Casa Porro-Lambertenghi
Sommario
TogglePer onore di cronaca, questa è una casa dell’inizio Ottocento, sita in via Monte di Pietà n. 15, progettata dall’architetto Luigi Canonica, su commissione del conte Giuseppe Lechi. E’ un edificio imponente a quattro piani con una facciata piuttosto severa, che fa angolo con la via privata Fratelli Gabba. Come elemento caratteristico, ha un pianterreno a bozze di granito rosa con finestre rettangolari ed un portale ad arco sotto una balconata con ringhiera a rombi, fra pilastrini di granito. All’interno è presente un portico con doppio colonnato, nel cui cortile si sarebbe trovato, al tempo, un monumento realizzato dallo scultore danese Bertel Thorvaldsen.
Il motivo per cui cito questa casa, non è tanto per l’aspetto architettonico che onestamente, pur essendo un edificio neoclassico, non è esteticamente nulla di eccezionale, quanto invece per la presenza di una targa, affissa sulla facciata, fra due finestre, non lontano dal portone d’ingresso, lapide che ricorda un evento della nostra storia risorgimentale.
Chi era il marchese Luigi Porro-Lambertenghi?
Luigi era nato a Como il 12 luglio 1780, figlio del marchese Giorgio Porro Carcano, ciambellano di Corte (dell’imperatore Giuseppe II d’Asburgo-Lorena), e di Margherita Borromeo, sposata in seconde nozze.
Ndr. – Ciambellano è il dignitario che cura le udienze solenni e sovrintende al cerimoniale di Corte.
Luigi studiò a Milano al Collegio Longone o dei nobili (quello che in seguito sarebbe diventato il liceo “Parini”) e, finita la scuola, entrò giovanissimo in politica. La cosa fu abbastanza singolare, per come si svolsero i fatti.
La svista che fece la sua fortuna
Si era nel 1801. Milano era, da poco, passata sotto la dominazione francese.
La Legge 21 brumaio 1801, (corrispondente all’11 novembre 1801) stabiliva la formazione di una Consulta straordinaria, che avrebbe dovuto riunirsi a Lione, per fissare la Costituzione Cisalpina e dare al primo console, Napoleone Bonaparte, i Consigli per la nomina dei membri dei Collegi Elettorali.
Ndr. – Brumaio (dal 22 Ottobre ai 21 Novembre) era il secondo mese dell’anno, nel calendario rivoluzionario francese, chiamato pure calendario repubblicano, stabilito per commemorare la fine della monarchia e la nascita della repubblica. La sua epoca, cioè il capodanno dell’anno I, fu stabilito il 22 settembre 1792, giorno di proclamazione della Repubblica. Restò in vigore sino al 31 dicembre 1805. Questo calendario venne adottato pure a Milano durante il periodo napoleonico, al pari del cambio a sistema decimale, sia della moneta che dei pesi e delle misure.
L’assemblea, nota come i Comizi di Lione, era composta dai membri della Consulta in carica, da quelli della Commissione di Governo, oltre poi da deputazioni di vescovi, sacerdoti, magistrati, accademici e militari. Ne facevano parte inoltre 148 notabili nominati dal governo. I deputati nominati erano 500. ed avevano un contributo spese di 1.500 lire di Milano..
Luigi Porro aveva appena compiuto 21 anni nel dicembre del 1801, quando gli venne notificata, probabilmente direttamente da Parigi, la convocazione, assolutamente inattesa, alla “Consulta di Lione”, in qualità di deputato di Como. Lui in effetti era comasco ma non aveva alcun titolo per essere convocato ad un consesso così importante. La riunione, prevista dal giorno 11 al 26 gennaio 1802, era stata convocata da Napoleone, per la nascita della Repubblica Cisalpina (1802-1805). Evidentemente per un errore di nome, avevano incluso lui, assolutamente ignaro di tutto, nella lista dei partecipanti, al posto del politico che realmente avrebbe dovuto essere il destinatario della convocazione, il ventottenne Gian Pietro Porro!
Chi era il vero politico?
Gian Pietro Porro, nato a Como nel 1773, era figlio di Giambattista, della nobile famiglia Porro, e di Daria Passalacqua. Nel novembre 1794, si era laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Pavia, dandosi poi alla politica.
