Miralago, il gioiello di Lambrate
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ToggleIn una curiosa lettera del 1888, scritta di pugno da Giuseppe Verdi e indirizzata ai Fratelli Ingegnoli, noti agronomi e vivaisti lombardi, il Maestro li ringraziava per un cesto di kaki che i vivaisti gli avevano fatto recapitare in omaggio. Essendo stati i primi in Europa ad importare dal lontano Giappone questo tipo di pianta, in previsione del lancio sul mercato di questo nuovo prodotto, ci tenevano a far conoscere in anteprima alle personalità più in vista di Milano, le qualità dei frutti ottenuti dalle prime piante di questo tipo, trapiantate e coltivate nel loro grande vivaio nei pressi dell’attuale Stazione Centrale.
Chi erano questi Ingegnoli?
Originari di Sesto Calende, benestanti, e legati da profonda passione per la terra, l’ing. Francesco Ingegnoli e famiglia decisero di trasferirsi a Milano nel 1789, mossi dal desiderio di dar vita ad una attività industriale e commerciale in campo agricolo. Fra fine ‘700 ed inizio ’800, acquistarono, a tale scopo, molti terreni tra via Loreto (attuale Corso Buenos Aires), e piazza Andrea Doria (l’attuale piazza Duca d’Aosta, davanti alla Stazione Centrale). Iniziano a coltivare piante da frutto ed ornamentali altamente selezionate. A poco a poco cominciano a produrre sementi da orto, da fiore e soprattutto sementi per praterie. Accanto a queste attività compresero da subito l’importanza dell’attività di ricerca e, con la collaborazione dei migliori botanici italiani, si perfezionarono anche nella selezione genetica e quindi nella produzione di cereali tra cui alcune specie foraggere. L’inizio, come spesso accade, non fu facile anche perché non furono i primi ad operare in quel settore a Milano. Infatti quasi un secolo prima, li aveva preceduti, la famiglia Burdin, originaria della Savoia francese. Questi, nell’ottica di espansione della loro attività anche in Italia, dopo un breve periodo trascorso a Torino, si erano trasferiti a Milano, già dai primi del Settecento, impiantando un grande vivaio dalle parti dell’attuale Piazza Duse (zona Porta Orientale, allora ancora campagna), vicino al convento dei frati Cappuccini. I Burdin si erano specializzati nella coltivazione di piante di gelso, provenienti dalle Filippine, allora molto richieste per la produzione della seta. La via Vivaio attuale, prese questo nome proprio dal fatto che conduceva direttamente a quel vivaio.
La vera fortuna della famiglia Ingegnoli iniziò comunque non prima del 1817, quando legò il suo nome all’attività di produzione, selezione e commercio di piante e sementi, in quello che fu il primo vero stabilimento agrario e botanico italiano. Essendo agronomi, studiavano le caratteristiche dei vari tipi di sementi, sia per ottenere le migliori qualità di foraggio per gli animali., sia per le sementi da prato con miscugli particolarmente utili per consolidare le scarpate.
Nel 1880 poi, uno dei discendenti della famiglia, Francesco, il maggiore dei fratelli Ingegnoli, acquistò i vivai Burdin, che nel frattempo si erano trasferiti fuori città, in corso Loreto, l’attuale corso Buenos Aires. Lì venivano prodotti oltre agli alberi da frutto, pure piante ornamentali, quelle stesse piante che, nel 1893, avrebbero contribuito alla costituzione del Parco Sempione, secondo il progetto dell’architetto Alemagna. Nel 1894, sul terreno che si affacciava a Corso Buenos Aires, all’altezza del numero 54, la famiglia Ingegnoli avrebbe fatto costruire, in uno splendido palazzo denominato “la Casa”, la propria nuova sede, che sarebbe rimasta tale per circa un secolo, palazzo che ora è diventato la nuova sede de “Il Giorno“
Eravamo ormai ad inizio Novecento. L’era industriale stava facendo passi da gigante. La richiesta di manodopera favoriva la costruzione di nuove abitazioni al di fuori della cerchia dei Bastioni. Il piano Beruto [ndr.- il primo piano regolatore della città di Milano], già nella sua prima versione del 1884, aveva previsto l’eliminazione delle mura spagnole sia perché ritenute anacronistiche come sistema di difesa, contro le moderne armi da fuoco a disposizione, sia perché pure di notevole intralcio allo sviluppo tumultuoso della città. Gli Ingegnoli, i cui vivai in zona vecchio Trotter (attuale Stazione Centrale), cominciavano a trovarsi ormai a ridosso dei palazzi di recente costruzione, decisero di vendere i terreni di loro proprietà in quella zona, andando a cercare fuori dal centro abitato, nuovi terreni in aperta campagna.
