Giulia Samoyloff
Sommario
ToggleEra verso la fine di gennaio di quel 1828, quando arrivò a Milano, Giulia Samoyloff (Julija Pavlovna Samojlova). Veniva dalla lontana terra di Russia, da San Pietroburgo per la precisione, sua città natale. Nemmeno quasi il tempo di disfare i bagagli, che le era già piovuto l’invito da parte del conte ungherese Giuseppe Batthiany, ciambellano di Sua Maestà, al grande “Ballo del Romanticismo“, da lui stesso organizzato nel suo nuovo palazzo a Porta Orientale, a due passi dai caselli daziari appena costruiti.
L’anno si stava preannunciando finalmente un po’ più sereno di quelli appena trascorsi: era da poco passato il colera che aveva imperversato negli anni precedenti: era finalmente morto il terribile Francesco I che aveva fatto incarcerare allo Spielberg tanti patrioti fra cui Silvio Pellico, Federico Confalonieri e altri, costringendo all’esilio molti giovani milanesi.
Era proprio per il desiderio di tornare alla normalità, che questo ballo era stato accolto con molto favore dalla nobiltà milanese. La partecipazione al ballo di carnevale in maschera di quel memorabile mercoledì 30 gennaio, fu l’occasione per Giulia di fare la sua prima comparsa pubblica nell’alta società meneghina, a pochi giorni dal suo arrivo in città.
Gli invitati erano numerosi, vestiti con i costumi più originali ed eleganti, quasi tutti ispirati al Rinascimento. Per fare un esempio, l’autore di 58 di quei costumi, il grande pittore Francesco Hayez, si era vestito da “Giulio Romano”, il famoso pittore del Palazzo Tè di Mantova. In una rievocazione della corte cinquecentesca di Francesco I, re di Francia, la giovane coppia di sposi Emilio e Cristina di Belgioioso erano vestiti da gentiluomo e da dama di corte. Giulia, dal canto suo, fece il suo ingresso in società, presentandosi vestita da contadinella russa.
L’inattesa apparizione a quella festa, di questa bellissima fanciulla, dai riccioli corvini e gli occhi smeraldo, creò subito scompiglio fra la nobiltà milanese presente. Avvolta nel mistero più fitto, la sua presenza, immediatamente notata pure dalla gente in città, diventò motivo preferito di chiacchiere e naturale oggetto d’interesse da parte dell’aristocrazia, nei circoli della Milano bene. Lei, deliziosa venticinquenne, dal sorriso dolcissimo, soggetto molto appariscente, fresca, straordinariamente bella, aveva dalla sua anche un fascino irresistibile. Sempre elegantissima, avvenente, non poteva non essere oggetto degli sguardi, dei commenti e delle attenzioni maschili e naturalmente anche causa di invidia e gelosia, da parte dell’ambiente femminile. Quell’eccesso d’interesse riservatole dagli uomini (mariti o amanti che fossero) aveva creato indubbio nervosismo e mal celata preoccupazione fra le nobildonne dell’alta società che vedevano la sua presenza come foriera di sinistri presagi per la serenità di tante coppie. Ma chi era costei, capitata all’improvviso dal nulla, quasi un fulmine a ciel sereno, a scombinare le carte delle bellezze nostrane?
La figlia di un “alto papavero“
Le più informate fra loro, e anche le più pettegole, dopo indagini frenetiche a caccia di notizie piccanti, erano venute a sapere che la giovane contessina venticinquenne nipote del conte Skavronski, era una discendente da parte di madre di Caterina I di Russia, moglie di Pietro il Grande. Ma non era tutto: non solo era già vedova, ma pure molto temibile essendo stata addirittura amante dello zar di Russia!
Nata come Julija Palen (o Pahlen), ufficialmente era la figlia di un pezzo grosso, un alto dignitario alla corte zarista, tale Pyotr Alexeevich Pahlen (1745 – 1826), morto da poco. Questi, era stato un personaggio che aveva avuto diversi incarichi di prestigio sotto Caterina II la Grande, l’imperatrice di Russia. La zarina, per gratificare il suo generale per le numerose imprese militari da lui egregiamente condotte, prima nelle due guerre contro i turchi e poi in quella contro la Svezia, lo aveva nominato inizialmente come governatore di varie province, infine gli aveva affidato il delicato incarico di ambasciatore di Russia, proprio in Svezia.
