Isabella Fieschi … quella ‘lussuriosissima navigazione’
Sommario
Toggle1331 – Le nozze
Le sue, furono nozze, dei cui festeggiamenti, incredibilmente fastosi, i cronisti dell’epoca ebbero a scrivere per giorni. Eventi di quel genere, non sarebbero mai potuti passare sotto silenzio, e per l’importanza degli attori di turno, e perché i festeggiamenti simili, non erano proprio una cosa da tutti i giorni. Già allora il gossip andava di moda e questa coppia blasonata, indubbiamente era motivo di spunti interessanti … prometteva sviluppi piccanti … quindi andava sicuramente seguita.
Chi erano i due protagonisti?
Lui, Luchino, 39 anni, aspro e scontroso, lei, Isabella, 15 anni circa (purtroppo non si conosce esattamente la data di nascita), solare e gioiosa, quella beata innocenza stampata sugli occhi.
Quella mattina del 1331, alla presenza dei fratelli e degli amici di lui, dei genitori e dei parenti di lei, davanti ad una folla immensa, papà Carlo l’aveva portata all’altare, dopo che, il giorno prima, l’aveva presentata per pochi istanti, al futuro sposo. Era quella la prassi, allora … suo padre aveva deciso in tal senso! E lì, in quella chiesa, si era trovata a fianco di un ‘vecchio serissimo’ che non conosceva affatto, al quale , come usanza, aveva dovuto dire,.in presenza del Vescovo, quel fatidico ‘si’, senza capirne bene il significato. Quell’atto formale, già noto a lui per due precedenti matrimoni consumati, ma così nuovo per lei, avrebbe cambiato, per sempre, la sua vita …. così aveva deciso suo padre, dopo essersi accordato con lui … Era quello, l’amore tanto decantato? Decisamente diverso, da come se l’era immaginato!
Gli sposi dell’alta nobiltà provenivano quasi sempre da casate che avevano giurisdizione su Stati spesso confinanti. Il motivo era evidente: il matrimonio era inteso come un semplice contratto di non belligeranza e di mutua protezione fra casate spesso e volentieri rivali. Questo naturalmente significava non solo la sicurezza di non essere attaccati ai confini dei territori dell’altro Stato, e quindi la garanzia di mutua assistenza in caso di necessità, ma anche l’opportunità d’incamerare al casato del maschio, nuovi castelli e feudi, portati in dote dalla sposa.
Le Casate dei protagonisti erano quella dei potenti Visconti, della Signoria di Milano da una parte, e quella dei Fieschi, conti di Lavagna dall’altra, una delle quattro più importanti famiglie che si alternavano al potere della Repubblica di Genova (Doria, Spinola, Fieschi e Grimaldi) .
Stemma dei Visconti Stemma dei Fieschi
Un passo indietro
Indubbiamente già da tempo, i Visconti, nell’ottica delle mire espansionistiche della loro Signoria, avevano posato gli occhi sulla città ligure.
Già nel 1318, infatti, Matteo Visconti, allora Signore di Milano, aveva combinato il matrimonio tra Luchino e Caterina Spinola e tra Stefano e Valentina Doria alleandosi con le due famiglie ghibelline genovesi in opposizione alle guelfe Grimaldi e Fieschi.
Luchino, che a 26 anni, era già alle sue seconde nozze, vide morire la moglie Caterina già nel 1319, solo un anno dopo il matrimonio, senza riuscire ad avere nemmeno un figlio da lei.
Otto anni dopo, nel 1327, nell’altra famiglia, morì Stefano, il fratello di Luchino, lasciando vedova, la moglie Valentina con tre figli in tenera età.
Stefano morì avvelenato la notte successiva al 4 luglio 1327, durante un banchetto in cui svolgeva funzione di coppiere e assaggiatore per Ludovico il Bavaro, ospite della famiglia Visconti e creato Re d’Italia da pochi giorni. I contemporanei imputarono la sua morte al tentato avvelenamento del re, che ebbe come conseguenza, la carcerazione nel Castello di Monza, di tre dei quattro fratelli di Stefano: Galeazzo, Giovanni e Luchino, oltre che del nipote e futuro signore di Milano, Azzone. L’evento segnò la crisi dei rapporti tra il Sacro Romano Impero e i Visconti.
