Anselmo da Baggio (papa) – 1a parte
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I ‘da Baggio‘ (o più propriamente, a quei tempi, ‘de Badagio‘) erano una nobile famiglia, le cui origini, come suggerisce lo stesso cognome, si fanno risalire fin dal X secolo, a Baggio (allora Badagio), una delle tante piccole borgate rurali, a poche miglia ad ovest della città.
Per poter incidere maggiormente nella politica milanese ed imperiale, verso la fine del X secolo, uno dei discendenti di tale famiglia, un certo Tazone, aveva deciso di trasferirsi dal borgo, in città, dando così origine al ramo dei ‘da Baggio‘ di Milano. Acquistati in città vari palazzi e grandi terreni, che naturalmente affittava, era divenuto proprietario di una vasta area in zona di Porta Cumana, proprio a ridosso delle mura romane, al Ponte Vetero. Le sue proprietà, parzialmente anche all’esterno delle mura, raggiungevano la brera del Guercio, cioè l’attuale via Brera, mentre all’interno, arrivava fino alla ‘via publica‘, l’attuale via del Lauro, ove aveva fatto costruire, quale dimora abituale, per sé e la sua famiglia una sorta di rocca, o casa-fortino, come d’usanza all’epoca, fra le famiglie di rango più elevato.
NOTA
Sono due, gli Anselmo della famiglia ‘da Baggio‘, menzionati nella Storia: il primo (quello di cui scrivo in questo articolo), vissuto fra il 1010/1015 ed il 1073, fu nominato vescovo di Lucca, e divenne successivamente papa; il secondo. nipote del primo, vissuto fra il 1035 e il 1086, fu elevato a cardinale dallo zio papa, e, divenuto pure lui vescovo di Lucca alla morte del pontefice, fu successivamente fatto santo.
I frequenti riferimenti storici (apparentemente fuori tema), riportati in questo articolo, seguendo l’ordine cronologico degli eventi, servono a rendere meglio l’idea del periodo turbolento in cui visse Anselmo da Baggio, personaggio d’indubbio rilievo in quell’epoca, soggetto che, ai giorni nostri, appare del tutto dimenticato
I suoi primi anni
Anselmo, figlio del nobile Arderico (uno dei discendenti di Tazone), era nato a Milano, proprio lì, in quella casa-fortino, fra il 1010 ed il 1015. Non ebbe, a dire il vero, un’adolescenza molto tranquilla: in città, in quegli anni, vi era un clima di diffuso malcontento, contrassegnato da frequenti sommosse fra valvassori e valvassini, decisi, questi ultimi, a veder riconosciuti i loro diritti di eredità dei feudi. A quei tempi, non esisteva ancora la Motta, come associazione politico-sindacale, nella quale in seguito sarebbero confluiti, per fare valere le loro ragioni.
Ndr. – Nel linguaggio giuridico feudale, il valvassore era il vassallo del capitaneus, che era a sua volta il vassallo del vassallo del re. (vedi tabella qui sotto)
Nella scala gerarchica, i valvassini costituivano l’ultima classe di titolari di feudi.
In origine, il possesso feudale dei valvassini era precario, potendo essere in qualunque momento, revocato dal signore. Inoltre non si estendeva agli eredi e non conferiva alcun grado di nobiltà.
Più tardi, grazie alle lunghe otte che condussero, riuscirono a garantirsi il possesso dei feudi amministrati e in diversi cas,i pure l’ereditarietà degli stessi. Tutti costoro erano comunque uomini liberi.
Gerarchia nobiliare in epoca feudale (XI – XIII sec,) | Corrispondenza nobiliare |
Sovrano o Imperatore (il loro potere derivava direttamente da Dio) | Sovrano o Imperatore |
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////// | Principe / Principessa |
vassallo del Sovrano (arcivescovo) | Duca / Duchessa |
vassallo dell’arcivescovo (capitaneo) | Marchese / Marchesa |
vassallo del capitaneo (valvassore) | Conte / Contessa |
vassallo del valvassore (valvassino) | Barone / Baronessa |
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////// | Cavaliere / Dama |
Il contesto sociale in quel periodo
Dal 1018, nuovo arcivescovo di Milano, era Ariberto d’Intimiano, uomo molto potente ed influente, signore assoluto di un vasto territorio che si estendeva sulla Lombardia, Piemonte, Liguria e parte dell’Emilia. La scelta di tale soggetto era avvenuta, in seguito ad un intervento dei maggiorenti della città (i cosiddetti capitanei, principali vassalli del signore) e grazie ad una concessione di Enrico II il Santo, imperatore del Sacro Romano Impero. Sebbene gli arcivescovi di Milano non abbiano mai avuto un titolo comitale (cioè nobiliare di conte) a legittimazione del loro potere, Ariberto esercitava anche potere temporale su tutto il Regno d’Italia di allora.
Nel 1035, dopo anni di tentativi di composizione pacifica dei dissidi interni dovuti proprio a riforme agrarie relative alla titolarità e all’ereditarietà dei feudi amministrati, non riuscendo a riportare l’ordine in città, aveva deciso di reagire ai continui disordini, scatenando, con un eribanno, una guerra civile contro i sovversivi dell’ordine feudale.
