne fece per prima le spese. Per una sorta di damnatio memoriae, venne brutalmente decapitata e distrutto pure lo scettro che teneva in mano, inequivocabile simbolo del potere sovrano. Sul busto monco, venne inserita una nuova identità, la testa di Marco Giunio Bruto, uno dei famosi congiurati di Cesare. All’ipocrisia di Filippo II, succedette così la “virtù” del tirannicida Marco Giunio Bruto. La mano protesa che prima sorreggeva lo scettro, ora teneva un pugnale!
Ndr. – Damnatio memoriae è una locuzione latina che significa letteralmente “condanna della memoria”.
Nel diritto romano, la damnatio memoriae era una pena consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia riguardante una determinata persona, come se essa non fosse mai esistita; si trattava di una pena particolarmente aspra, riservata soprattutto ai traditori e agli hostes, ovvero ai nemici del Senato romano.
Ma neanche per Marco Giunio Bruto, le cose andarono proprio bene: cambiato il vento della politica, cambiarono anche le idee. Per gli austriaci subentrati all’indomani della “débacle” napoleonica, non era tollerabile la glorificazione di un “rivoltoso” come Marco Giunio Bruto: quindi ,non solo pure lui venne decapitato, ma peggio ancora … l’intera statua venne fatta a pezzi. Così la nicchia ai piedi della torre, per anni, restò vuota. Ce ne parla anche il Manzoni, nel capitolo XII dei Promessi Sposi. Solo nel 1833, venne collocata lì una “nuova” statua, quella visibile attualmente, rappresentante il patrono della città, un improbabile Sant’Ambrogio benedicente, nelle vesti di proconsole romano. Opera di un giovane (ancora inesperto) Luigi Scorzini, creata (così dicono) su modello di Pompeo Marchesi, è probabilmente una statua riciclata pure quella, date le curiose vicissitudini occorse per trasportarla a destinazione dal laboratorio dello scultore e sistemarla nella nicchia.
. La statua è quella che vediamo oggi, in quella nicchia. Incorniciata da un fregio a motivi “fitomorfi” (cioè vegetali) e da un festone con ghirlande di frutta e fiori. La scultura è affiancata, a sinistra e a destra, da due altorilievi ritraenti Orfeo, il primo, con la cetra, il secondo, con la viola da braccio e una scrofa semi-lanuta ai suoi piedi.
Ad inizio Ottocento, i rimaneggiamenti non si limitarono solo l’esterno, ma interessarono anche l’interno del palazzo. Visto che aveva perso la sua funzione primaria, si pensò, data anche la sua posizione centralissima, ad affittare l’edificio, a vari Enti.
Utilizzi diversi
Nel 1808, era nata la Borsa di Milano, istituita dal viceré del Regno d’Italia napoleonico Eugenio di Beauharnais. Si trattava di una Borsa di commercio tradizionale, in cui si negoziavano valute, merci, titoli del debito pubblico e metalli preziosi. Nel primissimo periodo, la Borsa era stata ospitata in alcuni locali del Monte di Pietà. Ma lì, restò solo qualche mese. Infatti, nonostante le poche contrattazioni, ci si rese conto immediatamente che gli spazi erano troppo angusti e decentrati per svolgere una seria attività borsistica. In conseguenza di ciò, avendo il Governo deciso di trasferire la neonata Borsa in luogo “a comodo dei negozianti … centrale ed ampio nella Piazza de’ Tribunali (ora via dei Mercanti)”, nel 1809, la Camera dei Mercanti acquistò, il pianterreno del Palazzo dei Giureconsulti, cedendo, alla neonata Borsa Valori di Milano, la grande Sala Colonne usata fino ad allora, per le udienze della Corte d’Appello.
Qualche anno più tardi, alcuni altri locali, al primo piano, vennero affittati: nel 1823, alla Cassa di Risparmio, che vi rimase per circa trent’anni. Nel 1825 vi s’insediò la Congregazione Centrale (assemblea rappresentativa dei sudditi benestanti di ciascuna regione del Regno Lombardo-Veneto) e nel 1860 il Comando Supremo della Guardia Nazionale. Qualche anno più tardi (1864) il Comune di Milano ottenne dal demanio la proprietà del palazzo, ad esclusione della sede della Borsa, che apparteneva alla Camera di Commercio. Nel 1867, pure la Banca Popolare di Milano aprì la propria sede principale al primo piano dell’edificio.
