Fratelli Branca Distillerie
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Davvero sono in pochi a conoscere in città, la “Collezione Branca“. Questo è il nome di un museo d’impresa inaugurato nel 2009, ospitato all’interno del complesso di Via Resegone 2 a Milano, sede della storica “Fratelli Branca Distillerie“, lo stabilimento di produzione famoso per il suo Fernet, noto in tutto il mondo. Sicuramente è una delle ultime rarissime fabbriche rimaste (se non forse addirittura l’unica) all’interno della Circonvallazione della città.
Il suo museo è un po’ il biglietto da visita della famiglia. Visitarlo, è un ripercorrere idealmente la storia industriale e culturale dell’azienda, ormai presente sul mercato da oltre 177 anni. Ha tutto il sapore del fascino di una storia imprenditoriale nella sua evoluzione dinamica in un contesto storico non sempre di facile lettura, nel tessuto dell’attuale società. Per chi ha in animo di visitarlo, non voglio togliere il gusto della sorpresa. Posso soltanto dire che una visita è da mettere in conto, perché ne vale davvero la pena. Come in tutte le cose, colpisce quello che non ci si aspetta di trovare in un museo: nel caso specifico, due in particolare: un ”armadio delle imitazioni”, e una “scuola”. Il primo (”l’armadio delle imitazioni”), indice indiscusso della misura del successo del loro prodotto di punta: è una lunga vetrina contenente centinaia di inutili tentativi di carpire il segreto della composizione del famoso amaro Fernet-Branca! La seconda (“la scuola“) è un modernissimo bar dove la Branca Academy, organizza sessioni di formazione per barman (preparazione di cocktail e long drink, prestando particolare cura alla loro presentazione).
Com’è nata questa realtà? Tutto è nato da un’idea di un giovane davvero intraprendente!
Chi era Bernardino Branca?
Bernardino Branca nacque a Pallanza il 14 agosto 1802, da una famiglia originaria di Cannobio. Dopo una gioventù piuttosto intraprendente trascorsa a Milano, decise di andare a vivere sulle sponde del lago Maggiore. Essendo di famiglia benestante, acquistò un palazzo sul lungo lago di Pallanza (VB), chiamato Casa Franzi (pare ancora oggi esistente), dove volle aprirvi un locale: il Caffè del Portighetto. Nel 1831, sposò Carolina Erba, quattro anni più giovane di lui, nella chiesa di San Sebastiano in Pallanza. Dalla loro unione, nacquero cinque figli.
Parallelamente all’attività del Caffé, si offrì di aiutare negli affari il fratello Carlo, proprietario di una cava di granito sul Montorfano a Mergozzo (un comune vicino a Pallanza). Abitando quest’ultimo a Milano, aveva difficoltà a gestire la cava da lontano. Bernardino colse l’occasione del lavoro per conto del fratello, per tentare la strada della speculazione edilizia, comprando un appezzamento di terreno in località Castagnola, e facendovi costruire tre ville con vista sul lago e un piccolo giardino per poi poterle rivendere. Esperienza questa che si rivelò meno esaltante del previsto.
Stufo anche del suo Caffè, decise di venderlo per provare la via del tessile, aprendo, sempre a Pallanza, un laboratorio per la tessitura meccanica. Non soddisfatto nemmeno qui dei risultati sperati, mollò ben presto anche quell’attività e dopo un breve periodo trascorso a Lugano, decise di mettersi alla ricerca di qualcosa che potesse soddisfarlo maggiormente.
Si era negli anni in cui la medicina era ancora ai primordi e le cure prevedevano la somministrazione al paziente di decotti ed intrugli vari contenenti erbe, resine, radici, miscugli di spezie varie, secondo ricette antiche, tramandate secoli prima, dai gesuiti. Proprio in quegli anni, si laureava a Pavia Carlo Erba e stava cominciando a fare il suo periodo di tirocinio, presso l’Antica Farmacia di Brera, a Milano. Le medicine, allora si preparavano manualmente e l’attività dello speziée andava, naturalmente, a gonfie vele.
Da autodidatta, senza aver mai frequentato la scuola degli “speziali”, Bernardino Branca cominciò a dedicarsi all’arte farmaceutica. Attrezzò in casa sua un piccolo laboratorio per i suoi esperimenti. Le formule dell’arte galenica, non solo incuriosivano la sua immaginazione, ma divennero la sua passione. Provò, tra alambicchi e storte varie, ad elaborare degli elisir di lunga vita.
