Le origini del Conservatorio di Milano (2a parte)
Sommario
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Le origini del Conservatorio di Milano (1a parte)
Prima di continuare il discorso interrotto alla fine della prima parte di questo articolo, faccio una piccola digressione, relativa ad un fatto di cronaca nera, che non ha alcuna relazione col prosieguo del discorso, ma che propongo ugualmente, per conoscenza, avendo casualmente scoperto che ha interessato, guarda caso, proprio il monastero dei Canonici Lateranensi, ove oggi ha sede il Conservatorio. Il fatto è avvenuto quasi sessant’anni prima dell’inaugurazione del Conservatorio, in un momento storico del tutto particolare per Milano (direi anche poco noto).
Mentre quel 2 maggio 1745, si stava abbattendo in città un fortunale, fu visto entrare dal portale di quel edificio, uno strano figuro, vestito da chierico, che chiese ed ottenne di poter conferire col reverendissimo padre Felice Fedeli, il vecchio e venerato abate del convento dei Canonici Lateranensi. Dopo avergli parlato, “… uscì dalla porta del monastero, mangiando alcuni confetti asserendo essergli stati donati da detto Padre Abbate. Ma entrando poi alcuni religiosi nella cella, lo trovarono morto sul pavimento mediante 20 ferite da coltello di punta acuta, quattro delle quali mortali” (dal Diario di Giambattista Borrani).
Non ci volle molto a catturare il colpevole: si trattava effettivamente di un chierico, tal Antonio Didimo, figlio di uno stagnaro di contrada Santa Margherita. Sottoposto a processo, venne condannato a morte con sentenza che avrebbe dovuto essere eseguita il 18 dicembre dello stesso anno, mediante impiccagione, proprio dinanzi al luogo del delitto.
A quella data però, l’esecuzione non poté aver luogo perché, giusto due giorni prima (il 16 dicembre 1745) erano nuovamente entrate a Milano le truppe spagnole. Si era in piena guerra di successione austriaca (morto Carlo VI d’Asburgo, la figlia Maria Teresa che aveva preso il potere, non era stata riconosciuta come sovrana dagli altri regnanti europei, essenzialmente in quanto donna). Così il governo di Maria Teresa se n’era dovuto andar via in tutta fretta. Il nuovo padrone don Filippo de la Torre, marchese di Camposanto, una volta insediatosi in città, fra i vari decreti emanati, accettò di tramutare la pena capitale inflitta al condannato, in carcere a vita, in ciò convinto dalla contessa Clelia Grillo Borromeo (1684 – 1777) che, per fare dispetto alla sovrana austriaca, aveva interceduto per il chierico. Destino volle però che, dopo solo tre mesi, toccasse agli spagnoli fare fagotto a vantaggio degli austriaci i quali, una volta tornati, ripresero saldamente il possesso della città.
Uno dei primi provvedimenti di Maria Teresa, fu, manco a dirlo, quello di annullare tutti gli atti del precedente regime, compresi i decreti di grazia concessi dagli spagnoli. Così in riferimento al caso di Antonio Didino, revocato il carcere a vita, venne deciso aexequandam esse primam sententiam (di dare cioè esecuzione alla sentenza originale). Così, il 30 Agosto 1746, Antonio Didimo fu condotto su un lugubre carro, dalle Carceri dell’antico Verziere, fino allo stradone della Passione. Poi, giunto sul sagrato della chiesa, dati i rituali tre colpi di tenaglia rovente, il condannato finì appeso sull’alta forca che si era provveduto a innalzare, proprio di fronte al cenobio della vittima.
Come si è visto, nella prima parte di questo articolo, a cinque anni esatti dalla prima presentazione del progetto ufficiale (5 settembre 1803) da parte del conte Carlo Brentano de Grianty, i battenti della nuova istituzione pubblica, finalmente si erano aperti alla nuova realtà: era il 3 settembre 1808. Milano poteva vantarsi pure lei, di avere il suo Regio Conservatorio di Musica!
Come Direttore della nuova struttura, venne nominato uno tra i più grandi precettori dell’epoca, il trentanovenne Bonifazio Asioli (1769 – 1832), Maestro della Cappella Reale milanese. Oltre che Direttore, Asioli fu chiamato a coprire pure le cariche di Maestro di composizione e di Censore, incarichi che avrebbe ricoperto fino al 1814, data di ritorno a Milano degli austriaci.
Il primo anno (1808)
I corsi previsti quel primo anno, erano 14: solfeggio, composizione, canto, cembalo, violino e viola, violoncello, corno, clarinetto, fagotto, arpa, oboe e flauto, contrabbasso, declamazione (ovvero dizione e gestualità, materie essenziali per gli studi del cantante d’opera) e ballo; venivano tenuti da 16 insegnanti, nel tipico stile dell’apprendimento “a bottega” italiano. I maschi potevano frequentare tutti i corsi, mentre le femmine erano vincolate al loro ruolo di future cantanti d’opera.
