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Anselmo da Baggio (papa) – 2a parte

| Gianni Zacevini |

Premessa

Per la lettura della prima parte di quest’articolo, cliccare sul seguente link:
Anselmo da Baggio (papa) – 1a parte

L’elezione di Anselmo a Papa

Il pontificato di Niccolò II fu di breve durata, appena trenta mesi in tutto, sufficienti comunque, a dare uno scossone significativo alle istituzioni ecclesiastiche, mediante l’applicazione di una serie di importanti riforme. La cosa, naturalmente, non fu bene accolta soprattutto da chi, sentendosi ‘toccato in prima persona’, vedeva, in tali riforme, l’eliminazione di privilegi arbitrariamente acquisiti. Quindi, sia fra la nobiltà romana, che nelle alte sfere della Curia milanese, serpeggiava un diffuso malcontento nei confronti della corrente riformista della Chiesa.

La morte di papa Niccolò II, il 27 luglio 1061, naturalmente accolta con enorme sollievo da tutti costoro, dava loro la speranza di avere maggiore influenza sulla scelta di un nuovo pontefice antiriformista, in modo che la politica di quest’ultimo, meno intransigente sui costumi (soprattutto simonia e nicolaismo), ledesse meno i loro interessi. A Roma, scoppiarono gravi disordini: così facendo, gli avversari del partito riformatore di Ildebrando di Soana, si proponevano di impedire che la successione al soglio pontificio, avvenisse secondo le regole sancite dai decreti del 1059, emessi dal defunto pontefice.

Delegazione romana in Germania

In una loro assemblea, gli oppositori alle riforme, decisero d’inviare una delegazione di nobili romani all’allora undicenne re Enrico IV di Franconia, che, in nome del popolo dell’Urbe, gli conferisse il titolo di “patriziato” e, con esso, il diritto di designazione del nuovo papa. Dopo lunghe incertezze, la corte germanica accettò le proposte della fazione antiriformista romana, grazie anche alle pressioni esercitate da alcuni vescovi tedeschi, dai grandi di Germania, e dai maneggi di alcuni lombardi, fra cui il cancelliere del Regno, Guiberto Giberti, e l’ex-vescovo di Naumburg Pietro Cadalo.

Delegazione lombarda alla corte imperiale

Anche una nutrita delegazione di vescovi lombardi, in visita a Goslar (residenza della corte imperiale in Germania), si era rivolta all’imperatrice Agnese di Poitou per chiederle di nominare un pontefice di suo gradimento, purché antiriformista, cioè contrario alla riforma gregoriana, che aveva creato tanta agitazione e malcontento, nel clero ambrosiano.

Ndr. – il pacchetto di riforme proposte da Ildebrando da Soana passa spesso col nome di riforma gregoriana, perché, alla morte di Alessandro II, nel 1073, Ildebrando prenderà il suo posto come papa, col nome di Gregorio VII.

Questa convergenza d’intenti fra i gruppi di potere romani e la corte germanica, aveva motivazioni ed interessi differenti. Tutto prendeva spunto, naturalmente, dal decreto per l’elezione del papa, tanto discusso ed osteggiato. Approvato dal concilio lateranense del 1059, esso riservava ai soli vescovi cardinali, la scelta del nuovo pontefice: già il consenso del clero figurava solo come una formalità, per non dire poi quello del popolo, che si riduceva ad un semplice ‘plauso‘, chiunque fosse l’eletto!
Gli oppositori, naturalmente, lamentavano che, nel decreto, fossero stati del tutto ignorati, i secolari diritti che, su quella nomina, poteva vantare il sovrano tedesco investito del titolo di “patriziato”, o quelli della nobiltà cittadina che, sino ad allora, aveva sempre avuto peso significativo nella scelta del pontefice; risentimenti e preoccupazioni condivise soprattutto, per il peso sempre maggiore, che andava acquistando, in seno alla Chiesa di Roma, l’arcidiacono Ildebrando di Soana e quanti, assieme a lui, aspiravano ad una elezione papale libera da condizionamenti laici e secolari. Non ultimi infine, i timori di fronte alla emergente potenza dei Normanni che, approfittando del loro appoggio ai fautori delle riforme, stavano conducendo una politica pericolosamente espansionistica, mirata alla conquista della campagna romana.

Un’elezione contrastata

Quando, un paio d’anni prima, morto papa Stefano IX, la nobiltà romana aveva eletto, quale suo successore, l’antipapa Benedetto X, i cardinali vescovi italiani riformatori, per essersi opposti alla sua nomina, a seguito dei disordini scoppiati in città, erano dovuti fuggire dall’Urbe. Memori di ciò, questa volta, a scanso di equivoci, dopo la morte di Niccolò II, sotto la protezione di un contingente armato del normanno Riccardo (principe di Capua, e conte di Aversa), offerto loro dall’abate di Montecassino, si erano riuniti direttamente fuori dalle mura della città leonina, per concordare il loro nominativo di papa riformatore da eleggere.
Era il 30 settembre 1061: forti dell’autorità conferita loro dalla bolla ‘In nomine Domini‘ del pontefice defunto, con l’appoggio dell’arcidiacono Ildebrando di Soana, si accordarono sul nome del vescovo da eleggere. Era Anselmo da Baggio, il vescovo di Lucca.
Non essendo più necessario come prima, richiedere alla corte imperiale, la preventiva approvazione del nominativo prescelto, il giorno seguente, il 1° ottobre 1061, scortati sempre dal contingente normanno, i cardinali entrarono nella città leonina e, in San Giovanni in Laterano, consacrarono ufficialmente Anselmo da Baggio come nuovo papa, con il nome di Alessandro II.