Trovarono, nel Comune di Lambrate, un’ampia area di ben 44 ettari di terreno tutt’intorno all’ antica Cascina Melghera, sita tra le attuali via Feltre e via Crescenzago.
Ndr. – Nella carta del 1600 del Claricio , la Cascina Melghera, appare come “cassina Melghere”, forse derivando il nome da “meliga” (saggina). Solo a metà ottocento apparve come edificio a corte chiusa.
Lì, vicino alla Cascina, gli Ingegnoli installarono il loro vivaio principale con le varie serre. Le ultime propaggini di Milano, lato Est, finivano praticamente a Piazzale Loreto. La zona, ancora lontana dall’essere urbanizzata, era un susseguirsi di terreni ancora incolti, boschetti e alcune cave ormai dismesse da anni, trasformate in laghetti, alimentati dal Lambro che scorre proprio lì vicino. Allora, il parco Lambro ancora non esisteva. I tre laghetti della zona erano tutti di proprietà Ingegnoli. Due di questi, poco a nord della Cascina Melghera, essendo fra loro vicini, come si può vedere nella piantina, vennero uniti negli anni 30. Il lago risultante, che verrà poi inglobato nel futuro Parco Lambro, prenderà il nome di Lago Parco, perché nelle sue vicinanze si trovava un luna park.
Il terzo dei tre laghi, forse perché più minuscolo o forse perché più facile da raggiungere rispetto agli altri, essendo accessibile da una strada, destò il loro interesse per la realizzazione di un progetto al quale stavano pensando da tempo. Infatti questo laghetto era accessibile da via Ronchi, che univa Piazza Monte Titano (la piazza sul retro della Stazione di Lambrate), con piazza Udine. Questo laghetto, che sicuramente ben pochi ricordano ancora oggi, non esiste più da quasi settant’anni. Si trovava esattamente fra le attuali piazza Udine e via Ronchi, dove oggi c’è un giardino intitolato a Marisa Bellisario.
Ndr. – L’attuale piazza Udine, all’epoca, era ancora in aperta campagna: subito a nord dell’attuale piazza, attorno al 1910, verso via Palmanova, il Comune di Milano aveva posato gli occhi su una vasta area non lontana dal Miralago, in località “le Rottole”, confinante con i terreni degli Ingegnoli, per essere utilizzata come unica discarica pubblica della città. Questo, nell’ottica di avocare a sé, sia i servizi di pulizia delle strade, che quello di raccolta dei rifiuti domestici, ancora demandati a terzi. Fino ad allora, le immondizie di Milano, venivano scaricate dai ruée su vari terreni al di fuori delle varie porte della città.
Allora, i rifiuti erano molto meno numerosi di oggi, perché la civiltà contadina aveva un forte senso del risparmio e quindi del riciclo, abitudine questa, che oggi è completamente andata perduta.
IL VILLAGGIO DEGLI SPAZZINI
Proprio intorno a tale discarica sorse un vasto insediamento noto come “il villaggio dei ruée“, una serie di baracche spesso fatiscenti, abitate da qualche centinaio di persone (spesso intere famiglie) dedite alla cernita manuale dei rifiuti urbani riutilizzabili, distinti per oltre una trentina di tipologie merceologiche. La selezione era naturalmente a scopo di rivendita, come riciclo dell’usato.
A questo punto viene spontaneo chiedersi come mai questo laghetto che, come testimoniano le carte topografiche della zona, esisteva effettivamente, ora non c’è più?
Gli Ingegnoli, come già detto, si erano trasferiti da quelle parti ad inizio secolo, quando l’allora Comune di Lambrate contava a stento qualche migliaio di anime. Il Censimento del 1901 riporta un totale di 2795 abitanti, quello del 1911, 5.399 , cresciute poi nel 1921, a 8171 persone.
Gli Ingegnoli erano comunque i più grossi possidenti terrieri di tutta la zona, e come spesso accade nelle piccole comunità, ai più ricchi ed influenti proprietari terrieri venivano affidati pure incarichi pubblici. Il commendatore Francesco Ingegnoli figura infatti eletto sindaco di Lambrate, incarico che mantenne per il quinquennio 1914 – 1919.
