Matrimonio da incubo fra Gian Galeazzo e Caterina Visconti!
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Che Bernabò Visconti non fosse un soggetto del tutto normale, ormai l’avevano capito tutti. Due erano i suoi chiodi fissi: le donne e i cani! Fra moglie e amanti … si perde il numero dei figli che ebbe in totale, fra legittimi ed illegittimi, ventinove sono sicuri, ma forse anche di più! E quanto alla sua passione per i cani, raccontano che avesse qualcosa come cinquemila mastini ferocissimi che giravano indisturbati per la città terrorizzando la gente. Come qualcuno di loro passava per la strada, c’era il fuggi fuggi generale! E guai a toccarli! L’amore per i suoi animali era tale, che aveva emanato delle leggi per cui i sudditi non solo avevano l’obbligo di accudirli, ma chi fosse stato sorpreso a maltrattarli, sarebbe stato giustiziato sul posto senza pietà. La tragedia per Milano, fu che simile soggetto “pazzoide”, governò la Signoria per oltre un trentennio.
Tiranno, prepotente, sanguigno, cinico, spietato, imprevedibile, aveva un concetto tutto suo della giustizia, e un senso dell’onore che portava fino all’esasperazione, seminando morte e terrore, ovunque andasse. Non per nulla lo chiamavano “il Diavolo”. Chiunque e per qualunque motivo venisse portato al suo cospetto, non aveva mai la certezza di uscirne vivo …. molto dipendeva dall’umore lunatico del Signore!
La Signoria condivisa
Come prevedevano gli statuti esistenti, fu costretto, suo malgrado, a condividere il potere col fratello maggiore Galeazzo II, non molto migliore di lui, ma certamente un po’ più equilibrato. Il soprannome “la Vipera”, che il popolo gli aveva attribuito, era sufficientemente indicativo del suo modo di essere. Quando poi entrambi si sposarono, a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, Bernabò con una Della Scala, Galeazzo II con una Savoia, le liti fra le rispettive consorti, si fecero sempre più frequenti, poiché, essendo di rango diverso, mal si sopportavano. Questo stato di cose consigliò Galeazzo II, non volendo arrivare ai coltelli, ad allontanarsi da Milano e trasferirsi con la famiglia a Pavia, nel castello che si fece costruire appositamente. Stando distanti, e venendo quindi meno le possibilità d’incontro, il rapporto fra i due fratelli e le rispettive signore, si mantenne su livelli di vicendevole sopportazione. La rete di spie di cui si servivano entrambi, per controllare l’uno le mosse dell’altro, onde prevenire inattesi sempre possibili colpi bassi, era il metro della vicendevole fiducia fra le due famiglie [ndr. – mai più azzeccato nel caso loro, il famoso detto “parenti serpenti”!].
Gian Galeazzo, ragazzo ‘precoce’
Leggendo le cronache, a quei tempi era usanza comune a tutti i potenti, usare i propri figli per stringere patti di alleanza o di non belligeranza col signorotto vicino. L’imparentamento fra i rispettivi figli , concordato spesso quando erano ancora in tenera età, veniva visto come strumento di stabilità politica e territoriale, oltre che come mezzo per ripianare difficoltà economiche o per dare lustro al casato.
Il primo matrimonio
Gian Galeazzo (figlio legittimo di Galeazzo II), fu pure lui oggetto di simili macchinazioni. Il padre, pur di dar prestigio al casato, accettò volentieri d’imparentare il figlio con i blasonati Valois che si trovavano in difficoltà economiche. Uno dei motivi di maggior frizione e spesso competizione ed invidia fra le due cognate era la corsa all’accaparramento in Europa, del “partito” più blasonato per i propri figli. Normalmente il matrimonio si celebrava al compimento dei 16 anni per la ragazza, ma erano frequenti anche le eccezioni, con le relative dispense. Gian Galeazzo, ad esempio, si sposò all’età di soli 9 anni, nel 1360 (a Milano), con Isabella di Valois, di 12, l’ultima figlia che Giovanni II Re di Francia, ebbe dalla prima moglie Bona di Lussemburgo.
La morte della prima moglie
Tentando di dare alla luce il quarto pargolo, Isabella, poverina, morì di parto nel 1372, a soli 24 anni. Così Gian Galeazzo, all’età di soli 21 anni, si trovò già vedovo e con tre figli a carico!