NOTA
Alessandro II, al secolo Anselmo da Baggio (156° papa della Chiesa cattolica), è il primo pontefice ad essere stato eletto unicamente da cardinali vescovi, senza ingerenze laicali.

Ad incoronazione avvenuta, una volta ufficialmente insediato, per correttezza istituzionale, ci si preoccupò di trasmettere la nuova nomina alle Cancellerie europee e quindi anche alla corte imperiale germanica.

La settimana successiva, il 7 ottobre, il conte Riccardo pronunziò solenne giuramento di fedeltà al papa, impegnandosi a far rispettare il decreto di nomina ed elezione del pontefice, così come voluto da Niccolò II.

I primi anni di pontificato di Alessandro II

Già fin dalle prime reazioni al suo insediamento, non si può proprio dire che il suo pontificato iniziò sotto i migliori auspici:

  • A Milano, ebbe subito modo di saggiare l’umore del clero lombardo nei suoi confronti: pessimo!
    Una volta incoronato, Anselmo da Baggio, aveva ritenuto doveroso, oltre che giusto, informare della sua nuova nomina a papa, il popolo della sua città natale, sicuro motivo di orgoglio e gioia per tutti. Aveva pertanto scritto subito una lettera ai suoi concittadini, in cui, impartendo, da buon pastore, la sua apostolica benedizione, confidava nel maggiore rigore morale del clero ambrosiano e nella riappacificazione del popolo che, da alcuni anni, sapeva essere insorto per combattere l’amoralità dei preti della diocesi. Frasi queste, più che opportune, visto che la ribellione dei concittadini, tradotta nel movimento della pataria, nato per contrastare la simonia (vendita di cariche ecclesiastiche) e il nicolaismo (concubinato del clero), particolarmente rilevanti fra le alte sfere del corpo ecclesiastico, era sfociata addirittura in guerra civile.
    Agli alti prelati milanesi, in gran parte simoniaci, questa lettera pastorale non piacque affatto e dovette suonare probabilmente come una provocazione, per cui il clero ambrosiano corrotto, fin da subito, si schierò in blocco contro questa sua nuova elezione.
  • Non fu molto diversa la reazione alla sua nomina, alla corte imperiale germanica a Goslar, essendo questa, venuta a conoscenza della sua elezione, a cose già fatte. Allora, si sa, le notizie venivano trasmesse con messaggeri a cavallo, e da Roma a Goslar, ci volevano giorni perché arrivassero a destinazione.
    Le sollecitazioni all’elezione di un nuovo pontefice che, verso fine settembre, erano pervenute all’imperatrice-reggente, durante la visita sia della delegazione del clero lombardo, che di quella della nobiltà romana, entrambe ignare che, in quegli stessi giorni, si stava eleggendo a Roma il nuovo papa, diedero ad Agnese la spinta per sollecitare, con urgenza, la convocazione di un concilio a Basilea, per risolvere la questione.

    La notizia della consacrazione del nuovo pontefice milanese arrivò a corte, solo dopo che era già stata inviata ai destinatari la convocazione al concilio richiesto dall’imperatrice. Naturalmente, quando la notizia arrivò alle orecchie di Agnese, così, a cose fatte, senza nemmeno il suo beneplacito, non fu bene accolta, essendo interpretata come un indebito scavalcamento delle prerogative imperiali e quindi, un disconoscimento del suo potere, nei confronti del Papato. Lei, fra l’altro, essendosi ben guardata dall’accettare il famoso Decretum in electione papae di Niccolò II, si rifiutò di riconoscere come valida l’elezione di questo nuovo pontefice fatta così, solo dal clero e senza una supervisione dell’Impero.

Il concilio di Basilea (28 ottobre 1061)

Papa Alessandro II, al secolo Anselmo da Baggio

Il concilio convocato a Basilea, si aprì il 28 ottobre 1061, sotto la direzione dell’imperatrice-reggente, a nemmeno un mese di distanza dalla consacrazione a papa di Alessandro II. I padri convenuti, come prevedibile, rifiutarono il riconoscimento del papa appena eletto a Roma, perché, a loro dire, troppo compromesso con il marchese di Toscana e soprattutto con i Normanni.
[ Ndr. – Il marchese di Toscana era Goffredo di Lorena, un tedesco, spesso in attrito col potere centrale ].
Alla fine di quella giornata, dopo ampia discussione, venne candidato papa il vescovo di Parma, Pietro Cadalo, un moderato, capace, da 29 anni al governo della sua Diocesi. Votarono a suo favore, alcuni vescovi tedeschi e tutto l’episcopato lombardo presente.  Soggetto di consumata esperienza, era già conosciuto a corte, essendo stato per anni, cancelliere dell’Impero, ai tempi di Enrico III. Contemporaneamente all’elezione di Cadalo, Alessandro II venne dichiarato pontefice illegittimo e quindi deposto. Dichiarazioni queste, che non avrebbero avuto grosso seguito, poiché l’imperatrice comprese subito che, considerata la scarsa presenza di votanti a quell’elezione, sarebbe stato difficile per lei, ottenere dal suo Impero, l’appoggio necessario per imporre a tutti questo suo candidato conservatore. Pertanto, non si volle esporre troppo nell’appoggiare il nuovo eletto, perché, il tentare di farlo, avrebbe significato non solo, dare un colpo di grazia alla politica di riforme inaugurata da Enrico III, ma pure, creare probabilmente, uno scisma in seno alla Chiesa. Pietro Cadalo comunque, forte del sostegno della corte germanica, accettò di buon grado, il soglio pontificio offertogli.