Anche sotto Paolo I, il figlio di Caterina la Grande, subentrato al potere alla morte della madre nel 1796, il conte Pahlen aveva rivestito incarichi di assoluto rilievo, segno della fiducia di cui godeva a Corte, al punto da diventare in breve tempo governatore militare di San Pietroburgo, quindi ministro degli esteri, e infine addirittura primo ministro. Fiducia decisamente incauta e mal riposta nei confronti del conte da parte del nuovo regnante, se si considera che nel 1801, con l’appoggio del figlio dello zar, Alessandro I Romanov, era stato proprio lui, Pahlen, uno dei promotori del complotto ordito contro Paolo I e finito nel sangue, con la sua morte.
Nrd. – Il motivo della congiura nei suoi confronti, era stato dettato dal rifiuto di parte della società, al conservatorismo troppo accentuato manifestato dallo zar Paolo I, che abrogando molte delle leggi precedentemente già approvate da sua madre Caterina, aveva attirato su di sè, motivo di forte malcontento fra la gente.
L’amicizia col figlio Alessandro I (1777 – 1825?), salito al potere grazie al suo aiuto e a quello degli altri complici, gli era stata assolutamente preziosa per aver aver avuto salva la vita. Pahlen infatti era stato processato da una corte marziale, ma grazie all’amicizia col nuovo zar, era stato graziato insieme agli altri congiurati. Tuttavia, a differenza di Caterina II e di Paolo I che gli avevano assegnato numerosi incarichi di rilievo, con Alessandro I si era trovato praticamente disoccupato, essendo rimasto escluso da tutte le cariche di prestigio, cui avrebbe potuto aspirare. Per cui, alla fine, il conte aveva deciso di chiudere con la politica, ritirandosi a vita privata.
Nel 1803 era nata Giulia, figlia naturale dello zar Alessandro I. Pyotr Alexeevich Pahlen, che non aveva rotto del tutto i rapporti con la Casa reale, era stato “invitato” dallo zar a diventare il padre ufficiale della piccola Giulia. A Pahler, cui Alessandro I aveva, due anni prima, salvato la vita, non era rimasto che accettare l’invito di buon grado.
Diventata più grandicella, Giulia, frequentando l’ambiente, era diventata amica di Nicola I (1796 – 1855), il fratello minore dello zar Alessandro (c’erano quasi vent’anni di differenza fra i due fratelli).
In età adolescenziale, quell’amicizia (in realtà parentela nipote-zio) era diventata qualcosa di più, non propriamente affetto o amore, ma un gioco erotico fra adolescenti.
Nel 1823, Giulia ormai ventenne, probabilmente per accondiscendere al volere di suo padre, aveva sposato il conte Samoyloff, molto più anziano di lei . Per sua fortuna, lui era morto “improvvisamente” dopo solo due o tre anni lasciandole come eredità la cifra (stratosferica per quei tempi) di 4 milioni di rubli.
Nel frattempo, nel 1825 era “morto” lo zar Alessandro I. Non essendoci eredi diretti, Nicola pur non avendone formalmente diritto, dopo aver sedato nel sangue una rivolta popolare tesa a contrastare sua nomina, era diventato “de facto”, il nuovo zar, a nemmeno trent’anni.
A PROPOSITO DELLA “MORTE” DI ALESSANDRO I
Ufficialmente il 17 novembre 1825 , di ritorno da una visita in Crimea, si ammalò di tifo esantematico. Si spense il 1º dicembre dello stesso anno tra le braccia della moglie.
La sua morte fu, però, avvolta dal mistero e ben presto sorse la leggenda che, in realtà, abbia inscenato tale fatto allo scopo di potersi ritirare a vita privata e che avrebbe vissuto ancora lunghi anni, sotto le spoglie di un monaco eremita, Fëdor Kuz’mič, vivendo a Tomsk, una città della Siberia, fino al 1864.