Con l’esplodere poi, a metà ‘800, delle attività borsistiche, anche la grande sala al pianterreno finì col diventare stretta e, per poter ampliare lo spazio disponibile, la Borsa Valori prese in affitto pure il portico antistante (su piazza dei Mercanti) in modo che, opportunamente chiuso con delle vetrate, potesse essere utilizzato allo scopo. La Borsa continuò la sua attività nel Palazzo dei Giureconsulti fino al 1901, per trasferirsi poi nella nuova sede del Cordusio nel Palazzo Broggi e quindi, nel 1932, a Palazzo Mezzanotte in Piazza Affari.
Nel 1878, pure gli Uffici del telegrafo trovarono ospitalità nel Palazzo dei Giureconsulti. Si insediarono al posto degli antichi uffici della Gabella del Sale, nell’area orientale (nei pressi del portone della Pescheria).
La ristrutturazione del Centro storico e l’apertura di piazza Mercanti
Con l’Unità d’Italia, sia la piazza dei Mercanti, che l’intero Centro Storico di Milano, subirono modifiche sostanziali.
Per quanto riguarda il Palazzo dei Giureconsulti, queste attività iniziarono già negli anni 1859 -1860, con il conferimento di una veste più moderna all’antica torre di Napo Torriani, torre che assunse l’attuale aspetto ottocentesco.
Con il ridisegno poi della piazza del Duomo ad opera di Giuseppe Mengoni (la demolizione del Coperto dei Figini e del Rebecchino) venne aperta la via Carlo Alberto (ora via Mengoni) verso via Santa Margherita.
La necessità, per motivi di viabilità, di creare una strada di collegamento diretto fra Piazza del Duomo ed il Cordusio, comportò, nell’arco di alcuni anni, la decisione di aprire, prima dal lato piazza del Duomo, poi dal lato Cordusio, la piazza Mercanti che, per quasi seicento anni era rimasta totalmente chiusa.
Occorre infatti, risalendo al XIII secolo, ricostituire, almeno idealmente, le chiusure alle estremità dell’attuale via Mercanti per ricollocare il Broletto (nuovo) al centro di una teoria continua di costruzioni, una sorta di cittadella, nella quale si aprivano solo sei valichi, in corrispondenza dei sei sestieri cittadini. Verso sud era la porta detta di S. Michele del Gallo (dall’omonima chiesa) o Vercellina (attualmente ancora esistente ed inglobata nell’edificio delle Scuole Palatine); seguivano poi la Cumana (o dei Fustagnari) in corrispondenza del Cordusio (demolita); la Nuova, (o Ferrea) (perché immetteva nel quartiere degli armaioli), verso via S. Margherita; l’Orientale, o di S. Ambrogio (per la prossimità con la cappella del palazzo del Podestà) o della Pescheria, che immetteva in piazza Duomo; la Romana e infine la Ticinese.
Apertura strada verso Piazza Duomo
Vennero pertanto demoliti per primi gli edifici del lato orientale della piazza dei Mercanti (il passaggio della Pescheria e la casa del Podestà), piazza che si trovò in tal modo, direttamente collegata alla nuova, grande piazza del Duomo.
L’abbattimento della Casa del Podestà e l’apertura di piazza dei Mercanti verso la piazza del Duomo, comportarono nuovi lavori sulla facciata del palazzo dei Giureconsulti. Interferendo infatti lo spigolo di questo edificio col nuovo tracciato della via Carlo Alberto, la testata destra del Palazzo dei Giureconsulti fu demolita e ricostruita nel 1872 per essere allineata al nuovo tracciato di via Carlo Alberto. L’intervento fu eseguito dagli architetti Enrico Bisi e Giovan Battista Borsani.
Come parte di un progetto urbanistico di più ampio respiro, venne pure fatto, nel 1887 l’allargamento da uno a tre fornici, del passaggio Santa Margherita (anticamente conosciuta come porta Ferrea cioè di quel passaggio che da piazza Mercanti conduce a via Santa Margherita) comprendendo gli archi alla sua sinistra.
Dei due portoni eliminati, il primo, (il maggiore) che, tramite una scala, portava alla Cappella dI Provvisione, posta al primo piano, fu spostato e ricostruito a sinistra del nuovo passaggio.