Questi tristi eventi, negli anni che seguirono, indebolìrono il legame fra la Signoria di Milano e la Repubblica di Genova.
Era mancato pure papà Matteo e Luchino, dopo dodici anni di ‘allegra vedovanza’ (collezionò, in quel periodo, ben tre figli bastardi Brizio, Borso e Forestino). Pensò bene, nel 1331, di rinsaldare, con nuovo matrimonio combinato, i rapporti con Genova legandosi alla famiglia allora in auge. Questa volta, erano i Fieschi!
Una coppia davvero … bene assortita!
Agli occhi del popolo, Luchino e Isabella sembravano proprio la coppia degli opposti … vecchio, brutto, chiuso, sempre corrucciato e tenebroso lui, giovanissima, avvenente, aperta, leggiadra e solare, lei.
Erano diversissimi in tutto, persino nella politica … ghibellino sfegatato lui (antipapista per eccellenza), guelfa convinta lei … tanto guelfa, che lo zio paterno di suo padre Carlo Fieschi, era stato addirittura papa Adriano V (al secolo Ottobono Fieschi)!
Un menàge familiare non idilliaco
Non ci volle moltissimo perché Isabella, dopo i primi momenti di euforia dovuti alla novità della nuova esperienza, si rendesse conto che nella vita reale da donna sposata, nonostante le agiatezze, ls situazione fosse ben diversa da quella che, forse, aveva sognato da ragazzina. Nonostante fosse accudita da uno stuolo di ancelle al suo servizio, sentiva tantissimo la mancanza delle sue amiche di sempre, cui confidare le proprie pene. Troppa etichetta, troppi secondi fini, nessuna schiettezza, e lei che era invece assolutamente ‘solare’, cominciava a soffrirne.
Suo marito, praticamente inesistente: era sempre in giro, perchè faceva il condottiero di professione. Quindi uno che, come capitano di ventura, per portare a casa la pagnotta, ‘lavorava di spada’ … E contro chi? Lui non le parlava mai del suo lavoro …. Doveva necessariamente andare a cercarsi il lavoro, in giro, a caccia di guerre anche non sue, oppure se le creava su misura, tanto per mantenersi in esercizio ….
Quando rientrava dalle sue scorribande e lei riusciva a vederlo, mai una parola o un pensiero gentile, mai un sorriso, una carezza … lui era sempre cupo, scontroso, diffidente con tutti, si chiudeva nelle sue stanze, quasi temesse qualcosa. Per lei, certamente un clima familiare tutt’altro che idilliaco: c’era poi quella differenza d’età ( 24 anni) che al momento non aveva realizzato, ma che alla lunga, cominciava a pesarle tantissimo. Lui avrebbe potuto essere suo padre!
E poi il fatto di essere la ‘moglie di uno in vista’, non le permetteva di dare libero sfogo alla sua esuberanza giovanile…La gente si faceva troppo i fatti degli altri … E nemmeno la gioia di un figlio, che, quantomeno l’avrebbe tenuta impegnata per buona parte della giornata. Lui non aveva mai tempo o voglia … La gente, da un po’, si era accorta che Isabella aveva perso quell’allegria spontanea, ammiccante, di quando l’aveva vista la prima volta, durante i festeggiamenti per le nozze, al punto che cominciarono a soprannominarla la Fosca.
Gli unici momenti di allegria per lei, erano quando venivano a Corte, a trovarla, i tre nipoti di Luchino, i figli di Stefano, il fratello di lui. In effetti Matteo, Galeazzo e Bernabò erano un pò più giovani di lei, se non addirittura quasi coetanei … tra di loro se la intendevano, e spesso con loro, si sfogava. Particolarmente si trovava bene con Galeazzo, simpaticissimo e fra i tre, era anche sicuramente il più bello ….