Fu davvero ridotto, il numero di studenti che si iscrissero quel primo anno: 36 in tutto, 24 maschi e 12 femmine. Un Conservatorio davvero piccolo, piccolo! E dire che dei 36 posti totali, 24 erano persino gratuiti (disponibili cioè per i meno abbienti), i rimanenti 12, a pagamento, per gli esterni. Alla chiusura delle iscrizioni, 6 posti dei 24 gratuiti rimasero vacanti. Ne usufruirono solo 12 maschi e 6 femmine (per i quali lo Stato si accollò l’onere della retta prevista). I 6 posti rimasti vacanti vennero assegnati ai paganti che così, da 12 diventarono 18, 12 maschi e 6 femmine, tutti esterni.
I prerequisiti per l’ammissione
La distinzione fra paganti e non paganti era importante per questioni d’età ai fini dell’ammissione dei candidati di ambo i sessi. Se gratuiti, le condizioni erano più restrittive: maschi o femmine, dovevano avere un’età compresa fra gli 8 ed i 10 anni. Se invece erano paganti, l’età non doveva essere superiore ai 13 anni (per i candidati alle classiche discipline strumentali), fra i 10 anni e i 25 (per chi desiderava apprendere discipline come la composizione, l’armonia o il basso continuo) ed infine fra i 18 e i 25 (con selezione d’altezza) per quanti volevano studiare il contrabbasso (la selezione dell’altezza del candidato serviva per trovare il giusto equilibrio fra la sua altezza, e quella dello strumento).
Inoltre, dovevano tutti saper leggere e scrivere (cosa non scontata a priori, dati i tempi), oltre ad essere di buona e robusta costituzione fisica ed avere una certa predisposizione per la musica.
Per i non paganti, era necessario dimostrare di provenire da famiglie di onesti e buoni costumi, ma realmente impossibilitate a provvedere economicamente all’educazione dei figli.
Vita di convitto
Trattandosi di un collegio, per motivi di moralità, i maschi erano tenuti rigorosamente separati dalle femmine (sistemati, per sicurezza, in camerate ai lati opposti dell’edificio). Per passare dal settore maschile a quello femminile, bisognava necessariamente attraversare il chiostro (quello vicino all’ingresso) sempre presidiato e sorvegliatissimo (soprattutto nelle ore di lezione). Aria da caserma, insomma! Camerate a parte, anche le classi erano naturalmente solo maschili o solo femminili, a distanza di sicurezza. Agli esterni era consentito frequentare le lezioni solo al mattino, mai al pomeriggio (perché al calar delle tenebre sarebbe stato più semplice nascondersi, non visti, nel settore di sesso opposto).
La dotazione personale dei convittori
A quanto risulta, una volta ammessi al Conservatorio, agli allievi veniva data una divisa da indossare sempre. Pare che quella dei maschi prevedesse pantaloni neri per tutti i giorni ed una divisa completa (giacca e pantaloni) color verde con tanto di cappello a tre punte, il tutto da indossare in occasione di cerimonie o quando ci si esibiva in casa dei nobili. Le allieve invece indossavano una sorta di grembiule nero nelle attività quotidiane, mentre avevano un abito bianco dal taglio ricercato ed elegante da indossare nelle occasioni speciali e nelle esibizioni in pubblico.
Oltre alle divise, la dotazione dei convittuali prevista sia per i maschi che per le femmine, era abbastanza spartana: si limitava ad un set di salviette da tavola e da camera, bicchieri e posate, un letto con relativa biancheria, spazzola e pettini, oltre all’immancabile catechismo.
Virtuosi di musica, canto, ma anche … di equilibrismo
Spassoso il racconto del violoncellista Alfredo Piatti ammesso al Conservatorio nel 1832, avente per protagonisti alcuni suoi compagni di corso, mentre nottetempo, rischiando di brutto, vagavano come fantasmi sui tetti del Convitto sotto il pallido chiarore di una falce di luna. Le infermerie, sia quella dei maschi, che quella delle femmine, racconta il Piatti, si trovavano in due distinti locali sotto i tetti, naturalmente l’una a nord e l’altra, ben lontana, a sud della struttura. Nonostante la sana e robusta costituzione certificata all’atto dell’ammissione alla scuola, stranamente, raccontava il Piatti, gli allievi di ambo i sessi, si ammalavano con una frequenza incredibile, tanto che le infermerie erano praticamente sempre piene. Come mai? Evidentemente qualche strana forma d’epidemia! La notte, alzando lo sguardo verso i tetti, non era difficile intravedere dei fantasmi …. un girovagare di strane ombre sospette che camminando incerte fra i coppi al chiarore lunare, si cimentavano, quali autentici campioni di equilibrismo sulle tegole spioventi, chi andando da nord a sud, e chi da sud verso nord, a ripetere l’eterno idillio fra Giulietta e Romeo in barba a tutti i severi controlli, protette prima da Bastet (il Dio egizio dei gatti), e poi naturalmente da Cupido (il Dio dell’amore).