Ndr. – Eribanno [dal lat. mediev. haribannum, heribannum, comp. dell’ant. alto ted. hari «esercito» e ban «bando»]. – Bando con il quale il re franco, nell’età carolingia, trasmetteva ai duchi, margravî, conti l’ordine per l’adunata dell’esercito. [rif. – Treccani ]
Iniziativa questa, sgradita a Corrado II il Salico, l’imperatore allora in carica: il suo predecessore, aveva accettato che Ariberto assumesse la carica di arcivescovo di Milano perché potesse risolvere i problemi per conto del sovrano e non perché ne creasse di nuovi. L’attuale imperatore Corrado II, già oberato da diversi grattacapi in patria, non gradiva certo ulteriori problemi da risolvere in Italia.
Nel 1036, i ceti medi della città di Milano, richiedevano all’arcivescovo quelle riforme agrarie che andavano a detrimento dei suoi grandi possedimenti: fu proprio allora che fondarono la Lega della Motta, la corporazione dei feudatari minori. Sceso in Italia per tentare di risolvere la cosa, Corrado II indisse un sinodo a Pavia, dove, alla presenza di Ariberto, volle sentire le ragioni degli insorti e comprendere il motivo del loro astio, nei confronti dell’alto prelato. Riconosciuta la validità delle richieste dei sovversivi, ordinò l’arresto di Ariberto. L’arcivescovo fu quindi incarcerato in una fortezza vicino a Piacenza, ma, dopo poco, riuscì a fuggire. Tornato a Milano, si ribellò contro Corrado. Essendo quest’ultimo intenzionato a catturarlo, mise sotto assedio la città. Per contrastare l’imperatore, Ariberto riuscì a creare un piccolo esercito, arruolando il basso clero e il popolino che gli era rimasto fedele. Fu in quell’occasione, che fece la sua prima comparsa il famoso Carroccio, divenuto poi simbolo delle libertà comunali. La città in effetti si rivelò inespugnabile e l’arcivescovo, in quell’occasione, si salvò.
Tornato in Germania, nel 1037, nel tentativo di riappacificare la popolazione, Corrado II si fece promotore di una riforma agraria che scompaginò il sistema feudale italiano: la ‘Constitutio de feudis‘, editto che sanciva sia per i capitanei (o milites maiores), che per i valvassori (o milites minores), l’ereditarietà e l’inalienabilità dei loro benefici, cosa questa non prevista però per i valvassini, che, naturalmente, continuarono la lotta ad oltranza, perché venissero pure a loro, riconosciuti i medesimi diritti.
Nel 1039, in seguito all’improvvisa morte di Corrado II, mentre in Germania prendeva il potere il figlio ventiduenne Enrico III il Nero (1016-1056), a Milano, l’intera città era nuovamente insorta contro l’arcivescovo nel tentativo di estrometterlo dal suo ruolo. Ci riuscì, nella primavera del 1040, quando, con l’incalzare degli eventi, Ariberto, sempre sordo alle richieste del popolo e fermo nella sua determinazione a non voler riconoscere ed accettare il mutamento dei tempi, riuscì fortunosamente a non essere catturato e a rifugiarsi a Monza, senza far più ritorno a Milano. Morirà in esilio, qualche anno più tardi, nel 1045, restando così totalmente estraneo ai radicali mutamenti avvenuti in città in quegli anni (la nuova repubblica che, Lanzone della Corte aveva instaurato a Milano, iniziando, di fatto, la nuova Età Comunale)
I rapporti tra la famiglia dei ‘da Baggio‘ e l’imperatore, in questi frangenti, furono sempre improntati all’estrema fedeltà.
La sua formazione
Tornando ad Anselmo, si ritiene che abbia avuto, oltre alle indispensabili basi di lingua e letteratura latina (a quei tempi si parlava solo in latino), una formazione in grammatica, logica e retorica. Con tutta probabilità studiò all’Abbaye Notre-Dame du Bec a Le Bec-Hellouin, in Normandia, presso la scuola aperta da quello che lui definì suo maestro: Lanfranco da Pavia. Non si sa quando fu discepolo del famoso retore Lanfranco, figlio di una famiglia di giudici appartenenti all’ambiente del sacrum palatium. Costui insegnava proprio queste materie poiché la formazione, a quei tempi, si basava principalmente sull’oratoria, la cui conoscenza permetteva di aprire le porte a varie attività sia nell’ambito della cancelleria imperiale, che in quello della politica cittadina.
Il periodo in Germania
Anche se non si hanno notizie sicure in proposito, pare accertato che intorno al 1040, Anselmo da Baggio sia entrato al servizio dell’imperatore Enrico III, in Germania, suo ospite presso la sede imperiale di Goslar (bassa Sassonia). Lì, essendo spesso a contatto con gli ambienti ecclesiastici locali, ebbe modo di percepire le loro esigenze di riforma della Chiesa, pur riconoscendo l’importanza della funzione dei laici (Enrico III in primis), nella realizzazione di un serio programma di rinnovamento religioso.