I339 – Luchino, nuovo Signore di Milano
Quel senso costante di paura di Luchino, finì col diventare un’ossessione quando, nel 1339, alla morte del nipote Azzone (figlio del fratello Galeazzo), allora Signore di Milano, proprio lui venne eletto al suo posto.
A Milano, lo statuto prevedeva che, alla morte del Signore, lo scettro sarebbe passato, in presenza di figli maschi legittimi al maggiore di questi (se c’erano), Se i figli legittimi non fossero stati ancora in età di governare, la loro madre avrebbe assunto la reggenza pro tempore. Diversamente, il governo della Signoria, sarebbe stato assunto da un fratello del defunto.
Ed è proprio da questa sua nuova posizione, che, pensando alla successione, si rese conto della necessità di avere un erede legittimo, cui fino a quel momento, non aveva pensato. Ormai era già con Isabella da nove anni, e di figli, nemmeno l’ombra. I tre, che lui già aveva, erano sì suoi figli, ma tutti, frutto di incontri occasionali con donne diverse. Quindi, essendo illegittimi, purtroppo, non candidabili a succedergli.
Questo suo modo di essere, sempre così tetro e cupo, andava di pari passo da un lato, con la preoccupazione e la ferrea volontà di accrescere la potenza e il prestigio di Milano e dall’altro, col costante timore di perdere il trono. Una paura cronica e logorante, affatto campata in aria.
Lui … galante con le altre
Nel 1341, Luchino sapeva benissimo di non essere particolarmente amato dal popolo per i suoi comportamenti e atteggiamenti fuori dalle righe. Sapeva benissimo di non avere la coscienza del tutto pulita, e sicuramente per questo, temeva che qualcuno stesse tramando alle sue spalle.
Si racconta infatti che, nonostante la bellissima Isabella lo attendesse a casa amorevolmente per fare i suoi doveri di moglie, lui non avesse perso il vizietto di frequentare altre dame. Essendo lui il Signore, nessuna di loro osava esimersi dal cedere alle sue brame. Figurarsi poi la cugina Margherita Visconti (figlia di Ubaldo, fratello di suo padre Matteo), con la quale più di una volta si era già appartato.
La congiura sventata per una soffiata
Margherita era indubbiamente una gran bella donna, moglie di tal Francesco Pusterla, nobile milanese, esponente di spicco di una delle famiglie più in vista della città, stimato consigliere del defunto nipote Azzone Visconti. Accortosi della tresca, e deciso a fargliela pagare cara a Luchino, il Pusterla ordì una congiura nei suoi confronti, aiutato da altri nobili, pure loro ‘toccati sull’onore’
Il piano fallì, per una delazione, a causa di una banale leggerezza di uno dei congiurati. Questi ne aveva parlato in casa senza sapere che suo fratello ce l’aveva col Pusterla, per motivi suoi. Questi, venuto a conoscenza della congiura, era corso a spifferare tutto a chi di dovere, per rivalersi sul Pusterla.
Tremenda fu la vendetta di Luchino: incarcerati tutti (compresa la bellissima cugina Margherita), prima che tentassero di portare a termine il loro disegno criminale. Lei, accusata di aver avuto ruolo fondamentale in tale intrigo, venne decapitata in piazza del Broletto Nuovo, assieme al Pusterla e agli altri nobili, riconosciuti colpevoli.
1346 – La nascita dei gemelli
Passati alcuni anni, proprio mentre Luchino, scampato al pericolo mortale, si stava riprendendo, Isabella, il 4 aprile 1346, dava alla luce due gemelli, i sospirati eredi che il marito attendeva da tempo. Questi erano figli legittimi finalmente! Vennero battezzati col nome di Luchino Novello e Giovanni.