Quei complici risvolti
Altra storiella carina, ce la racconta tale Tedeschi, un altro allievo. Come si faceva ad organizzare un incontro fra maschi e femmine senza avere la possibilità di comunicare direttamente? Il desiderio aguzza l’ingegno naturalmente … Le aule dei maschi e quelle delle femmine, come si sa, erano separate da un cortile sorvegliatissimo durante le ore di lezione, per cui solo ai maestri e al personale della scuola era consentito attraversare il cortile esterno per passare da una parte all’altra della struttura. Per comunicare avevano pensato di sfruttare i loro stessi ignari professori, complice anche la stagione invernale. Come? Semplicissimo! Poiché all’aperto faceva un freddo pungente, i professori per passare da un’aula maschile ad una femminile o viceversa dovevano necessariamente indossare il loro pesante pastrano per non prendersi una polmonite. Con quanta premura, riporta il Tedeschi nel suo diario, le graziose allieve si facevano attorno al maestro Piantanida, il vecchio e buon insegnante di solfeggio, quando capitava nella loro classe. Erano premurosissime per aiutarlo a togliersi il monumentale pastrano: lui ovviamente felice di tante amorevoli attenzioni, ne era lusingato ma, mentre glielo sfilavano di dosso, le loro manine esploravano furtive negli ampi risvolti delle maniche, dove trovavano spesso i dolci bigliettini che arrivavano dall’altra sezione. Ufficialmente, i professori non sapevano nulla, ma chiaramente quella ignara complicità li faceva ben volere dagli studenti.
Il “caso” inesistente (1832)
Nella lunga storia del Conservatorio di Milano, indubbiamente grossi nomi si avvicendarono su quei banchi e, come capita in tutte le scuole che si rispettino, pure qui vi furono dei casi che fecero scalpore.
Naturalmente, essendo il numero di posti contingentato, l’ammissione ai corsi era condizionata al superamento di un esame di ammissione.
Protagonista di uno di questi casi clamorosi, fu, ad esempio, quello di un “foresto”, tal Giuseppe Fortunino Francesco Verdi (di Le Roncole – oggi, piccola frazione del Comune di Busseto, in provincia di Parma) che, presentatosi all’esame di ammissione al Conservatorio di Milano nel 1832, rimediò una clamorosa bocciatura. Li per lì, la cosa non suscitò alcun clamore mediatico perché, all’epoca, nessuno naturalmente conosceva questo “foresto” (cioè straniero).
Quando, nel 1813, nacque Giuseppe Verdi, l’allora Ducato di Parma e Piacenza figurava annesso alla Francia (sotto Napoleone), fin dal 1802. Fu appena, nel 1815 – grazie al trattato di Vienna – che tale Ducato, al pari di quello di Milano, passò sotto l’Austria. Verdi pertanto, dal suo atto di nascita, figurava essere giustamente “straniero“.
Quando poi, una decina d’anni più tardi, quel 9 marzo 1842, la sua opera Nabucco (su libretto di Temistocle Solera), debuttò al Teatro alla Scala, fu un successo strepitoso: presente Gaetano Donizetti, quell’opera fece salire Verdi agli onori della cronaca, proiettandolo fra i grandi compositori del firmamento musicale internazionale. I giornalisti del settore, per raccontare la vita di questo nuovo astro, si misero a “scavare sul suo passato” (ritenuto particolarmente interessante perché veniva dalla campagna, in particolare da un paesino del parmense). Non ci volle molto, per loro, scoprire i dettagli della sonora bocciatura rimediata al suo esame di ammissione al Conservatorio di Milano, dove, allora diciottenne, aveva sperato di entrare: notizia questa che, chiaramente inattesa, fece clamore, innescando il “caso” (che poi, come vedremo, tanto “caso” non era!).
Indubbiamente con uno scoop del genere, i giornali dell’epoca andarono a ruba; la cosa, fra l’altro, venne anche “amplificata”, nella convinzione generale che, all’epoca, si fosse trattato di un errore clamoroso ai danni del compositore, compiuto dalla commissione esaminatrice del Conservatorio.