Ritornando al terzo laghetto, il progetto che avevano da tempo in mente gli Ingegnoli trovò realizzazione pratica nel giro di diversi anni. Avevano infatti pensato di realizzare in quel posto, quasi a rimarcare maggiormente il contrasto con quello squallido “villaggio degli spazzini” a qualche centinati di metri di distanza, un bellissimo parco fiorito, con tutti i servizi annessi.
Nel corso degli anni. compiendo, per la loro attività di ricerca, diversi viaggi all’estero (Usa, Argentina ecc.) gli Ingegnoli avevano importato a Milano pure diverse varietà di piante esotiche molto richieste perché relativamente facili da gestire e di sicuro effetto. Il problema ovviamente, non era tanto la realizzazione delle strutture necessarie, quanto la creazione del parco, dal nulla. E gli Ingegnoli, si sa, erano maestri in questo, e giustamente volevano dimostrare a tutti di meritarsi tale fama.. Dopo la positiva esperienza del Parco Sempione, le cui piante erano di provenienza dai loro vivai. la realizzazione di questo parco, oltre che a rappresentare una brillante operazione di marketing, nell’ottica di promozione e vendita dei fiori e delle piante ornamentali, dei loro viva, sarebbe stato indubbiamente il loro fiore all’occhiello. D’altra parte le piante avevano bisogno di tempo per attecchire, crescere e diventare rigogliose. Ogni aiuola di quel parco aveva terreno specifico, più o meno grasso o sabbioso, in funzione delle caratteristiche dei vari tipi di pianta da fiore che vi avrebbero trovato dimora. Insomma, un lavoro davvero scientifico!
Il “Miralago”
Il laghetto
Già nel 1926 pur non ancora operativa, su una sponda di questo laghetto, era stata costruita una grande struttura di ricreazione e di svago , denominata “Miralago“. Quest’idea, con tutta probabilità era nata per valorizzare un laghetto diversamente inutilizzabile se non per la pesca. C’erano naturalmente diverse varietà di pesci come alborelle, carpe, lucci ecc. ma pure folaghe, oche e cigni che si affaccendavano sull’acqua alla perenne ricerca di cibo, insomma sembrava davvero una piccola, vera oasi di paradiso!
Dopo un lavoro durato anni, la struttura venne ufficialmente aperta al pubblico, nel 1928.
Il parco
Infatti tutta quell’area del Miralago , naturalmente recintata, si presentava come un ameno luogo di ricreazione e svago per chiunque volesse trascorrere qualche ora lontano dal trambusto cittadino. Vi si accedeva da un imponente ingresso ad arco su via Monte Titano, (poi divenuta piazza Monte Titano.) Passato quell’arco ,si presentava agli occhi del visitatore, un rigogliosissimo parco a vialetti, con palme, statue e con tantissime varietà di piante e fiori. Per non parlare poi del profumatissimo giardino di rose con tanto di fontana monumentale! Tutto questo era più che sufficiente per rendersi conto, dell’impronta signorile che gli Ingegnoli intendevano dare a quel posto. Le cronache dell’epoca riferiscono che davanti a tanta bellezza, vi era chi restasse estasiato, e chi incredulo che simile magnificenza potesse esistere alle porte della città.
A giudicare dall’affluenza del pubblico, particolarmente nel periodo estivo, l’iniziativa fu molto apprezzata, anche grazie ad una politica di prezzi contenuti e all’eccellente qualità dei servizi offerti. Bisogna comunque tener presente che alla data dell’inaugurazione del “Miralago“, non c’era concorrenza in città: l’idroscalo era ancora in progettazione e sarebbe stato inaugurato il 28 ottobre 1930, mentre per il Lido in zona Lotto-San Siro, si sarebbe dovuto attendere la sua apertura ufficiale il 5 luglio 1931. Era quindi la prima ed unica struttura di ricreazione, per chi avesse gradito un minimo di svago, a due passi dalla città.
