La michétta …. cugina della micca
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ToggleMilano è città in continua trasformazione … tutto cambia … anche a causa della crisi economica. Non si fa tempo a girarsi, che è sparita l’edicola dei giornali, lì all’angolo … poco più avanti, ha appena chiuso anche il panificio in quella via che si è percorsa a piedi per tanti anni per andare in ufficio … Che tristezza … ed anche un pizzico di nostalgia, manca qualcosa … il profumo invitante di quel pane appena sfornato, che inondava la strada … la bicicletta del garzone appoggiata al muro vicino all’ingresso del fornaio (prestinée in milanese), quel voluminoso cesto debordante dal portapacchi anteriore, coperto da un panno e colmo di michette ancora calde, pronto da consegnare a qualche rivendita, lì vicino …
La michétta, così come la intendiamo oggi, ha da poco festeggiato settantaquattro primavere! Ho detto, come la intendiamo oggi (cioè vuota internamente), perché in effetti, in consistenza diversa da oggi (cioè piena di mollica), possiamo farla risalire all’inizio del XVIII sec. quando ancora la lavorazione era totalmente manuale, come ai tempi di manzoniana memoria. Allora, la michétta era, per i milanesi, ed i lombardi in generale, il pane degli operai.
Oggi i milanesi, specialmente in periferia, non ci sono quasi più … la città si è allargata…. Nei nuovi quartieri, si sono insediati immigrati napoletani, pugliesi, siciliani, veneti e anche tanti stranieri di altre culture, ed è sempre più raro sentire parlare qualcuno in dialetto milanese.
Dal prestinee, non è più come una volta, dove la scelta era limitata a solo a quelle due, tre qualità di pane … oggi, dietro al bancone, troviamo tanti tipi di pane, per tutti i gusti , di tanti formati diversi … a grano duro, a grano tenero, al latte, all’olio, al sesamo, pane di soia,pane arabo, il genovese, il pane carasau, il pane di Altamura, la baguette francese, l’integrale di segale e …. la michetta non c’è più?
Michétta, difficile da trovare …
Beh la michétta, negli ultimi anni, è finita un pò in secondo piano …
Le motivazioni sono diverse …. i veri milanesi sono sempre meno in città … la richiesta è scarsa perché i numerosissimi clienti non-milanesi gradiscono maggiormente il pane delle loro terre d’origine …. . Vista dai panificatori, vi è anche un problema di costi/benefici nel senso che la richiesta di quel tipo di pane non ripaga dei costi e degli investimenti necessari per la sua produzione. La preparazione della michétta, è davvero lunghissima, i macchinari necessari per il taglio della pezzatura e della forma sono decisamente ingombranti e l’utile assolutamente scarso, dato che il Comune, per certi tipi di pane (tra cui la michétta), impone un prezzo calmierato. Il prestinée oggi, adeguandosi alle preferenze ed ai gusti della gente, è un po’ lo specchio di chi vive il quartiere … ed i milanesi sono rimasti davvero in pochi!
Da non milanese, quale sono, non nascondo che, la prima volta che ho provato la tanto decantata michetta, non mi ha dato la sensazione di qualcosa di assolutamente speciale, abituato com’ero alle famose rosette (con mollica) del nord-est. Me l’aspettavo diversa! La michétta si differenzia per essere internamente vuota, assolutamente priva di mollica. E’ un pò come un grosso bignè salato, che si presta ad essere farcito. Di conseguenza risulta molto ‘briciolosa’ ed inconsistente. Come mai questa scelta di fare il pane senza mollica? Torniamo indietro di qualche secolo …
Ma quando è nata la “michetta”?
Agli inizi del XVIII sec., dopo la guerra di successione spagnola, in seguito al trattato di Utrecht del 1713, Milano passò definitivamente sotto l’Impero austro-ungarico degli Asburgo. Vienna mandò un nutrito contingente di truppe e di funzionari amministrativi in città. Tanti giovani, ufficiali austriaci di leva, e impiegati dei vari ministeri, erano stati inviati a Milano, per farsi le ossa. Avevano creato una sorta di enclave nel cuore della città.
Vuoi per la lontananza dalla madre patria, vuoi per le diverse abitudini culinarie dei lombardi, non tutti riuscirono ad adeguarsi facilmente ai gusti gastronomici locali, troppo diversi dai loro. Il pane ad esempio … a Milano si usava la micca, una pagnotta di 300/400 grammi molto comune in tutte le tavole, che aveva la caratteristica di sbriciolarsi appena spezzata … cosa che a loro, non piaceva affatto.