Tale versione, riportata nel racconto incompiuto di Lev Tolstoj, Memorie postume dello starets Fëdor Kuzmič e suffragata anche dallo storico Nikolaj Karlovič Schilder, contemporaneo agli eventi, risulta verosimile per il fatto che tutti erano a conoscenza delle crisi mistiche che periodicamente colpivano il sovrano e per il suo proposito di rinunciare al trono e fuggire dal mondo. [rif. Wikipedia]
Tornando ai rapporti fra il nuovo zar Nicola, e la nipote Giulia, ci pensò lui (che aveva solo sei anni più di lei) con la sua focosa passione, a farle dimenticare rapidamente, il dolore per la scomparsa del vecchio marito: ovviamente, per lui non era amore, ma solo puro istinto. A parte che già dal 1817, per la solita ragion di Stato, lui si era sposato con Carlotta, la figlia di Federico Guglielmo, re di Prussia, Giulia comunque mai avrebbe potuto diventare sua moglie (essendo il padre putativo di lei, un conte ormai decaduto). Per lui, la nipote rappresentava quindi solo un diversivo, un delizioso passatempo, finché la cosa durava!
Come la passione travolgente per Giulia cominciò pian piano a venir meno, per evitare che finisse col tramutarsi in assuefazione e noiosa routine (col rischio pure di problemi coniugali) si preoccupò di darle quanto prima il ben servito, esiliandola il più lontano possibile da San Pietroburgo, in modo da non darle la possibilità di nuocergli o comunque, assillarlo con richieste inopportune.
Così, con trasferimento coatto, nel gennaio 1828, dopo un probabile lungo peregrinare in giro per l’Europa, la bella vedovella era approdata a Milano!
Come mai proprio a Milano?
La scelta dell’Italia fra le possibili mete pensate dallo zar, non era stata del tutto casuale. Lui era venuto a conoscenza (per vie traverse) dell’esistenza a Milano di una lontana parentela che Giulia non sapeva nemmeno di avere. Si trattava di parenti che lei evidentemente non aveva mai conosciuto, e di cui forse nemmeno mai aveva sentito parlare a casa sua (a San Pietroburgo) e che comunque sarebbero potuti tornarle comodi ora, in caso di bisogno. Ancora lei non lo sapeva, ma quella famiglia milanese, sarebbe stata per Giulia, davvero “una gallina dalle uova d’oro”.
I duchi Litta
Si trattava di una delle più illustri famiglie del patriziato milanese, quella dei conti/duchi Litta, una casata sufficientemente blasonata e ben conosciuta nel capoluogo lombardo, tutta gente che, senza alcuna difficoltà, avrebbe potuto introdurla nei salotti della Milano che conta. Non era però un legame di sangue in senso stretto.
Un esponente della famiglia, tale Giulio Renato Litta Visconti Arese (1763 – 1839), ancora giovanissimo, a soli 19 anni entrò nella marina del Sovrano Militare Ordine di Malta, divenendo cavaliere e guadagnandosi una preziosa esperienza sul campo. Quando la zarina Caterina II di Russia, nel 1788, chiese al Gran Maestro Emmanuel de Rohan-Polduc di fornirgli un valido uomo di mare per riorganizzare la flotta russa in previsione dell’imminente guerra contro la Svezia, la scelta ricadde sul giovane Litta, che, nel gennaio dell’anno successivo, si trovava già a San Pietroburgo.
Dallo spirito piuttosto avventuriero, era un soggetto carismatico, un personaggio brillante, molto apprezzato dagli esponenti della famiglia Romanov. Dopo la vittoria navale dell’Impero Russo, il Litta venne promosso contrammiraglio. In quel periodo fece davvero fortuna, anche economicamente. Intenzionato ad ottenere la cittadinanza russa e sempre più propenso a fare, del suo servizio allo zar, la sua ragione di vita, Giulio Renato incontrò anche l’amore sposando la ricca contessa Caterina Skavronskaja, già vedova dell’ambasciatore russo alla corte di Napoli, ancora molto piacente e piena di vita, che scoprì essere la nonna materna di Giulia Samoyloff. Alla morte di Giulio Renato nel 1839, a san Pietroburgo, pare che il Litta abbia lasciato scritto nel suo testamento che i suoi eredi avrebbero dovuto devolvere alla nipote Giulia, una rendita annua di centomila lire (una cifra astronomica per l’epoca).