Ecco come si svolsero i fatti
Agli esami di ammissione, Giuseppe Verdi, anziché candidarsi ai corsi di composizione – come immaginabile, analizzando quello che sarebbe poi stato il suo futuro percorso musicale – si presentò per aspirare ad un posto nelle classi di pianoforte. Non vi era ovviamente alcuna preclusione a scegliere questo percorso: peccato che, nel pianoforte, lui non fosse altrettanto geniale, quanto avrebbe poi dimostrato di esserlo nella composizione. Purtroppo per lui, Antonio Angeleri – uno degli esaminatori – notò la sua “non corretta posizione delle mani sul pianoforte” e la “non sufficiente cognizione delle regole del contrappunto”. Essendo questo professore – già allora considerato un “guru”, indiscusso capo della scuola pianistica lombarda – ogni sua osservazione era “legge” e i difetti di impostazione (a suo giudizio, difficilissimi da correggere), suonavano come una condanna per il volonteroso candidato. istruito fin da piccino, da maestri provinciali troppo dediti alle tastiere dell’armonium e dell’organo.
Ndr. – : Da qui s‘intuisce come, nell’ottica di Angeleri, la ricerca della perfezione “formale” del corpo di fronte allo strumento fosse una delle condizioni essenziali per essere un buon pianista. E’ chiaro sintomo di un atteggiamento tipicamente accademico.
Oltre alla scarsa disponibilità di posti, c’era poi anche un problema d’età (13 anni per i paganti): lui avendone 18 suonati, superava abbondantemente i limiti consentiti dal regolamento. Era infine uno “straniero” e quindi, a meno non fosse stato in grado di dimostrare doti davvero eccezionali, la bocciatura era praticamente scontata in partenza!
Ironia della sorte, in quella medesima sessione d’esame d’ammissione, si era presentata anche tale Giuseppina Strepponi (due anni più giovane di Verdi), futura seconda compagna del maestro, e, fra l’altro, validissima interprete della sua musica. Al pari di lui, non era residente a Milano (era infatti lodigiana) e pure lei, fuori dai limiti di età (aveva 16 anni) ma, a differenza del futuro Maestro, aveva avuto l’accortezza di esibirsi davanti alla commissione giusta, quella di canto, disciplina nella quale indubbiamente lei eccelleva. Infatti, fu promossa subito!
L’onta della bocciatura non andò giù a Giuseppe Verdi che evidentemente, sognava d’indossare pure lui quel completo verde con quei lucidissimi bottoni color argento e quel cappello a tre punte. Se la legò al dito per il resto dei suoi giorni! Per proseguire nella sua attività, fu costretto a continuare a studiare privatamente.
Ma, incredibile a dirsi, il Conservatorio di Milano è proprio intitolato a Giuseppe Verdi dal 27 Gennaio 1901 lo stesso giorno della morte del grande compositore. Un caso? Assolutamente no!
Qualche anno prima (era il 1897), dietro suggerimento di Verdi, era stato nominato Giuseppe Gallignani, nuovo direttore del Conservatorio di Milano. Questi, pensando di fare cosa gradita al Maestro, in segno di riconoscenza per la raccomandazione a ricoprire quel posto, pensò di ripagargli il favore, intestandogli la Scuola di Musica dell’Istituzione.
Il compositore però, di carattere un po’ scorbutico e da sempre insofferente a qualunque tipo di onorificenza, non l’aveva presa bene e si era rifiutato di dare l’autorizzazione a fregiare quella scuola del suo nome, almeno finché fosse stato in vita. Il motivo vero? Sotto, sotto non aveva ancora “digerito”, la bocciatura subita all’ammissione a quel Conservatorio, solo sessantacinque anni prima!
L’anno della svolta
L’anno 1850 fu un anno importante per il Conservatorio, il cosiddetto anno della svolta. Si fece una significativa riforma sia strutturale che dirigenziale oltre al rivoluzionamento dei piani didattici ad opera dell’allora direttore Lauro Rossi, del suo consigliere Alberto Mazzucato e del giovane compositore Antonio Bazzini.
Riforma strutturale
A poco più di quarant’anni dalla sua fondazione, si prese la “storica” decisione di chiudere per sempre il convitto (probabilmente diventato un carico troppo oneroso per le esauste casse dello Stato) e di trasformarlo in Liceo Musicale, in grado di impartire insegnamenti solo ad allievi esterni.
Riforma dirigenziale
Il direttore venne sostituito da un Curatore governativo con compiti prevalentemente amministrativi.
Rivoluzionamento dei piani didattici
Si decise di affiancare allo studio della sola Musica, quello della sua Storia, della Mimica, e anche l’insegnamento di materie umanistiche e scientifiche ritenute necessario complemento di cultura generale per il futuro musicista, oltre poi ad un corso di ballo per tutti.