Isabella, particolarmente felice per l’evento, intravedeva nei nuovi nati, la possibilità di trascorrere le sue giornate, meno sola. Il marito, poco avvezzo ai sorrisi, le dimostrò comunque la sua gratitudine, accondiscendendo a farle fare un viaggio a Venezia per consentirle di sciogliere un voto vero o presunto, da lei fatto al cielo.
‘Se fosse nato un figlio lo avrebbe fatto benedire dal Patriarca, nella Basilica di San Marco a Venezia, il giorno delle celebrazioni per l’Ascensione, affinché potesse crescere sano e forte da poter prendere un giorno, il posto del padre’. Le sue preghiere erano state esaudite al punto che erano nati addirittura due gemelli!
Luchino, troppo preso dalla sua mania di mostrare la propria forza e di accrescere agli occhi dei vicini, il prestigio della Signoria, vide in quel viaggio, l’occasione per mostrare, al Doge di Venezia e al mondo intero, la potenza che i Visconti erano in grado esibire all’occorrenza … decise quindi che non sarebbe andato lui, ma avrebbe inviato la moglie accompagnata dal nipote Matteo.
A differenza di quanto si possa pensare vivendo la vita frenetica odierna, allora, le cose erano molto diverse. I tempi erano dilatati a dismisura. Una visita di Stato, a giudicare dalle date di partenza e di ritorno, durava almeno un anno ed anche più, cose assolutamente impensabili oggi.
Ma Matteo non partì con la con la zia, come previsto inizialmente. Come mai?
La riunione dei maschi di famiglia
Infatti, verso la fine del 1346, all’insaputa di Isabella, ci fu un incontro di famiglia fra Luchino, il fratello arcivescovo Giovanni e i tre nipoti, figli del defunto fratello Stefano.
Improvvisamente la discussione si accese in maniera molto violenta. Non vennero alle mani, per un pelo. Incredibili le conseguenze: i tre nipoti furono espulsi dalla Corte di Milano e addirittura da tutti i domini viscontei. Non solo, ma Luchino ottenne dal papa Clemente VI che, in particolare Galeazzo e Bernabò, non avrebbero potuto mai più contrarre matrimonio e sarebbero stati privati persino della sepoltura religiosa.
Dalla esagerata reazione di Luchino non è impossibile, intuire il motivo del contendere: ci fu sicuramente una discussione fra loro relativa alla successione. Cosa poteva essere successo di così terribile? Chissà …
Matteo II Visconti Galeazzo II Visconti Bernabò Visconti
Ma torniamo al viaggio a Venezia … si stava organizzando il tutto … erano già stati inviati gli inviti ad una selezione scelta di nobili e consorti delle varie provincie lombarde (l’elite della provincia), che avrebbero fatto parte della delegazione ufficiale ….
1347 – Il viaggio di Stato a Venezia
Oltre che via terra, allora Venezia era agevolmente raggiungibile da Milano, anche via fiume. Cosa di meglio di una flotta di galee viscontee per portare lì, tutta la delegazione?
Navigando sul Po, si sarebbe fatta una sosta d’obbligo anche a Mantova, a circa metà percorso, risalendo il Mincio per un breve tratto per andare a ‘omaggiare’ i Gonzaga!
Una visita di Stato comportava naturalmente una preparazione accurata anche delle imbarcazioni, il caricamento di ogni ben di Dio di provviste, oltre ovviamente alla selezione del personale di bordo, musici, giocolieri, cuochi, camerieri e servitù varia.
Arrivato il giorno fatidico, salita a bordo Isabella e la delegazione al seguito, finalmente staccarono gli ormeggi …
La navigazione
Fu per lei un viaggio indimenticabile, ma anche l’inizio della fine … Lungo il Naviglio la flotta viscontea scivolava sull’acqua fra ali di folla festante accalcata lungo le sponde. Isabella raggiante … si sentiva finalmente libera di esprimere a pieno la sua allegria, repressa da così tanti anni di forzata solitudine, in quella sua prigione dorata.