Abitava in centro
Arrivata a Milano, la contessa russa Giulia Samoyloff aveva preso momentaneamente in affitto un palazzo nella antica Contrada dei Sciori, la Contrada del Borgonovo 1531 (numerazione teresiana) [attualmente via Borgonovo 20]. Era di proprietà del banchiere Giuseppe Marietti (originario di Miasino) che lo aveva rilevato l’anno prima dai Bigli. Questa strada aveva già avuto il suo periodo di notorietà quando quel palazzo quattrocentesco, un tempo proprietà dell’Ordine degli Umiliati, era stato acquistato nel 1498 da Paolo Bigli, cancelliere e ambasciatore ducale ai tempi di Ludovico il Moro. Quel palazzo era poi rimasto proprietà di questa famiglia fino al 1826, anno della morte dell’ultimo discendente della casata, Vitaliano Bigli. La notorietà di quella strada ebbe comunque il suo apice indiscusso quando, nel 1828, Palazzo Bigli era diventato proprietà della contessa russa Giulia Samoyloff: Quella strada, fino ad allora tranquilla, aveva ripreso ad animarsi con un via vai incredibile di carrozze a tutte le ore del giorno e della notte che sostavano fugacemente davanti al numero 20, per portare o prelevare qualcuno. Da quel momento per alcuni anni, sarebbe stata lei, la contessa Giulia, l’incontrastata protagonista della vita mondana milanese, l’organizzatrice nella sua casa di grandi pranzi, favolose feste e memorabili ricevimenti mondani.
Ricchissima, bellissima, eccentrica, si fece notare subito per il lusso sfrenato. Il suo palazzo venne arredato in maniera sontuosa con statue di marmo scolpite per lei da Pompeo Marchesi, pregiatissimi mobili d’epoca, pezzi rari, arazzi, tappeti, cristallerie, persino l’illuminazione (a gas naturalmente), il tutto senza badare a spese. I suoi saloni furono uno ad uno ristrutturati facendo sovrapporre agli arredamenti neoclassici esistenti, lo stile impero con una dominante bianco-oro. Fece affrescare, nel 1831, il soffitto del salone da ballo al pittore bellunese Giovanni De Min (1786 – 1859), amico di Francesco Hayez, con Il trionfo della musica (andato poi distrutto) e gli fece pure progettare nel 1833 un altro ambiente con l’Apoteosi di Napoleone in sette storie, mai eseguito in seguito alle vivaci rimostranze del governo austriaco all’idea di celebrare le vittorie del nemico giurato (il disegno preparatorio si trova a Milano, in una collezione privata). Fece persino costruire, all’interno del suo palazzo, un piccolo teatro, in cui si esibirono grossi nomi come la contralto soprano Giuditta Pasta e il giovane pianista Franz Liszt.
La sua casa di via Borgonovo era sempre piena di ospiti prevalentemente maschili. Del resto la sua sfolgorante bellezza non poteva non attirare i “mosconi“. Indubbiamente il suo stile, la sua eleganza innata e il suo “savoir faire”, le aprivano le porte ovunque. Frequentava il salotto culturale di Clara Maffei ed ebbe modo di conoscere fra gli altri, sia il giovane Giuseppe Verdi, che Alessandro Manzoni.
Dava ricevimenti e feste in grande stile con una frequenza davvero incredibile, addirittura più volte alla settimana ricambiando naturalmente gli inviti che riceveva a sua volta. Essendo lei straniera e avendo avuto occasione, durante le frequenti feste in cui era invitata, di fare conoscenze altolocate anche a livello governativo, la presenza di tanto in tanto di alti ufficiali austriaci alle feste da ballo da lei organizzate, attirò sulla contessa russa critiche e naturali sospetti di connivenza col nemico, per cui il suo salotto mondano, venne visto come il più filo austriaco dei salotti milanesi di quel periodo.