Anselmo, dopo il lungo soggiorno in Germania, fece rientro a Milano nel 1053, quale emissario di Enrico III. A quella data, comunque, risulta che il ‘da Baggio‘, fosse ancora allo stato laicale.
Rapporti fra Impero e Papato
Sia Corrado II, che il figlio Enrico III, avevano ampliato l’ambito della loro influenza imperiale, conquistando durante il loro regno, nuovi territori; ad est, le regioni abitate dagli slavi, ad ovest, il Regno di Borgogna. Avevano pure mirato a rafforzare la loro potenza, anche nei confronti del Papato.
Enrico III, in particolare, fra il 1045 e il 1046, potè approfittare della scandalosa e caotica situazione creatasi a Roma, dove il soglio pontificio era in quel periodo, conteso da tre candidati Papi contemporaneamente (Gregorio VI, Benedetto IX, Silvestro III), due dei quali, simoniaci. E tutto questo, dopo che il soglio era rimasto a lungo, monopolio dei Conti di Tuscolo, con una sorta di ‘papato di famiglia‘.
Ndr. – La famiglia dei Tuscolani esercitava già, de facto, il potere civile sull’Urbe. Pur di mantenere in famiglia il soglio pontificio, naturalmente allo scopo di assicurarsi ad ogni costo i privilegi ed il prestigio, che, da tale elezione, ne sarebbero derivati, risulterebbe che i Conti di Tuscolo avrebbero fatto eleggere papa, col nome di Benedetto IX, persino un ventiduenne, tale Teofilatto, figlio di Alberico III (di Tuscolo). Qualche storico medioevale afferma che Teofilatto fosse stato fatto papa addirittura adolescente, cioè solo dodicenne (fonte Treccani)
Nella tabella dei papi di quel confuso periodo, che. per chiarezza, riporto più avanti, si può notare infatti, che lo stesso papa Benedetto IX, proprio a causa di furibonde lotte fra famiglie romane che nel 1045 si contendevano il potere, nel gennaio di quell’anno, fu costretto a fuggire da Roma (esilio a Monte Cavo); reinsediatosi in marzo, dopo appena 52 giorni, in maggio, fu costretto ad abdicare. In totale comunque, i Conti di Tuscolo, lo insediarono al soglio pontificio, per ben tre volte, in periodi diversi.
Risulta infatti essere il 145°, il 147° e il 150° papa nell’arco di 15 anni fra il 1033 e il 1048.
Il senso di smarrimento e di sdegno nel popolo dei credenti, suscitato da simile situazione, giovò enormemente ai piani politici di Enrico III. Infatti nel tentativo di ricomporre il possibile scisma all’interno della Chiesa , fece convocare un Concilio che intese dirigere personalmente a Sutri nel dicembre 1046. Non solo fece approvare un decreto che conferiva all’imperatore (cioè a sé stesso), il diritto di designazione del pontefice da eleggere, ma, dopo aver riconosciuto come unico papa legittimo Gregorio VI, in seguito alla sua abdicazione, venne eletto subito uno nuovo, naturalmente di nazionalità tedesca e ligio alla casa di Franconia. Era il vescovo di Bamberga, Clemente II, un suo amico di indubbia integrità morale e religiosa, che provvide, fra l’altro, a restituirgli il favore, conferendogli l’ambita corona del Sacro romano Impero.
Figura comunque piuttosto ambigua, quella di Enrico III: da una parte, sostenitore della moralizzazione della Chiesa attraverso la lotta alla simonia e al concubinato, la repressione della nobiltà romana che imponeva antipapi, il sostegno alla riforma promossa dai Benedettini di Cluny, contro il sistema delle nomine religiose; dall’altra, interprete delle riforme a suo uso e consumo, dando l’impressione che il papa fosse un suo sottoposto, vista la sua continua ingerenza nelle nomine e nelle frequenti deposizioni di religiosi.
Un caso emblematico di questa sua condotta, fu quello riguardante nel 1045, l’elezione nell’episcopato milanese, del successore di Ariberto d’Intimiano morto nel gennaio di quell’anno. Poiché la Chiesa era subordinata all’autorità imperiale, essendo il sovrano visto come un signore scelto da Dio, il clero e l’assemblea cittadina avevano fatto pervenire ad Enrico III la proposta di una rosa di quattro possibili candidati canonici prescelti a ricoprire l’importante carica episcopale. I nomi suggeriti erano:
– Arialdo da Cucciago o forse da Carimate (che, alla sua morte, sarebbe poi stato fatto santo),
– Attone (che sarebbe diventato arcivescovo, solo molti anni dopo),
– Landolfo Cotta (chierico dalla grande capacità oratoria, fondatore della pataria)
– Anselmo da Baggio (alla data, in Germania e nemmeno ancora prete: poi, sarebbe diventato papa Alessandro II)
Al di là di ogni previsione, Enrico III preferì ignorare i candidati proposti, nominando a sorpresa il prete Guido da Velate, soggetto che faceva parte della sua scorta e che, appartenendo alla nobiltà minore, non avrebbe avuto diritto ad accedere all’alta carica. Nominativo già noto all’imperatore, secondo Landolfo Cotta, per avergli già reso servigi di spionaggio durante l’episcopato di Ariberto d’Intimiano.