Ndr. – Arte galenica, [da Galeno, grande medico dell’antichità (129-201 d. C.), nato a Pergamo ma vissuto dal 162 a Roma], è la medicina. Con accezione particolare, preparato galenico è la preparazione farmaceutica contenente uno o più ingredienti organici (per lo più di composizione complessa e difficilmente analizzabile), ottenuta attraverso operazioni fisiche e meccaniche semplici (macinazione, estrazione, filtrazione, ecc.); anche, in opposizione a specialità medicinale, ogni preparato farmaceutico approntato dal farmacista sotto suo controllo e responsabilità. [rif. Treccani]
Nel 1845, trasferitosi con la famiglia a Milano, aprì, dalle parti di Porta Nuova, una piccola distilleria con laboratorio artigianale attrezzato per la messa a punto della ricetta di un rimedio medicamentoso che aveva già sperimentato per prova su se stesso, e sui suoi famigliari a Pallanza, quando qualcuno di loro veniva assalito da dolori viscerali. Era un preparato, frutto dell’infusione di erbe officinali, cui dette il nome di Fernet-Branca.
Fondatore della Fratelli Branca e C. (1845 – 1886)
Per tentare la via della commercializzazione del suo prodotto, Bernardino fondò quell’anno stesso, una società in nome collettivo, la Fratelli Branca e C., coinvolgendo nel suo progetto, tre dei suoi giovanissimi figli, tutti ancora minorenni Luigi 12 anni, Giuseppe 8 e Stefano solo 2.
Sorta naturalmente con una modesta attrezzatura, sufficiente per le richieste di un mercato limitato inizialmente al capoluogo lombardo e a qualche altra vicina città del Nord Italia, la distilleria dei Branca iniziò a svilupparsi effettivamente nel decennio successivo. Del resto, inizialmente, il suo prodotto veniva venduto quasi esclusivamente nelle “speziarie” (le attuali farmacie) come “bevanda medicinale miracolosa”.
Ai tempi, non esistevano ancora le campagne pubblicitarie ed anche la pubblicità sui giornali era quasi inesistente.
NOTA
Fu il giornalista e pubblicista parigino Émile de Girardin ad inserìre per la prima volta, il 16 giugno 1836, della pubblicità nel suo giornale, La Presse, riuscendo a ridurre il prezzo di vendita di ogni copia e aumentando il potenziale numero di acquirenti. Girardin fu forse il primo a capire che i giornali erano soggetti alla cosiddetta legge del doppio mercato, poiché erano in competizione per attrarre, allo stesso tempo. sia il pubblico che gli inserzionisti.
Come spesso accade, un evento imprevisto, tragico per tanti, nel 1849, segnò la sua fortuna. A Milano, ricomparve lo spettro del colera, la stessa terribile pandemia che aveva già mietuto tante vittime dodici anni prima, nel 1837. Nessuno allora era ancora riuscito a scoprire il rimedio per debellare questo flagello, né si era ancora compreso da cosa fosse provocato.
NOTA
Il colera dilagò in diverse città europee generando ben sette pandemie nel corso del XIX secolo. Sei di queste, giunsero anche in Italia: 1835-1837, 1849, 1854-1855, 1865-1867, 1884-1886 e 1893
Gli ospedali erano pieni e i lazzaretti stracolmi di malati. Con l’intento di contribuire a debellare il morbo ripensando al suo Fernet che, quanto a vendite, stentava a decollare, essendo un rimedio da lui stesso dichiarato medicamentoso, Bernardino ebbe l’idea di consegnarne un campione a padre Nappi, il direttore sanitario dell’Ospedale Fatebenefratelli, perché ne verificasse l’efficacia sui suoi malati. L’elisir, subito sperimentato su alcuni pazienti colerosi, diede risultati ritenuti eccellenti al punto che padre Nappi ne fu entusiasta. Era fatta! Quale migliore pubblicità per l’amaro di Bernardino Branca? Per farlo sapere a tutti, fece tappezzare i muri della città con migliaia di manifesti fatti appositamente stampare e riportanti le espressioni elogiative del dottor Nappi nei confronti del suo Fernet-Branca. Da quel giorno, l’astro nascente dell’amaro Fernet-Branca non è più tramontato!
Il riacutizzarsi della pandemia nuovamente nel 1853-1854, sotto il dominio austriaco, ne favorì indubbiamente il consumo anche a scopo preventivo: la verità è che il fernet cominciò a piacere anche ai sani, finendo addirittura col diventare una moda: un amaro da offrire prima del pranzo ai commensali per stimolare l’appetito, oppure dopo i pasti, come digestivo; al pomeriggio, le nobildonne dell’epoca avevano preso l’abitudine di servire alle loro amiche un Fernet-Branca, al posto del the!
Il primo annuncio pubblicitario dei Fratelli Branca su un giornale, risale al 14 febbraio 1865. Fu pubblicato su La Perseveranza, un quotidiano di tendenza moderata particolarmente influente, stampato a Milano tra il 1859 e il 1922. Questa pubblicità indubbiamente favorì il lancio del suo Fernet, anche nei centri minori della penisola.
Nel 1860, visto il successo ottenuto dal suo prodotto, fece costruire un nuovo stabilimento in viale di Porta Nuova a Milano ove trovarono impiego ben 300 operai.