Per sua fortuna, essendo molto ricca, all’inizio non aveva necessità di badare troppo alle spese: comunque questa sua smania di spendere in maniera inconsulta, era finita col diventare patologica e il denaro rappresentava per lei l’unica droga che soddisfacendo la sua necessità di divertimento continuo, le permetteva anche di appagare al momento quell’ incontenibile sete di possesso dell’inutile e del voluttuario. Gioielli, pietre preziose, monili particolari, collane, bracciali oggettistica unica, quadri, lei comprava di tutto a patto che fosse assolutamente ricercato, prezioso, fuori dal comune e soprattutto caro. Quando non sapeva più cos’altro acquistare, si dava al collezionismo, quadri, stampe, armi ecc. A lungo andare però, proseguendo su questa linea, senza un minimo di autocontrollo, anche il pozzo di San Patrizio si svuota. e i soldi finiscono.
Che i comportamenti di Giulia Samoyloff fossero, a dir poco, originali pure per i suoi stessi contemporanei, è un dato di fatto. Dire poi che i suoi sprechi fossero un insulto alla miseria, era addirittura riduttivo!Era certamente senza freni, una donna degli eccessi, in tutto!
Sicuramente Giulia era decisamente sciupona, imprevedibile e bizzarra: Il suo guardaroba traboccava di pellicce bellissime, una più vistosa dell’altra. Non se ne parla poi delle centinaia di abiti che si faceva fare, e degli accessori coordinati, cappellini, scarpe, cinture, guanti, orecchini collane anelli ecc. Era assolutamente impossibile che potesse ricordarsi di quello che aveva nei suoi armadi. A parte tutto quello che la servitù le faceva sparire, non sarebbe stato comunque da lei, utilizzare due volte lo stesso vestito!
Il bagno nel latte
Aveva un concetto dell’igiene e della pulizia personale del tutto particolare: si narra infatti che amasse immergersi, ogni mattina in una vasca piena di latte d’asina appena munto, essenzialmente per nutrire la pelle, mantenendola morbida, elastica, diafana e sempre fresca. Potrebbe sembrare uno spreco assurdo, ma non era esattamente così: ne beneficiava un suo servitore, felice di questa sua abitudine: finite le lunghe abluzioni della contessina, non visto dalla sua padrona, correva a rivendere quello stesso latte al vicino rinomato Caffè delle Antille di Corsia del Giardino e al lussuoso Caffè Cova, tenendo naturalmente il ricavato per sé. Quei Caffè erano rinomati essendo il ritrovo preferito degli ufficiali austriaci. I Caffè poi provvedevano a trasformare quel latte, sia in panna per il caffè da servire, sia in gelati e sorbetti che andavano a ruba fra i numerosissimi ufficiali austriaci che frequentavano il locale. Quando poi si venne a sapere in giro della provenienza di tutto quel latte, nessuno si scandalizzò, anzi, la notizia fece aumentare notevolmente la clientela che, conoscendo la contessina, provava quasi un piacere vagamente erotico e sognante, nel gustare i gelati e la panna, fatti con quel latte!
L’amore per gli animali
Del resto il suo comportamento eccentrico era effettivamente, a volte così assurdo, da giustificare i pettegolezzi, spesso anche pesanti, sul suo conto. Amava molto gli animali in generale, gatti, scimmie, pappagalli loquaci, canarini e doveva avere sicuramente un gran debole per i suoi numerosissimi cani (ne aveva sempre almeno una dozzina). Mentre i suoi numerosi cavalli erano tutti di razza purissima, i suoi cani erano tutti dei trovatelli. Come li vedeva girovagare per strada abbandonati, se li portava a casa. Quando ne moriva uno, era un’autentica tragedia. Lei organizzava per la bestiola un funerale, proprio come per un essere umano. Fatta fare una bara ad hoc con tanto di drappo e fiori, organizzava una cerimonia funebre a tutti gli effetti nel suo giardino, in un angolo del quale era prevista la sepoltura. Invitava un centinaio di amici con cani, a presenziare alla cerimonia. Davanti a tutti si muoveva la bara portata a mano dai servitori, seguita dagli altri suoi cani rigorosamente bardati a lutto, quindi dal corteo degli umani (Giulia e tutti i suoi amici con cani, tutti ovviamente con abito di circostanza) faceva il giro dell’intero giardino, fino a giungere al luogo dell’ultimo riposo.