Il riadattamento dell’ala sinistra del Palazzo dei Giureconsulti, fu opera dell’architetto Giovan Battista Borsani. Fu proprio nel corso di questi lavori, che, asportate le antiche pietre e le decorazioni che costituivano il paramento della facciata, per essere successivamente ricollocate sulle nuove strutture, a intervento ultimato, venne alla luce la già citata antica lapide commemorativa dell’inizio dei lavori.
Poiché i lavori di ampliamento dell’apertura del varco interferivano con la demolizione di alcuni ambienti al pianterreno ove si praticavano le operazioni borsistiche, la Borsa Valori venne provvisoriamente trasferita dal 1887 al1890 al Ridotto del Teatro alla Scala. Naturalmente, per allagare a triplo fornice questo passaggio esterno, vennero “sacrificati” alcuni ambienti interni del pianterreno, che necessitarono di ulteriore ristrutturazione.
Apertura passaggio per il Cordusio
Demolendo la casa d’angolo sul lato occidentale della piazza, venne inoltre aperta la strada verso il Cordusio (1887 – 1888), isolando, in tal modo, in via definitiva il Palazzo dei Giureconsulti, dal resto dell’originario Broletto.
Nel 1911, la Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi acquistò l’intero edificio e da allora, ne è ancora oggi proprietaria. Tra il 1912 e il 1914, avendo deciso d’installare lì i propri uffici, operò degli interventi significativi sul palazzo: lasciando l’assetto esterno più o meno invariato, dette mandato agli architetti Angelo Savoldi e Giovan Battista Borsani e all’ingegner Piero Bellini di ridisegnare totalmente gli spazi interni.
. Le opere, modificarono l’assetto distributivo interno dell’edificio. Furono rimosse le strutture a volta a copertura della sala Colonne. Sparirono inoltre i restanti lacerti decorativi e materiale dell’antica Cappella di Provvisione, la cui aula, mediante la demolizione del soffitto, venne trasformata in un ambiente a doppia altezza, utilizzato oggi come scalone d’onore, rendendo praticamente gli ambienti così come li conosciamo oggi.
I bombardamenti del 1943 e gli interventi successivi
Ulteriori lavori furono resi necessari dall’incendio provocato dai bombardamenti del 1943, che “toccarono” soprattutto la parte orientale del palazzo (verso il Duomo) senza fortunatamente alterare in modo significativo, l’assetto dell’edificio.
Subito dopo la fine della guerra, il palazzo fu oggetto di un primo grande restauro conservativo.
Un secondo lungo intervento, durato ben otto anni, fu avviato dalla Camera di Commercio nel 1983, con un’importante azione di recupero di tipo sia funzionale sia monumentale, finalizzata a riportare l’edificio alla sua originaria magnificenza. In questo caso, vennero affrontati pure problemi di staticità della torre, legati al passaggio continuo nelle gallerie sottoterra, proprio in quel punto, dei treni della metropolitana della linea 1 (inaugurata nel novembre1964). L’intervento venne affidato agli architetti Gianni Mezzanotte, che seguì l’opera di restauro esterna e Roberto Menghi, che invece si occupò degli allestimenti interni. Al termine dei lavori, nel 1991, il Palazzo prese il nome di Palazzo Affari ai Giureconsulti.
Reperti romani rinvenuti
Il ridisegno delle parti interne ha previsto anche una particolare salvaguardia dei reperti romani ritrovati nel sotterraneo, creando una balconata che consentisse la visibilità dell’antica sede stradale (scoperta nel 1986 – 1989), dell’antico resto della fornace e dei due pozzi (di cui uno, sottostante la balconata, protetto da una lastra di vetro pedonabile). I principali interventi sull’aspetto strutturale comportarono un’operazione atta ad isolare l’edificio dalle vibrazioni indotte dal passaggio, nelle sottostanti gallerie, dei convogli della metropolitana della linea 1, ma soprattutto riguardarono il consolidamento della torre di Napo Torriani, sulla quale era già stato attuato un restauro statico nel 1913, con accertamenti dello stato delle sue fondazioni (cronache dell’epoca riferiscono che già nel 1562, all’inizio della costruzione, la torre sembrava inclinata rispetto al resto dell’edificio).
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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