Bernabò e Gian Galeazzo Visconti
Sommario
ToggleI Visconti… brava gente!
Il buongiorno si vede dal mattino!
Il sole era già alto, la Porrina stava ancora beatamente dormendo, mentre lui si era appena alzato di buonora, all’alba delle 8, e stava finendo di vestirsi.
La concubina di Bernabò si era installata alla Ca’ de Can, ormai da qualche tempo, appena avuto notizia della morte della moglie Beatrice Regina della Scala… Animo gentile, non c’è che dire, … pronta a concedergli le sue grazie … unicamente per fargli dimenticare in fretta il dolore per la perdita dell’amato bene. Non era certo per altri fini, voci infamanti sul suo conto, messe in giro da male lingue invidiose, che le davano dell’opportunista, unicamente desiderosa di diventare presto la nuova Signora di Milano…. tutto falso, ovviamente!
Effettivamente lei non era nemmeno l’ultima sua conquista (lui, si sa, era uno sciupa femmine) …. già si frequentavano assiduamente da qualche anno e la sua posizione era stata quasi paritaria con quella della moglie tanto che, correva voce, messere fosse addirittura bigamo.
Il suo nome era Donnina dei Porri, che tutti chiamavano la Porrina, marchesa di Martesana (almeno questo, sembra, fosse il titolo con cui, ufficialmente, veniva presentata a Corte). Ovviamente anche lei aveva contribuito con almeno quattro marmocchi, ad implementare la già nutrita figliolanza del Dominus. La sua presenza, a fianco di Bernabò ormai sessantatreenne, era molto chiacchierata e mal vista dalla nobiltà milanese ….. Ma che importa? Tutta invidia, ovviamente!
Qualche giorno prima di quel famoso 6 maggio 1385, Bernabò aveva ricevuto una missiva da Pavia, da parte del nipote Gian Galeazzo Visconti, con la quale lo informava che, essendo di passaggio per Milano, per recarsi con la famiglia all’annuale pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese, avrebbe avuto caro incontrarlo alla Pusterla di sant’Ambrogio, per salutarlo di persona. Bernabò, nonostante i suoi consiglieri gli avessero suggerito di non recarsi all’appuntamento, aveva deciso quella mattina di andarci ugualmente per non dare adito a ingiustificati rancori da parte del nipote e del resto della famiglia che, in quell’occasione lo accompagnava.
A dire il vero, c’era stata un vecchia ruggine mai sanata fra lui e il nipote e quella poteva essere l’occasione che da tempo aspettava, per risolvere una volta per tutte, ogni malinteso. Anzi, aveva predisposto le cose in modo che l’incontro di quel mattino, riuscisse nel migliore dei modi … .in modo da liberarsi una volta per sempre, di quel fastidioso incomodo (il nipote), che gli precludeva la possibilità di essere lui, l’unico Signore di Milano.
L’antefatto …
Torniamo indietro di una trentina d’anni …In quell’epoca, nel nord Italia, dominavano i Visconti, Signori di Massino. Avevano giurisdizione, grosso modo, sulla Lombardia attuale, su un pezzo del Veneto, una metà del Piemonte e parte dell’Emilia.
Nel 1354, anno della sua morte, Signore e Arcivescovo di Milano, era Giovanni Visconti. Lui, non avendo eredi diretti, dispose che la Signoria venisse divisa fra i tre nipoti, Matteo, Galeazzo e Bernabò, figli del fratello Stefano (da poco, morto avvelenato) e di Valentina Doria.
La spartizione dell’eredità
Matteo (il più anziano dei tre nipoti), a causa della vita dissoluta che conduceva, morì giovane, nel 1354, all’età di 35 anni, pochi mesi dopo lo zio arcivescovo. Qualcuno, malignamente, avanzò l’ipotesi che fosse stato assassinato dai fratelli (avvelenato pure lui durante un banchetto imbandito, alla fine di una battuta di caccia). Comunque sia andata effettivamente la storia, alla fine, restarono in lizza, per la spartizione dell’eredità dello zio, solo Galeazzo (34 anni) e Bernabò (31 anni).
Per evitare litigi fra loro, i due fratelli si spartirono la Signoria, geograficamente. Tutta la parte a ovest di Milano, a Galeazzo, tutta la est a Bernabò, la capitale Milano ad entrambi.