Quella festa indimenticabile
Giulia Samoyloff amava indubbiamente la bella vita, ma a lungo andare, per un comune mortale, anche quella finisce con lo stufare: lei no, era instancabile. Mai nulla le sembrava esagerato. Dilapidava intere fortune per i balli e ricevimenti sfarzosi che faceva a casa sua.
Eccessiva in tutto, amava sopra ogni altra cosa, stupire, sbalordire, impressionare, far parlare di sé: quel 9 maggio del 1832 ad esempio, l’allora ventinovenne nobildonna organizzò una festicciola per pochi amici intimi …. solo un migliaio di invitati! A parte il numero di ospiti, quella festa durò solo …. tre giorni e tre notti! Oltre naturalmente, pranzo, cena e colazione per tutti! A detta di tutti, pare, che questo fosse il ricevimento più sfarzoso mai fatto a memoria d’uomo. Fu un evento talmente memorabile da trovarne traccia infatti nella cronologia della Storia di Milano! Il suo giardino, evidentemente, allora molto grande, era stato allestito in modo tale da creare tanti piccoli separé intimi e riservati e studiato in modo da avere, oltre a varie piste da ballo immerse nel verde, labirinti di siepi, cascate di fiori, orchestre che suonavano nascoste tra il verde del fogliame, anche un teatrino che proponeva spettacoli senza sosta, giorno e notte. Cose queste mai viste prima in città, e quel palazzo e il suo giardino furono menzionati e ricordati come uno dei luoghi più rinomati e chiacchierati della mondanità milanese di quegli anni. La cosa fu talmente eclatante, che ne parlarono diffusamente, sia la stampa locale (la Gazzetta di Milano), che nazionale.
“C’est une barbarité”
L’eco di questi festeggiamenti e dell’ assurdo spreco di danaro per realizzarli, arrivò, via stampa, ovunque in Europa, persino nella lontana Russia, a Palazzo d’Inverno (residenza invernale degli zar) a San Pietroburgo. Come ne venne a conoscenza, la notiziaa venne presa molto male dallo zar Nicola, al punto da indurlo a emettere un decreto per la sua interdizione che le proibisse cioè di contrarre debiti (richiedendo ulteriori prestiti) e affidando i suoi beni in amministrazione ad una banca milanese.
Informata di questa decisione dello zar direttamente dalla Banca, “c’est une barbarité” era stato il commento dell’interessata, costernata nel venire a conoscenza di essere improvvisamente finita sotto tutela!
Se questa mossa dell’ex-amante la mise indubbiamente al riparo dalla bancarotta totale, certamente per lei fu un durissimo colpo. Passato lo sgomento iniziale non pensò minimamente a modificare le sue abitudini, s’industriò invece alla ricerca di nuove forme di finanziamento, o sposando qualche altro riccastro o in extremis ricorrendo ai prestiti degli usurai … Gli strozzini con lei, andarono a nozze!
Ndr. – Le notizie in proposito, sono molto scarse per non dire addirittura nulle. Risulterebbe comunque un matrimonio dichiarato di Giulia con un non meglio specificato Marietti, probabilmente lo stesso banchiere che al suo arrivo a Milano, le aveva affittato il palazzo per qualche mese, prima di venderglielo. La cosa troverebbe fondamento nel fatto che lei soggiornò diverse estati a villa Amalia ad Erba (ove c’era un salotto letterario con la presenza di letterati tipo Ugo Foscolo, Vincenzo Monti, Stendhal, Carlo Porta ecc). Inizialmente la villa era stata di proprietà dei conti Marliani, successivamente dei Marietti. Intorno al 1835, la banca del Marietti fallì e poco dopo, lui si suicidò. Sono supposizioni, comunque la coincidenza dei tempi appare singolare e non è escluso che la causa del dissesto sia stata causata proprio dalla contessa russa!
E’ indubbio che il provvedimento dispotico dello zar nei suoi confronti, più che a volerla proteggere dalla totale bancarotta (cosa che poteva benissimo anche non riguardarlo), era teso a voler salvare l’immagine della Russia (non voleva cioè che la condotta dissennata di Giulia potesse dare all’estero un’immagine distorta delle frivolezze della Corte russa.