Premiata con medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Firenze nel 1861, con accorta politica condotta dai suoi figli Luigi e Giuseppe, la Casa Branca riusciva ad affermarsi, con analoghi riconoscimenti e diplomi, pure alle Esposizioni Internazionali: prima tappa miliare, Londra nel 1862, poi Parigi nel 1867 e Vienna nel 1873. La presenza dei Fratelli Branca alle esposizioni di Filadelfia del 1876 e di Melbourne del 1880, denota quanto l’azienda milanese stesse, in quel periodo, non solo affacciandosi ai mercati europei, ma pure a quelli ambiti d’oltreoceano, sostenuta da un primo, sia pur elementare, sistema distributivo e di pubblicità. Bernardino, ormai anziano, pur continuando a seguire da vicino la sua “creatura”, aveva già lasciato il testimone ai figli. Nel 1877, fra l’altro, i fratelli Luigi e Giuseppe costituirono tra loro una società in nome collettivo sotto la ragione Fratelli Branca.
Purtroppo né Bernardino, né Luigi ebbero la gioia e l’onore di vedere, a fine 1886, riconosciuta la loro Azienda, addirittura come fornitrice ufficiale della Casa Reale. A breve distanza l’uno dall’altro, erano venuti a mancare entrambi, qualche mese prima (1886).
Fra i mercati esteri più interessanti per l’Azienda, furono, in quel periodo, sicuramente quelli degli Stati Uniti e dell’Argentina, verso i quali, l’emigrazione italiana si era indirizzata in maniera prevalente.
NOTA
Fu proprio durante le prime traversate dell’Oceano Atlantico, che i migranti scoprirono che un bicchierino di Fernet-Branca era l’ideale anche contro il mal di mare!
Stefano Branca (1888 – 1891) – II gen.
Morto anche Giuseppe, il 7 gennaio 1888, rimase pertanto solo a Stefano, il più giovane dei tre fratelli, la responsabilità della gestione dell’azienda, ormai consolidatasi anche all’estero, con lo sviluppo della filiale di Chiasso in Svizzera e di quella di Nizza in Francia e l’avvio di una fitta rete di concessionari. Si dette da fare pure politicamente presentando al Parlamento una memoria scritta di suo pugno, in difesa di tutta la categoria di fabbricanti e commercianti di liquori di Milano. Si stava in effetti per deliberare un iniquo progetto di legge sulla tassazione dei liquori che, se approvato, avrebbe mandato in crisi l’intero settore.
Dopo la prematura morte anche di Stefano (gennaio 1891), il carico della gestione d’impresa passò temporaneamente alla moglie Maria Scala, mentre la proprietà venne suddivisa fra i suoi tre figli ancora in tenera età: Dolores, Bernardino e Carolina. L’azienda ottenne nel 1892 un riconoscimento dal ministero dell’Agricoltura e Commercio, per essere stata una delle imprese maggiormente distintesi nell’esportazione. Verso la fine del secolo, gli impianti della Branca – come sottolineato da un articolo apparso su la “Cronaca prealpina” del 1895 – erano considerati “i più grandiosi del genere in Italia” e davano lavoro ad oltre 350 persone fra operai ed impiegati. La produzione, oltre all’ormai celebre Fernet, si era ampliata comprendendo pure lo “Stravecchio Branca”, che trovava particolari consensi sia sul mercato nazionale, che su quello estero.
L’azienda continuò svilupparsi ulteriormente sotto la gestione (dal giugno 1902) di Francesco Scala (cognato di Stefano) e del procuratore Achille Bellone. Venne avviata, nel 1907, una politica di internazionalizzazione dell’Azienda, con l’obiettivo di aprire degli stabilimenti all’estero, per tagliare gli onerosi costi di trasporto e distribuzione. L’impianto di Porta Nuova di Milano, diventato ormai insufficiente, veniva trasferito nel 1913 nella sede attuale, in Via Resegone, dando lavoro a ben 900 operai.
Bernardino Branca (1917 – 1955) – III gen.
Era entrato in azienda in giovanissima età, Bernardino Branca (1886 – 1957), figlio di Stefano. Tornato dal fronte (arruolato come volontario, in qualità di ufficiale di cavalleria durante la prima guerra mondiale), nel giugno 1917, subentrò nella direzione della società. Fu lui, l’anno dopo, a costituire le Distillerie Branca in Società per Azioni (con un capitale di quindici milioni).
