Edoardo Bianchi
Sommario
ToggleQuanti fra voi hanno ancora oggi, in box o in cantina, una vecchia bicicletta della Bianchi, magari del nonno, dimenticata lì chissà da quanti anni? Penso che non tutti sappiano, che quel cimelio, può valere davvero una fortuna! Solo qualcuno, e sicuramente non più giovanissimo, probabilmente la conserva gelosamente … e fa bene, anzi benissimo! Del resto, basta dare un’occhiata ai prezzi da capogiro (parlo di migliaia di Euro), delle biciclette, che questa Casa ha a listino nella fascia più alta, per rendersi conto del tesoro che, magari, qualcuno aveva in animo di buttare!
Ma chi era il fondatore della Bianchi?
I suoi primi anni
Edoardo nacque a Milano il 17 luglio 1865, da Luigi Bianchi e Antonietta Conti, in un momento di forte crisi economica per la famiglia.
Il padre, infatti, nel 1859, qualche anno prima che lui nascesse, aveva avuto distrutto il suo ben avviato negozio di alimentari, come rappresaglia in seguito all’uccisione di un ufficiale austriaco. Erano momenti un pò turbolenti e lui ci andò di mezzo … quello stesso anno infatti gli austriaci si ritirarono da Milano, lasciando il posto ai piemontesi … Partito poi per la guerra del 1866 (Terza guerra d’Indipendenza), ritornò, per sua sfortuna, mutilato di una gamba, e tre anni dopo, nel 1869, morì.
Rimasto quindi orfano di padre, Edoardo, viste le premesse, non sembrava destinato almeno inizialmente a chissà quale grandioso avvenire. All’età di sei anni, fu accolto nell’orfanotrofio dei “Martinitt” e iniziò subito ad appassionarsi alla meccanica, di cui apprese i primi rudimenti. Uscì comunque prestissimo dall’Istituto: aveva solo otto anni, l’ età minima allora consentita per il lavoro minorile, all’epoca, molto diffuso.
Fu preso, per un paio d’anni, a fare la gavetta da un artigiano (molto probabilmente il suo fideiussore), con la qualifica di ‘aiuto fabbro ferraio’. Lavorò poi come operaio, per una decina d’anni, presso varie officine meccaniche milanesi, tra cui quella di Gerosa e Rosati, esperienza questa che gli servì per farsi le ossa nel campo della meccanica.
La sua prima attività in proprio
Nel 1885, all’età di soli vent’anni, decise coraggiosamente di mettersi in proprio, aprendo una piccola officina di precisione in via Nirone.
Riparazioni di precisione
Sveglio ed intraprendente, dopo aver fatto il riparatore di carrozzelle, bilance, utensili vari, velocipedi ecc., intraprese anche l’attività di assemblaggio di bicicli, visto che la domanda di tale tipo d’articolo era assai forte. I primissimi tempi, per farsi la clientela e soddisfare le richieste, si faceva mandare direttamente dalla Francia e dall’ Inghilterra, i kit di montaggio dei velocipedi. Quello stesso anno, fondò la “F.I.V. Edoardo Bianchi” (F.I.V. è acronimo di Fabbrica Italiana Velocipedi), più conosciuta semplicemente come Bianchi.
La F.I.V. Edoardo Bianchi è la fabbrica di biciclette più antica al mondo, ancora in attività. Oggi, fa parte del gruppo svedese Cycleurope AB] e la produzione di massa non avviene più in Italia, dove si è voluta mantenere invece la progettazione e l’assemblaggio dei soli modelli alti della gamma
Riparazione dei bicicli
I velocipedi che lui riparava erano abbastanza recenti, l’ultimo grido della tecnica di allora. Era la terza generazione di biciclo, interamente in metallo: si chiamava “penny-farthing” (1870), ed era di fabbricazione inglese. I mezzi delle due generazioni precedenti invece erano costruiti in legno: il primo, francese, si chiamava celerifero (1791), il secondo, tedesco, draisina (1816), nata come evoluzione del precedente, essendo dotata di sterzo.
Il celerifero, (francese) era costituito di un’asse di legno che collegava due forcelle e due ruote poste alle loro estremità. La propulsione al mezzo era data dallo scalciamento dei piedi sul terreno, con il controllo della direzione limitato a ciò che era ottenibile dall’inclinazione del corpo del pilota, in equilibrio sull’asse della macchina. Poiché la ruota anteriore non aveva possibilità di curvare, ogni volta che il conducente voleva cambiare direzione, doveva scendere e indirizzare il veicolo verso la meta desiderata. Il guidatore frenava con i piedi.