La scuola, a differenza di come si potrebbe pensare, rimase gratuita per tutti. Erano previste sovvenzioni ed aiuti extra unicamente ai meno abbienti, comunque limitati all’acquisto dei libri e degli strumenti musicali personali.
Donazioni ed elargizioni varie
Era chiaro che in tal modo, in assenza delle rette da parte degli studenti, con le sole magre sovvenzioni statali, il Conservatorio non si sarebbe potuto reggere da sé a lungo, se non ci fossero state le cospicue donazioni di mecenati, amanti della musica strumentale o del bel canto. Ulteriore fonte di sovvenzione derivava dalla consuetudine della nobiltà di richiedere spessissimo in prestito alla scuola, i suoi allievi più brillanti, perché allietassero le serate mondane e le frequenti feste nei loro lussuosi palazzi. Ovviamente il tutto veniva ripagato con generose elargizioni. Se da un lato queste esperienze servivano ai giovani per abituarsi all’esibizione in pubblico e quindi a crearsi un nome in società, dall’altro non era comunque facile per loro, anche se talentuosi: dovevano sempre dare il massimo di loro stessi, perché il rischio di “bruciarsi” era perennemente latente. Nelle loro serate mondane infatti, i nobili musicofili non si limitavano alla richiesta di esecuzione da parte degli allievi, delle partiture più note, ma mettevano spesso a dura prova la loro abilità di lettura e d’interpretazione, andando a ricercare partiture rare (o comunque, meno frequentemente eseguite). Poiché fra gli ospiti invitati a tali feste, vi erano spessissimo anche critici musicali o commentatori della stampa di settore, le cronache di simili pomeriggi o serate mondane trovavano poi ampio spazio sui giornali musicali dell’epoca, con giudizi sia sull’originalità dei programmi presentati, che sulla bontà delle varie interpretazioni ascoltate, osannando o stroncando le esecuzioni delle varie “promesse”.
Società dei concerti classici
Sempre a partire dal 1850, come ulteriore fonte d’introito e nell’intento di dar sempre maggior valore al talento, sulla scia dell’interesse crescente della gente per la musica, il Conservatorio dette vita alla Società dei Concerti classici. Si trattava di organizzare (sempre con gli allievi della scuola), quattro concerti invernali a pagamento, presentando i più rinomati capolavori dei maestri classici di ogni tempo. Si trattava di concerti vocali e strumentali che spaziavano dal recupero di antica rarità, fino al virtuosismo vero e proprio; il tutto eseguito con grande varietà di organici e il maggior coinvolgimento possibile degli allievi.
Purtroppo tuttavia, a causa delle esigue risorse finanziarie disponibili, dopo solo tre “esperimenti”, la Società dovette chiudere i battenti lasciando molto amaro in bocca agli organizzatori e al direttore Lauro Rossi che, grazie a questa iniziativa, miravano portare il Conservatorio di Milano a competere con quelli internazionali più prestigiosi, i quali però potevano contare su sovvenzioni ben diverse da quelle davvero scarse, se non del tutto inesistenti, che le miopi istituzioni nostrane, erano disposte ad erogare.
Società del Quartetto di Milano
Il predominio del melodramma sull’intero mondo musicale italiano aveva ristretto lo spazio per la musica strumentale, l’attività sinfonica e concertistica nei teatri era minima, pochissime le sale da concerto e i complessi stabili, scarsa la conoscenza degli sviluppi musicali al di là delle Alpi. La musica strumentale e cameristica in particolare, era nota solo ad una esigua cerchia di appassionati.
In seguito all’Unità d’Italia il Conservatorio divenne, insieme all’Accademia di Brera, uno degli ambienti milanesi più vicini al movimento della Scapigliatura. Nello stesso periodo Arrigo Boito e Franco Faccio, all’epoca giovani studenti, iniziarono una lotta per l’abolizione delle forme melodrammatiche filo-risorgimentali (a favore della musica di artisti all’avanguardia come Richard Wagner). Sempre nella fase post-unitaria il Conservatorio di Milano venne indicato dal Ministero della pubblica educazione come modello organizzativo per le scuole di Musica di tutta Italia.
La Società del Quartetto di Milano fu fondata nel 1863 da Arrigo Boito, Tito Ricordi e altri protagonisti della vita culturale milanese (“cultori della buona musica”) con l’obiettivo di diffondere la conoscenza e la passione per la musica strumentale, in particolare quella da camera.
A partire dalla metà dell’Ottocento, diversi intellettuali, appassionati e musicisti in risposta a questo stato di cose, avviarono iniziative volte alla pratica e alla diffusione della musica non operistica. Già nel 1861 Abramo Basevi aveva istituito a Firenze la Società del Quartetto con lo scopo di far progredire la musica strumentale e soprattutto la musica da camera del genere del “quartetto”. L’esempio fu seguito da molte altre città italiane, in primis Milano, dove la neo istituita Società del Quartetto tenne il primo concerto il 29 giugno 1864: in programma, musiche di Beethoven, Mendelssohn e Mozart.