Tra i due fratelli tuttavia, Bernabò aveva sicuramente un carattere più forte, sanguigno, vendicativo, strafottente e tendeva a prevalere sul fratello, nonostante fosse più giovane. Per cui Galeazzo, di carattere più tranquillo, per evitate inutili litigi con lui, una volta conquistata, nel 1358, Pavia, alla causa dei Visconti, decise di trasferirsi lì con la famiglia. Nonostante lui continuasse ad essere co-Signore di Milano, elesse la città di Pavia, come sua residenza principale, facendovi costruire il castello. Lasciò che Milano venisse gestita da Bernabò, facendosi vedere in città, solo saltuariamente. Mantenne comunque per sé, come ‘pied-à-terre’ in città, la fortezza di Porta Giovia.
Bernabò, soggetto ‘sui generis’
Bernabò, (soprannominato dai sudditi , il Diavolo), era un soggetto prepotente, spietato, amante delle donne, della caccia al cinghiale, e dei cani. Fonti varie riferiscono addirittura avesse 5000 mastini ferocissimi, liberi di circolare per la città. Questi non solo incutevano il terrore fra i sudditi, con ovvio fuggi fuggi generale, quando capitava di incontrarli, ma addirittura lui pretendeva che il popolo li allevasse e li mantenesse in buona salute, pena severissime punizioni.
La moglie, Beatrice Regina, figlia di Mastino II della Scala, signore di Verona, gli diede, poverina, cinque figli maschi e dieci femmine. Non gli bastarono quindici figli … Nonostante questo, quando la moglie era fisicamente impossibilitata a soddisfarlo, c’era sempre uno stuolo di amanti disponibili, che gli dettero nel corso degli anni, altri quattordici marmocchi (sei maschi ed otto femmine). Insomma, una famigliola modesta, solo ventinove figli fra legittimi ed illegittimi!
A parte quindi la condotta morale piuttosto discutibile del soggetto, Bernabò era anche un tipo dispotico, tendente a prevaricare le leggi che non gradiva, o che erano contro i propri interessi, reprimendo sul nascere, ogni tentativo di rivolta del popolo. Non si può dire che fosse molto amato dai sudditi, era temutissimo e giustiziava senza pietà chi si ribellava alle sue volontà o trasgrediva ai suoi ordini. A dirla in breve, era un autentico tiranno.
Galeazzo, soggetto, forse, più normale
Tutt’altro carattere aveva invece il fratello maggiore Galeazzo, che, sposata Bianca di Savoia, figlia di Aimone, Conte di Savoia e Conte d’Aosta, le fu incredibilmente fedele (dati anche i tempi), avendo da lei ‘solo’ tre figli, Gian Galeazzo, Maria e Violante.
Era anche lui, al pari del fratello, severo sicuramente, senza però arrivare agli eccessi di Bernabò. Invece di far ammazzare i sudditi infedeli, lui era sadico, amava farli soffrire, inventando nuovi strumenti di tortura ….
A differenza del fratello, non amava esporsi troppo in prima persona nelle imprese belliche, che, tutto sommato, erano sempre rischiose. Lui prediligeva la diplomazia, era alla continua ricerca di alleanze importanti per aumentare il prestigio del casato.
Nell’ambito della complessa trama di alleanze diplomatiche che perseguì, lui riuscì a far sposare il figlio Gian Galeazzo (nove anni) ad Isabella di Valois (dodici anni), figlia di Giovanni II, re di Francia, e la figlia Violante (tredicenne) a Lionello di Anversa,(già vedovo) figlio di Edoardo III re d‘Inghilterra. Ovviamente, questi matrimoni. gli avrebbero garantito aiuto militare in caso di necessità , e garanzia di non belligeranza per gli anni a venire.
Invidie e malumori fra le due famiglie
Qualche tempo dopo che i due fratelli (Galeazzo e Bernabò) si erano sposati, pur vivendo l’uno a Milano, l’altro a Pavia, cominciarono a serpeggiare i primi malumori fra le due famiglie, innescati dalle rispettive consorti. Le classiche beghe fra donne che mal si sopportano … Come mai?