Purtroppo tutta quella musica, quei balli, i sontuosi banchetti e le splendide feste a bordo, dettero luogo a dicerie e maldicenze che minarono irremediabilmente la reputazione della padrona di casa. Il suo modo di fare e le sue inusitate libertà con certi cavalieri, dettero scandalo e la classificarono, agli occhi delle dame della delegazione, come una poco di buono, per non dire di peggio.
Paolo Giovio (vescovo cattolico, storico, medico, biografo del secolo XVI) nelle sue ’De vita e rebus gestis XII Vicecomitum Mediolani Principum’, raccontava di quel viaggio come una ‘lussuriosissima navigazione‘, … il ché, la dice lunga!
In particolare, furono due, gli amanti ai quali, dicono, lei si concesse, dimenticando chi era lei e chi rappresentava: il primo flirt fu con un tal Ugolino, nobile guerriero della casata dei Gonzaga, durante la lunghissima sosta nel mantovano, il secondo, fu nientemeno che con Andrea Dandolo, il doge della Repubblica di Venezia, la persona che aveva fatto gli onori di casa, promuovendo banchetti e feste in onore della nutrita delegazione lombarda e dell’illustre ospite genovese.
Le voci corrono …
La cosa suscitò notevole scalpore prima di tutto per la fama dei personaggi coinvolti, poi perché ad una bellissima Isabella, nel fiore dei suoi 32 anni, ben difficilmente il Doge avrebbe potuto restare a lungo insensibile di fronte alle sue seduzioni, ed infine perché la cosa fu talmente eclatante da giungere persino alle orecchie di Luchino, a Milano.
Inutile dire che non la prese bene. Come ricevette questa soffiata, non certo gradita, non gli rimase che ordinare alla moglie di tornare immediatamente a Milano, ricordandole che per simile onta subita, la punizione che l’aspettava non poteva essere altro che il rogo. E c’era da crederci perchè, caratterialmente, era molto vendicativo e, punto sull’onore, non si sarebbe lasciato impietosire da nulla. Con lo strazio nel cuore, lei obbedì comunque, ben sapendo che, la severissima punizione, le sarebbe costata la vita.
Il rientro a Corte
Tornata a Milano nel gennaio del 1349, colpo di scena, assolutamente inatteso: il marito stava male … era a letto. C’è una ridda di ipotesi intorno alla sua malattia. L’ipotesi più accreditata propenderebbe per la peste visto che effettivamente un’epidemia imperversava in quegli anni nel nord e centro Italia, mietendo tantissime vittime .
La morte di Luchino
Tanto bella, quanto lussuriosa e scaltra, Isabella non pensò due volte, da moglie amorevole e premurosa, quale era sempre stata, ad alleviargli le sofferenze, somministrandogli una potente dose di veleno, prima che a lui, in un momento di lucidità, balenasse l’idea di mettere in pratica la crudele vendetta preannunciata nei suoi confronti. Non era stata una cosa premeditata: aveva agito d’istinto! Era il 24 gennaio 1349.
Come si sparse la notizia della morte di Luchino, nessuno si sognò di accusare Isabella dell’assassinio del marito, tanto quest’ultimo era benvoluto dal popolo.
La successione
Morto un Signore, se ne fa un altro …. A mente fredda, lei cominciò a ragionare … Secondo gli statuti di allora, Isabella, in seguiti a quella morte, avrebbe avuto diritto a diventare la reggente della Signoria, in attesa che i gemelli Luchino Novello e Giovanni arrivassero, quanto meno, all’età minima per poter assumere il titolo di co-Signore di Milano. A suo favore si erano schierati pure i tre figli bastardi di Luchino, che, per l’occasione, si erano rifatti vivi. Peccato che, in questo suo disegno, Isabella aveva fatto i conti senza l’oste. In realtà quando il defunto marito nel 1339 era salito al potere, aveva dovuto spartire la Signoria col fratello maggiore Giovanni, Arcivescovo di Milano. Quindi era una co-Signoria.