Il “caso” Mascagni
Quando Pietro Mascagni (1863 – 1945) entrò in Conservatorio nel 1883, Antonio Bazzini era da poco diventato direttore dell’Istituto. Era stato lui stesso, Bazzini, a favorire caldamente l’ammissione del giovane livornese alla Scuola di Musica, intuendone il notevole potenziale. Non si era però accorto che il giovane Mascagni era un diciottenne dal carattere tutt’altro che facile, piuttosto ribelle. Il Bazzini, nel suo ruolo di censore, non poteva accettare le intemperanze del ragazzo, la sua mancanza di disciplina, l’insofferenza verso i rigidi regolamenti dell’istituto, non ultima, la sua indolenza verso lo studio, e finì con l’entrare spesso in rotta di collisione con lui.
Pietro si trovò presto in difficoltà oltre che per i metodi, anche per i contenuti, a suo dire “arcaici”, della disciplina musicale impartita dai docenti che si scontravano col suo temperamento e con la sua musica più moderna. A quanto pare, era anche molto incostante nella frequenza ai corsi. In parte, le numerose assenze accumulate erano giustificate dal fatto che, parallelamente allo studio in Conservatorio, lui, vivendo fuori sede e non volendo dipendere finanziariamente dai genitori, guadagnava dirigendo compagnie di operetta. La sua non era una famiglia particolarmente agiata, nonostante suo padre fosse uno dei più facoltosi e conosciuti panettieri del centro di Livorno, e lui, in questo modo, “arrotondava” le sue finanze, senza gravare sulla famiglia. In larga parte però, le assenze erano dovute alla sua particolare sensibilità nei confronti delle numerose fanciulle che sciamavano intorno al giovanissimo, fascinoso direttore d’operetta.
Antonio Bazzini fece di tutto per tentare di fare rientrare nei ranghi quella “testa calda”, ma non ci fu verso. Ad un concorso riservato ai migliori allievi del Conservatorio, per esempio, il giovane (che effettivamente era molto bravo), in dispregio al regolamento della prova, presentò il suo elaborato con una settimana di ritardo rispetto agli altri, avendo poi anche il coraggio di arrabbiarsi perché il suo lavoro non era stato preso in considerazione. Soggetto davvero incorreggibile, nel 1885, Mascagni, dopo un ennesimo furioso litigio col Bazzini che, proprio per la sua pessima condotta, gli aveva negato il permesso di fare eseguire il suo ‘sogno di Ratcliff‘ dall’orchestra scaligera, non ci pensò due volte a sbattere la porta dell’ufficio della direzione, in faccia al Bazzini, abbandonando definitivamente l’istituto, senza completare gli studi, fra i comprensibili rimpianti di quanti, professori compresi, avevano apprezzato il suo talento.
La Biblioteca
Nata praticamente con il Conservatorio, la Biblioteca si sviluppò grazie alla lungimiranza delle varie amministrazioni che la ritennero costantemente una risorsa fondamentale per la didattica, per la formazione musicale degli allievi e per l’aggiornamento dei docenti, nonché sede di conservazione dei documenti musicali prodotti dalla Scuola.
Solo pochi mesi dopo l’apertura del Conservatorio, il 20 gennaio 1809, Eugenio di Beauharnais (1781 – 1824), amante delle belle arti e della musica, volle donare all’istituzione musicale, 12 magnifici volumi in-folio dei “Principes Elémentaires de Musique“, ovvero i metodi per l’utilizzo dei vari strumenti, per lo studio del canto e dell’armonia, usati presso il Conservatoire di Parigi. Questi testi rappresentarono il primo nucleo della nuova biblioteca del Conservatorio: si trattava di volumi (con tanto di stemma napoleonico) – pubblicati a Parigi tra il 1800 e il 1807 – importanti, in quanto punto di riferimento per i rispettivi insegnamenti: un trattato di armonia, trattato di solfeggio in due volumi, metodo di canto, di piano, di violino, di violoncello, di flauto, di clarinetto, di corno in due volumi e di fagotto.
Ndr. – Con riferimento all’arte antica della stampa, formato in-folio, è quello di un libro in cui i fogli di stampa risultino piegati una volta sola in modo che ciascuno di essi presenti quattro facciate; nell’uso moderno, ogni volume che, indipendentemente dal numero delle volte in cui è piegato il foglio, misuri come minimo 40 cm di altezza e 26 di larghezza. [rif. – Treccani]
Anche se nei decenni successivi solo alcuni dei metodi vennero tradotti dal francese in italiano, proprio nello stesso anno di apertura del Conservatorio Giovanni Ricordi fondò la sua casa editrice musicale e cominciò a pubblicare i metodi adottati o scritti dagli stessi docenti della Scuola di Musica.