Erano convolate a nozze con i due fratelli, quasi contemporaneamente, per volere del potente arcivescovo di Milano Giovanni Visconti, che aveva brigato per assicurare ai nipoti, che lui aveva designato come suoi successori al potere, dei nobili apparentamenti, in modo da dare ulteriore lustro alla famiglia. I Della Scala però erano decisamente di rango inferiore rispetto ai Savoia. Questo creava motivo di attrito e disagio fra le cognate. Bianca, secondo Regina della Scala, se la tirava, era insomma, a suo modo di vedere, una di quelle con la puzza sotto il naso e quindi, era un soggetto da trattare ‘con le pinze’. Ovviamente la situazione non migliorò col passare degli anni … anzi, i matrimoni dei rispettivi figli furono l’occasione per rimarcare, ulteriormente, la differenza di rango.
Chi era Gian Galeazzo
Nato a Pavia nel 1351, era l’unico figlio maschio di Galeazzo e Bianca di Savoia. In seguito al matrimonio con Isabella di Valois, assunse il titolo di Conte di Virtù dal nome di Vertus in Champagne, titolo portato in dote dalla moglie. Lei gli dette quattro figli : Gian Galeazzo II, Azzone, Valentina e Carlo. Nel 1372, alla nascita dell’ultimo, Carlo, Isabella (ventiquattrenne) morì di parto, lasciandolo vedovo a soli ventuno anni.
Gli anni che seguirono la precoce morte di Isabella, non furono facili per il Conte di virtù, né molto sereni per la famiglia di Pavia, essendo costellati da lutti. Nel 1374, la morte improvvisa di Carlo che aveva solo due anni. Nel 1376, quella di Gian Galeazzo II, che ne aveva dieci. Nel 1378, quello di suo padre, e questa fu la batosta peggiore, perché, d’ora in poi, sarebbe toccato a lui, essendo l’unico figlio maschio della famiglia, fare le veci del papà, prendendo in mano le redini della Signoria in comune con lo zio Bernabò.
Gian Galeazzo, allora ventiseienne, divenne così il nuovo Signore di Pavia. Tra lui e lo zio Bernabò non era mai corso buon sangue, sia perché in casa, sua madre Bianca, non aveva mai mancato di stigmatizzare le nefandezze del cognato non mettendolo certo in buona luce agli occhi dei figli, sia perché probabilmente lui stesso non aveva mai condiviso il suo modo crudele, da autentico tiranno, di gestire il potere, quasi sempre con metodi violenti, atti a terrorizzare i sudditi. Per Milano, quello era stato un venticinquennio di vero inferno.
Tra giochi sporchi ed intrighi di famiglia
Quando morì Galeazzo, il fratello Bernabò, che fino ad allora si era visto piuttosto di rado, dimostrò immediatamente il suo affetto “disinteressato”. Era spalleggiato, in questo suo disegno, dalla moglie Regina della Scala. Lei infatti aveva istigato i suoi figli ad eliminare lo scomodo cugino, che aveva appena ereditato i ricchi domini del padre.
Gian Galeazzo, venuto a conoscenza di queste macchinazioni, faceva finta di nulla ma in compenso aveva preso ogni precauzione per evitare spiacevoli incidenti: ridusse, ad esempio, il numero dei domestici, limitò la sua tavola a poche vivande che faceva assaggiare prima di consumare, costituì la sua guardia personale di veterani fedeli, non metteva piede fuori dalla porta del suo castello se prima non aveva fatto esplorare i dintorni da una squadra di soldati, si mostrava devoto, debole e pusillanime andando a pregare in chiesa con una scorta armata, attirando su di sé il disprezzo dei cugini e facendosi sottovalutare dallo zio. Questi infatti, ritenendo il nipote, un autentico incapace, per non dir di peggio, tentò immediatamente di approfittare della situazione per impadronirsi dei territori amministrati, fino ad allora, dal fratello, in modo da essere lui, l’unico padrone di tutta la Signoria.
Bernabò responsabile della morte del fratello?
Il tentativo di Bernabò di accaparrarsi l’intera Signoria, comunque, con suo disappunto, andò a vuoto, anche grazie a Bianca, che, intuendo le mire del cognato, aveva messo sull’avviso il figlio. L’interesse dimostrato dal Diavolo, fu tale, da destare addirittura, pure il sospetto che la morte di Galeazzo fosse stata frutto delle macchinazioni del fratello, così avido di potere. Bernabò era indubbiamente un tiranno e si scoprì che aveva piazzato le sue spie anche nel Castello di Pavia, dove viveva la famiglia del fratello.