La draisina, (tedesca) era l’evoluzione del celerifero, con due ruote allineate, di cui l’anteriore sterzante, ma senza pedali né freni, per la cui propulsione era necessario che il guidatore, seduto sul sellino come nelle attuali biciclette, esercitasse una spinta puntando i piedi sul terreno. Sempre tramite l’uso dei piedi, il guidatore poteva anche frenare.
Il penny-farthing, (inglese) era una drastica evoluzione della draisina, di cui manteneva lontanamente il ricordo: era così chiamato, perché le sue ruote ricordavano le vecchie monete britanniche penny, la più grande e farthing, la più piccola. Solidale al mozzo della prima ruota, una coppia di pedali permetteva di dare la spinta al mezzo. La ruota anteriore aveva un diametro di almeno 1,5m.
Progettazione di bicicli di sua invenzione
Così, riparando i modelli inglesi di bicicli, gli venne l’idea di creare un modello più sicuro, ritenendo che la posizione troppo alta del sellino, fosse la causa di tante rovinose cadute. Infatti i frequenti incidenti a chi usava questi velocipedi, erano dovute principalmente alla difficoltà di mantenere lo stato di equilibrio del biciclo su terreni spesso sconnessi, essendo il sellino sistemato in posizione troppo elevata rispetto al terreno.
Così, ben presto, il suo ingegno gli suggerì migliorie di sua fabbricazione, che apportò ai modelli esistenti e alla fine riprogettò il mezzo modificandone totalmente la struttura: ruote anteriore e posteriore pressocché dello stesso diametro con una pedaliera non più sulla ruota anteriore come prima, ma molto più bassa, inserita sul telaio, e capace di trasmettere il moto, tramite catena, ad una ruota dentata solidale con l’asse della ruota posteriore. La catena era una recentissima invenzione francese. Quando lui non riusciva a reperire sul mercato, i pezzi che gli servivano, se li costruiva da sé. Quindi alla fine, arrivò a produrre un “bicicletto” tutto suo! Questa sua idea, segnò l’inizio dell’era della bicicletta moderna!
Edoardo Bianchi, fu il primo costruttore di biciclette in Italia.
Il lancio sul mercato del suo “bicicletto”
Sempre attento alle grandi novità provenienti dall’estero, nel 1888, nella nuova officina di via Bertani a Porta Tenaglia, creò il primo “bicicletto” circolante in Italia, dotato di ruote con pneumatici a camera d’aria, (prima erano soltanto a gomma piena), applicando al suo ‘gioiello’ l’invenzione di John Boyd Dunlop. Costui, era un geniale veterinario scozzese, che aveva sperimentato pochi mesi prima, sul triciclo di suo figlio il primo esemplare di pneumatico con camera d’aria. Rispetto alla gomma piena, questo tipo di pneumatico, ammortizzando i dislivelli del selciato ghiaioso, sveva il pregio di garantire un’andatura molto più elastica e silenziosa.
La sua attività fu indubbiamente facilitata dalla crescente diffusione della bicicletta. Analoghe officine cominciarono a fargli concorrenza a Torino e in altre città settentrionali ed emiliane, come Modena. L’importanza che la produzione e la diffusione della bicicletta assunse in Italia, non sfuggì al governo centrale che si affrettò ad istituire, nel giro di pochi anni, la tassa di circolazione sui velocipedi (legge 22 luglio 1897, n. 318).
Particolare attenzione per il “gentil sesso”
Fu lui che studiò per primo un telaio diverso per favorire l’uso della bicicletta anche alle donne che, all’epoca, erano impedite a salirvi dall’ampiezza delle loro gonne: uscì dalla sua officina, la prima bicicletta da donna, circolante in Italia.
La pubblicità sui giornali, fece la sua fortuna
Il successo arrivò di lì a breve, nel 1895, in maniera del tutto imprevista. La pubblicità dei giornali sulle sue biciclette, attirò l’attenzione della regina Margherita di Savoia (moglie di Re Umberto I), che invitò Edoardo Bianchi alla Villa Reale di Monza (ove lei si trovava in vacanza), desiderosa di conoscere questo nuovo ‘gioiello’ e di imparare ad usarlo.