In quel momento, la contesa per la supremazia fra Impero e un Papato in profonda crisi, sembrava risolta a favore dell’impero, dato che l’imperatore, controllando i regni di Germania, di Borgogna e d’Italia, era davvero molto potente. Ma ormai le correnti riformiste nella Chiesa erano tanto forti e così diffuso il bisogno di rinnovamento, che gli stessi provvedimenti presi a favore della potenza imperiale, si risolsero a favore del movimento riformatore, il cui scopo era quello di liberare le istituzioni ecclesiastiche dal controllo dei laici e riaffermare l’autorità del papa come capo supremo della Chiesa.
Infatti, nel 1048, pure lasciando all’imperatore il compito di designare chi dovesse salire al soglio pontificio, divenne papa Leone IX, convinto fautore della riforma della Chiesa. E’ proprio dal rafforzamento delle autorità papale, che lui poté applicare in tal senso, la sua opera. A favorire anche il risollevamento del papato, sopraggiunse inattesa, la morte prematura, a nemmeno quarant’anni, di Enrico III, e la virtuale vacanza del trono imperiale. Infatti, essendo l’erede al trono, il figlio Enrico IV di solo 6 anni, sua madre Agnese di Poitou, vedova del defunto imperatore, pur essendo inesperta, assunse la reggenza temporanea dell’impero.
Ndr. – La pataria è un movimento religioso e politico, sorto a Milano nella seconda metà del XI sec.; trasse origine dal fermento di parte del clero e del popolo di Milano contro la simonia e il concubinato ecclesiastico che, nel contesto della situazione politico-sociale della cosiddetta Chiesa feudale, erano largamente diffusi, Le caratteristiche della pataria ne fecero anche, attraverso il vivace contrasto delle fazioni cittadine, un moto di affrancamento delle classi inferiori, dai vincoli feudali
Il suo rientro a Milano
Anselmo, come detto, fece rientro a Milano nel 1053, in qualità di emissario imperiale. La nobiltà milanese si stava riavvicinando all’imperatore e la città sarebbe diventata in breve uno dei capisaldi della politica italiana di Enrico III.
Cosa era cambiato qui da noi dopo 13 anni all’estero?
Durante la sua lunga assenza, erano accaduti in Italia e a Milano, diversi eventi di rilievo:
- il più eclatante di tutti, era stato sicuramente l’avvicendarsi solo negli ultimi 8 anni (dal 1045 al 1053), di ben 7 papi, cosa davvero unica nella storia della Chiesa cristiana;
- poi, nel gennaio del 1045, dopo ben 27 anni di episcopato, la morte del presule Ariberto d’Intimiano (arcivescovo amato e odiato);
- quindi la nomina del nuovo arcivescovo, nella persona di Guido da Velate, (scelto dall’imperatore fedele al concetto ‘divide et impera‘, nella certezza che il suo nome avrebbe fatto discutere e creato divisioni fra le classi sociali);
- ed infine la nascita di un movimento spontaneo di denuncia, la ‘pataria‘, avente come finalità la lotta contro l’amoralità dilagante e la generale rilassatezza dei costumi, soprattutto fra il clero (simonia, preti sposati e concubinato).
Una delle prime notizie di cronaca che riguardarono Anselmo a Milano, proprio nel 1054, fu l’occupazione della pieve di Cesano, presso Baggio, operazione (probabilmente militare), che lui condusse insieme ai fratelli, ai danni del monastero di San Vittore per riappropriarsi di terreni che probabilmente erano stati usurpati alla famiglia. Il motivo del contenzioso era naturalmente legato al diritto di riscossione delle decime in quell’area, che i ‘da Baggio‘ ritenevano fosse unicamente di loro spettanza. Lo si deduce dalla supplica all’imperatore Enrico III, da parte di Arderico, abate di San Vittore, affinché l’Imperatore si adoperasse a far restituire alla sua abbazia, la pieve di Cesano, occupata ingiustamente dai ‘da Baggio‘. Questi, a dire il vero, non avevano compiuto alcun abuso, poiché in effetti vantavano su quei terreni, un antico diritto di amministrazione, concesso loro una settantina d’anni prima, dall’arcivescovo Landolfo II (979-998), all’inizio del suo episcopato, quale ringraziamento per il sostegno dato dai nobili ‘da Baggio’, alla sua elezione al soglio vescovile.
La chiesa di S. Ilario
Tra il 1055 e il 1056 Anselmo fondò l’oratorio di S. Ilario presso la dimora che i ‘da Baggio‘ avevano nella ‘via publica‘, oggi via Lauro, quasi dirimpetto all’arco quadrifronte di Giano, trasformato in chiesa di S. Giovanni alle Quattro facce, pure essa in loro possesso. La chiesa, situata nell’attuale piazzetta Giordano Dell’Amore, fu demolita, vittima del giuseppinismo (nel 1786).