Trattative per far sposare la figlia Caterina a Riccardo II d’Inghilterra
Contemporaneamente, istigato dalla moglie Beatrice Regina, tentò di portare a termine le trattative per far sposare la figlia Caterina (allora sedicenne), al re d’Inghilterra, Riccardo II, in modo da far vedere alla cognata Bianca che pure loro si sarebbero imparentati con ‘gente che contava’. Sfortunatamente per Regina, la cosa non andò in porto, perchè poco dopo, Riccardo II si sposò con Anna di Boemia. Così questo tentativo di di accasare la figlia con un ‘nome di grido’, sfumò miseramente.
Tentativo d’ingraziarsi la fiducia del nipote
Bisognava cambiare strategia: Bernabò, da bravo doppiogiochista qual era, favorito anche dalla fortuna, giocò un’altra carta. Decise astutamente d’ingraziarsi il nipote, sperando di riuscire a conquistare la sua fiducia. La logica comunque era sempre la solita: “Do ut des”.
Appoggio alla supplica al Papa per il matrimonio fra il pronipote Azzone e sua figlia Elisabetta
Appoggiò incondizionatamente la supplica che Gian Galeazzo inviò presso papa Urbano VI per ottenere la dispensa per il matrimonio tra suo figlio Azzone (dieci anni) ed Elisabetta (quattro anni), figlia di Bernabò. I due si sarebbero sposati una volta raggiunta la debita età e Azzone sarebbe diventato l’unico erede alla Signoria di Milano.
Finto appoggio per far sposare il nipote a Maria di Sicilia
Bernabò promise pure di appoggiare il nipote nel suo tentativo di ottenere la mano di Maria di Sicilia, figlia di re Federico IV, operazione vista favorevolmente dal Papa che mal sopportava l’idea di una donna, quale nuovo sovrano dell’isola. Quale compenso a questo appoggio, Gian Galeazzo dovette promettere allo zio che la Signoria di Milano non sarebbe passata ai figli avuti con la nuova consorte. Non appena Bernabò si rese conto che il nipote avrebbe avuto diverse chances per diventare effettivamente re di Sicilia, da bravo doppiogiochista qual era, brigò nell’intento di far fallire la possibilità che il nipote, potesse ricoprire quella carica, pensando di tenere per sé tale opportunità. Il matrimonio tra Gian Galeazzo e Maria di Sicilia non ebbe mai luogo per l’opposizione dei baroni siciliani, ufficialmente appoggiati da Pietro IV d’Aragona.
Riuscito ad evitare che, nonostante il falso appoggio, il nipote potesse diventare effettivamente re (titolo ben superiore a quello di Signore che aveva lui stesso), giocò un’altra carta ancora. Posò gli occhi sul nipote, che in cuor suo detestava profondamente, ma che, una volta in pugno, non sarebbe stato difficile estromettere dal potere di co-Signore di Milano. Questa mossa, se fosse andata in porto, gli avrebbe permesso di gestire in prima persona l’intera Signoria. Approfittando del fatto che sia Gian Galeazzo che sua sorella Violante, erano rimasti entrambi precocemente vedovi, giocò con loro la carta dei matrimoni.
Matrimonio fra Gian Galeazzo e la figlia Caterina
L’idea di Bernabò, indubbiamente astuta, questa volta, fu vincente. Ottenuta, non senza difficoltà, la dispensa papale per la celebrazione di matrimonio fra consanguinei, Gian Galeazzo sposò nel 1380, in seconde nozze, la cugina Caterina mentre Violante sposò il cugino Ludovico (Caterina e Ludovico erano due dei quindici figli legittimi di Bernabò).
In questo modo, il gioco era fatto! Bernabò, con quest’ abile mossa, era riuscito a vincere le resistenze del nipote e pure l’astio che Gian Galeazzo, fino ad allora, aveva nutrito nei suoi confronti.