La biblioteca si arricchì, fin da subito, molto rapidamente, sia grazie a donazioni ed acquisizioni varie, che grazie ad una norma risalente al 7 marzo 1808 (cioè prima ancora dell’apertura della scuola), firmata dal Viceré, secondo la quale “Si tiene nella Biblioteca di Musica del Conservatorio una copia di qualunque composizione, che venga fatta dagli Alunni”, norma a tutt’oggi vigente seppur limitata alle composizioni degli esami di diploma. Sicuramente decisivo per la dotazione della biblioteca, fu un regio decreto governativo del 1816 in cui si disponeva che tutti i teatri di Milano consegnassero al Conservatorio la copia della musica e del libretto di ogni opera messa in scena.
Inizialmente costituita da alcuni armadi sistemati al primo piano dell’ex convento di S. Maria della Passione, e posta sotto la responsabilità di un vice-censore, come la biblioteca si espanse, si trasferì nel 1875 al piano terra nello spazio attualmente occupato dalla sala da concerti intitolata a Giacomo Puccini, spazio che allora era costituito da un certo numero di locali, indubbiamente più adatto a contenere l’ingente patrimonio, ormai in suo possesso.
Gli eventi bellici
Anche se i bombardamenti di Milano dell’agosto 1943, furono devastanti per il Conservatorio, che vide distrutte sia la Sala Grande che la Biblioteca, il patrimonio di libri e documenti ivi presente, si salvò grazie all’accortezza del bibliotecario Federico Mompellio, e alla disponibilità dell’allora presidente Duca Marcello Visconti di Modrone, che ospitò le casse di libri e manoscritti della biblioteca in due sue ville fuori città,
Un notevole apporto venne pure da vari editori: la biblioteca poté arricchirsi di ben 34.000 volumi, 22.000 dei quali, provenienti dal solo editore Ricordi. Un ulteriore apporto significativo fu dovuto ad un decreto che obbligava la Biblioteca Braidense e l’Università di Pavia (le due istituzioni alle quali tutti gli editori di Milano e provincia dovevano inviare copia dell’intera loro produzione a stampa), a consegnare al Conservatorio tutta la parte musicale (partiture e libretti). Risultato questo validissimo che però, venne offuscato dall’impossibilità, probabilmente a causa di estenuanti lungaggini burocratiche per le necessarie firme d’approvazione, di poter dotare per diversi anni, il Conservatorio della indispensabile figura di un bibliotecario.
Bisognerà attendere fino al 1887, con l’arrivo a Milano del conte Eugenio de’ Guarinoni (compositore e validissimo musicologo), per poter contare sul primo bibliotecario effettivo della Biblioteca del Conservatorio, incarico questo, che il conte avrebbe poi mantenuto fino alla morte, nel 1917. Sarà opera sua, il riordino completo delle migliaia di volumi della Biblioteca e la loro catalogazione in uno schedario sistematico in modo da facilitarne l’individuazione della loro collocazione sugli scaffali e la consultazione da parte degli studiosi. Come pure sarà opera sua, in occasione del primo centenario di vita del Conservatorio – grazie al supporto della casa editrice Ulrico Hoepli – la redazione (in quanto curatore pure del Museo della collezione di strumenti musicali), del primo importante catalogo stampato riguardante una collezione davvero preziosa, di strumenti musicali, dimostrando di essere pure esperto studioso dell’organografia e della storia degli stessi.
Collezione degli strumenti storici
La fondazione e l’allestimento del Museo della Collezione degli strumenti musicali situato attualmente nel Foyer della Sala Verdi. risale al 1881 grazie all’abnegazione di un Comitato di appassionati e di esperti e il patrocinio ed il contributo della Casa Regnante, nella persona della Regina Margherita, del Ministero della Pubblica Istruzione e dell’allora Direttore del Conservatorio, Giuseppe Gallignani. Indubbiamente l’anima autentica dell’iniziativa fu il bibliotecario Eugenio De Guarinoni, il cui catalogo e’ ancora oggi testimonianza fondamentale per conoscere il valore dell’originario patrimonio, e lo sviluppo, fin quando fu possibile, della raccolta.
Col passare del tempo, la biblioteca del Conservatorio di Milano diventò una biblioteca storica, universitaria specializzata naturalmente nel settore musicale e musicologico, supporto fondamentale di consultazione per ricercatori, studiosi, studenti e docenti. Detiene oggi un vasto patrimonio di risorse bibliografiche antiche e di pregio. Conserva oltre 500.000 unità bibliografiche, di cui circa 50.000 manoscritti e 30.000 volumi di argomento musicale, nonché circa 400 testate di periodici musicali.
