Arturo Toscanini
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ToggleCuriosità: Arturo Toscanini – Una vita dedicata alla musica
«È un vecchio artista italiano, turbatissimo dal suo inaspettato telegramma che si rivolge a Lei e la prega di comprendere come questa annunciata nomina a senatore a vita sia in profondo contrasto con il suo sentire e come egli sia costretto con grande rammarico a rifiutare questo onore. Schivo da ogni accaparramento di onorificenze, titoli accademici e decorazioni, desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l`ho sempre percorsa. Grato e lieto della riconoscenza espressami a nome del mio paese pronto a servirlo ancora qualunque sia l’evenienza, la prego di non voler interpretare questo mio desiderio come atto scortese o superbo, ma bensì nello spirito di semplicità e modestia che lo ispira… accolga il mio deferente saluto e rispettoso omaggio»
E’ con queste parole, dirette all’allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che, il 6 dicembre 1949, Arturo Toscanini, da New York, rinunciava alla nomina di senatore a vita, nomina per alti meriti artistici conferitagli il giorno prima, e comunicatagli via telegramma, dall’Italia.
Questo è uno dei numerosi esempi, del temperamento ‘non facile’ ed impulsivo, del più grande direttore d’orchestra italiano di tutti i tempi. Una vera leggenda!
A fianco dei grandi compositori, sotto la sua bacchetta, tanti grandissimi interpreti, formarono dei cast insuperabili. Tra i maggiori nomi: Aureliano Pertile, Lotte Lehmann, Enrico Caruso, Renata Tebaldi, Toti dal Monte, Claudia Muzio, Rosetta Pampanini, Titta Ruffo, Tito Schipa, e tanti altri grandi cantanti: un firmamento che raccoglie i più grandi interpreti del teatro d’opera della prima metà del Novecento.
Arturo Toscanini biografia
Arturo nacque a Parma, il 25 marzo del 1867, primo di quattro figli di una coppia di sarti Claudio Toscanini, e Paola Montani; il padre, ex garibaldino, grande appassionato di arie d’opera udite al Regio, trasmise questa sua passione al piccolo Arturo.
Fu la sua maestra Vernoni, ad accorgersi del talento del piccolo, e, convinta già da allora che lui avrebbe fatto strada, gli diede gratuitamente le prime lezioni di solfeggio e pianoforte. Il bimbo dimostrò fin da subito una bravura e una memoria eccezionale: al punto che la sua maestra suggerì ai genitori d’iscriverlo alla Regia Scuola di Musica, il futuro Conservatorio di Parma.
Arturo vi entrò all’età di nove anni, vincendo una borsa di studio in violoncello e composizione. Era solo tredicenne, quando, nel 1880, gli venne concesso, per un anno, di essere violoncellista nell’orchestra del Teatro Regio di Parma. Si diplomò nel 1885 con lode.
Nel 1886, in qualità di violoncellista e secondo maestro del coro, si unì ad una compagnia operistica, per una tournée in Sudamerica. In Brasile, il direttore d’orchestra, il locale Leopoldo Miguez, in aperto contrasto con gli orchestrali, abbandonò la compagnia dopo una sola opera (il ‘Faust’ di Charles Gounod), dichiarando pubblicamente ai giornali, che avevano criticato la sua direzione, che la colpa dell’insuccesso era unicamente imputabile all’atteggiamento ostile nei suoi confronti, da parte degli orchestrali italiani.
Il 30 giugno, la compagnia doveva rappresentare, al Teatro Lirico di Rio de Janeiro, l’Aida di Giuseppe Verdi, con un direttore sostituto, il piacentino Carlo Superti; avendo infatti preso il posto di Leopoldo Miguez, Superti venne sonoramente fischiato e contestato dal pubblico, prima ancora di aver alzato la bacchetta.