La micca, di pezzatura maggiore (700 gr), diffusa ancora oggi nel pavese, è un pane bianco, di farina di grano tenero, ma con la crosta piuttosto secca e friabile. La mollica bianca e abbondante, crea la tipica forma a cupola della pagnotta, ed è ideale per fare “scarpetta” con i vari intingoli e sughi. Affettata, è buonissima con salame, pancetta arrotolata e coppa.
Cominciarono pertanto a sentire ben presto nostalgia di casa e della mancanza del buon pane di Vienna, quelle favolose rosette chiamate il pane dell’imperatore in particolare … Nostalgia è bisogno di qualcosa che ti manca e che non riesci a trovare lì dove sei … Come poter alleviare questo senso di malinconia, lontano da casa?
Furono gli Austriaci a richiederla …
Ci pensarono loro stessi, a dire il vero … Un bel giorno, decisero di contattare i fornai che avevano i loro negozi-laboratorio nei pressi delle zone ove abitavano, chiedendo espressamente di fare per loro il “Kaisersemmel” (pane dell’imperatore), un panino raffinato di peso inferiore, rispetto alla “micca“, (80/90 grammi), dalla forma di una piccola rosa, di cui sentivano tanto la mancanza.
Domanda insolita, che però i fornai, per non inimicarsi gli occupanti austriaci e non perdere la clientela, tentarono di buon grado, di soddisfare. La cosa richiese diverso tempo e fu più laboriosa del previsto … prima di tutto perché i fornai dovevano documentarsi su come fare i “Kaisersemmel“, presso i loro colleghi d’oltralpe, molto restii a fornire loro il segreto della ricetta. Poi perché, una volta carpite le istruzioni di massima, dovettero fare numerosi esperimenti variando il dosaggio degli ingredienti, nel tentativo di ottenere un prodotto il più simile possibile a quello richiesto.
A furia di prove e riprove, alla fine, riuscirono ad ottenere il pane desiderato, che fu ribattezzato “michétta”, come diminutivo della pagnotta “micca”, essendo effettivamente di pezzatura inferiore.
Perchè non chiamarlo ‘Kaisersemmel’ visto che erano riusciti a farlo proprio uguale?
In teoria sarebbe stato logico… E poi, perché chiamarlo “michétta” come diminutivo di “micca”, se non aveva nulla a che vedere con la “micca”, in quanto l’impasto era diverso? Perché mai e poi mai, per questione di principio, i milanesi avrebbero dato a quelle ‘rosette’ il nome viennese ‘Kaisersemmel’. Facendolo, sarebbero stati indotti a pronunciarlo diverse volte al giorno, rendendo involontariamente omaggio, all’odiato imperatore asburgico, cosa che, ovviamente, non intendevano fare!
La michétta era sì uguale, ma ….
C’era purtroppo un ma … non imputabile ai bravi panificatori milanesi!
Buonissimo il pane, croccante quando ancora caldo di forno, con una mollica deliziosa … ma, nel corso della la giornata, la crosta perdeva totalmente la croccantezza, rammollendosi rapidamente … Il motivo?
Si scoprì che la colpa di tutto questo, era imputabile al clima, o meglio, all’umidità dell’aria di Milano che penetrava eccessivamente in un prodotto igroscopico come il pane, a differenza di quanto accadeva nel più asciutto clima viennese.
Milano, si sa, è città d’acqua … la mollica assorbiva l’umidità dell’aria ed il pane diventava via via sempre più ‘gommoso’ … al punto che, alla sera, era effettivamente immangiabile! La soluzione? Tentare di fare un pane totalmente privo di mollica! Ma … come svuotarlo, soffiarlo renderlo croccante e ugualmente digeribile, garantendo nel contempo la conservazione?
Ci vollero duecento anni per la soluzione …
La cosa non fu risolta subito , tutt’altro … la michetta piena e soffice come la classica rosetta, rimase invariata addirittura fino alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale fin quando, dagli Stati Uniti non arrivarono gli aiuti del Piano Marshall.