Nel 1796, Napoleone Bonaparte era entrato per la prima volta a Milano, cacciando gli austriaci dalla città. A seguito dell’invasione della Svizzera, che lui fece nel 1798, la Russia, alleata degli austriaci, inviò un esercito per liberare i territori elvetici occupati dai francesi che, da lì, controllavano i passi alpini per l’Italia, minacciando direttamente l’impero asburgico. Nell’aprile 1799, quando, a causa della sconfitta subita dai Francesi in Svizzera a seguito della campagna italiana della coalizione russo-austriaca, condotta dal generale russo Suvorov, i transalpini furono costretti a lasciare Como.
Fu pertanto creato un Magistrato provvisorio per amministrare la città. Tra suoi membri, fu scelto anche Gian Pietro Porro. L’organo rimase in carica tredici mesi, fino al ritorno dei Francesi in seguito all’esito vittorioso della napoleonica Campagna d’Italia del 1800.
Il nuovo governo francese reinsediatosi in Italia, riconobbe l’operato del Magistrato municipale di Como, confermandolo in carica, ma Porro preferì lasciare comunque l’incarico, prima della fine del 1800. Così nel dicembre 1801, Gian Pietro Porro fu scelto dai francesi, tra i membri da inviare ai “Comizi di Lione”, ma, a quanto pare, per un errore di stampa, fu sostituito da Luigi Porro Lambertenghi (pure lui di origine comasca)!
Gian Pietro Porro, in seguito, nel 1808, con decreto di Napoleone, fu nominato podestà di Como, e restò in carica fino al 1815. Nel 1816 poi, fu nominato deputato alla Congregazione Centrale della Lombardia, di cui divenne in seguito, anche il presidente.
Un “colpo di fortuna” quindi, l’imprevedibile esordio, nella vita politica, del giovanissimo Luigi Porro Lambertenghi! Pare che i Francesi di Como avessero notificato a Parigi la lista dei partecipanti locali, e che fosse poi compito di Parigi inviare la convocazione agli interessati. Bisogna tener presente che, in tutto questo, il Porro-Lambertenghi, fu aiutato anche dall’impossibilità, dati i tempi stretti della convocazione, di segnalare in tempo utile a Parigi, il disguido dello scambio di nome. Data la carenza dei mezzi di comunicazione dell’epoca, non esistendo ancora il telegrafo ottico, nel 1801 ci volevano cinque giorni per l’invio di un dispaccio urgente da Milano a Parigi, con un messo a cavallo, e almeno altri cinque giorni per avere la risposta. Ci si può quindi immaginare il maggior tempo necessario per raggiungere Como. La Consulta straordinaria si sarebbe tenuta presso l’ex cappella del collegio dei Gesuiti della Trinità, a Lione. Quindi Luigi Porro, coraggiosamente, si presentò all’appuntamento!
Ndr.- Fra gli altri deputali italiani, erano presenti a quella Consulta, Filippo Maria Visconti (arcivescovo di Milano), Francesco Melzi d’Eril (sarebbe diventato vicepresidente della repubblica Italiana dal 1802 al 1805), Alessandro Volta (inventore della pila), Giuseppe Lechi (generale giacobino e patriota), Giuseppe Prina (sarebbe diventato Ministro delle Finanze durante il successivo Regno d’Italia dal 1805 al 1814),
Quando si “nasce con la camicia” ….
In quel frangente, alla Consulta di Lione, il giovane Luigi, baciato dalla fortuna, essendo naturalmente all’oscuro di tutto, si guardò bene dall’intervenire, mantenendo, giustamente, una posizione defilata. Ma la cosa più eclatante sarebbe accaduta in seguito! Il fatto stesso di essere stato presente a quel consesso, fu il suo lasciapassare, per lanciarlo definitivamente nella vita politica, negli anni a venire. Quella partecipazione gli consentì di assumere, alla sua giovanissima età, non solo cariche che mai avrebbe immaginato di ricoprire, ma anche di ricevere titoli ed onorificenze assolutamente inattese. Infatti, alla conclusione dei lavori della Consulta, il suo nome venne compreso fra quelli candidati alle nomine, ratificate il 26 gennaio 1802, al Collegio elettorale dei possidenti e al Corpo legislativo. Era abbastanza scontato, del resto, che i soggetti partecipanti a simili consessi, e in particolare i delegati che non erano stati scelti per cariche di governo, essendo già dei personaggi “noti alle loro comunità”, andassero a ricoprire posizioni di rilievo, nelle varie funzioni amministrative della nuova Repubblica.