Dovette abbandonare pure lui. Nel caos più totale, Toscanini, incitato da alcuni colleghi strumentisti che già avevano notato la sua grande conoscenza dell’opera, prese la bacchetta, chiuse la partitura e incominciò a dirigere l’orchestra a memoria. Ottenne un successo strepitoso, iniziando così la carriera di direttore a soli 19 anni, involontariamente favorito da Superti. Continuò a dirigere per tutto il resto della tournée, riscuotendo successo ovunque.
Dopo varie esperienze a Torino e a Verona, la sua prima comparsa a Milano, fu al Teatro Dal Verme, il 21 maggio 1892, ove diresse la prima dei Pagliacci, di Ruggero Leoncavallo. Aveva venticinque anni!
Nel 1895, esordì come direttore al Teatro Regio di Torino, inaugurando la stagione con la ‘Bohéme’ di Giacomo Puccini. Collaborò con quel Teatro per alcune stagioni.
Nel 1897, convolò a nozze con la ventenne milanese Carla De Martini, che diverrà sua manager.
Voleva sposarsi in segreto con lei, in una villa a Conegliano Veneto, lontano da occhi indiscreti, ma trovò ad aspettarlo alla stazione, la banda del paese con tanto di sindaco in testa. Questa sarà una delle tante occasioni, in cui le sue sfuriate rimarranno celebri!
Da Carla, ebbe quattro figli: Walter (diventato storico e studioso del balletto, che sposerà la celebre prima ballerina Cia Fornaroli), Wally (protagonista di ‘Wally’ ultima opera dell’amico scomparso Alfredo Catalani e fondatrice di un’associazione per la ricostruzione del Teatro alla Scala distrutto dai bombardamenti alleati), Giorgio (che morirà di difterite a 5 anni) e Wanda (che sposerà Vladimir Horowitz, amico di famiglia.
Dirige al Teatro alla Scala
Diresse la prima messa in scena italiana delle opere del suo idolo Richard Wagner ‘Il crepuscolo degli dei’ e ‘Tristano e Isotta’. Nel giugno 1898, a soli trentuno anni, iniziò a dirigere al Teatro alla Scala.
Non fu proprio fedelissimo. “Ho baciato la mia prima ragazza e fumato la mia prima sigaretta nello stesso giorno. Da allora non ho avuto tempo per il tabacco.”, era solito raccontare agli amici.
Un bacio di troppo con il soprano Rosina Storchio, e nel 1903 si trovò padre per la quinta volta, di Giovanni Storchio (nato cerebroleso e morto sedicenne).
Toscanini divenne il direttore artistico del teatro milanese e si adoperò per riformare la rappresentazione dell’opera, creando un sistema di illuminazione scenica all’avanguardia per i tempi.
Fu lui ad ideare, nel 1907, la fossa per l’orchestra, che prima non esisteva.
Amante del perfezionismo, convinto assertore che il teatro lirico dovesse essere inteso come tempio della musica e non come luogo di svago per le esigenze del pubblico borghese, fu lui ad imporre, per primo, una rivoluzione dei costumi e rigide regole d’ascolto.
Pretese, ad esempio, che le luci in sala venissero abbassate per tutta la durata della rappresentazione in modo da obbligare tutti a concentrare l’attenzione sul palco.
Proibì l’ingresso agli spettatori ritardatari per non disturbare l’ascolto da parte dei presenti; vietò alle signore di tenere in testa il cappello ed eliminò i bis. Obbligò il pubblico a tenere un diverso comportamento durante gli spettacoli. Abituati com’erano i palchettisti, a cenare, giocare a carte o chiacchierare durante le rappresentazioni, indubbiamente, queste imposizioni provocarono malumori e non poco scompiglio fra il pubblico, dato che, storicamente, il teatro dell’opera era considerato come un luogo di svago e di ritrovo, per scambiare due chiacchiere, fra un bicchierino e l’altro. Venne tacciato di ‘campagnolo’, ma le sue regole verranno pian piano comprese, i cantanti, rivalutati e l’opera, apprezzata diversamente.