Anselmo fatto sacerdote e subito vescovo
Era passato poco più di un anno dal 13 aprile 1055, in cui Gebhard, vescovo di Eichstadt, lontano parente di Enrico III, era stato eletto dall’imperatore, papa col nome di Vittore II, quando Anselmo da Baggio, che allora aveva circa quarant’anni, decise di farsi prete, iniziando da quel momento la sua carriera ecclesiastica.
Fra l’altro, erano iniziati proprio quell’anno (1056), i primi veri problemi per la Diocesi di Milano. A Varese, in quel periodo, un diacono giunto da Milano, tale Arialdo da Cucciago (uno dei quattro nominativi che, nel 1045, l’assemblea popolare aveva suggerito ad Enrico III, come soggetto candidabile alla carica di arcivescovo di Milano), aveva iniziato, motu proprio, una campagna di predicazione contro i mali della Chiesa e gli errori del clero, cominciando a fare i primi proseliti, particolarmente fra i laici, piccoli proprietari terrieri. Anche Anselmo, che aveva avuto modo di ascoltarlo, ne aveva perfettamente condiviso il pensiero, tale era la situazione di lassismo, particolarmente nelle alte sfere dell’ambiente ecclesiastico ambrosiano.
Nominato sacerdote, nel settembre del 1056, da Guido da Velate, arcivescovo di Milano, già il mese successivo, Anselmo era stato elevato da Enrico III, a vescovo di Lucca.
Entrando nell’ambiente ecclesiastico, il ‘da Baggio‘ si era ben guardato dal nascondere pure ai suoi superiori, le sue simpatie nei confronti della moralizzazione dei troppo rilassati costumi del clero, e il suo fermo sostegno al movimento della pataria che si proponeva di combattere consuetudini ormai radicate, soprattutto fra i prelati delle alte sfere ecclesiastiche, Non co volle molto perché anche lui diventasse uno del capi di tale movimento di denuncia.
Pare quindi fondata l’ipotesi, fra le diverse congetture sulle possibili motivazioni di una così fulminea nomina a vescovo, che Guido da Velate (per paura che Anselmo venisse a scoprire la sua non specchiata moralità), avesse concordato con l’imperatore un disegno, mirato a sbarazzarsi stabilmente della sua scomoda presenza a Milano.
L’arcivescovo, approfittando di un invito di recarsi alla residenza imperiale di Goslar a presenziare ad un solenne ricevimento in onore di papa Vittore II, si fece accompagnare lì dal giovane sacerdote. Fu proprio in quell’occasione, che dopo un breve incontro con l’imperatore, Anselmo fu da lui nominato vescovo di Lucca (incarico che avrebbe assunto appena il marzo successivo). Il fine dichiarato dall’imperatore di voler, con tale nomina, porre un uomo di sua fiducia a controllare l’importante diocesi del marchesato di Toscana, a capo del quale vi era il temuto conte-marchese di Lorena, Goffredo III di Lorena detto il Barbuto. Probabilmente in realtà, mascherava il gioco di Guido da Velate, di voler tenere lontano da Milano, un soggetto per lui così scomodo. Tempismo davvero incredibile da parte di Guido, se si considera che Enrico III, non ancora quarantenne, a seguito di un improvviso attacco di gotta, sarebbe morto solo pochi giorni dopo la nomina a vescovo di Anselmo. L’imperatore, infatti, spirò all’inizio di dicembre di quell’anno (1056), lasciando il trono al figlio di soli sei anni, Enrico IV, sotto la tutela (reggenza pro tempore) della madre Agnese di Poitou e dell’arcivescovo di Colonia, Annone II.
Un vescovo molto diplomatico
Quel 1057, fu un anno decisamente denso di avvenimenti e non certo facile per Anselmo, fresco di nomina:a vrscovo.
- in marzo la presa in carico della diocesi di Lucca;
- in maggio i primi imprevisti violenti disordini dei patarini a Milano contro l’arcivescovo Guido da Velate, conseguenti alle predicazioni di Arialdo di Cucciago (uno dei capi della pataria), in particolare contro il concubinato; non gli ci era voluto molto a scaldare gli animi della gente e a scatenare le prime rivolte, contro il lassismo nei costumi del clero.
- alla fine di luglio, la morte di papa Vittore II;
- ai primi di agosto la nomina a papa, col nome di Stefano IX, di Federico di Lorena, abate di Montecassino, fratello di Goffredo III di Lorena detto il Barbuto, il temuto marchese di Toscana;
- prime frizioni fra Chiesa ed Impero, proprio a causa dello ‘sgarro‘ di aver eletto Stefano IX senza aver preventivamente consultato l’imperatrice, che, alla fine, comunque, ne approvò la nomina.
Fu quello un periodo estremamente confuso in cui, indubbiamente, pesò l’assenza di una salda figura a guida dell’Impero, cosa questa che in Italia, facilitò il sopravvento della disastrata Chiesa romana e della sua politica riformatrice.