Risulta evidente che pure il conte Giulio Renato Litta, che all’epoca era al servizio dello Zar Nicola venne a conoscenza dei guai finanziari della nipote e dei conseguenti provvedimenti restrittivi presi nei suoi confronti. E fu questo, sicuramente, il motivo per cui decise, nel suo testamento, di devolverle annualmente quella rendita di centomila lire. Prima che la cosa potesse comunque diventare realmente esecutiva, sarebbero comunque passati alcuni anni dalla morte del Litta avvenuta “appena” nel 1839. Data l’attuale situazione, questo danaro piovuto dal cielo, sarebbe stato per lei non un di più, bensì una necessità assoluta!
Una donna chiacchierata
Era stravagante e indubbiamente eccentrica: per distinguersi dalla normalità e farsi maggiormente notare, si presentava spesso agli appuntamenti con un tiro a sei cavalli di razza russa sconosciuta in Italia. Anche quando andava a passeggio amava attirare gli sguardi ammirati della gente mettendosi in vetrina sulle sue magnifiche carrozze.
Nonostante la sua rigida educazione, era molto facile alle amicizie, manifestando un carattere decisamente aperto, esuberante, spesso pure focoso. Tanto apprezzata per le sue doti fisiche dal pubblico maschile, quanto mal vista dalle dame benpensanti dell’alta aristocrazia milanese che, gelose delle sue innumerevoli avventure galanti, non mancavano occasione per infangarla, attribuendole fama di donna dai facili costumi.
I suoi amori
Soggetto spumeggiante, con tanta fame di vita e assetata di emozioni, non riusciva ad avere una relazione che potesse essere stabile nel tempo. I suoi amori erano spesso dei “fuochi di paglia”. Le sue frequentazioni passionali, qualche volta interessate, erano quasi sempre altolocate: i suoi amanti, scelti prevalentemente fra nobili, musicisti o artisti. Contarli tutti, sembra davvero un’impresa impossibile.
Ebbe ad esempio una travolgente, appassionata breve storia con Vincenzo Bellini che, nel giro di poco, venne sostituito dall’altro compositore catanese Giovanni Pacini, figlio del più celebre Luigi Pacini, tenore e musicista. Non era tip da tirar fuori gli artigli, eppure quella volta accadde: doveva averle fatto qualche serio sgarbo Vincenzo Bellini se, mentre lei si era messa col suo rivale Pacini, per favorire l’ascesa di quest’ultimo, non esitò a ingaggiare una claque che mandò alla Scala a fischiare sonoramente la prima della “Norma” del suo ex-amante.
Anche sulla stessa morte del Bellini, poco dopo che lei lo aveva lasciato, sorsero dei dubbi che gettarono ombre lunghe sulla contessa. L’autopsia eseguita sul corpo del trentaquattrenne musicista rivelò la presenza di tracce di mercurio e si sospettò che la responsabilità potesse proprio essere di Giulia Samoyloff.
Una Giulia presunta “serial killer”, visto che su di lei pendeva non solo il sospetto che avesse avvelenato Bellini per favorire il nuovo amante, ma precedentemente anche il conte Samoyloff , il suo primo marito, morto prematuramente in circostanze strane e più recentemente un secondo marito ancora, il baritono Pery, morto a pochi giorni dal matrimonio, inspiegabilmente per una indigestione di frutta, cosa quest’ultima che permise a qualche buontempone milanese di coniare e far girare per Milano il famoso detto “Pery perì per i peri”!
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Tornando agli amori, fu affettuosamente legata al giornalista scrittore Gian Jacopo Pezzi. Altro suo amante il pittore russo Karl Pavlovič Brjullov, amico di Giovanni Pacini. Pare che per un certo periodo, fosse l’amante “interessata” del conte Francesco Hartig, governatore del Lombardo-Veneto, “interesse” che si dirottò poi sul nuovo governatore Johann Baptist conte di Spaur subentrato dopo di lui, quasi a garanzia del bisogno di protezione della donna. Non erano certo gli unici spasimanti questi: nel suo “palmarès” c’era anche un generale austriaco nella persona di Karl Ludwig von Ficquelmont, capo del consiglio di guerra aulico dell’Impero, cosa questa che turbò non poco i sonni tranquilli dei milanesi che, mal sopportando gli occupanti, cominciarono a tenerla più alla larga a causa delle sue presunte tendenze filo-austriache, e i troppo frequenti abboccamenti col “nemico”.