Troppe ingerenze dello zio nei confronti del nipote
Il Conte di Virtù, dal canto suo. non apprezzò molto tutto questo continuo morboso interessamento nei suoi confronti e in particolare le ingerenze dello zio nei suoi affari personali, sicuro ci fosse dietro del mal celato interesse. Purtroppo, ora, avendo acconsentito di sposare la cugina Caterina, erano diventati doppiamente parenti … Bernabò era suo zio ed ora, anche suo suocero! Quindi non restava che stare zitti ed ingoiare il rospo, ovviamente per amore di Caterina!
Il fuoco che cova sotto la cenere
“Pro bono pacis”, nei cinque anni che seguirono le nozze con Caterina, Gian Galeazzo si sforzò di comportarsi nel migliore dei modi con Bernabò e, con tanta buona volontà, ci riuscì anche. Ma la misura ormai era colma ….Fu molto carino ed affettuoso con lo zio-suocero quando, avendo deciso un viaggio a Varese, per una visita alla chiesa di Santa Maria di Velate (l’attuale Sacro Monte), gli inviò una missiva nella quale, raccontandogli del viaggio in programma, intendeva, passando per Milano, fermarsi a salutarlo. Il pellegrinaggio annuale al Sacro Monte era un voto che rinnovavano alla Madonna affinché venisse esaudito il desiderio sia suo che di Caterina, di avere dei figli (infatti dopo cinque anni di matrimonio con la cugina, non era stato ancora concepito alcun nuovo erede)
Quel fatidico sabato 6 maggio 1385
L’appuntamento concordato era proprio quel sabato 6 Maggio 1385 alla Pusterla di Sant’Ambrogio, dove finalmente a distanza di anni, ormai riconciliati, i due, genero e suocero, si sarebbero incontrati per un saluto ed un affettuoso abbraccio.
Si chiama pusterla un ingresso secondario di accesso alla città
In quell’epoca, come si può intuire dalle mura che ancora oggi si intravedono in quel punto, quello era il limite della città. Sotto l’attuale sede stradale di via Carducci e di via De Amicis corre ancora oggi il Naviglio (ricoperto nel 1929-30). Il Naviglio c’era anche allora ed era nient’altro che il fossato esterno delle mura della città. Partendo dalla Pusterla di Sant’Ambrogio, da una parte, in linea retta, le mura arrivavano al Castello di Porta Giovia (subito oltre l’attuale piazza Cadorna), dall’altra, lungo la via De Amicis, proseguivano verso Porta Ticinese.
Nel dare un bacio sui capelli alla Porrina che ancora stava riposando, lei si svegliò e notando che lui era già tutto vestito, “Vai a caccia di fagiani?”, gli chiese. … “tutt’altro, amore mio, belve, belve fameliche” rispose lui, “stasera mi sarò sbarazzato una volta per tutte delle fiere che infestano i miei domini minacciando il mio potere.”
“Fra poco arriverà qui il Conte di Virtu’, con tutta la sua famiglia e pochi armati al seguito per il solito viaggio annuale a Varese. Ha chiesto di vedermi per rendermi omaggio … ed eccomi al suo servizio … solo che lui non se l’aspetta, la festa gliela farò io ….. A Varese non ci arriverà mai … voglio vedere in catene lui, sua madre, sua sorella e sono pronto ad ammazzare chi tenterà di difenderli” “E non ci dovrebbe essere anche Caterina?” chiese lei… “Certo, ma Caterina è una Visconti, non verrà imprigionata con gli altri … ha giurato, come i suoi fratelli di votare la sua vita ad una sola causa; alla gloria del Biscione! Resterà a meditare sul suo domani o passerà il resto della sua vita in convento”. Così dicendo, aprendo la porta della stanza, si accomiatò da lei, dandole appuntamento per il pomeriggio.
Bernabò, a vederlo, sembrava molto più vecchio dei sessantatre anni che aveva … forse era invecchiato per i troppi stravizi, e dava l’impressione di non essere quasi più in grado di camminare. Si stava avviando all’incontro con il nipote, a dorso di mulo, scortato da due dei suoi figli Rodolfo e Ludovico, che messi al corrente delle reali intenzioni del padre, non si sentivano particolarmente a loro agio, all’idea di dover affrontare una scaramuccia, essendo caratterialmente dei soggetti assolutamente tranquilli. Dietro il piccolo corteo, poche fidate guardie del corpo … era tutta una pantomima … per far sembrare al nipote che lui non era più un soggetto pericoloso … Ben nascosta alla vista, dietro le mura, in prossimità della porta, erano appostati un centinaio di soldati. armati di tutto punto, pronti ad intervenire ad un cenno del Dominus.