Dinamico e lungimirante come l’omonimo suo nonno, fu sotto la sua presidenza, che l’azienda conobbe il suo maggior sviluppo, rinnovando radicalmente, nella nuova fabbrica di via Resegone, i processi tecnologici di produzione. Fece notevoli ed oculati investimenti per affinare le tecniche di lavorazione e d’invecchiamento. Ampliò l’attività dell’azienda estendendo la produzione ad altri liquori come Alchermes, Anisetta, Chartreuse, Maraschino e Tamarindo. A livello internazionale, fra il 1935 e il 1936, inaugurò in Europa nuovi stabilimenti a Saint-Louis (Alsazia) e a Chiasso (Svizzera); nelle Americhe, a Tortuguitas-Buenos Aires (Argentina), e a New York, cosa che gli consentì in tal modo, di aggirare gli ostacoli che la diffusione di politiche economiche di carattere protezionistico stava cominciando a frapporsi alla penetrazione sul mercato estero, dei prodotti Branca.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale pose l’impresa di fronte a problemi drammatici. Le difficoltà di reperimento di alcune materie prime, lo obbligarono inizialmente a ridurre la produzione. L’ingresso poi in guerra degli Stati Uniti nel 1941, comportò il sequestro della filiale di New York da poco aperta. Analogo discorso accadde con la consociata di Buenos Aires, in seguito alla decisione da parte dell’Argentina, pure conservando politicamente la sua neutralità, di assumere il controllo delle filiali di tutte le società tedesche e italiane operanti nel Paese. Privata così dei suoi principali mercati esteri (nel 1936, appena entrato in funzione, la produzione del solo stabilimento argentino, aveva già superato quella della casa madre), la Branca fu costretta ad interrompere l’attività nell’agosto del 1943, in seguito al bombardamento dello stabilimento milanese.
Nonostante al termine del conflitto risultassero praticamente distrutti gli impianti francese e tedesco, la ripresa postbellica si rivelò piuttosto rapida: la produzione per il mercato italiano ritornò sui livelli anteguerra già nel 1948, mentre all’inizio degli anni Cinquanta anche le unità produttive di Saint-Louis, Stoccarda e Chiasso rientrarono in funzione a pieno ritmo e nuove sedi commerciali vennero aperte pure in Lussemburgo, Cecoslovacchia ed Egitto.
Pierluigi e Giuseppe Branca (1955 – 2009) – IV gen.
Nel 1955, dopo 38 anni di conduzione dell’azienda, Bernardino Branca lasciò la presidenza al figlio Pierluigi e nel ’63, la società milanese lanciò la “Brancamenta”, all’epoca considerata un prodotto rivoluzionario. Negli anni Ottanta, l’impresa fu protagonista di una nuova fase di rilancio. Nel 1982 infatti, venne acquisito il 50% della Carpano: tre anni dopo, con la nascita di Villa Branca Srl (a Mercatale di Val di Pesa) la Branca entrò pure nel mercato del vino e dell’olio e nel 1987 acquisì la Distilleria Candolini di Tarcento (UD) e altri prodotti quali il Vermouth Carpano, il Punt e Mes, e così via.
Nel 1999, con la morte di Pierluigi Branca, la società passò sotto la presidenza del fratello Giuseppe, mentre il figlio Niccolò assunse la carica di amministratore delegato. Tra il 2001 e il 2003 venne completata l’acquisizione della Carpano. Entrò nel portfolio dell’Azienda, lo storico marchio “Caffè Borghetti”, venne lanciata la Grappa Sensèa, il distillato premium Magnamater , la vodka Sernova e l’ultimo nato, Carpano Dry, allargando la gamma anche ai vini, con il Chianti Classico Docg Villa Branca e lo spumante Bellarco.
Niccolò Branca (2009- in carica) – V gen.
Oggi, la quinta generazione della famiglia Branca è ancora a capo dell’impresa. Nonostante i volumi di produzione siano rimasti pressoché invariati, con l’uso della tecnologia attuale, bastano solo 80 persone a portare avanti l’Azienda. Dal 2009 Niccolò Branca è diventato presidente e amministratore delegato della Holding Branca International Spa, nonché presidente della Fratelli Branca Distillerie Srl. e della Fratelli Branca Destilerias Sa. ed è tuttora in carica.
“Novare serbando“
“Novare serbando” è il motto aziendale dei Fratelli Branca: significa “rinnovare conservando“. Due parole queste, che sintetizzano la filosofia dell’azienda, il modo di gestire il presente, con lo sguardo comunque rivolto al futuro.
- “novare” sulla base delle tendenze dei mercati e delle preferenze dei consumatori, in sintonia con l’evoluzione del contesto socio-economico, senza mai comunque dimenticare i valori che hanno reso solida, la realtà industriale ed imprenditoriale della famiglia.
- “serbando” gelosamente l’intuizione del fondatore che ha dato inizio ad una lunga tradizione di artigianalità inimitabile, utilizzando delle formule per la preparazione dei distillati rimaste invariate da sempre.
Con l’evoluzione e l’espansione della Società, nel 2006, la Fratelli Branca ha inserito un Codice Etico di comportamento che, insieme a quello della Sicurezza Alimentare e di Sicurezza sul lavoro, raccoglie e completa quel nucleo essenziale di valori radicati nella cultura aziendale. In pratica, il comportamento individuale va considerato come fine, non come mezzo. La filosofia aziendale prevede che tutti i dipendenti condividano gli obiettivi, lavorando in modo corale, per il raggiungimento dello scopo.