Nel 1802 quindi, a Congresso ormai concluso da mesi, nonostante la giovane età, Luigi Porro Lambertenghi venne eletto membro del Corpo legislativo della Repubblica Italiana. Essendo anche riuscito ad ottenere la dispensa per l’età, mantenne questa carica fino al 1807, quindi non solo sotto la Repubblica ma pure sotto il Regno Italico. Sposatosi in quegli anni con la contessa Anna Serbelloni, esponente del patriziato milanese, con l’arrivo a Milano dei reggenti Eugenio di Beauharnais e della consorte Amalia di Baviera, entrambi gli sposi vennero chiamati a corte. Mentre Anna divenne dama di palazzo della viceregina, a Porro toccò il ruolo di paggio, nella nuova corte del viceré. L’assidua frequentazione della corte e dell’alta società napoleonica erano per lui un mezzo per costruire nuovi rapporti con soggetti altolocati che sarebbero potuti tornargli utili in seguito. Il solo compito politico di rilievo che gli venne attribuito nella stagione napoleonica fu quello di relatore, nel 1807, per il Corpo legislativo, della proposta di legge relativa alla tassa del registro, il cui rifiuto da parte dell’assemblea determinò la scelta di Napoleone di non convocarla più.. Affiliato alla Massoneria, nell’ottobre del 1810, fu addirittura nominato «conte» da Napoleone. Inoltre, in quanto consorte di Anna Maria Serbelloni, dama di palazzo, fu pure insignito dell’ordine della Corona di ferro. Dopo la caduta del Bonaparte, Luigi Porro-Lambertenghi fu fra coloro che, al Congresso di Vienna nel 1815,, propugnarono la formazione di un regno indipendente, nell’Italia Settentrionale.
Fautore di un Regno indipendente da ingerenze straniere
Gli ultimi giorni del Regno d’Italia nel 1814, lo videro protagonista, insieme all’amico Federico Confalonieri (filo-austriaco e fiero oppositore dei francesi), dell’idea d’indipendenza nazionale, sostenuto dal gruppo dei cosiddetti Italici puri. Sia lui che il Confalonieri tentarono di contrapporre la loro visione di stato totalmente indipendente da ingerenze esterne, all’idea sostenuta da quanti, capeggiati da Francesco Melzi d’Eril, erano viceversa favorevoli, attraverso un pronunciamento del Senato, alla creazione di uno Stato italico autonomo, confermando quale sovrano Eugenio di Beauharnais, figlioccio di Napoleone. Da parte degli italici puri, quest’idea era considerata come un intollerabile stratagemma per far sopravvivere uno Stato oppressivo. comunque al servizio di una potenza straniera. Le cose, come sappiamo andarono diversamente e la storia definì quel periodo come la Restaurazione poiché il Congresso di Vienna del 1815, restituì all’ Austria, la Lombardia, che aveva lasciato con l’avvento di Napoleone. Fu il Confalonieri uno di coloro che aizzarono la folla il 20 aprile 1814 presso il Palazzo del Senato a Milano; i disordini che ne conseguirono, portarono al linciaggio del Ministro delle Finanze Giuseppe Prina.
Il ritorno dell’Austria in Lombardia, alla caduta di Napoleone e quindi del Regno d’Italia, il conseguente giro di vite che portò alla Restaurazione, la limitazione alle libertà individuali, l’annullamento di quanto di buono, la ventata napoleonica, aveva portato [ndr. – mi riferisco particolarmente all’introduzione del sistema decimale sia nella moneta che nelle misure], favorirono il proposito di Luigi Porro, di creare un vasto movimento a sostegno delle nuove idee indipendentiste. Mise a disposizione le sue case come centri di ‘neo-mecenatismo’: la villa del Balbianello, sul lago di Como, ed anche la principesca dimora di Cassina Rizzardi. Ma gli mancava un punto di riferimento a Milano.