Gian Galeazzo co-Signore di Milano
Passò qualche anno e, alla morte di Galeazzo II nel 1378, la co-reggenza della Signoria di Milano passò di diritto a Gian Galeazzo. L’altro co-reggente, Bernabò, suo zio, fu costretto a far buon viso a cattivo gioco a questo avvicendamento, meditando comunque di trovare il modo per estromettere il nipote dal potere, da un lato perchè ritenuto troppo giovane e quindi inesperto, dall’altro perchè, avendolo detestato fin dalla nascita, non sopportava l’idea di dover spartire con lui la Signoria. Dal suo punto di vista, il nipote, era un emerito inetto, un autentico incomodo, eliminato il quale, avrebbe avuto pieno controllo su tutta la Signoria.
Come liberarsi del nipote senza andare per le spiccie? In casa Visconti erano degli esperti in materia di assassinii o ‘avvelenamentì, poiché questa allora era una pratica molto comune. Bernabò, e Galeazzo II non avevano pensato due volte a togliere di mezzo col veleno il fratello maggiore Matteo II col quale dovevano spartire la Signoria …. Per realizzare il suo progetto, cercò una via “pulita” per eliminarlo d’attorno. Dopo alcuni tentativi per estrometterlo, andati malamente a vuoto, decise di cambiare strategia, imputando gli insuccessi, a pura sfortuna. Mai avrebbe accettato l’idea che il nipote che lui riteneva inetto, era in effetti molto più accorto di quanto lui avesse immaginato.
L’incontro con Caterina
In una delle puntate che fece a Milano, nella sua nuova funzione di co-reggente, visitando la basilica di san Giovanni in Conca al quartiere Bottonuto , Gian Galeazzo incontrò casualmente la cugina Caterina, figlia di Bernabò, che abitava proprio lì a fianco, alla Ca’ di Can e che non vedeva da anni. Al momento non la riconobbe nemmeno, tanto era cambiata. Lei, ormai diventata una donna, era nello splendore dei suoi diciassette anni, lui ne aveva ormai quasi ventotto. Fu un colpo di fulmine a prima vista! Si innamorò perdutamente di lei.
Venuto a conoscenza dell’incontro, Bernabò non si fece scappare l’occasione, pensando che il giocare la carta del matrimonio fra i due ragazzi, sarebbe stata per lui l’occasione tanto attesa, di tenere in pugno lo sprovveduto nipote, estromettendolo in tal modo, dal potere. Così cominciò ad avviare le trattative con la cognata e con l’interessato, per portare a termine il suo disegno.
Eravamo nel 1379, l’anno dopo la morte di Galeazzo II. Azzone, il secondo dei tre figli di Gian Galeazzo (avuti da Isabella), aveva cominciato a manifestare qualche problema di salute, senza che nessuno riuscisse a capire cosa avesse esattamente, nonostante a Pavia, si fossero avvicendati i migliori medici di Corte.
La dispensa papale
Nel contempo, le trattative per il matrimonio fra i due giovani stavano proseguendo … L’unico vero ostacolo ancora da superare, era la necessaria dispensa della Chiesa per la celebrazione delle nozze fra consanguinei. Gian Galeazzo e Caterina erano di fatto primi cugini, ma si sa, il danaro spalanca le porte ad ogni ostacolo. Fu indubbiamente uno sforzo notevolissimo per Bernabò, notoriamente terrore del clero, abituato a comandare su tutti, il doversi piegare, per la sua sete di potere, a chiedere al papa Urbano VI la dispensa per il matrimonio fra i due cugini. Confidando in una sollecita approvazione della domanda, fece seguire alla richiesta, una generosissima donazione a favore della Chiesa. La tanto sospirata dispensa arrivò il 13 novembre 1380, dopo lunghi mesi di nervosa, lunda attesa. Per sveltire i tempi, Bernabò decise con la sua solita tracotanza, senza preventivamente accertarsi della disponibilità degli interessati, che le nozze fra i ragazzi si sarebbero dovute celebrare due giorni dopo, nella cappella di famiglia, già pronta da tempo, ad ospitare l’evento. Si trattava della Basilica di San Giovanni in Conca, la stessa chiesa dove si erano incontrati l’anno prima i due giovani, e Gian Galeazzo si era invaghito di Caterina.
Le nozze
Era un giovedì. quel 15 novembre 1380: la cerimonia delle nozze avrebbe avuto luogo nel primo pomeriggio. Gian Galeazzo, era rimasto quella settimana a Milano bloccato da impegni istituzionali. Gli ultimi due giorni poi, rimanevano da finire gli ultimi preparativi per le nozze e stava attendendo l’arrivo da Pavia della madre e della sorella Violante. Quella mattina era in sala, contornato dai servitori, davanti ad uno specchio, a provare l’abito da cerimonia, al quale il sarto stava apportando gli ultimi ritocchi, quando si affacciò all’uscio, un messo appena giunto da Pavia, latore di un dispaccio urgente per il Signore. Uno dei servi gli andò incontro, prese il messaggio e lo porse a Gian Galeazzo.