La ricetta del “Fernet-Branca“
Il Fernet-Branca è un liquore di sapore amaro, ancora oggi prodotto secondo la ricetta originale del 1845, formulazione che si tramanda immutata, di padre in figlio, di generazione in generazione. Dosaggi e modalità di preparazione sono gelosamente custoditi dai membri della famiglia. Anche gli stessi operai che producono il Fernet, ne ignorano l’intero processo: ciascuno ne conosce solo una piccola parte in modo che nessuno possa essere in possesso della formula completa, tuttora rigorosamente segreta. Fiori, radici, piante, erbe e spezie, ben 27 tipi di erbe aromatiche e botanicals provenienti dai quattro continenti (Australia esclusa) vengono scrupolosamente pesati, in un locale chiuso, lontano da occhi indiscreti e nel riserbo più assoluto. Vengono singolarmente trattati, creando infusi alcoolici, estratti e decotti vari. La miscela risultante viene lasciata maturare ed invecchiare per un anno in botti di rovere, per affinare ed esaltare le sue componenti aromatiche. Durante la fase di maturazione, la gradazione alcolica ABV (alchool by volume) si riduce naturalmente per evaporazione dell’alcol dal 46% al 39%. Alla fine di questo trattamento, passato il controllo qualità, il prodotto viene imbottigliato ed esportato in tutto il mondo.
La sua composizione include, fra l’altro, rabarbaro cinese, aloe ferox (aloe amara – potente disinfettante), china, cioccolato, chinino e angelica, genziana francese, galanga indiana, camomilla dall’Europa, così come tiglio (tiliae flos), iris, zafferano, zedoary, mirra, agarico, zedonia, brionia, radice di colombo, scorza d’arancio, arancia amara, curacao, in una base di alcool di vite, . Tante di queste erbe hanno davvero proprietà particolari: la mirra ad esempio ha proprietà disinfettanti, favorisce l’appetito, contrasta l’infiammazioni della cute e della bocca, ulcere e ferite, oltre ad essere utilizzata come rimedio contro i disturbi mestruali e gastrici.
Perché si chiama “Fernet”?
La vera origine del termine Fernet è ignota: nemmeno la stessa famiglia Branca interpellata in proposito, ha saputo dare una risposta. Varie comunque sono le ipotesi, tutte più o meno plausibili.
- Alla fine del Settecento, è citata una ricetta per il rimedio del dottor Fernet (o Fermet o ancora Vernet). Era indicato come un elisir di lunga vita inventato dal medico svedese Fernet, morto solo all’età di 104 anni, per una banale caduta da cavallo; grazie a questo preparato, il nonno del medico sarebbe morto all’età di 130 anni, la madre a 107 e il padre a 110.
- Altra ipotesi più vicina a noi, vuole un improbabile dottor Fernet (sempre svedese), in veste di volontario: “In Cannobio,” si racconta, “è tradizione di un chimico svedese Vernet o Fernet, che, accorso volontario in Italia a combattere nella guerra dell’indipendenza 1848-49, dopo il disastro di Novara, rifugiatosi a Cannobio in casa di Branca Ferdinando, lasciò a questi, in ricompensa della ricevuta ospitalità, la ricetta di composizione di un liquore, che poi il figlio Vittore fabbricò col nome di Fernet” [Ndr. – Non è ben chiaro chi siano questo Ferdinando e il figlio Vittore]
- Forse più realistica risulta l’ipotesi che Bernardino Branca, di formazione speziée (speziale), insieme a un medico (che a leggenda insiste a dire fosse svedese e si chiamasse Fernet), mise a punto un preparato a base di erbe per la cura del colera e della malaria, due malattie, ai tempi, molto diffuse.
- la versione più accreditata comunque, sembra essere quella che fernet derivi dalla locuzione milanese “fer net” (ferro pulito), cioè il mestolo di ferro rovente che si usava per mescolare l’infuso nella preparazione del liquore.
Il logo “Mondo” Branca
Sembra impossibile, eppure la forza di questa “industria famigliare italiana” è tutta in un amaro! L’azienda Branca non ha eguali al mondo e, fin dalle prime campagne pubblicitarie ottocentesche che videro all’opera i migliori artisti e illustratori, si contraddistinse per originalità ed efficacia.
“Sopra tutto Fernet-Branca”, che sia stata proprio la Branca ad inventare il nostro marketing?
La maestosa aquila in volo con una bottiglia di Fernet-Branca tra gli artigli, disegnata nel 1893 dal giovane illustratore triestino Leopoldo Metlicovitz, è ancora oggi il logo, simbolo dell’azienda. Rappresenta idealmente il rapace che porta in alto e in tutto il mondo, le Distillerie Branca che oggi, dopo 177 anni, sono presenti in ben 160 Paesi con un fatturato superiore ai 300 milioni di euro, in costante crescita, nonostante la crisi.