La consacrazione di Cadalo a papa Onorio II

Mentre Cadalo, intanto, era ritornato a Parma con la nomina a papa in tasca, all’inizio del 1062, Agnese provvide ad inviare a Roma il vescovo di Alba, Benzone, perché prendesse contatti con la nobiltà cittadina, per poter organizzare col suo supporto, l’ingresso in Vaticano del vescovo di Parma per la sua ufficiale consacrazione a papa, col nome di Onorio II.
Così, il 25 marzo 1062, Pietro Cadalo, sceso da Parma con le sue truppe, si incontrò finalmente a Sutri col vescovo Benzone e con gli esponenti della nobiltà romana. A Roma però, era già insediato dall’ottobre dell’anno precedente, papa Alessandro II. Lo scontro armato con le truppe di Cadalo era nell’aria ed infatti avvenne il 14 aprile, alle porte di Roma, al “Campus Neronis”. La battaglia vide prevalere le forze dell’esercito di Cadalo, che così poté entrare in città: raggiunto il Vaticano, venne effettivamente consacrato, per poi ritirarsi nella fortezza di Castel Sant’Angelo; il suo esercito, nel frattempo, occupava tutta Roma. Militarmente sconfitto, Alessandro II, per non essere catturato, si rifugiò in un monastero sul colle Capitolino. Dal suo rifugio, comunque, riuscì a chiedere aiuto ai Normanni che, avendo battuto gli arabi, si erano ormai stabilizzati in Sicilia, mentre Benzone e Onorio II, per poter contrastare il nemico, riuscirono a garantirsi il supporto dei bizantini, a loro volta desiderosi di allearsi con l’Impero germanico per fermare il pericolo dell’invasione normanna. 

Goffredo di Lorena, arbitro fra i contendenti

Goffredo di Lorena, temuto margravio reggente di Toscana, preoccupato per i venti di guerra alle porte di casa sua, parteggiando per Alessandro II, ma temendo nel contempo l’espansione dei Normanni che proprio Alessandro aveva chiamato, il 30 maggio 1062, si presentò alle porte di Roma, alla guida del suo consistente esercito.

Ndr. – Nella dignità nobiliare germanica, margravio è un titolo d’importanza prossima a quello di duca.

Accampatosi presso il Tevere, dalle parti di Ponte Milvio, venne a conoscenza in quei giorni, di un imprevisto cambio al vertice, alla corte germanica. Approfittando pertanto del fatto che sarebbe potuto diventare lui l’unico giudice della situazione politica italiana, si erse ad arbitro fra i due contendenti, invitandoli a deporre le armi e a ritornare ognuno nella propria sede di provenienza, in attesa che la questione della legittimità delle elezioni venisse risolta ‘super partes‘, dal parlamento di Augusta (in Germania).

Cosa era successo di così eclatante, alla corte tedesca?

Il colpo di Stato di Kaiserswerth (aprile 1062)

Il giovane imperatore Enrico IV si getta dalla nave dei suoi rapitori, acquaforte di B. Rode (1781)

Fin dalla fine del 1056, anno della morte dell’imperatore Enrico III di Franconia, gli avvenimenti, in Germania, erano dominati da numerosi intrighi e strani giochi di potere. Agnese, la giovane vedova dell’imperatore, ancora troppo inesperta per ricoprire un ruolo così delicato e gravoso, era sempre combattuta fra la fedeltà alle proprie idee e quella legata agli interessi politici dell’Impero.

Nell’aprile del 1062, avvalendosi di un gruppo di principi da lui guidati, Annone II, arcivescovo di Colonia, aveva organizzato una congiura nei confronti del re Enrico IV (ancora ragazzino), di sua madre Agnese di Poitou (vedova dell’imperatore Enrico III e reggente in nome del figlio), e di Enrico II vescovo di Augusta (da Agnese nominato vice-reggente, perché pare avesse una relazione con lei). L’obiettivo principale del colpo di Stato era comunque l’estromissione di Agnese dal potere, in quanto, secondo Annone II, era una donna troppo debole e dannosa (perché inesperta), per ricoprire la carica di imperatrice-reggente di un Impero, come quello tedesco.
Annone II riuscì ad ottenere lo scopo, in maniera indiretta, , praticamente senza spargimento di sangue.
Col pretesto di far vedere al giovane re, la nuova barca ormeggiata in riva al lago, che l’arcivescovo aveva comprato per sé, organizzò, con l’aiuto di un gruppo di principi, il rapimento di Enrico, allora solo undicenne, al puro scopo di sottrarlo alla tutela materna, da lui giudicata assolutamente inadeguata. Portarono il ragazzino a Kaiserswerth (Colonia) per fargli proseguire la formazione al suo futuro ruolo d’Imperatore, assistito da insegnanti di prestigio, giudicati più adatti dei precettori ‘non altrettanto blasonati‘ che il re aveva avuto fino ad allora.
Con il rapimento di Enrico, e quindi l’esclusione dalla tutela materna, venivano meno i motivi della reggenza di Agnese, che fu, di fatto, totalmente estromessa dal potere, anche se rimase pro-forma, ancora per tre anni, al suo posto (senza più alcun ruolo attivo), fino al conseguimento della maggiore età del figlio nel 1065. L’arcivescovo di Colonia, Annone II e Adalberto, il metropolita di Brema, si spartirono il governo dello Stato, in nome e per conto del giovane re. Successivamente, abbandonata da tutti, Agnese andò a cercare conforto nell’abbazia di Fruttuaria, nel Canavese, sopra Torino, ove continuò la sua vita di clausura, fino alla sua morte, nel 1077.

Dopo che i due papi, fra loro in conflitto, furono rispediti dal duca di Lorena Goffredo detto il Barbuto, nelle rispettive diocesi, in attesa della decisione imperiale, Annone II, una volta assunto il potere, convocò un nuovo concilio ad Augusta per decidere quale dei due papi dovesse effettivamente ricoprire il soglio pontificio.