Naturalmente fu molto rigido pure con i suoi orchestrali. Quando, durante le prove, il suo finissimo orecchio percepiva qualche minima imperfezione, celebre il suo urlo “Assassini!”, rivolto all’orchestra, “Dio mi dice come la musica dovrebbe suonare, ma in mezzo ci siete voi!”
Ecco cosa diceva di lui Enrico Minetti (violino di spalla dell’orchestra della Scala negli anni ’20): “Stava via un paio di mesi e durante la sua assenza a noi sembrava di essere in ferie! Niente più patemi d’animo, niente ansie, nessun terrore, tutto andava liscio come l’olio, ahimè, fin troppo! Ma poi, quando tornava, ce le faceva pagare, le “vacanze”, e con gli interessi. Era capace in una settimana… di fare quattro prove generali e di andare in scena con altrettanti spettacoli. Noi, stringendo i denti e mugugnando in sordina ce la mettevamo tutta per accontentarlo e, qualche rara volta, ci si riusciva. E allora, se lo si vedeva contento, dimenticavamo i tormenti e le paure, gli insulti e le parolacce, perché anche se ci maltrattava, gli volevamo bene.”
E Toti dal Monte, parlando di lui e del baritono Galeffi (che interpretò Rigoletto alla Scala nel 1922), “A Galeffi, insegnò la scena completa del terzo atto, trasformandosi lui stesso in Rigoletto, mostrandogli ogni gesto, ogni espressione, ogni recitativo parlato, ogni angoscioso scoppio d’ira. Quali infinite sensazioni sapeva dare quell’uomo, e come sapeva sviscerare, nella musica e nelle parole, la creazione verdiana!”
Come scrisse il suo biografo Harvey Sachs: “egli credeva che una rappresentazione non potesse essere artisticamente riuscita finché non si fosse stabilita un’unità di intenti tra tutti i componenti: cantanti, orchestra, coro, messa in scena, ambientazione e costumi”.
Avendo accettato la direzione artistica al Metropolitan di New York nel 1911 si trasferì in America. Proprio durante tale esperienza, Toscanini comincerà a considerare gli Stati Uniti, come la sua seconda patria. In seguito ad una seconda storia sentimentale con il soprano Geraldine Farrar, che stava rischiando di diventare troppo seria (lei intendeva sposarlo, chiedendogli di lasciare moglie e figli), nel 1915 Toscanini si dimise da direttore d’orchestra del Metropolitan e ritornò in Italia, proprio all’inizio della prima guerra mondiale.
Politicamente coinvolto, favorevole all’interventismo, diresse dei concerti per beneficenza per allietare le truppe in prima linea. A Fiume diresse un concerto per i patrioti, incontrando l’amico Gabriele d’Annunzio che, con i suoi legionari, aveva occupato la città contesa sia dagli slavi, che dagli italiani.
Nominato “principal conductor” della New York Philharmonic Orchestra (1928-1936), nel 1930 fece una tournee in Europa col nuovo complesso.
Fu il primo direttore non tedesco al Festival di Bayreuth, tempio di Wagner, e vi si esibì gratuitamente, considerando questa nomina, un grande onore.
Ebbe anche una terza relazione, durata 7 anni (dal 1933 al 1940) con la pianista Ada Colleoni, amica delle figlie, divenuta moglie del violoncellista Enrico Mainardi; tra i due, nonostante vi fossero 30 anni di differenza, nacque un profondo legame, come risulta da una raccolta di circa 600 lettere e 300 telegrammi che il Maestro le inviò.
Di idee socialiste, dopo un’iniziale condivisione del programma fascista, se ne allontanò a causa del progressivo scivolamento a destra di Mussolini. Divenne un forte oppositore al regime, al punto da rifiutarsi di dirigere la prima di Turandot dell’amico Giacomo Puccini, qualora Mussolini fosse stato presente in sala.