Leopoldo Metlicovitz era nato a Trieste nel 1868 e aveva iniziato la sua carriera presso le Officine Grafiche Ricordi. Si affermò come uno degli artisti più rappresentativi del periodo. Fu uno dei padri del moderno cartellonismo pubblicitario italiano. Tra la sua vastissima produzione, si ricorda la serie di manifesti, pietra miliare della comunicazione italiana, eseguiti per le opere liriche di Giacomo Puccini come Tosca (1900), Madama Butterfly (1904) e Turandot (1926).
La pubblicità
El sciur Branca, da buon milanese, intuì fin da subito l’importanza del marketing e della pubblicità. La creatività ha sempre contraddistinto la Fratelli Branca, sia come azienda che come famiglia. Ne sono un ottimo esempio sia i manifesti pubblicitari del secolo scorso, che le campagne di stampa e TV già fatte o attualmente in pianificazione.
Il primo annuncio pubblicitario del 1865, pubblicato su “La Perseveranza”, in occasione dell’ennesima epidemia di colera, ove Il Fernet veniva reclamizzato come un ottimo rimedio, era, per così dire, agli inizi. Il giornale prevedeva l’ultima facciata dedicata alle inserzioni pubblicitarie, La pubblicità era in un formato quadrato di circa cm 10×10, con indicata un’abbreviazione del nome del prodotto insieme a vari, curiosi contenuti. Il ”Fernet”, così era definito quello che sarebbe poi passato alla storia come “Fernet-Branca”, era presentato come un rinomato liquore dalle proprietà benefiche, e terapeutiche.
«Il Fernet Branca estingue la sete, facilita la digestione, stimola l’appetito, guarisce le febbri intermittenti, il mal di capo, capogiri, mali nervosi, mal di fegato, spleen, mal di mare, nausee in genere. Esso è vermifugo-anticolerico»
Verranno successivamente, persino pubblicate su grandi manifesti, le testimonianze di primari di ospedali e case di cura, con tanto di stemmi e timbri di certificazione.
Partecipando poi alle varie Esposizioni Universali, vennero commissionate eleganti campagne pubblicitarie, prima ai francesi (allora non per niente si definivano réclames) e poi cartelloni, manifesti e calendari a grafici della scuola triestina di Marcello Dudovich. l’Azienda di avvalse nel tempo, della collaborazione di artisti, acquarellisti, illustratori e grafici pubblicitari di fama, quali Leonetto Cappiello, Rodolfo Paoletti, Giuseppe Amisani, Elio Stelminig, Osvaldo Ballerio, Achille Luciano Mauzan, Leopoldo Metlicovitz, Plinio Codognato e il francese Jean D’Ylen, per elencarne solo alcuni.
Il patrimonio storico e di comunicazione della Collezione Branca, conserva oggetti, immagini, pubblicità dei più celebri cartellonisti e grafici del Novecento.
La famosa aquila che afferra la bottiglia di Fernet-Branca, mentre sorvola il mondo, appare per la prima volta all’interno dei calendari Branca nel 1895.
Il senso di “Novare serbando”, si coglie anche nella comunicazione. Lo si intuisce dai manifesti che pur presentati in chiave moderna, tutt’oggi riescono a trasmettere lo spirito del tempo passato. Lo si vede dalla stessa evoluzione, attraverso i decenni, dell’etichetta delle bottiglie che, nel tempo, è mutata, restando però fedele a sé stessa. Lo si capisce dagli storici caroselli, ad esempio, quello con la plastilina che crea mille forme diverse o da “Brrr… Brancamenta”, con il blocco di ghiaccio scolpito a forma di bicchierone.
Lo stabilimento
Progettata dall’ing. Merlini, la distilleria venne costruita fra il 1908 e il 1913 ai margini della città, “in Derganino, località Boscaiola”, come si può leggere in un documento dell’epoca, conservato dall’azienda. Allora tutta quell’area, oggi zona sud del quartiere Bovisa, era libera campagna e confinava con Milano. L’imponente complesso di via Resegone è un tipico esempio della tradizione architettonica lombarda che fece scuola agli inizi del Novecento. Una sorta di cittadina nella città!
Il complesso di oltre 23.000 mq, si estende fra l’attuale Viale Jenner e Viale Lancetti e ancora oggi è sede del sito produttivo italiano della Fratelli Branca Distillerie. Secondo la tradizione industriale dell’epoca, vi si accede da un ampio cortile dal quale è possibile passare sia alle attività produttive che a quelle riservate ai servizi.
Area produttiva
Gli spazi destinati alla produzione vera e propria sono molto ampi. Ambienti occupati da macine, alambicchi e distillatori, pompe di travaso, macchine tappatrici ed etichettatrici; quindi la zona riservata al laboratorio, già in uso ai primi del Novecento, non solo per le analisi e la selezione delle erbe a monte del processo, ma pure per il controllo di qualità a valle dello stesso. Infine, le enormi cantine riservate alla maturazione e all’invecchiamento dei liquori nelle botti.