Il concilio di Augusta (27 ottobre 1062)

Il concilio riunitosi ad Augusta il 27 ottobre 1062, affrontò la questione della legittimità dell’uno e dell’altro papa. Presentatosi Pier Damiani, cardinale vescovo di Ostia, in difesa di Alessandro II, sostenne che la ritardata notifica all’imperatore dell’avvenuta elezione del nuovo pontefice, era dovuta solo alla impossibilità da parte dei vescovi di muoversi da Roma date le circostanze difficili di quei giorni; riferì che il nome di Anselmo da Baggio, già così legato a Enrico III, era stata scelto perché persona che sarebbe dovuta tornar gradita a corte;ribadì inoltre l’indipendenza della validità dell’elezione del papa, dal preventivoconsenso del re. Annone II, che conoscendo Anselmo, simpatizzava per lui, Svolta l’indagineriuscì ad imporre al consesso che il proprio nipote Burcardo II, vescovo di Halberstadt, fosse inviato a Roma per accertare di persona lo stato delle cose, consultare gli atti e relazionare di conseguenza al Parlamento il suo definitivo giudizio sulla vicenda. Dopo qualche mese, si venne a sapere che l’esito dell’indagine , pur risolvendosi a favore di Alessandro II, non gli dava automaticamente al papa l’autorizzazione a riprendersi il soglio di Pietro, almeno fino a quando il Parlamento di Augusta, preso atto del risultato dell’inchiesta, non avesse dato al legittimato, l’autorizzazione a rientrare.

Il rientro a Roma di Alessandro II

Intanto il tempo passava … il 23 marzo 1063, dopo quasi un anno di attesa, trascorso nella sua sede episcopale di Lucca, senza attendere ancora la comunicazione di conferma da parte del Parlamento di Augusta, papa Alessandro II, con l’aiuto dei Normanni, era rientrato a Roma, riprendendo il controllo della città. Cadalo, che inizialmente si era opposto a lasciare il soglio pontificio, era stato naturalmente costretto a tornarsene a Parma. Appena tornato in Vaticano, come suo primo atto Alessandro II convocò per il 20 aprile, un nuovo concilio in Laterano.

Il sinodo nel Palazzo del Laterano (20 Aprile 1063)Alessandro scomunica Onofrio

L’antipapa Onorio II, al secolo, Pietro Cadalo

Il 20 aprile, Alessandro II inaugurò, nel Palazzo Lateranense, un solenne ed affollato sinodo, durante il quale, alla presenza di più di un centinaio di vescovi, per prima cosa scomunicò Pietro Cadalo, e poi, provvide a riconfermare in toto, l’attività riformatrice della Chiesa iniziata ‘seriamente‘ col precedente pontefice.
Rinnovò tutti i decreti anti simoniaci varati da Niccolò II, fece divieto ai fedeli di assistere alle funzioni sacre celebrate da sacerdoti concubinari, proibì agli ecclesiastici di cumulare benefici e di accettare l’investitura da laici senza aver prima ottenuto il consenso dell’ordinario diocesano o del metropolita, raccomandò caldamente per il clero, la pratica della vita in comune.

Il concilio di Parma (Aprile 1063) – Onofrio scomunica Alessandro

Da parte sua, la risposta di Onorio II alla scomunica da parte di Alessandro II, non si fece attendere a lungo: convinto che la sua nomina sarebbe stata confermata ed appoggiata dalla corte tedesca, agì di conseguenza. Convocato immediatamente un suo concilio a Parma, scomunicò a sua volta Alessandro II, accusandolo di non esser stato eletto dal clero e dal popolo di Roma come lui, ma, in dispregio delle leggi canoniche, dai Normanni, nemici dell’Impero.
Cadalo non si arrese neppure alla ricezione della notifica della illegittimità della sua nomina da parte del Parlamento di Augusta, e, convinto di essere nel giusto, nel maggio 1063, con un esercito lombardo, mosse su Roma e, aiutato anche dalla nobiltà romana che parteggiava per lui, occupò nuovamente la città leonina, insediandosi poi in Castel Sant’Angelo, mentre Alessandro II si ritirava nel Palazzo del Laterano in attesa che i Normanni, arrivati in forze, facessero il loro lavoro di “bonifica dell’Urbe”. Il vescovo Benzone, amico di Onorio II, cercò disperatamente aiuto presso la corte germanica, ma la sorte di Cadalo sembrava non interessare più a nessuno. I tempi erano cambiati: l’imperatrice Agnese, sua protettrice, era stata estromessa dal potere, e anche il cancelliere regio Guiberto, partigiano di Cadalo, era appena stato sostituito dal vescovo di Vercelli, Gregorio, che aveva iniziato ad avvicinarsi al partito riformatore di Ildebrando di Soana e di Alessandro II.

Le cose volgevano ormai chiaramente a favore di papa Alessandro II, quando, un intempestivo intervento di Pier Damiani, vescovo di Ostia, rimise tutto in discussione, un’ennesima volta. Inviato come legato pontificio in Francia, nell’estate del 1063, Pier Damiani scrisse, di propria iniziativa, all’insaputa della Curia romana, una lettera all’arcivescovo Annone II, invitandolo a convocare un concilio, per porre definitivamente fine alle contestazioni mosse all’elezione di Alessandro II che non gli consentivano di svolgere proficuamente il suo lavoro. Questa iniziativa, non preventivamente concordata con la Curia romana, accolta con grave disappunto dal papa, suscitò persino lo sdegno dell’arcidiacono Ildebrando, perché nuovamente si rimetteva la decisione sulla legittimità dell’elezione pontificia, all’iniziativa della corte regia, e all’arbitrio di un concilio convocato dal sovrano. Verso la fine del 1063, Cadalo era ancora asserragliato in Castel Sant’Angelo, quasi prigioniero del suo protettore Cencio (famiglia nobile romana proprietaria del Castello).