Giovanni, più esperto in problemi di natura ecclesiastica, aveva delegato al fratello, il compito di gestire lui l’intera Signoria, senza tuttavia rinunciare ai suoi diritti acquisiti.
Pertanto alla morte di Luchino, Giovanni, essendo venuto a conoscenza pure lui, dei comportamenti osé della cognata, e avendo intuito che l’avvelenamento del fratello non poteva che essere opera sua, assunse direttamente lui, il controllo della situazione.
Quando, poco più di due anni prima, c’era stato quel ‘famoso’ violento litigio fra suo fratello e i nipoti, lui, che era presente all’incontro, non aveva condiviso la decisione di Luchino di radiare i ragazzi, mandandoli in esilio perpetuo, chi in Francia, chi nelle Fiandre.
La ‘sottile’ vendetta
Fu proprio sua eminenza a fargliela pagare cara ad Isabella. Con una mossa magistrale, nessuno spargimento di sangue, ma un semplice pezzo di carta, più tagliente della lama affilata di un coltello.
Fece dichiarare i due gemelli non più legittimati per la successione in quanto figli non di Luchino, bensì di Galeazzo, a lei sempre così tanto simpatico. (Isabella era stata più volte sorpresa dalla servitù a flirtare con Galeazzo)
Quei sospetti erano arrivati già allora alle orecchie di Luchino, ma con tale atto, la cosa veniva resa di pubblico dominio, confermando pure la scarsa moralità di Isabella.
Era ora evidente il perché di quel litigio furioso e della radiazione dei nipoti dalla Signoria. Galeazzo doveva aver affrontato lo zio asserendo che era lui il vero padre dei due gemelli e non Luchino. E l’arcivescovo era lì presente all’incontro, silenzioso testimone di quella asserzione. Luchino, quindi, non aveva alcun erede legittimo! Morto lui, la Signoria non sarebbe quindi passata ai gemelli bensì all’ Arcivescovo suo fratello, (se ancora in vita), altrimenti ai tre nipoti! Cacciandoli dalla Signoria, avrebbero perso il diritto a diventare Signori di Milano!
1349 – ll nuovo Signore
L’arcivescovo Giovanni, diventato Signore di Milano dopo la morte del fratello, fece rientrare dall’esilio i tre nipoti che Luchino aveva radiato e brigò per fare eliminare i veti imposti loro dal papa Clemente VI. Una volta rientrati, li chiamò a sè garantendo loro, alla sua morte, lo scettro della Signoria, a patto di suddividere equamente fra loro, tutto il territorio.
Trovatasi messa all’angolo, Isabella e figli rimasero a corte per cinque lunghissimi anni quasi come prigionieri. Furono per lei anni difficili, funestati, per giunta, dalla morte prematura di Giovanni, uno dei suoi due gemelli.
1354 – Nascosta per il resto dei suoi giorni
Aiutata da qualche complice, riuscì a fuggire col figlio rimasto, nei giorni concitati della morte dell’arcivescovo e del cambio della guardia con i tre nipoti. Scappò da Milano. trovando riparo nel castello di Savignone, uno dei manieri della casa Fieschi, sua famiglia d’origine. Era un castello in collina nell’entroterra ligure, ben protetto dai precipizi e dalle pareti di roccia scura. Lì restò rifugiata per il resto della sua vita. Anche Luchino Novello. crescendo, aveva preso la sua strada e l’aveva lasciata, lì sola, con i suoi ricordi.
Guardandosi indietro, aveva conosciuto momenti felici, il lusso sfrenato, l’amore con la ‘A’ maiuscola, la ricchezza. Era stata servita e riverita come principessa e ora? Era stato solo un bellissimo sogno? … Era tutto finito! Ma perchè? Cosa aveva fatto di male? … Era lì a meditare sulle proprie colpe, abbandonata alla solitudine totale e all’oblio, dimenticata dal mondo intero. Era quello, il prezzo giusto che si sarebbe dovuto pagare per aver goduto di pochi istanti di pura felicità?
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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