Le cantine
Una delle tante meraviglie nascoste di questo stabilimento, sono proprio le cantine. Vi sono circa 500 botti da 25.000 litri, destinate alla maturazione del Fernet-Branca ed altre 300 per quella del brandy Stravecchio, inaspettatamente custodite a pochi passi da una delle circonvallazioni più trafficate d’Italia. Qui, oggi, tutto è automatizzato, e il personale è davvero ridotto al minimo, I computers controllano tutte le fasi del processo d’invecchiamento e di travaso, aprendo e chiudendo, in automatico, trasduttori e valvole varie. Fidarsi è bene, ma ….. divertente nota di colore, nonostante l’automazione, non manca la lavagnetta col gessetto su ogni botte, casomai servisse ….. (sempre fedeli al motto: “Novare serbando”!)
Per non parlare poi della botte madre del 1892, gigantesca – due piani di una casa, la più grande d’Europa, una “riserva perpetua” da 84mila litri – ben 6 m di diametro!
Dopo i quattro anni di maturazione dello stravecchio nelle 300 botti figlie, il brandy viene trasferito in automatico nella botte madre, con la tecnica del rabbocco, (tramite la “pipeline”, cioè i fasci di tubi che si notano sopra le botti figlie stesse), per riposare per un ulteriore intero anno, prima di passare fase finale dell’imbottigliamento.
Dimensione a parte, è una botte comunque in qualche modo “diversa dalle altre”: è certificata kosher.
NOTA
La parola kosher significa corretto o accettabile, ed è entrata informalmente nella lingua inglese con quel significato. Ma le leggi kosher hanno la loro origine nella Bibbia e sono dettagliate nel Talmud e negli altri codici delle tradizioni ebraiche. Sono stati applicati nel corso dei secoli a situazioni in continua evoluzione e queste norme, sia antiche che moderne, regolano la certificazione kosher
La certificazione Kosher è il timbro di approvazione kosher da parte di un’agenzia rabbinica che verifica di aver controllato gli ingredienti dei prodotti, l’impianto di produzione e la produzione effettiva per garantire che tutti gli ingredienti, i derivati, gli strumenti e i macchinari non contengano tracce di sostanze non kosher..
Area servizi
Una vasta parte del complesso ospitava i servizi (che naturalmente si sono evoluti nel tempo): ad iniziare da una grande scuderia per i cavalli; le rimesse per i carri utilizzati per il trasporto delle botti e delle casse; la falegnameria per la realizzazione sia delle botti (lavoro delicatissimo, affidato ai bottai ed esperti mastri d’ascia), che delle attrezzature (scaffalature, vetrine, mobili vari); il magazzino per lo stoccaggio dei sacchi spezie, resine ed erbe varie (dal profumo intensissimo, inebriante, un autentico bazaar); la sartoria per la produzione delle divise dei dipendenti che con colori diversi ne identificavano il settore di competenza; e l’infermeria. Infine la mensa aziendale e per ultimo, pure i locali per il dopolavoro, ambienti in uso per un trentennio in viale Lancetti (dalla fine degli anni Quaranta e fino alla fine degli anni Settanta), ove, in occasione di feste, debuttarono personaggi come Wilma De Angelis o Adriano Celentano, voci note della canzone italiana già allora.
La ciminiera
Per i suoi 170 anni, in occasione di Expo 2015, l’azienda milanese Fratelli Branca Distillerie, ha inaugurato una straordinaria opera di street art, realizzata sulla Ciminiera dello storico stabilimento di Milano. Il murale è stato realizzato dal collettivo artistico Orticanoodles (duo di street artist di fama internazionale, Wally e Alita, originari del quartiere milanese dell’Ortica). Con i suoi 55 metri di altezza, questo è il murale d’autore più alto d’Italia e uno fra i più alti d’Europa. Richiama graficamente l’alchimia delle erbe che hanno reso il brand di Fernet-Branca famoso in tutto il mondo.
E’ una ulteriore, diversa interpretazione del motto aziendale “Novare serbando” dove l’innovazione è l’utilizzo dei colori vivaci e accesi che ne accentuano lo stile contemporaneo, mentre la tradizione è il groviglio di erbe che si arrampicano verso il cielo, tra bottiglie ed icone storiche dell’Azienda. Non a caso il duo artistico ha preso in prestito l’antica tecnica dello “spolvero”, usata anche da Michelangelo nel Cinquecento.
Lo spolvero è una tecnica pittorica che permette di riportare un disegno su varie superfici.
Nello “spolvero” si disegna dapprima a grandezza naturale, la rappresentazione su un cartone preparatorio e con un ago o un’altra punta si perforano fittamente i contorni del disegno. Successivamente si appoggia il cartone forato alla superficie da disegnare e si tamponano le parti perforate con un sacchetto di tela riempito con carboncino, grafite o sanguigna.
Tolto il cartone, si riporta quindi una traccia a puntini che, se insufficientemente dettagliata, si provvede a ricalcare congiungendo i vari punti e completando il disegno o tramite un carboncino o tramite un pennellino bagnato per stemperare i puntini. Se per il ricalco si utilizza un foglio trasparente o un lucido la riproduzione di un’immagine risulta abbastanza precisa.