Gian Galeazzo, aitante trentaquattrenne, si era messo in cammino quella mattina, all’alba venendo da Pavia. Allora le strade non erano particolarmente sicure e l’assalto di qualche banda di briganti era sempre da mettere in conto. Temendo qualche possibile agguato durante il viaggio, tutte le volte che usciva dal suo Castello di Pavia, si faceva scortare da un consistente gruppo di guardie del corpo sceltissime. In questo caso, spostandosi con l’intera famiglia, a maggior ragione, aveva raddoppiato le precauzioni predisponendo un piccolo esercito, qualcosa come cinquecento soldati armati fino ai denti.
Bernabò arrivo puntualissimo all’appuntamento. Attraverso il doppio fornice della Pusterla, intravide in lontananza il nipote che stava arrivando. Con disappunto notò che mancava la carrozza con Bianca, Violante e Caterina… probabilmente la carrozza era rimasta indietro. Impallidì nel notare che il nutrito gruppo che seguiva Gian Galeazzo era in assetto di guerra. Come il Conte di virtù arrivò nei pressi della porta e vide lo zio, andandogli festosamente incontro, ordinò ai suoi con mossa fulminea, di catturare Bernabò e tutta la sua scorta. Il Dominus, resosi conto del pericolo, lanciò subito il segnale convenuto alle sue truppe nascoste, affinchè intervenissero, ma nessuno si mosse. Rifece il segnale, una seconda volta, ma ancora nulla …. Si rese conto, a quel punto, che qualcuno lo aveva ignobilmente tradito!
L’arresto di Bernabò
Dopo una breve scaramuccia con i figli che proteggevano il Dominus, i soldati di Gian Galeazzo ebbero ovviamente il sopravvento, circondando il gruppetto sparuto. Li catturarono tutti, li portarono nella fortezza di Porta Giovia, dove c’era la guarnigione fedele a Gian Galeazzo e li imprigionarono nelle segrete del Castello.
Alla Cà de Can , la Porrina che attendeva ansiosa il suo Bernabò vittorioso, venne catturata ed imprigionata pure lei, come tutti gli altri.
Fu un colpo di Stato in piena regola, incredibilmente senza quasi spargimento di sangue. Il centinaio di armigeri nascosti da Bernabò dietro la Pusterla non intervennero nella mischia in difesa del Dominus perchè, il loro comandante, corrotto da Gian Galeazzo con una borsa piena di monete, fece finta di non vedere il segnale convenuto. Comunque sia, una volta catturato, e assicurati alle segrete del Castello sia Bernabò che la sua scorta, entrando in città, il Conte di Virtù lasciò che il popolo saccheggiasse il palazzo del vecchio tiranno (la Ca’ de Can) e le residenze dei suoi figli. La rocca di Porta Romana resistette fino al giorno successivo. Gli storici affermano che al suo interno furono trovati sei carri pieni d’argento e 700.000 fiorini d’oro. Il giorno successivo il Consiglio Generale offrì la Signoria della città a Gian Galeazzo.
Gian Galeazzo, molto meno sprovveduto di quanto pensasse lo zio, si vendicò di tutti i soprusi subiti dalla famiglia, destituendolo dal potere, e liberando la città da trent’anni di tirannia. Ma c’era ancora un altro motivo, che aveva toccato personalmente sia lui che la moglie Caterina, per il quale aveva giurato vendetta.
Odio giustificato nei confronti del suocero?
Il fattaccio era accaduto quel maledetto giovedì 15 novembre 1380 ….. sì, proprio il famoso giorno del suo matrimonio con la cugina Caterina.
Azzone, il figlio avuto da Isabella, per il quale, alcuni anni prima, lui aveva chiesto la dispensa al Papa per farlo sposare con Elisabetta figlia di Bernabò.… era già da un anno che aveva problemi di salute, stava male e nessuno capiva cosa avesse, nonostante a Pavia, si fossero avvicendati i migliori medici di Corte.