Fu così che nel 1817, cercando in centro città una casa di prestigio, acquistò dall’amico conte Giuseppe Lechi (conosciuto ai tempi della Consulta di Lione), il palazzo in stile neoclassico, che questi si era fatto costruire dall’architetto Luigi Canonica. Quel palazzo sorgeva sull’area dell’ex convento delle monache di Sant’Agostino, uno dei tre conventi di quella strada, soppresso, al pari degli altri, nel 1798. Esattamente di fronte a questo palazzo, nella stessa strada, c’era la casa, recente pure quella, dell’amico conte Federico Confalonieri (senatore del Regno d’Italia).
Amante delle nuove tecnologie
Ma, in quegli anni, Luigi Porro non svolgeva unicamente attività politica: era un soggetto appassionato alle scienze, attento alle novità del progresso, alle nuove tecnologie.
Ricchissimo di famiglia, Luigi Porro veniva descritto come affabile, vivace gentiluomo dalle idee moderniste. Aveva cominciato a prendere piede in quegli anni, soprattutto in Inghilterra, la sperimentazione di motori a vapore, per il moto alternativo, e di turbine a vapore, per quello rotativo. Questa nuova tecnologia avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella successiva rivoluzione industriale e nelle comunicazioni.
Fu Porro il primo a studiare l’applicazione del vapore nella gelsibachicoltura. Fu proprio lui, in quegli anni, ad essere il primo imprenditore lombardo a dotare di macchinario a vapore, la propria filanda sperimentale annessa alla sua principesca dimora di Cassina Rizzardi (ndr. – ora tristemente in rovina) e, sempre lui, di concerto con l’amico Federico Confalonieri, ad istituire un servizio di trasporto fluviale, con battelli a vapore, da poco apparsi sulla scena.
Primo esperimento d’illuminazione a gas
Solo duecento anni fa, ancora nel 1818, le strade della città, erano totalmente prive d’illuminazione pubblica. Di sera, dalle finestre delle case trapelava il debole chiarore delle flebili fiammelle delle candele o dei lumi a petrolio. Dalle finestre di una di queste, in Contrada Monte di Pietà n. 15, nel sestiere di Porta Comasina, filtrava però una luce più costante, più forte, diversa da tutte le altre. Erano proprio le finestre del palazzo del conte Luigi Porro-Lambertenghi–
Amante com’era, delle innovazioni tecnologiche, appassionato di fisica e molto attento alle novità proposte dalla scienza di allora, si era fatto mandare direttamente dall’Inghilterra un’apparecchiatura per la produzione di gas illuminante, apparecchiatura che aveva avuto modo di vedere in funzione in uno dei suoi recenti viaggi oltre Manica. La sua, fu la prima casa non solo di Milano, ma addirittura di tutta la Lombardia, a sperimentare nel 1818, il nuovo sistema d’illuminazione a gas, mediante l’uso di lampade, ognuna delle quali era in grado di emettere una luce equivalente a ben sei candele!. Una novità assoluta, notizia da giornale, per cui era facilmente immaginabile quanto la cosa fosse sulla bocca di tutti. Fra l’altro, a proposito di questa innovazione, correva voce fossero in corso studi per interessanti sviluppi di quell’esperimento. Infatti, vista la validità della soluzione in casa del conte, lo stesso Luigi Porro-Lambertenghi, assieme all’amico Federico Confalonieri, che abitava di fronte a lui, nella stessa strada, si erano messi a studiare un progetto per dotare tutto il loro quartiere, Teatro alla Scala compreso, con il nuovo sistema d’illuminazione a gas, in modo da renderlo servizio pubblico, sistema questo, già da qualche anno, sperimentato anche a Londra.
Ndr. – La prima illuminazione pubblica stradale mediante gas, fu realizzata in Pall Mall, a Londra, il 28 gennaio 1807. Nel 1812, il Parlamento inglese diede una concessione alla Gas Light and Coke Company, che fu la prima compagnia di gas al mondo. Meno di due anni dopo, il 31 dicembre 1813, il ponte di Westminster era illuminato a gas.