Tecnica antica, usata nella decorazione muraria e dai grandi artisti rinascimentali per evitare dei ripensamenti sull’affresco. Era applicata in molti campi, anche per la decorazione della ceramica e della porcellana per la produzione in serie o per facilitare chi non sa disegnare. [rif. – Wikipedia]
Attraverso un’opera di pittura collaborativa, anche i dipendenti di Fratelli Branca Distillerie hanno aiutato a dipingere il motivo composto da radici colorate, sul muro sottostante la ciminiera, così da poter asserire di aver contribuito alla firma dell’opera.
Questa fabbrica è rimasta l’unica in Europa: il suo mercato è Europa, Asia, Africa e NordAnerica: simbolo culturale e industriale di Milano, è una delle ultime fabbriche ancora attive sopravvissute immutate nel tempo, parte integrante del tessuto urbano e sociale della città. Il secondo stabilimento, la Fratelli Branca Destilerias che si trova in Argentina, a Buenos Aires, serve invece tutto il SudAmerica.
Curiosità
- Dopo la birra e il vino, il terzo alcolico più consumato in assoluto in Argentina ed Uruguay è il fernet.
A tutt’oggi il Fernet-Branca è un super alcolico richiestissimo particolarmente fra i giovani.
Il tutto è dovuto all’invenzione del cocktail “Fernandito” dissetante e rinfrescante, che ha diversificato il pubblico ed abbassato l’età media dei consumatori a 30 anni.
Ingredienti: 40 ml di Fernet-Branca; 1 bottiglietta di Coca Cola; ghiaccio, in un grande tumbler.
Per il gusto dei sudamericani, questo connubio rappresenta oggi, il top dei top!
- L’invenzione del Branca Menta, sembra, si debba a Maria Callas. La Divina infatti, prima delle sue esibizioni, era solita sorseggiare un Fernet-Branca con ghiaccio e l’aggiunta di foglioline di menta. Pierluigi Branca colse al volo il suggerimento della cantante e voilà: ecco nato il nuovo prodotto!
In Argentina, il Brancamenta viene invece mescolato alla Sprite.
Torre Branca
In previsione della V mostra della Triennale del 1933, Mussolini voleva una torre per illuminare dall’alto, con un faro, tutta l’area dell’evento. L’idea piacque a Bernardino Branca che pensò ad un progetto più ardito.
È infatti erano proprio quelli gli anni in cui la Branca guardava al futuro, scegliendo di costruire fabbriche all’estero, sia in Europa, che nelle Americhe del nord e del sud, gettando le basi del suo sviluppo, e promuovendo l’immagine dei suoi prodotti in giro per il mondo. Per quanto riguarda Milano, il suo obiettivo era anche quello di risvegliare l’orgoglio della città, creando un punto di riferimento creativo, una nuova realtà proiettata nel futuro. Quindi un piccolo ristorante-bar, che uno spazio in grado di ospitare manifestazioni.
Disegnata da Giò Ponti, la Torre Branca è considerata ancora oggi una vera opera d’arte. Esile e trasparente, un’autentica “sfida” architettonica, è stata eretta nel 1933, a tempo di record, in soli due mesi e mezzo, in occasione della V mostra della Triennale.
Sono stati costruiti anche sei grandi archi isolati, temporanei, progettati da Sironi: Milano ha acquistato l’esclusiva europea di un’esposizione internazionale triennale delle arti decorative e industriali.
Totalmente costruita con tubi Dalmine, di acciaio speciale, flangiati e imbullonati, è alta 108,60 metri, pochi centimetri più bassa della Madonnina del Duomo.
La struttura principale della Torre ha forma tronco-piramidale a sezione esagonale, dal lato di 6 metri alla base. A quota 100 metri, il lato dell’esagono è ancora di 4,45 metri. La rastremazione assai leggera le conferisce un aspetto quasi prismatico.
Divenuta inagibile, la Torre andò “fuori servizio” nel 1972. Fu interamente restaurata e resa nuovamente accessibile dalla Fratelli Branca, di cui ora porta il nome, in omaggio alla città di Milano.
Oggi un modernissimo impianto ascensore, consente la salita al locale belvedere coperto (a 99 metri), a cinque persone per volta, in circa 90 secondi. Il mercoledì, pare, la risalita sia gratuita a scolaresche e pensionati.
Alla base della Torre Branca, venne così realizzata una struttura portante metallica, a pianta semicircolare, ispirata agli elementi e allo stile della torre stessa. Ora è un ristorante. Tutto nel rispetto delle architetture monumentali del Parco adiacente (Palazzo dell’Arte, Castello, Arena e Arco della Pace).
In cima, la copertura e la parete sul lato del parco, in cristallo trasparente ad alta resistenza, consentono una suggestiva visione prospettica della Torre, e una piacevolissima vista sull’area verde.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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