La diocesi di Lucca
Quando prese in carico la nuova diocesi che Enrico III gli aveva affidato, Anselmo la trovò in uno stato davvero preoccupante dal punto di vista morale e religioso, per non dire addirittura disastroso, da quello materiale e finanziario. Per poter disporre di un minimo di liquidità, fu costretto, con uno dei suoi primi atti, a dare in pegno alcuni vigneti dell’episcopato, per poter avere un prestito di 2 libbre d’argento, per far fronte alle prime spese urgenti. Riuscì, con determinazione e tenacia, a ricostituire pian piano il patrimonio della Chiesa lucchese, recuperando beni alienati, ottenendo, grazie al suo prestigio, numerose donazioni, bonificando in Vallebuia vaste aree di terreno, poi gradualmente lottizzandole e concedendole in enfiteusi, proibendo severamente il livello o il beneficio di terre ecclesiastiche a chi non fosse diretto coltivatore.
Ndr. – L’enfitèusi è un diritto reale di godimento su un fondo di proprietà altrui, generalmente agricolo, secondo il quale il possessore ha la facoltà di godimento pieno sul fondo stesso, ma per contro deve migliorare il fondo stesso e pagare inoltre al proprietario un canone.
Il livello è un contratto agrario in uso nel Medioevo, che consisteva nella concessione di una terra dietro il pagamento di un fitto.
Il beneficio è la concessione di terre a volte considerevoli, fatte a persone di cui vuole remunerare i servigi (generalmente il servizio militare) o che cerca di accattivarsi con questo segno di benevolenza.
Appena assunta la carica vescovile, Anselmo iniziò la ricostruzione della chiesa di S. Alessandro, la più antica chiesa lucchese pervenuta fino ai nostri giorni con poche modifiche. Si tratta di un edificio a pianta basilicale a tre navate, con una cripta molto interrata, rifatta interamente su una chiesa paleocristiana, della quale vennero riutilizzati capitelli e colonne del IV secolo. Quando diventò papa, Anselmo assunse il nome di Alessandro II. Questo dettaglio, unitamente al fatto che proprio in quell’occasione, fece traslare in questa chiesa il corpo di papa Alessandro I (105-115), figura risalente al paleo-cristianesimo, induce a pensare che Anselmo avesse riconosciuto in questo pontefice, quelle doti che lo avevano convinto a prenderne il nome come successore.
Pure la cattedrale di San Martino fu completamente ricostruita a partire dal 1060 per volere di Anselmo da Baggio e solennemente consacrata da lui stesso nel 1070 quando era già papa, alla presenza di Matilde di Canossa. Il nuovo edificio, fu poi ingrandito nel XIV e XV secolo e completato nel XVI e XVII secolo. L’unico resto di questa fase della cattedrale, che doveva essere un edificio di grande importanza, è solo il Busto di Anselmo da Baggio, conservato oggi nel Museo della Cattedrale. La chiesa, costruita in stile romanico, (prima della ricostruzione gotica attuale) doveva avere un corpo basilicale a cinque navate, sorrette da colonne sormontate da matronei, e tetti a copertura lignea.
Sentì, evidentemente fin da subito, molto forte il legame con la città di Lucca e l’amore per la sua Diocesi se, nonostante la sua elevazione a pontefice fosse arrivata solo cinque anni dopo la sua nomina a vescovo, intese mantenere per tutta la sua vita, la cattedra episcopale di questa Diocesi. Pur vivendo in Vaticano, ebbe l’occasione di tornare spesso a Lucca, andando a visitare le pievi, a favorire l’istituzione di nuove canoniche, a sorvegliare ed incoraggiare la vita monastica. Si occupò particolarmente del Capitolo della cattedrale di San Martino, e da vescovo e papa riformatore, si battè per eliminazione, anche nella sua Diocesi, del fenomeno dilagante della simonia, incentivando il celibato nel clero e accentrando, per quanto possibile a sé, tutte le attività di controllo delle numerose riforme avviate.
Il raffreddamento dei rapporti con l’Impero
Probabilmente il fatto che Anselmo da vescovo, sostenendo il pensiero di Ildebrando di Soana (uomo di fiducia del papa) nel suo proposito di soppressione sia della simonia che del matrimonio dei preti e il diffuso fenomeno del concubinato nel clero, si fosse maggiormente avvicinato alla politica del papato che non a quella dell’impero, fu interpretato dall’imperatrice-reggente, come una sorta di tradimento e da questo momento. il vescovo di Lucca dovette iniziare a fare i conti con la sua ostilità. In effetti, al pari di Ildebrando di Soana, Pier Damiani, e Desiderio di Montecassino, anche Anselmo divenne uno degli uomini di fiducia del papa Stefano IX.
Ndr. – Ildebrando di Soana (1016-1085) fu coetaneo di Anselmo da Baggio. Inviato giovanissimo a studiare a Roma, era entrato in contatto con i valori della riforma cluniacense, probabilmente grazie agli insegnamenti di Lorenzo d’Amalfi e di Giovanni Graziano (futuro papa Gregorio VI).