Il concilio di Mantova (31 maggio 1064 – Pentecoste)

Accogliendo la richiesta di Pier Damiani, nel Natale 1063, Annone II, in nome del re dei Romani, Enrico IV, convocò per la Pentecoste dell’anno seguente (31 maggio 1064) un nuovo concilio, questa volta a Mantova, allo scopo di chiudere una volta per tutte la questione riguardante i due papi, sancendo definitivamente la titolarità di colui che era legittimato a ricoprire la cattedra romana.

Il processo

Costituito da vescovi tedeschi ed italiani (tra questi anche l’arcivescovo di Milano, Guido da Velate), in buona parte ostili ad Alessandro II, il sinodo presieduto dall’arcivescovo di Colonia (Annone II), si rivelò in realtà un processo ad personam in piena regola contro Anselmo da Baggio, con momenti addirittura drammatici, visto che anche lui era lì, presente in prima persona. Alle accuse rivoltegli di simonia e di sudditanza nei confronti dei Normanni, Anselmo da Baggio rispose che si discolpava, sua sponte, perché il pontefice non era tenuto a giustificarsi davanti a nessuno, se non a Dio. Disse di essere stato eletto contro la sua volontà da chi aveva il diritto di farlo. Alla fine di quella giornata, lo scagionarono completamente da tutte le infamanti accuse , che, per cercare di screditarlo, gli avevano rivolto. Accolse persino il riconoscimento di Guido da Velate (che, dietro pressione patarinica, aveva, alla fine, votato in suo favore). Ad Onorio II, che era arrivato pure lui a Mantova, venne addirittura vietato partecipare al concilio, rimanendo accampato con il suo esercito, alle porte della città, presso Acquanegra, per l’intera giornata.

A titolo di ringraziamento per il sostegno ricevuto dai patarini durante il processo, Alessandro II consegnerà ad Erlembardo (capo patarino), il gonfalone di San Pietro, quasi a voler stabilire con la pataria milanese, un vincolo di vassallaggio spirituale; in pratica, il capo patarino, giurando fedeltà e obbedienza al papa, realizzava una sorta di trasposizione di rapporti feudali, sul piano religioso: essendo un laico, era autorizzato ad  esercitare coercizioni fisiche sui nemici della Chiesa. Nel 1065, era già a Roma, ad informare il papa dell’indegna condotta di Guido da Velate, impenitente spergiuro; tanto fece, che, nel 1066, riuscì a tornare a Milano con le bolle della scomunica del papa contro Guido, seguito dall’infausta  apparizione della luminosa cometa di Halley.

Alessandro II confermato papa, Onorio II, antipapa

Il sinodo, riconosciuta la legittimità di Alessandro II, lo accettò definitivamente come papa, e da allora comunque, la sua posizione, come pontefice, non venne più minacciata. Nel medesimo concilio venne sancita la scomunica di Onorio II, che così, da quel momento, relegato nella sua sede di Parma, diventò ufficialmente il secondo antipapa di quel secolo.

Onorio II, antipapa ribelle

Da parte sua, Onorio II non accetterà mai il verdetto di Mantova, continuando a considerarsi papa eletto. Rimase a Parma, isolato, regnando come antipapa, fino alla sua morte nel 1072.
Una sola volta, a quanto pare, il giovane imperatore Enrico IV, gli fece l’omaggio di una rappresentanza diplomatica. Accadde nella quaresima del 1068, quando Enrico IV inviò in Lombardia, capeggiata dall’arcivescovo di Colonia Annone, dal vescovo di Trento, Enrico e dal duca di Baviera, Ottone, un’ambasceria che prese contatto con Cadalo. Ai colloqui partecipò anche il duca Goffredo di Lorena. Fu grande lo sdegno di Alessandro II, per questi contatti con lo scomunicato antipapa. Nel sinodo pasquale, tenuto poco dopo, Annone ed Enrico furono scomunicati e quindi riconciliati, solo dopo aver fatto pubblica penitenza.

Ndr. – La scomunica (dal latino tardo excomunicare, «escludere dalla comunità dei fedeli») è la punizione destinata a un cattolico che abbia peccato gravemente sul piano morale o su quello della fede. Comporta l’esclusione dal diritto di ricevere o amministrare i sacramenti e, quindi, dalla comunità dei fedeli (cioè la Chiesa).
Nel Medioevo, la scomunica divenne uno strumento di potere. Spesso i pontefici la usarono contro imperatori e nemici politici per indebolirne l’autorità. Se, infatti, un imperatore o un re era scomunicato, i sudditi erano automaticamente esonerati dall’obbligo di obbedirgli.

Il pontificato

Rapporti con l’Impero

ENRICO IV (QUINDICENNE), LEGALMENTE MAGGIORENNE
Alla fine di marzo 1065, aveva solo quindici anni, Enrico IV ricevette la spada, come segno di maturità legale e capacità di agire politicamente. Goffredo il Barbuto, rivale di vecchia data di suo padre, fungendo da portatore dello scudo del giovane re, gli promise, attraverso questo atto dimostrativo, sottomissione e lealtà.
Probabilmente a causa del rapimento subito anni prima e il conseguente forzato allontanamento da sua madre, fra Enrico e l’arcivescovo Annone (suo precettore), non correva buon sangue. Quanto fosse teso il rapporto fra i due, divenne evidente subito dopo aver ricevuto la spada: secondo alcune fonti, tendenzialmente ignorate dagli storici, appena finita la cerimonia, il giovane re, soggetto decisamente intemperante, si lanciò contro l’arcivescovo di Colonia, sguainando la spada. Solo sua madre, accorsa in tempo a fermarlo, riuscì a malapena a trattenerlo, dal compiere atti inconsulti.