Un patrimonio di cultura musicale che il Conservatorio stesso ha contribuito ad accrescere, per la vita artistica della città, grazie ai suoi studenti, docenti, concertisti, musicisti, compositori e studiosi formatisi nelle sue aule e ad arricchire grazie a donazioni di intere collezioni ricevute da parte di mecenati amanti della musica.
Negli ultimi anni è la biblioteca ad aver sempre curato con particolare attenzione l’aggiornamento delle opere di consultazione, ad aver ampliato propri servizi tramite la biblioteca digitale cioè l’insieme di funzionalità che consentono di raggiungere sia le fonti native digitali (repertori online di articoli di periodici, di bibliografie di edizioni musicali video ecc) sia quelle digitalizzate in proprio, riguardanti le risorse cartacee della Biblioteca, di particolare valore storico nell’ottica di poter essere consultate on line dagli studiosi di tutto il mondo.
Un cenno sulla Scuola di Musica oggi
Più di 1700 gli studenti di oggi, circa 250 i docenti, 150 i percorsi di studio tra I livello e II livello, dalla musica antica al pop-rock, e ancora master di I e II livello, master class e seminari con docenti di fama internazionale, borse di studio e il Premio del Conservatorio, un vero e proprio concorso che vede confrontarsi annualmente gli studenti migliori.
Palcoscenico per loro e per i docenti, per un totale di circa 200 produzioni all’anno, le due sale da concerto: la più piccola dedicata a Puccini, il più famoso tra gli studenti del Conservatorio di Milano, e la più grande, la Verdi, una delle migliori sale da concerto europee, anche sede delle storiche stagioni delle Serate Musicali, della Società del Quartetto e della Società dei Concerti.
Nomi illustri di alcuni alumni o docenti del passato e del presente
Ndr. – Si chiamano col termie Alumni sono gli ex-studenti di una scuola, di un college o di un’università.
Non mi sembra giusto concludere queste note senza ricordare almeno qualcuno dei tanti nomi illustri che hanno “vissuto” queste aule o in veste di docente o in qualità di allievo. Mi permetto di riportare anche nomi più vicini a noi (perché più familiari ai più) anche se sicuramente vado “fuori tema” visto che l’argomento dell’articolo si riferisce non al Conservatorio di oggi (di cui in effetti non parlo minimamente), ma a quello delle origini. Come si può bene immaginare, sono diverse decine i nomi di coloro che meriterebbero menzione o perché insegnanti di assoluta fama o perché allievi che, nell’arco dei 215 anni di vita del Conservatorio, si sono formati e distinti portando alto il nome di Milano e dell’Italia nei teatri più prestigiosi di tutto il mondo. Fra i primissimi talenti usciti da questo Conservatorio ricordo ad esempio tre donne, fra tutte: la contralto, soprano Giuditta Pasta (1798 – 1865), di cui purtroppo non esistono registrazioni fonografiche di sorta (visto che, all’epoca, ancora gli apparecchi di registrazione non erano stati ancora inventati), la mezzosoprano Giuditta Grisi (1805 -1840) e ancora l’altra grande soprano Giuseppina Strepponi (1815 – 1897), seconda moglie di Giuseppe Verdi. Fra gli altri grandi nomi, i compositori Amilcare Ponchielli (1834 – 1886), Franco Faccio (1840 -1891), Arrigo Boito (1842 – 1918), Giacomo Puccini (1858 – 1924), il “discolo” Pietro Mascagni (1863 – 1945), Victor de Sabata (1892 – 1967) pure direttore d’orchestra. Come tralasciare il ricordo di nomi come gli Abbado (il padre Michelangelo (1900 – 1979) insegnante di violino e vicedirettore del Conservatorio per oltre 50 anni, ed i due figli Marcello (1926 – 2020) docente di composizione e direttore del Conservatorio e Claudio (1933 – 2014) direttore d’orchestra), o un Gianandrea Gavazzeni (1909 – 1996), pure lui compositore e direttore d’orchestra. Altro nome di rilievo che ha frequentato questo Conservatorio, è Luciano Berio (1925 – 2003) pioniere della musica elettronica. Come non ricordare un pianista come Arturo Benedetti Michelangeli (1920 – 1995) o un compositore come Giacomo Manzoni (1932), un direttore d’orchestra come Riccardo Muti (1941), un violinista e cantautore come Pino Donaggio (1941), la celebre soprano Barbara Frittoli (1967) o infine il pianista Giovanni Allievi (1969). Mi fermo qui! Non voglio andare oltre, sperando non me ne vogliano gli altri nomi illustri che non ho elencato. La lista sarebbe davvero lunghissima!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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