Divenuto poi, sotto papa Leone IX, consigliere papale, iniziò ad esercitare una fortissima influenza nella Chiesa, tanto che spesso si arrivò a parlare di “riforma gregoriana” per indicare la trasformazione in atto nella Chiesa del tempo. Il 22 aprile 1073 venne eletto papa per acclamazione, col nome di Gregorio VII, senza seguire le norme canoniche previste, suscitando critiche, riguardo alla legittimità di quella nomina, che sarebbero perdurate per tutto il suo pontificato.
Anselmo, messo papale a Milano
Nell’ottobre del 1057, il patarino Arialdo dovette presentarsi a Roma davanti a papa Stefano IX per esporre le ragioni della rivolta che lui aveva fatto scoppiare a Milano contro l’arcivescovo Guido da Velate. Sicuramente sia Ildebrando di Soana, che Anselmo, dovevano essere presenti a quell’incontro, perché il papa. prendendo per buona la denuncia di Arialdo, il dicembre di quell’anno, li inviò quali suoi legati, a Milano, ad accertare l’effettivo stato delle cose. I due messi papali trovarono Milano, una città in piena guerra civile, ma in quell’occasione, si astennero dal prendere qualunque misura disciplinare nei confronti del presule.
La situazione politica stava attraversando un periodo di forti incertezze, quando, nel marzo del 1058, a nemmeno nove mesi dalla sua elezione a papa, Stefano IX morì di malaria, a Firenze. Mentre a Roma l’aristocrazia cittadina, stanca dei papi tedeschi riformisti, intuendo uno spazio per guadagnare potere, si affrettava ad eleggere come papa il cardinale Giovanni dei Conti di Tuscolo, vescovo di Velletri, col nome di Benedetto X, a Milano si riaccendevano più violenti gli scontri tra i patarini ed il clero tradizionale. L’elezione di Benedetto X apparve, se non invalida, quantomeno frettolosa, perché fatta in assenza di qualunque rappresentante imperiale.
Nome Papa | Pontificato dal .. al .. | Durata | Nome secolare | |
145 | BENEDETTO IX | 01/01/1033 – 03/01/1045 | 12a 2g | Teofilatto III dei conti di Tuscolo |
146 | SILVESTRO III | 20/01/1045 – 10/03/1045 | 49g | Giovanni de’ Crescenzi Ottaviani |
147 | BENEDETTO IX | 10/03/1045 – 01/05/1045 | 52g | Teofilatto III dei conti di Tuscolo |
148° | GREGORIO VI | 05/05/1045 – 20/12/1046 | 1a 229g | Giovanni dei Graziani |
149° | CLEMENTE II | 25/12/1046 – 09/10/1047 | 289g | Suidgero di Morsleben Hornburg |
150° | BENEDETTO IX | 08/11/1047 – 07/07/1048 | 241g | Teofilatto III dei conti di Tuscolo |
151° | DAMASO II | 17/07/1048 – 09/08/1048 | 23 g | Poppone |
152° | LEONE IX | 12/02/1049 – 19/04/1054 | 5a 66g | Bruno von Egisheim-Dagsburg |
153° | VITTORE II | 13/04/1055 – 28/07/1057 | 2a 106g | Gebhard von Calw-Dollnstein-Hirschberg |
154° | STEFANO IX | 03/08/1057 – 29/03/1058 | 239g | Friedrich Gozzelon von Lothringen |
155° | NICCOLO’ II | 24/01/1059 – 27/07/1061 | 2a 179g | Gerard de Bourgogne |
156° | ALESSANDRO II | 01/10/1061 – 21/04/1073 | 11a 202g | Anselmo da Baggio |
157° | GREGORIO VII | 30/06/1073 – 25/05/1085 | 11a 329g | Ildebrando di Soana |
Avendo giurato a Stefano IX in punto di morte, che non avrebbero eletto nessun nuovo papa fino al ritorno di Ildebrando dalla Toscana, i numerosi cardinali riformatori che si erano opposti all’elezione di Benedetto X ritenendola illegittima, fuggirono da Roma. Si ritrovarono tutti a Siena e là, il 18 aprile, con l’appoggio del potente Goffredo di Lorena, duca di Firenze e fratello del defunto Stefano IX, concordarono all’unanimità di eleggere al soglio pontificio, il vescovo di Firenze, Gerardo di Borgogna, come successore di Stefano. Fu necessario attendere ben otto mesi l’assenso dell’imperatrice reggente Agnese di Poitou, prima di poter effettuare, nel dicembre del 1058, la regolare elezione, del papa, col nome di Niccolò II. La sua incoronazione avvenne a Roma il 24 gennaio 1059, subito dopo il Sinodo di Sutri, tenuto la settimana precedente (il 18 gennaio 1059), in cui era stato formalmente deposto e poi scomunicato, Benedetto X. Era lo scisma. Niccolò II, con le armi, era riuscito ad affermare la propria autorità. Ma l’influenza dell’Impero nella nomina del papa, risultava fortemente indebolita.