Oltre all’invio delle materie prime, come petrolio e carbone per garantire il riavvio dell’attività produttiva e delle industrie nei primi anni dopo la guerra, il piano Marshall prevedeva pure l’invio di consistenti quantitativi di grano e di farina per la popolazione oltre ad una farina speciale proveniente da Manitoba, una regione del Canada Occidentale, che era stata una vecchia riserva di tribù indiane. La farina, proveniente da tale regione, era stata ottenuta da un grano forte e molto resistente al freddo. Essendo incredibilmente ricca di proteine che formano il glutine, divenne la soluzione che mancava ai panificatori milanesi per poter creare delle michette croccanti fuori, ma vuote dentro.
Il glutine conferisce agli impasti viscosità, elasticità e coesione. Pertanto la quantità e il grado di integrità delle proteine che compongono il glutine presente in una farina, è un importante indice per valutarne la qualità e l’attitudine alla panificazione.
Maggiore è il contenuto di glutine, migliore è la crescita e la lievitazione del prodotto.
Ma da cosa deriva questo strano nome … “michétta”?
Proviene dal latino
ll nome, in effetti, ha origine davvero antica … proviene dal termine latino “mica”, che, guarda caso, tradotto in italiano, significa ‘briciola’!
C’è anche un riferimento storico
Il nome, in quanto tale, sembra venisse già usato ai tempi dei Visconti! Sotto l’Arcivescovo Giovanni Visconti, Signore di Milano, infatti, si ha notizia che un tal Guglielmo Salimberti, nell’aprile 1350, creò el loeugh pij de la michetta (luogo pio della michetta), per consentire la distribuzione del pane ai poveri della Porta Vercellina.
Ovviamente la michétta, allora, era il nome di un tipo di pane che nulla aveva a che fare, con la michétta piena, di ieri, o vuota, di oggi.
Il tempo necessario per fare il pane è normalmente abbastanza lungo, per le michette, sembra sia necessario addirittura un giorno intero! Riporto, a puro titolo informativo, il procedimento di massima normalmente usato dai panificatori ed i tempisia di lavorazione, che d’attesa.
Ingredienti per circa 20-25 michette
1° impasto (biga)
• 1,5 kg di farina di forza (W 340-350)
• 30 g di lievito di birra
• 7,5 dl di acqua
2° impasto
• 150 g di acqua
• 150 g di farina
• 25 g di sale
• 10 g di malto in polvere
Farina di forza : Ogni farina ha il suo contenuto di glutine e la sua propria capacità di assorbire acqua. Sulle etichette dei pacchi di farina la lettera “W” indica proprio la forza della farina ovvero la sua capacità di sviluppare glutine durante l’impasto con la sua conseguente capacità di assorbire acqua che in aggiunta al sale aumenta notevolmente grazie alla capacità del sale di trattenere l’umidità. Maggiore acqua assorbe la farina, più solida sarà la struttura dell’impasto.
il primo impasto, chiamato biga, si prepara mescolando bene la farina con l’acqua ed il lievito. Quando l’impasto risulta sostenuto ma omogeneo, lasciarlo riposare per 18-20 ore tenendolo in ambiente a temperatura costante (chi indica 12, chi 15°C). Per una corretta lievitazione del pane, è bene mantenere comunque il più possibile costante la temperatura dell’impasto.
Una volta fatta lievitare la biga, si ammorbidisce l’impasto con l’acqua aggiungendo quindi il sale ed il malto. S’impasta energicamente per un minuto, poi si aggiunge la farina rimasta. Impastando a mano, la pasta va lavorata per almeno 20 minuti. L’impastatrice meccanica non cambia di molto i tempi: 10 minuti a bassa velocità, quindi altri 5 minuti a velocità leggermente superiore.
Coprire il tutto e lasciare riposare per 5 minuti. Successivamente dare un altro paio di giri all’impasto e lasciarlo riposare ancora 10-15 minuti. L’impasto a questo punto dovrebbe avere una temperatura di 21-22°C e avere un aspetto liscio e lucido.
Fare un lungo cilindro e ungerlo leggermente; lasciare riposare per altri 20 minuti.
Tagliare la quantità di pasta desiderata per fare i panini, fra i 70 ed 80 gr, quindi stampigliare le michette con l’apposito strumento.
Lasciare riposare ancora le michétte per altri 30 minuti, coperte da un telo.
Scaldare il forno a 250°C, infornare e umidificare l’ambiente (si può banalmente versare un pentolino d’acqua bollente su una piastra posta sul fondo del forno).
Fare cuocere per circa 20 minuti fino a quando le michette sono ben dorate e leggermente brunite.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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