La struttura
Fra i servizi disponibili, oltre alle sale per feste, rinfreschi, ecc. vi era un bel ristorante con salone interno per il periodo invernale ed una grande terrazza coperta, prospicente il lago, funzionante nel periodo estivo. Una cinquantina di tavoli in tutto, per un massimo di circa 200 coperti, sotto una rustica tettoia di canne di bambù che si affacciava direttamente sul lago. Se di giorno il ristorante era prevalentemente frequentato dalla gioventù chiassosa, di sera il pubblico era più ricercato, diventando luogo delizioso per coppiette romantiche in cerca d’isolamento e intimità, che amavano cenare su tavoli con vista sul lago, magari al lume di candela, nell’atmosfera magica di una rilassante musica di sottofondo. Vi era ovviamente anche un caffè, bar birreria, una pista da ballo all’aperto, musica a gogò ed infine un solarium per gli amanti della tintarella.
C’era naturalmente la possibilità di noleggiare delle barchette o delle canoe sia per fare il giro del piccolo lago ammirando il paesaggio della campagna circostante da una prospettiva diversa dall’usuale, che per raggiungere come meta un piccolo isolotto in mezzo al laghetto, per qualche minuto di relax.
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Il tennis Monterosa
Altra attività sportiva praticabile in loco era il tennis. Nel 1926 infatti, il Miralago non era ancora aperto, un’associazione di tennisti denominata Tennis MonteRosa, decise di prendere in affitto dalla proprietà Ingegnoli, un terreno lungo la sponda sinistra del laghetto, costituendo lì la loro sede sociale. Costruirono proprio di fianco alla struttura qualcosa come sette campi da tennis regolamentari, uno dei quali pure dotato di gradinate per il pubblico. Nel giro di qualche anno mutarono ragione sociale in Tennis Club Miralago, stipulando una convenzione con la nuova proprietà. Sei anni dopo gli stessi soci pensarono bene di cambiare nuovamente il nome del loro sodalizio che divenne Tennis Club Ambrosiano.
Cosa ne diceva la stampa
Così riportava un redattore in un articolo apparso sul Corriere della Sera, l’8 maggio 1929:
Purtroppo, nel giro di pochi anni dall’inaugurazione di tutta la struttura, il precipitare degli eventi bellici comportò la sospensione della sua attività.
Il “Miralago” requisito dai tedeschi
Il Miralago venne requisito dai tedeschi il 24 maggio 1944. Per fortuna, a parte la requisizione del bene, non vi furono conseguenze nefaste di alcun tipo né per i suoi proprietari, né per il personale che vi lavorava. I tedeschi vi dislocarono un distaccamento dell’organizzazione Todt, addetto ai lavori delle installazioni militari. Per la cronaca, questa stessa organizzazione, fondata dieci anni prima proprio dall’ing. Fritz Todt militare nazista, su ordine di Hitler, aveva fatto erigere nel 1938 – 1939, al confine con la Francia, la famosa linea Sigfrido.
La chiusura definitiva
Cosa sia effettivamente accaduto in quel posto durante l’occupazione nazista del Miralago, non è del tutto chiaro. Purtroppo il forte sospetto, per non dire la certezza che, durante quel tragico periodo, quel lago fosse stato utilizzato dai tedeschi per far “sparire” i corpi di tanti partigiani trucidati per rappresaglia e incredibilmente spariti nel nulla, convinse la famiglia Ingegnoli, a guerra finita, nel 1945, a prendere la decisione di dismettere del tutto l’attività del Miralago, provvedendo, a proprie spese, a cancellare quel laghetto, prosciugandolo del tutto e riempiendolo di terra. Sembrava ormai evidente che, dopo tanto orrore, quel posto non sarebbe mai più potuto tornare ad essere il luogo di svago e di allegria, quale era stato fino a pochi anni prima. Un bellissimo sogno, durato in tutto, a stento, una quindicina d’anni!
Che ne fu del tennis?
Negli anni 60, in seguito al prosciugamento del Miralago e complice pure il boom economico in atto in quel periodo, tutta la zona di via Ronchi, lungo la quale erano stati costruiti i sette campi di proprietà Ingegnoli, ma dati in affitto al Tennis Club Ambrosiano, divenne area appetibile per la costruzione di nuovi edifici di civile abitazione, gli stessi che, costruiti nel 1968, possiamo vedere ancora oggi. esattamente in quel punto. Il Tennis Club Ambrosiano sfrattato pertanto da lì, si trasferì in via Feltre dietro la Cascina Melghera – dove gli venne concesso l’uso di una ben più vasta area, tramite una serie di convenzioni con il Comune, nuovo proprietario dei terreni attigui alla cascina stessa. La nuova sede fu inaugurata il 25 maggio 1963.
T
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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