Nel 1817, nelle tre sedi della Chartered Gas Company, si carbonizzavano 25 chaldron (24 m³) di carbone al giorno, per produrre 300 000 piedi cubici (8 500 m³) di gas. Il gas bastava per alimentare lampade equivalenti a 75 000 lampade Argand, ognuna delle quali emetteva una luce di sei candele. [rif. Wikipedia]
Alla fine, il progetto Porro-Confalonieri non ebbe sbocchi concreti, a causa degli ostacoli frapposti dalle autorità austriache, cui i due soggetti relatori del progetto cominciavano ad essere invisi per le loro idee politiche troppo avanzate e progressiste.
Ndr. – I primi studi sistematici per l’illuminazione pubblica in Italia, furono avviati da Giovanni Aldini nel 1820. Il primo tentativo riuscito di illuminazione a gas di un luogo pubblico, avvenne alla Galleria de Cristoforis, a Milano, nel 1832.
Salotto, frequentato da scrittori e poeti
La casa del conte Porro non era nota in città solo per quel sistema d’illuminazione, curiosa ed avveneristica novità, ma era pure famosa per la sontuosità dei suoi addobbi, la ricca collezione di vasi etruschi, greci e romani, nonché per la notevole quadreria e per le altre opere d’arte che arricchivano le sue stanze.
Altro motivo d’interesse per quella casa, erano gli amici nobili, politici ed intellettuali che si vedevano varcare quel portone e frequentare assiduamente quella casa, perseguendo il sogno di un’Italia libera ed unita. Non era difficile trovare nei salotti di Casa Porro-Lambertenghi, ad esempio lo scrittore Silvio Pellico, non solo amico del padrone di casa, ma pure precettore di due dei suoi cinque figli (Giacomo e Giulio) e suo collaboratore (avendo tradotto per lui dall’inglese, già nel 1817, il Trattato pratico sul gas illuminante del tecnico inglese Frederick William Accum, testo poi pubblicato a Milano quello stesso anno). Fra gli altri frequentatori abituali della casa, vi era pure lo scrittore Giovanni Berchèt, esponente significativo del romanticismo, o lo scultore danese Bertel Thorwaldsen, rappresentante del neoclassicismo e maggior rivale del Canova, oppure il poeta inglese Lord Byron e naturalmente tanti altri..
Scuola, per l’educazione di massa
In quella stessa casa poi, dal 1819, Luigi Porro, copiando dall’Inghilterra un metodo di insegnamento per l’educazione del popolo, decise con l’aiuto dell’amico Carlo Porta, di fondare la “Sant’Agostino”, una scuola che si proponeva l’alfabetizzazione di massa, nella speranza, ovviamente liberale, di riuscire a risvegliare nel popolo la coscienza nazionale. Si trattava di corsi serali gratuiti, che permettevano l’affluenza di 300 allievi per volta. L’insegnamento per così tanta gente, era garantito dal fatto che i migliori studenti, si facevano carico di trasmettere ciò che avevano appreso, agli altri. Tutto funzionò bene sino a quando non intervenne direttamente l’autorità austriaca, poco propensa ad assistere passivamente a quelle adunate di potenziali oppositori al regime, e anzi, desiderosa di mantenere il popolo nella sua beata ignoranza.
Redazione del “Conciliatore”
La casa di Contrada del Monte di Pietà 15, divenne il salotto preferito di molti nobili e giovani intellettuali con idee tendenzialmente risorgimentali. Si discuteva su come contrastare il soffocante governo asburgico ridando libertà ed indipendenza a Milano.
Fu qui, che il 31 maggio del 1818, venne redatta la prima bozza del “Conciliatore”, periodico scientifico-letterario milanese, fondato da un gruppo di liberali. Il primo numero uscì ufficialmente il 3 settembre 1818. Il periodico, a tiratura limitatissima, 250 copie appena, aveva una frequenza bisettimanale: usciva ogni giovedì e domenica su carta azzurrina. Gli argomenti trattati erano di vario genere, non erano esplicitamente politici, per non incorrere nella severa censura austriaca. I finanziatori del progetto erano Luigi Porro-Lambertenghi e Federico Confalonieri, l’amico di tante battaglie.