Gian Galeazzo si trovava a Milano per gli ultimi preparativi per il matrimonio che avrebbe avuto luogo proprio quel pomeriggio. Stava facendo l’ultima prova del vestito col sarto, che arrivò un messo da Pavia, con un dispaccio urgente. L’aprì e scoppiò in lacrime … suo figlio Azzone (dodici anni) era morto quel mattino stesso, all’alba.
Affranto dal dolore, mandò via il sarto e girò immediatamente il dispaccio allo zio Bernabò aggiungendo che, date le circostanze, non gli sarebbe stato possibile presenziare alla cerimonia e che si sarebbe dovuto rimandare il tutto ad altra data. Per tutta risposta, quest’ultimo, fattegli le condoglianze, lo minacciò che se non fosse stato presente al matrimonio previsto quel pomeriggio, non avrebbe mai più sposato la cugina, della quale lui si era effettivamente innamorato.
, Su ordine di Bernabò, la cognata Bianca e la nipote Violante, che stavano facendo la veglia funebre alla salma del nipotino, furono prelevate di forza a Pavia, e portate in chiesa a Milano. Si presentarono alla cerimonia pallide come cenci, gli occhi rossi di pianto, con una smorfia di comprensibile disprezzo stampata sul viso. La cerimonia fu rapida, fredda e per nulla solenne. Appena finita, Gian Galeazzo, la nuova sposa, mamma Bianca e la sorella Violante. ripartirono immediatamente per Pavia senza feste, senza abbracci, senza dir nulla, nè salutare nessuno.
Davvero un bel matrimonio! Anche per gli stessi sposi …. Quella prima notte di nozze, da incubo ….. Gian Galeazzo in una stanza del castello, inginocchiato a baciare piangente per l’ultima volta, il freddo corpicino del figlio illuminato dalla tremolante luce delle torce, e qualche stanza più in là, la neo-sposa Caterina, smarrita, sola, e sconsolata, distesa sul talamo vuoto e freddo della sua prima notte di nozze in un castello a lei sconosciuto! Onestamente aveva sognato una notte totalmente diversa .. e si sorprese, quasi senza accorgersene, a stramaledire suo padre, e a giurare che prima o poi gliela avrebbe fatta pagare.
E quel giorno, finalmente, era giunto, ed era ora di fargli pagare il conto.
La morte di Bernabò
Dopo una ventina di giorni passati a meditare nelle segrete del Castello di Porta Giovia, il 25 maggio Bernabò e la Porrina vennero tradotti da Gaspare Visconti (un esponente di una famiglia collaterale dei Visconti), nel castello di Trezzo sull’Adda dove lui rimase rinchiuso per sette lunghi mesi; i figli furono imprigionati, invece, nel castello di San Colombano al Lambro, dove morirono fra pene e stenti.
Gian Galeazzo tolse inoltre a tutti gli altri cugini superstiti, ogni diritto sulla Signoria di Milano
Bernabò morì il 19 dicembre 1385, tra le braccia di Donnina Porro, che. pur non avendo alcuna colpa, solo per amore, aveva voluto essere rinchiusa in cella con lui. Il Dominus morì con tutta probabilità, in seguito all’ingestione di una scodella di fagioli avvelenati. Di lei, che, a parte le malignità della gente, evidentemente doveva essere realmente innamorata di Bernabò, non si seppe più nulla. E’ probabile sia morta pure lei insieme a lui, o comunque, subito dopo.
Per evitare di farne un martire, Gian Galeazzo tributò solenni funerali allo zio-suocero, e gli concesse pure sepoltura nella cripta della basilica di San Giovanni in Conca, proprio di fronte alla casa in cui Bernabò aveva abitato fino a prima della cattura. Visto che i numerosi figli del Dominus si erano imparentati con mezza Europa, temendo reazioni e rivendicazioni, inviò delle missive a tutti i regnanti del Continente, legittimando il colpo di stato, con accuse circostanziate nei confronti dello zio, per aver tentato di assassinarlo e averlo costretto al matrimonio con la cugina contro la sua volontà …… non era tutto vero ma la costrizione, in quella circostanza,. c’era stata effettivamente! Se l’era legata al dito, e l’avrebbe odiato per sempre!
A volte … quanto è vero il detto popolare …”parenti …. serpenti”!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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