Berta di Savoia

L’anno successivo (1066), Enrico IV contrasse matrimonio con Berta di Savoia (quindicenne) promessa a lui in sposa fin dall’età di 4 anni. L’idillio fra gli sposini non durò moltissimo; già tre anni dopo le nozze, nel 1069, per poter dare libero sfogo alla sua dissolutezza sessuale e morale, lui cercò di separarsi dalla mogliei. Allora non c’era il divorzio: solo il papa avrebbe potuto sciogliere quell’unione. Per farlo, e motivare a ragione la sua richiesta, si comportò con Berta, in modo decisamente subdolo. A quanto racconta su di lui lo storico Bruno di Merseburgo, il re, per giustificare la sua volontà di separazione, istigò un bel giovane a sedurre l’imperatrice per indurla a commettere adulterio. La regina però, diciottenne sveglia e di carattere, si accorse dell’intrigo e scoprì pure che il marito avrebbe anche voluto godersi lo spettacolo per infangarla, e avere così giustificato motivo di separazione da lei. Non solo non cedette alle lusinghe dell’estraneo, ma si vendicò col marito ordinando ai suoi servitori di farlo bastonare così tanto, da obbligarlo a letto dolorante per un intero mese. Nell’incontro a Worms, convocato nel 1069, per dichiarare pubblicamente la sua volontà di separazione, pur convenendo che Berta non lo aveva tradito, Enrico dovette ammettere il suo scarso interesse per la moglie. Fece pertanto in quell’occasione, richiesta al pontefice perché sciogliesse il suo legame matrimoniale. Un incontro col papa, previsto a Francoforte, nell’ottobre 1069, avrebbe chiarito la questione. Alessandro II, non si presentò di persona, ma gli inviò come suo legato, Pier Damiani, noto per la sua intransigenza. Questi, udite le sue motivazioni, minacciò il re, che, qualora avesse insistito nei suoi propositi di separarsi dalla moglie, non solo si sarebbe preso la scomunica, ma si sarebbe anche giocato l’incoronazione imperiale. Di fronte a simili fosche prospettive, ad Enrico IV non rimase che soprassedere, almeno sino alla nomina del nuovo papa.
Per la cronaca, dopo queste premesse, pare che effettivamente desistette dai suoi propositi libertini, mettendo la testa a posto e riuscendo ad avere con sua moglie, a partire dal 1070, ben cinque figli, (tre maschi e due femmine)!

I contrasti fra il papa ed il giovane ed impulsivo Enrico IV erano comunque già sorti nel 1067, a proposito della nomina dell’arcivescovo di Milano, dopo che Guido da Velate, arcivescovo in carica, aveva deciso di abdicare. L’imperatore, allora appena diciassettenne, volle imporre come nuovo arcivescovo della città lombarda, Gotifredo da Castiglione, il segretario personale di Guido da Velate,

L’arcivescovo di Milano, Guido da Velate, entrato in carica nel 1046, alla morte di Ariberto d’Intimiano, da molti anni, era osteggiato dai patarini, che lo accusavano di simonia.
Nell’aprile 1067, il fortuito ritrovamento (nelle acque del Lago Maggiore presso la rocca arcivescovile di Angera) del corpo di Arialdo, capo spirituale della Pataria scomparso l’estate precedente, cadavere che, fra l’altro, era stato ritrovato intatto, avava convinto tutti che il mandante dell’assassinio fosse stato l’arcivescovo. Portato a Milano dai patarini, il corpo ritrovato fece scoppiare gravi disordini tra i cittadini e l’arcivescovo Guido, incolpato di aver fatto catturare e uccidere Arialdo, dovette abbandonare Milano. Fu a causa di ciò che, incapace di ristabilire l’ordine e riabilitare la propria figura, l’arcivescovo decise di uscire di scena, abdicando.

Alessandro II, dal canto suo, piccato per l’indebita ngerenza dell’imperatore negli affari ecclesiastici, incaricò Erlembaldo, di porre invece Attone, al medesimo soglio episcopale.

Ndr. – Attone era colui che, nel 1045, unitamente ad Anselmo da Baggio ed altri due, era stato prescelto dall’assemblea popolare milanese e suggerito ad Enrico III (padre dell’attuale imperatore), quale possibile candidato a ricoprire la carica di arcivescovo di Milano, al posto di Ariberto d’Intimiano defunto.

E mentre ad Attone, il papa consegnava il pallio (quale espressione della potestà, in comunione con la Chiesa di Roma), all’altro (Gotifredo da Castiglione), arrivava la scomunica, perché la sua elezione era stata ritenuta simoniaca.

Poiché, per la personalità dei protagonisti, nessuno dei due intendeva cedere, il conflitto fra papa ed imperatore Enrico IV, si protrasse per tutto il pontificato di Alessandro II, ed anche oltre la sua morte, proseguendo con il suo successore papa Gregorio VII (pontefice non meno morbido del precedente). L’imperatore, risoluto, come già suo padre, nel voler esercitare a pieno, il potere supremo, era portato ad opporsi alla politica riformatrice del Papato. Questo, in quanto tali riforme, mirando a sottrarre la Chiesa e lo stesso Papato all’ingerenza laica, colpivano, in modo gravissimo, il potere imperiale.