Ndr. – Secondo il diritto canonico dell’epoca, il papa diveniva ‘papa vero‘, al momento dell’incoronazione, non prima. Un papa eletto, ma non consacrato, non era un vero papa, ma solo un aspirante al titolo.
Prendendo spunto dalla controversa vicenda dell’elezione di Benedetto X (antipapa), imposto dalla nobiltà romana guidata dai Conti di Tuscolo, il pontificato di Niccolò fu segnato dalla continuazione della politica di riforma ecclesiastica associata al nome di Ildebrando di Soana.
Il concilio indetto da Niccolò nel palazzo del Laterano nell’aprile 1059, non solo fornì delle più rigide regole di disciplina del clero, (su suggerimento di Ildebrando), ma fece epoca nella storia del papato, per il Decretum in electione papae, che regolò definitivamente l’elezione del papa alla cattedra di Pietro.
Promulgato il 12 aprile 1059, con la bolla papale In nomine Domini, il decreto stabiliva infatti che l’elezione del pontefice fosse una prerogativa dei cardinali vescovi, cui, solo in un secondo tempo, potevano aggiungersi il clero ed i laici. In pratica quindi, la scelta del nuovo papa, essendo unicamente affidata al collegio dei cardinali vescovi, veniva sottratta agli appetiti dei nobili romani, ma anche alle decisioni dell’Imperatore. La norma consentiva infine che, in caso d’impossibilità di tenere l’elezione a Roma, potesse essere scelto validamente anche un luogo diverso. Per estensione, anche la nomina dei vescovi diventava prerogativa solo della Chiesa e non più dell’imperatore o dell’alta aristocrazia.
L’imperatrice Agnese aveva già dimostrato il suo disappunto l’anno precedente, all’elezione del nuovo papa, essendo questa, ben la seconda candidatura di seguito, nell’ambiente del marchese di Toscana, nell’arco di pochi anni, e comunque l’aveva accettata. Quando poi, qualche mese dopo, nel corso del concilio lateranense convocato dallo stesso papa, venne ufficialmente dichiarata l’indipendenza dell’elezione del pontefice da qualunque ingerenza laicale esterna (quindi imperiale), secondo la dottrina agostiniana della supremazia della chiesa celeste, su quella terrena, Agnese, decisamente indispettita, fece convocare una dieta a Worms, che, dietro suo suggerimento, invalidò la risoluzione conciliare, contestando l’autorità del papa in materia.
Affrontando poi la questione patarina nel medesimo concilio, papa Niccolò intimò ai vescovi sia di rimuovere i diaconi e i sacerdoti sposati, che di deporre i simoniaci. Vi dovettero partecipare, loro malgrado, l’arcivescovo di Milano, Guido da Velate e naturalmente tutti i vescovi che lo avevano sostenuto. Furono tutti costretti a sottoscrivere davanti al papa, le risoluzioni approvate. Tornato a Milano (accompagnato dai legati Anselmo da Baggio e Pier Damiani), l’arcivescovo Guido rinnovò davanti al suo popolo la solenne promessa, sottoscritta poi anche dal clero ordinario milanese, di rinunciare definitivamente alla simonia e al matrimonio. L’arcivescovo accettò pure, come penitenza, di andare in pellegrinaggio a Roma o a Tours o a Santiago di Compostela, sottomettendosi alla flagellazione, così come richiesta da Pier Damiani, il quale sosteneva che ‘la suprema manifestazione dell’umiltà e dell’amore versp Dio, fosse l’imitazione delle sofferenze patite da Cristo stesso, prima della morte‘.
Promesse da marinaio, naturalmente! Nell’aprile 1060, Arialdo denunciò nuovamente Guido, accusandolo di non rispettare gli impegni presi, A dicembre Anselmo e Pier Damiani tornarono a Milano come legati pontifici. Fino a questo momento l’atteggiamento di Anselmo non sembrò particolarmente severo nei confronti del suo antico alleato Guido, né particolarmente favorevole ai patarini.
Sempre quell’anno vi fu un nuovo motivo di frizione fra papa e l’imperatrice-reggente: Agnese di Poitou aveva chiesto a Niccolò II, un pallio per Siegfried I, abate di Fulda che lei, aveva nominato ‘motu proprio‘, arcivescovo di Magonza. Il papa, non ritenne opportuno acconsentire a tale richiesta, scatenando l’ira dell’imperatrice e dei vescovi tedeschi, i quali, nel corso di un sinodo imperiale, dichiararono, dietro sua istgazione, nulli tutti i decreti emessi dal pontefice. .
Ndr. – Il pallio è un paramento liturgico usato nella Chiesa cattolica, costituito da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle. Rappresenta la pecora che il pastore porta sulle sue spalle come il Cristo ed è pertanto simbolo del compito pastorale di chi lo indossa. Il suo nome deriva dal latino pallium, mantello di lana tipico della cultura romana.
E’ riservata ai pontefici e agli arcivescovi metropoliti.
E’ il simbolo di un legame speciale con il papa ed esprime inoltre la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, il metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione.
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Anselmo da Baggio (papa) – 2a parte
Prova
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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