Bianchi, in quell’occasione, costruì per la regina, la prima bicicletta da donna, di colore celeste e con lo stemma in oro dei Savoia sul telaio. La bici aveva le manopole d’avorio e fu presentata alla regina dentro ad una speciale cassa di legno foderata di velluto rosso. La notizia fece il giro del mondo e Bianchi, che nel frattempo era stato nominato «Fornitore ufficiale della Real Casa», fu costretto a impiantare una vera e propria catena di montaggio, per soddisfare le numerosissime richieste di biciclette che gli pervennero da tutta Europa.
Partecipazione a gare ciclistiche
Il successo del suo prodotto, lo portò ad investire capitali anche in campo sportivo, partecipando, a partire dall’inizio dell’ultimo decennio del XIX secolo, alle più importanti gare ciclistiche europee.
E’ del 1899, la prima vittoria sportiva di una bici Bianchi: merito di Gian Fernando Tomaselli, primo, al ‘Grand Prix de La Ville‘ di Parigi.
Le sue prime motorizzazioni di tricicli
Nel 1897-98 iniziò la costruzione del primo triciclo a motore di sua invenzione. Sperimentò personalmente, in veste di collaudatore, dei motori De Dion-Bouton applicati sui suoi tricicli/quadricicli. Purtroppo, un principio d’incendio, durante uno dei suoi giri di prova in fase di collaudo, gli provocò una serie di gravi ustioni alle mani, episodio questo che rallentò per un certo tempo la sua attività.
Motorizzazione di veicoli
A partire dal 1899 Edoardo Bianchi ebbe la lungimiranza di espandere l’attività dell’azienda ai settori dei veicoli motorizzati, con la produzione di motocicli e autovetture, sotto la nuova ragione sociale di “Fabbrica Automobili e Velocipedi Edoardo Bianchi”
L’attività in quegli anni si sviluppò al punto che, nel 1900, sede e fabbrica furono trasferite in una sede più ampia, in via Nino Bixio (zona Porta Venezia)
Innovazioni tecniche in campo ciclistico
Il XX secolo della Bianchi si aprì con due innovazioni importanti realizzate da Edoardo nel campo della bicicletta: la trasmissione a cardano (brevettata nel 1901) ed i freni anteriori che fino al 1913 non avevano trovato consenso su cicli e motocicli, giacché si temeva che il loro brusco utilizzo. potesse causare il rovesciamento del veicolo
Primi esperimenti in campo automobilistico
Parallelamente, per quanto riguarda il campo automobilistico, Edoardo Bianchi entrò in contatto con l’ambiente industriale piemontese, e con altri industriali come Marzotto di Valdagno, S. Crespi, Florio di Marsala – tutti pionieri dell’automobilismo italiano – pure loro intenzionati a portare avanti progetti di nuove autovetture.
Idea ‘illuminata’, che fece la sua fortuna, fu la scelta della nicchia di clienti cui offrire i suoi prodotti. Così, a partire dal 1901, Edoardo cominciò, con i suoi collaboratori, a progettare la famosa “Bianchi 8 Hp”, una elegante vetturetta destinata esclusivamente ad una clientela facoltosa, l’unica che, dati i tempi, poteva permettersi il lusso di acquistare un veicolo a motore. I ricchi clienti erano spessissimo sedotti soprattutto da alcune “chicche” comprese nel prezzo della vettura (un cassettino degli attrezzi, un corso di guida della durata di un paio di giorni e – soprattutto – un servizio di riparazione a domicilio).
Quest’automobile assolutamente esclusiva e personalizzata per il cliente, entrò in produzione nel 1903 ed ebbe un enorme successo di vendite essendo una delle primissime, se non l’unica sul mercato mondiale, costruita artigianalmente, con finiture di pregio. Il possederla, rappresentava uno ‘status symbol’, un volersi distinguere dal resto del popolo che, sulle strade polverose delle città, si spostava a piedi, su carretti, su tram a cavalli o al massimo in carrozza … erano altri tempi, si era ai primordi della motorizzazione!
Nel 1906, l’azienda aprì anche una sede a Brescia, destinata all’allestimento di autocarri, ma, dati i ridotti margini di guadagno, in questa prima fase della sua esperienza sui mezzi industriali, non si ritenne profittevole proseguire l’attività in questo campo e la fabbrica venne chiusa due anni dopo (1908)
Riconoscimenti internazionali
Negli anni successivi la Bianchi ricevette numerosi riconoscimenti, in sede nazionale ed internazionale, come il “Gran Prix” ad una manifestazione svoltasi a Buenos Aires, nonché il “diploma” del Ministero dell’Industria, all’Esposizione di Torino del 1911 (anno in cui fu presente anche alla Esposizione di Londra).