Riforme e controversie

Alessandro II si impegnò attivamente per rafforzare l’autorità della Chiesa, dedicando le proprie energie per promuovere le riforme ecclesiastiche, compresa l’eliminazione del matrimonio tra chierici.

Promozione della guerra santa contro gli Arabi in Spagna

Nel 1063, Alessandro II, dietro concessione dell’indulgenza plenaria ai soldati che avrebbero risposto alla sua chiamata, lanciò un appello per la riconquista della città di Barbastro (Spagna), che, fin dal 714, era in mano agli Arabi, località questa, facente parte prima del califfato di Cordova, poi della taifa di Saragozza. Agli spagnoli, guidati dal  re di Aragona, Sancho Ramirez, si unirono sia cavalieri francesi che italiani: riuscirono effettivamente a conquistare la città nel giugno 1064, per poi riperderla nuovamente, l’anno successivo.

Rapporti con Guglielmo il Conquistatore in Inghilterra

La cometa di Halley

PILLEOLE DI STORIA INGLESE DI QUEL PERIODO
lI 5 gennaio 1066, dopo un regno durato 24 anni, moriva il re d’Inghilterra, Edoardo il Confessore: fu sepolto nella cattedrale di Westminster, consacrata da appena nove giorni, il 28 dicembre 1065.
Non avendo eredi diretti pronti a succedergli, lo stesso giorno del funerale, Harold Godwinson conte di Wessex, cognato del defunto, pensò bene di farsi incoronare re, in dispregio delle nefaste profezie annunciate dall’inattesa apparizione, proprio quell’anno, della  cometa di Halley. Vi era un motivo a giustificare questa incoronazione: Edoardo il Confessore, era diventato re, nel 1042, grazie al sostegno del conte Godwin, padre di Harold Godwinson.
Harold (in seguito Aroldo) Godwinson, che, per molti anni, aveva ricoperto il ruolo di stretto consigliere del re, e si era affermato tra i principali comandanti militari delle isole britanniche, difendendole dagli attacchi vichinghi e gallesi, morto il re, s’impadronì del trono col nome di Aroldo II, ultimo sovrano inglese di stirpe anglosassone. Ma la sua reggenza fu di brevissima durata, solo pochi mesi, perché la sua autorità venne contestata dal re di Norvegia Harald III, ma soprattutto dal duca di Normandia Guglielmo II. Quest’ultimo in particolare, essendo il figlio di Roberto I il Magnifico (sesto duca di Normandia), cugino del re. era pure lui imparentato con Edoardo. Aroldo II (nel suo ruolo di consigliere del re) era perfettamente al corrente del fatto che Guglielmo, a ragione vantava diritti su quel trono. poiché, nel 1051, lui presente, il duca di Normandia aveva ricevuto da Edoardo il Confessore, la formale promessa di essere lui, alla sua morte, il suo successore al trono d’Inghilterra. Secondo le fonti normanne, quando Aroldo, nel 1064, non si sa per quale motivo, era stato in Normandia, aveva prestato giuramento di fedeltà a Guglielmo, rinunciando ad ogni pretesa di successione al trono.
L’Inghilterra dovette quindi subire due invasioni consecutive nello stesso anno (1066): la prima, condotta dai norvegesi di Harald III, venne respinta e Harald III ucciso nella battaglia di Stamford Bridge, mentre la seconda, culminata nella  battaglia di Hastings (14 ottobre 1066), vide la morte di Aroldo II e il trionfo dei normanni, che, con l’ascesa a re di Guglielmo (da allora detto il Conquistatore) dominarono l’Inghilterra nei secoli successivi.

La sconfitta e la morte di Aroldo furono determinanti per la storia dell’Inghilterra, segnando l’ascesa della dinastia normanna e il declino della civiltà anglosassone, che venne da allora lentamente assimilata da quella franco-normanna, dando nei secoli successivi vita alla cultura inglese come è oggi conosciuta.

Il papato aveva, da tempo, dei conti in sospeso con la Chiesa inglese, particolarmente con Stigand (10??-1072), l’arcivescovo di Canterbury, soggetto che, sostenuto da Aroldo Godwinson (ancora quando questi era consigliere del re), aveva usurpato quella cattedra, tanto da essere più volte scomunicato dai papi di Roma a causa del suo insistere a voler detenere più cariche insieme: nello specifico, nel 1043, divenne vescovo di Elmham, in seguito, vescovo pure di Winchester e, sotto il papato di Alessandro II, nel 1062, pure arcivescovo di Canterbury. Anche Aroldo, comunque, non pareva essere senza peccato: da indagini condotte personalmente, Ildebrando di Soana, lo aveva dipinto a fosche tinte. Pare che lui e la sua famiglia avessero presunte gravi responsabilità nell’assassinio del principe Alfredo, fratello di Edoardo il Confessore (re d’Inghilterra), senza contare poi la maniera disinvolta con cui i Godwinson si erano impadroniti di numerosi possessi ecclesiastici, nel Wessex, ed ultimo lo spergiuro di Aroldo che si era impegnato solennemente a rispettare la scelta ereditaria di Edoardo.

E’ comprensibile quindi, per quale motivo papa Alessandro II non vedesse di buon occhio Aroldo e invece parteggiasse per il normanno Guglielmo, visto che proprio lui aveva promosso in Normandia, nella Francia nord-occidentale, la fondazione di diverse abbazie riformate, rette con rigore da monaci  italiani provenienti dal Nord Italia, ecclesiastici che Anselmo da Baggio aveva avuto modo di conoscere anche personalmente, avendo loro sostenuto la sua elezione al soglio pontificio. E’ proprio in base a queste considerazioni, che Alessandro II, una volta a conoscenza della spedizione che Guglielmo aveva intenzione di fare in Inghilterra contro re Aroldo II, volle inviargli, oltre ad una preziosa reliquia consistente in un capello di S. Pietro, incastonato in un anello d’oro, lo stendardo di San Pietro, equivalente secolare del pallio, che intendeva trasformare la conquista del trono d’Inghilterra, in una sorta di guerra santa. E dopo che Guglielmo il Conquistatore prese il potere il 25 dicembre 1066, papa Alessandro II gli garantì il suo totale appoggio dietro garanzia da parte del nuovo re, di rimettere un pò di “ordine” nelle cariche episcopali inglesi.