Questi, sciorinato il rotolo, leggendo le prime righe, sbiancò in viso, scoppiò in lacrime … suo figlio Azzone (dodici anni) era mancato improvvisamente proprio quel mattino, all’alba. Sconvoto dal dolore, licenziò subito il sarto, consegnando il dispaccio al servo perchè lo portasse immediatamente a Bernabò aggiungendo di riferirgli che, dato l’accaduto, si sarebbe dovuto annullare la cerimonia del pomeriggio, rinviando le nozze a data da destinarsi.
Vista la fiducia e la stima che nutriva nei confronti del nipote, la reazione di Bernabò nell’apprendere la notizia, fu naturalmente di assoluta incredulità, ritenendo puerile una simile trovata del ragazzo, per tentare di mascherare un ripensamento dell’ultimo minuto a poche ore dalla celebrazione delle nozze. Pertanto, furibondo col nipote, fattegli le condoglianze formali tanto per fargli capire che stava al suo gioco, gli mandò a dire che se non si fosse presentato al matrimonio previsto quel pomeriggio, non avrebbe mai più sposato la cugina, né quindi avrebbe ricevuto la dote concordata, mandando in fumo mesi di trattative.
Anzi, senza nemmeno aspettare la risposta del nipote, fece subito partire una carrozza per Pavia, seguita da una nutrita scorta di soldati, con l’ordine di prelevare la cognata Bianca e la nipote Violante, e portarle in chiesa a Milano entro l’ora stabilita per la cerimonia. Così le due donne che stavano effettivamente facendo la veglia funebre alla salma del nipotino, furono prelevate di forza, dalla camera ardente allestita allo scopo, e così com’erano, condotte a Milano nella basilica di san Giovanni in Conca, giusto in tempo per presenziare alle nozze fra Gian Galeazzo e Caterina.
Si presentarono alla cerimonia pallide come cenci, spossate per la nottata passata al capezzale del piccolo, gli occhi ancora rossi di pianto, con una smorfia di giustificabile disprezzo nei confronti di Bernabò,stampata sul viso.
Gian Galeazzo, furente in cuor suo, per l’aut aut del futuro suocero, si recò in chiesa e si presentò all’altare. Poco dopo arrivò Caterina accompagnata da Bernabò. La liturgia fu rapida, fredda e per nulla solenne. Appena finita la cerimonia, usciti dalla chiesa, i due sposi, Bianca di Savoia e Violante, scuri in viso, senza fermarsi un solo istante, si avviarono frettolosamente alle carrozze in attesa davanti al sagrato: vi salirono ripartendo subito per Pavia senza un abbraccio, una parola, un sorriso o un saluto a nessuno dei presenti. Voleva essere il plateale schiaffo dei ‘pavesi’ a Bernabò, un gesto di rabbia, rancore, odio, disprezzo davanti a tutti i presenti, parenti e invitati, quale risposta alla tracotanza e insensibilità del tiranno.
Davvero un matrimonio squallido, anche per gli stessi sposi …. Per non parlare poi di quella prima notte di nozze, decisamente indimenticabile! ….. Gian Galeazzo, il neo-sposo, in una ala del castello, inginocchiato ai piedi del letto, a fare la veglia e baciare piangente per l’ultima volta, il freddo corpicino del figlio, nella semi-oscurità delle tremolanti e fumose luci delle torce, e qualche stanza più in là, la neo-sposina, la bellissima Caterina diciottenne, smarrita, sconsolata, e disperata …. distesa da sola, ancora in abito da nozze, sul talamo vuoto e freddo della sua prima notte in una stanza tetra di un castello a lei totalmente sconosciuto! Davvero una notte da incubo, un fiume di lacrime! Mai avrebbe immaginato una prima notte di nozze simile …. quella che da un anno aveva sognato, era decisamente diversa .. e fra un singhiozzo e l’altro, si scoprì a stramaledire suo padre come non l’aveva mai fatto ….. “Maledetto papà, ti odio, ti odio, ti odio con tutta me stessa … giuro che questa me la pagherai cara, carissima … è solo questione di tempo!”
Per sapere come poi finì questa storia, dopo nemmeno cinque anni,
leggere l’articolo Bernabò e Gian Galeazzo Visconti
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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