L’azienda , ormai avviatissima, solo nel 1914 produsse 45.000 bici, 1.500 moto e 1.000 auto. Purtoppo, all’avvicinarsi dell’entrata in guerra dell’Italia, Bianchi fu costretto a concentrarsi sulle forniture militari convertendo rapidamente le sue linee di produzione.
Degna di nota, l’antesignana della ‘mountain-bike’, da lui ideata nel 1915 e consegnata ai Bersaglieri del Regio Esercito: gomme pneumatiche di grossa sezione, telaio pieghevole e sospensioni su entrambe le ruote.
Fabbricazione di:
– Motori d’aereo
Lo stesso anno, grazie ad un accordo industriale sottoscritto con l’Isotta Fraschini, si dedicò, nel campo dell’aviazione, allora ancora agli esordi, alla fabbricazione di motori d’aereo.
Nel primo dopoguerra il mercato automobilistico italiano fu in profonda crisi e questo portò Edoardo Bianchi a concentrarsi sulle moto e su auto meno costose.
– Motociclette
Una scelta azzeccata, per quanto riguarda le due ruote. Fu merito anche delle vittorie sportive di un certo Tazio Nuvolari che, nel 1925, in sella a una Bianchi. si laureò campione europeo nella classe 350. Molto meno riuscite, viceversa, le scelte operate nel settore auto: con il modello S9 del 1934, si chiuse l’avventura della Casa lombarda.
– Automobili
Non perse comunque di vista il mercato dell’automobile e parallelamente alle altre attività la Bianchi sfornò, nel corso di quegli anni, diversi nuovi modelli che pur essendo di successo, tuttavia non riuscirono a risollevare dalla crisi quel settore dell’azienda.
Ritorno al “primo amore”: la bicicletta
Nella seconda metà degli anni ’30, Edoardo Bianchi decise di concentrarsi soprattutto sulle biciclette: nel 1935 la produzione arrivò a oltre 70.000 esemplari.
Nel 1940, un giovane ciclista di nome Fausto Coppi, vinse il Giro d’Italia in sella a una Bianchi. Nel 1942, sempre Fausto Coppi, in sella ad un’altra Bianchi, sulla pista del velodromo Vigorelli di Milano, vinse anche il record dell’ora.
I suoi mezzi a due ruote. dotati di pedali, furono capaci di vincere , tra le altre cose, 12 Giri d’Italia, 3 Tour de France e 5 Mondiali su strada.
Il Secondo conflitto mondiale
Commesse militari
Interrotta la produzione di automobili in concomitanza con lo scoppio del secondo conflitto mondiale, l’azienda intensificò i suoi processi lavorativi nei settori della meccanica. La fabbrica di Desio, Officine Metallurgiche Edoardo Bianchi, inaugurata nel 1937, si dedicò particolarmente a questa attività. Riuscendo a convertire la produzione dall’ automobile ai veicoli per uso militare, la Bianchi riuscì a risollevarsi dalla crisi nel settore auto, grazie alle commesse sia di autocarri, mod. Miles che di veicoli speciali VM 6C del Regio Esercito Italiano.
Ovviamente questo durò sino a quando, nel 1943, i pesanti bombardamenti su Milano, bloccarono del tutto l’attività delle fabbriche colpite, in particolare quella di viale Abruzzi.
La situazione peggiorò nuovamente al termine del conflitto, sia per la necessità di ricostruire la fabbrica di viale Abruzzi, più pesantemente toccata dai bombardamenti, sia per la scarsità di commesse, cosa che, necessariamente, comportò una pesante riorganizzazione interna.
La morte
E proprio allora, che c’era maggior bisogno della sua esperienza per tentare di ripartire, Edoardo venne a mancare , all’età di ottantuno anni, nella sua villa di Varese il 3 luglio 1946, a causa dei postumi di un incidente stradale
Terminata la guerra, nonostante le difficoltà economiche e gestionali insorte alla morte del fondatore, la Bianchi riuscì a risollevarsi, contribuendo alla ricostruzione e motorizzazione dell’Italia con la Bianchina, motoleggera di 125 cc. e l’Aquilotto, ciclomotore da 50 cc. di cui era disponibile per la vendita pure il motore sciolto da applicare alle biciclette.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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