I doni con i quali il nuovo re d’Inghilterra intese compensare il papa, non furono solo spirituali. Alessandro II ricevette da parte di Guglielmo, una gran quantità di monete d’oro e d’argento, preziosi paramenti e un vessillo strappato ad Aroldo sul campo di battaglia di Hastings, tessuto con fili d’oro e raffigurante un guerriero.

Quattro anni dopo la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore, Alessandro II gli inviò a Londra tre legati papali, per incoronarlo solennemente,(era la seconda incoronazione) cerimonia che avvenne la domenica di Pasqua (4 aprile 1070) nell’abbazia di Westminster a Londra. In un concilio convocato a Winchester quell’anno la prima domenica dopo Pasqua, con l’aiuto dei legati pontifici esperti di diritto canonico, fu affrontato il problema del riordino dell’episcopato inglese.

Cattedrale di Canterbury

Si iniziò proprio dall’arcivescovo di Canterbury Stigand, antico punto dolente, considerato fulcro della ribellione. Essendosi dimostrato infedele, fu deposto e le sue proprietà e ricchezze personali vennero confiscate dal re Guglielmo. Al suo posto, su suggerimento del papa, nominarono titolare di quella cattedra primaziale, il priore dell’abbazia di Bec, Lanfranco di Pavia, antico maestro di Alessandro II ed ex consigliere di Guglielmo. In lui il papa vide il suo più valido rappresentante in Inghilterra, arrivando a stabilire il primato del vescovo di Canterbury su tutti gli altri vescovi inglesi.

Lanfranco terrà l’episcopato di Canterbury per quasi vent’anni, fino al 1089, dimostrandosi il grande ricostruttore della cattedrale (riedificata dopo la conquista normana del 1066), l’instauratore della comunità monastica della Christ Church, con biblioteca e scriptorium.

Tentativo di sanare il grande scisma con Costantinopoli

Nel 1071, Alessandro II inviò una delegazione presso l’imperatore bizantino Michele VII. Fu la prima visita ufficiale di un legato della Santa Sede dopo il grande scisma con la Chiesa di Costantinopoli, avvenuta pochi anni prima, sotto papa Leone IX.

IL GRANDE SCISMA
Lo Scisma del 1054 nella Chiesa cristiana, è comunemente indicato come l’anno in cui papa Leone IX e il patriarca Michele I Cerulario si scomunicarono reciprocamente, formalizzando la separazione tra la Chiesa cattolica occidentale e quella ortodossa orientale. Tuttavia, lo Scisma non è stato solo un evento isolato, ma il culmine di un lungo periodo di divergenze tra le due Chiese.
Le dispute principali riguardavano l’autorità papale e l’aggiunta del “Filioque” nel Credo niceno. Il Papa reclamava autorità universale sulla Chiesa, compresi i quattro patriarcati orientali (Costantinopoli,  Alessandria, Antiochia  e Gerusalemme), mentre questi ultimi accettavano solo un primato onorario del Patriarca di Roma. Inoltre, vi erano divergenze dottrinali sul “Filioque” nel Credo, una modifica introdotta nel latino che non era accettata dalla Chiesa orientale.
Oltre a questioni dottrinali, le cause dello Scisma includevano motivazioni politiche e di giurisdizione, come le alleanze papali con i Franchi e i Normanni e le rivalità territoriali nei Balcani e nell’area slava.
Lo Scisma ha diviso la Chiesa lungo linee dottrinali, linguistiche, politiche e geografiche, e finora non si è mai rimarginato. Attualmente, la Chiesa cattolica occidentale e quella ortodossa orientale rimangono separate, sebbene entrambe continuino a rivendicare l’autenticità apostolica e l’ortodossia, sostenendo che sia stata l’altra parte a separarsi dalla Chiesa originaria.

Il testamento e la morte

Ci si potrebbe chiedere come mai Anselmo, pur da papa, continuò a mantenere anche il beneficio del vescovado di Lucca. Risulta che durante il suo papato, in qualità di vescovo di Lucca abbia continuato a frequentare la città e a consacrarvi chiese, dimostrando sempre un reale amore ed attaccamento a quella realtà In punto di morte, nel suo testamento, stabilì che il suo episcopato passasse al nipote Anselmo, monaco cluniacense, educato alla scuola di Lanfranco di Pavia. Sulle prime, una volta morto il papa, aveva rifiutato l’investitura a vescovo di Lucca poiché – da uomo nuovo – riteneva la carica non ereditaria, ma elettiva. Si sarebbe ricreduto solo l’anno successivo, quando, il 29 settembre 1074, accettò la sua consacrazione. Non fu comunqoe, un vescovo molto popolare ed amato.

Dopo quasi dodici anni di non facile pontificato, papa Alessandro II si spense il 21 aprile 1073, all’età di circa sessant’anni, lasciando il soglio pontificio al suo amico e, per certi versi, guida, Ildebrando di Soana, soggetto di grande personalità, che, insediato al suo posto, per acclamazione, col nome di Gregorio VII, continuerà coraggiosamente la sua opera riformatrice. Papa Alessandro II fu sepolto nella basilica di San Giovanni in Laterano.

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