Ovviamente il carattere ribelle, focoso e i suoi atteggiamenti di ostilità nei confronti del fascismo, gli si ritorsero contro … gli trattennero persino il passaporto, per qualche tempo. Fu malmenato a Bologna dove, recatosi per dirigere un concerto al Teatro Comunale, si era rifiutato di eseguire, alla presenza di vari gerarchi tra cui Costanzo Ciano, gli inni Giovinezza e Marcia Reale come introduzione allo spettacolo.
Resosi conto di non essere più gradito in Italia, si trasferì, in esilio volontario, in America, dove fondò la NBC Symphony Orchestra, che dirigerà fino al 1954. Continuerà a fare concerti in Europa, ma non in Italia, fino alla caduta del fascismo e alla fine della Seconda guerra mondiale.
Nel 1933 infranse pure i rapporti anche con la Germania nazista, rifiutando un invito personale di Adolf Hitler a presenziare a quello che sarebbe stato il suo terzo Festival di Bayreuth. Dimostrò la sua contrarietà alle leggi razziali, andando a dirigere nel 1936, il concerto inaugurale dell’Orchestra Filarmonica di Palestina a Tel Aviv (ora Orchestra Filarmonica d’Israele), che aveva accolto e dato lavoro ai musicisti ebrei europei, in fuga dal nazismo.
Fedele alle sue idee, dopo l’annessione dell’Austria da parte della Germania nazista, nel 1938, abbandonò anche il Festival di Salisburgo, nonostante fosse stato caldamente invitato a rimanere.
L’ultimo concerto
Tornò in Italia solo nel 1946, ormai settantanovenne, per dirigere lo storico concerto di riapertura del Teatro alla Scala, ricordato come il concerto della liberazione, proprio alla vigilia della votazione popolare chiamata a scegliere fra Monarchia o Repubblica.
Era l’11 maggio: quella sera il teatro si riempì fino all’inverosimile: furono suonati ouverture e brani tratti da Rossini, Händel, Verdi, Puccini e Boito.
L’allora ventiquatrenne Renata Tebaldi, definita da Toscanini “voce d’angelo”, vi esordì cantando la preghiera da Mosè in Egitto e il breve solo del Te Deum verdiano.
Diresse, ancora alla Scala, nel 1948, il concerto commemorativo di Arrigo Boito, comprendente la Nona sinfonia di Beethoven, e nel 1948 e la Messa di requiem di Verdi. Fu il suo concerto in Italia.
Sì ritirò dalla scena all’età di 87 anni, dirigendo, il 4 aprile 1954 alla Carnegie Hall di New York, un concerto (con la sua NBC Symphony Orchestra), dedicato interamente a Richard Wagner.
Proprio in occasione di quell’ultimo concerto il Maestro, celebre anche per la sua straordinaria memoria, per la prima volta, in tutta la sua lunghissima carriera (ben 68 anni), perse un momento la concentrazione e smise di battere il tempo.
Vi furono 14 secondi di silenzio assoluto, dopo i quali riprese la direzione del brano dell’opera Tannhäuser. Alla fine del concerto raggiunse rapidamente il camerino, mentre, in teatro, gli applausi scroscianti sembravano non finire più.
Arturo Toscanini morì nella sua casa di Riverdale del Bronx (New York City), il 16 gennaio 1957, colpito da una trombosi cerebrale. Portata la sua salma in Italia e arrivata a Milano, la camera ardente e il funerale furono allestiti presso il ‘suo’ Teatro alla Scala. Tutta Milano gli rese omaggio.
Riposa ora al Cimitero Monumentale nella cappella di famiglia, che lui stesso aveva fatto erigere per onorare l’improvvisa scomparsa del figlioletto Giorgio colto da difterite fulminante a Rio de Janeiro, mentre era a seguito del padre in tournée.
Milano, lo ricorda oggi fra i suoi ‘nomi illustri’, con una iscrizione al Famedio.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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