Diversi letterati, scontenti dell’indirizzo troppo filo-governativo che Giuseppe Acerbi stava dando alla sua Biblioteca italiana, (altro periodico letterario pubblicato a Milano dal 1816 al 1840), se ne staccarono, per portare il loro contributo al nuovo foglio. Tra i redattori più assidui, Silvio Pellico, Giovanni Berchet, Giovanni Rasori, Pietro Borsieri, Giuseppe Pecchio, Gian Domenico Romagnosi, Ermes Visconti, Ludovico di Breme. Per i contenuti e la varietà di argomenti trattati, era possibile intravedere in questo giornale, una linea di continuità con Il Caffè (1764-1766), l’altro importante periodico milanese di qualche decennio prima, edito dall’Accademia dei Pugni di Pietro ed Alessandro Verri.
Indubbiamente il Conciliatore, dietro quel titolo apparentemente conciliante, quasi volesse adombrare propositi di riavvicinamento fra classici e romantici, aveva remote finalità destinate a provocare un risveglio culturale che rendesse impossibile la continuazione del “paterno regime” austriaco in Lombardia. D’altra parte, la lotta impegnata coi censori, a loro volta aizzati dai rivali del gruppo promotore, spinse naturalmente il periodico ad accentuare il carattere di opposizione. Così il Conciliatore, in meno di un anno, divenne il polo intorno a cui si andavano raccogliendo tutti gli avversarî dell’oppressivo regime austriaco. Dopo 118 uscite, anche la pubblicazione di questo periodico venne sospesa direttamente dalla redazione il 17 ottobre 1819, essendo pervenuta a Silvio Pellico la diffida per il contenuto dei suoi articoli, giudicato troppo politico e provocatorio, da parte del conte Vallata, funzionario di polizia, cui era stata sottoposto per l’approvazione il 119mo numero del foglio . All’inizio del 1820, il Porro, il Confalonieri e altri aderirono alla Carboneria, società segreta rivoluzionaria italiana, nata nel Regno di Napoli, durante i primi anni del XIX secolo, su valori patriottici e liberali.
Il 13 ottobre 1820, in una retata della polizia in casa Lambertenghi, a seguito di una soffiata, venne catturato Luigi Porro che, riconosciuto aderente alla Carboneria, venne dannato a morte anche perché, in casa sua, furono trovati ed arrestati pure Silvio Pellico, Piero Maroncelli e Melchiorre Gioia, ovviamente tutti e tre già ricercati da tempo, per le loro idee ritenute troppo progressiste e rivoluzionarie. Il Porro comunque, riuscirà poi a scampare alla pena capitale, scegliendo la via dell’esilio. Prima in Inghilterra (1822), poi in Grecia (1825-27) e in Francia, e potrà tornare a Milano nel 1840. Nel 1848 verrà incaricato dal governo provvisorio di Milano, di una missione speciale a Parigi (acquisto di armi). Al ritorno a Milano degli Austriaci, si ritirerà a vita privata.
Pure il conte Federico Confalonieri venne arrestato: anche lui accusato di carboneria, avendo trovato dei documenti compromettenti che lo inchiodavano alle sue responsabilità. Lasciatosi andare a gravi ammissioni, fu pure lui condannato a morte. Commutata la pena nel carcere a vita allo Spielberg, grazie alle conoscenze altolocate sue e di sua moglie, nel 1835 fu deportato in America, ritornò in Europa nel 1837 e dopo ulteriori vicissitudini in Francia e Belgio. poté finalmente tornare libero in patria nel 1840.
Silvio Pellico fu condotto alla prigione dei Piombi di Venezia, e poi in quella dell’isola di Murano, dove rimase fino al 20 febbraio 1821, La sentenza di morte pronunciata nei suoi confronti sul patibolo in piazza San Marco, fu tramutata poi in quindici anni di carcere duro nella fortezza austriaca dello Spielberg, in Moravia. Sentenza poi ridotta a nove anni. Alla scarcerazione, scrisse ‘Le mie prigioni’, libro che avrebbe avuto notevole influenza sul movimento risorgimentale degli anni ’30
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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