Non potendo avere figli suoi, Giulia adottò Giovannina ed Amacilia, le due bambine del suo amante Giovanni Pacini rimasto vedovo con due figlie, prima ancora di conoscerla. Anche dopo che si lasciarono e lui si risposò con un’altra donna, rimasero intimi per anni.
Rapporto con gli austriaci
Le piaceva poi convocare in casa sua il fior fiore degli ufficiali austriaci esigendo da loro il massimo decoro: le divise bianche dovevano essere sempre splendenti senza neanche una piccola macchiolina o una piega fuori posto.
La Samoyloff cominciò a pensare di abbandonare Milano dopo aver assistito alle prime avvisaglie dei moti per l’indipendenza del 1848, e aver dovuto subire, più di una volta, l’affronto di vedere i suoi balli disertati dai più noti liberali di quel periodo. I tempi erano decisamente cambiati. Il livore nei suoi confronti, giustificato dalla continuità dei suoi rapporti con l’alto comando militare, crebbe tanto da essere bollata anche come “spia” della polizia austriaca. Il timore che lo fosse effettivamente era dettato anche dalla recrudescenza dei rapporti con l’occupante e gli scioperi provocatori preludio della tempesta in arrivo (marzo 1848). Non era assolutamente una spia, tanto è vero che proprio nei giorni “caldi” del 1848, ospitò nella sua casa, anche se per poco, una patriota, Cristina Trivulzio di Belgioioso che assieme al giovane principe suo sposo Emilio Barbiano di Belgioioso, Giulia aveva conosciuto, vent’anni prima, appena arrivata a Milano al famoso “Ballo del Romanticismo”, di Porta Orientale.
Cristina di Belgioioso, contrariamente alla contessa russa politicamente così conservatrice, era giunta quei giorni da Napoli a Milano, con un pugno di seguaci, per partecipare in prima persona ai moti rivoluzionari.
Nel 1852, Giulia diede disposizione ai suoi tutori perchè il suo palazzo di via Borgonovo 20 venisse messo in vendita. L’edificio venne subito acquistato da Gaetano Perego e sua moglie, la contessa Maria Durini, che però non andarono subito ad abitarci. Infatti Giulia Samoyloff lasciò quella casa e Milano appena nel 1855.
Ndr. – Il palazzo passò poi al conte Giulio Venino come dote della figlia di Perego, Giuseppina. Infine, passò ai Besozzi di Castelbesozzo. Dalla fine degli anni ’40 del secolo scorso l’edificio appartiene alla Italmobiliare.
Lei si trasferì in Francia, facendo la spola fra Parigi e la Costa Azzurra, instancabile viaggiatrice sempre alla ricerca di feste, balli e ricevimenti e a perenne caccia di nuove esperienze anche sentimentali.
La morte
Aveva 72 anni quando Giulia Samoyloff morì a Parigi nel 1875, dopo una vita vissuta in maniera così intensa e avventurosa. Lasciò nel testamento quel che avanzava di tutte le sue sostanze, all’ultimo dei suoi amanti francesi, tale Ferdinand Bouljarel, un medico di Tolone.
Ultimo tocco di vanità femminile anche in punto di morte: dopo aver dedicato tutta la sua vita a farsi bella e piacente per gli altri, non voleva sfigurare proprio ora davanti a quanti sarebbero venuti a porgerle l’ultimo saluto. Doveva essere perfetta. Prima di chiudere gli occhi per sempre, pregò la sua cameriera personale di metterle un po’ di polvere di carbone mista a vasellina sulle ciglia e sopracciglia perché non si vedesse che erano incanutite! Era quello, il primo mascara allungante di Eugène Rimmel, l’ultimo ritrovato della profumeria di quegli anni (1860).
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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