Casa Verdi
Sommario
TogglePremessa
“Delle mie opere, quella che mi piace di più è la Casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi i vecchi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita! Credimi amico, quella Casa è veramente l’opera mia più bella”.
Così scriveva Giuseppe Verdi in una lettera all’amico scultore Giulio Monteverdi (senatore del Regno d’Italia).
Chiedere a chiunque abiti in città dove si trovi Casa Verdi, è un po’ come chiedere dove sia il Duomo o La Scala. E’ quel bellissimo edificio a bifore e trifore, stile neogotico, sito in piazza Michelangelo Buonarroti n. 29. Ormai tutti la conoscono con questo nome, perché fu il grande Maestro a volerla chiamare così. E’ davvero curioso come un’istituzione simile, si sia inserita familiarmente nel tessuto di una città così distratta e spesso indifferente, come lo è Milano.
Giuseppe Verdi, che tutti conoscono come grande compositore, amava anche fare l’architetto a tempo perso, così come non disdegnava, di tanto in tanto, prendere la cazzuola e sporcarsi le mani con malta e mattoni. “Ditemi che il Don Carlos vale poco, ma non che non so fare il muratore!” era questa una delle sue tante frasi celebri, guardando soddisfatto le sue realizzazioni.
E aveva tutte le ragioni per vantarsene: fu infatti lui che ristrutturò personalmente la sua villa in quel di Sant’Agata di Villanova sull’Arda (piccolo comune della bassa piacentina) ove amava rifugiarsi appena poteva. Ma non pensava solo a se stesso, si preoccupava anche delle necessità degli altri, meno fortunati di lui. Era un benefattore: aveva inaugurato nel 1888, un piccolo ospedale, altro suo vanto, progettato e realizzato totalmente a sue spese, eretto su una tenuta di sua proprietà nel piacentino, nei pressi di Villanova sull’Arda, a due passi dalla sua Roncole di Busseto e da Sant’Agata. Era il “Giuseppe Verdi“, l’ospedale a lui intitolato, attrezzato e arredato compiutamente per essere al servizio degli abitanti e dei poveri di quell’area che, diversamente, sarebbero stati costretti a fare una quarantina di chilometri per raggiungere il nosocomio più vicino, quello di Piacenza.
Casa Verdi invece, è una “Casa di Riposo per Musicisti”, quella che lui con una punta d’orgoglio più che giustificato, definì in quella lettera all’amico Giulio Monteverdi, come “l’opera mia più bella”.
Parlare oggi, di “Casa di Riposo” come ente di assistenza agli anziani, non desta particolare meraviglia e può sembrare una cosa “normale”, ma quando Verdi la ideò nel lontano 1895, era una novità assoluta, perché tale forma di assistenza sociale non esisteva proprio. Pure il suo nome, “Casa Verdi“, sembra voler nascondere la sua funzione sociale, quasi ad indicare fosse Verdi stesso a vivere in quella casa che, in realtà, non abitò mai. Chiunque, entrando a visitare quel luogo, avrebbe avuto quasi l’impressione che fosse davvero possibile incontrarlo, e magari scambiare due chiacchiere con lui. Impressione, non del tutto errata, se si considera che questa casa è anche il suo mausoleo: qui è stato sepolto in una magnifica cripta, secondo le sue ultime volontà, e riposa in compagnia della seconda moglie, il soprano Giuseppina Strepponi.
Pare che il Maestro avesse inizialmente pensato, come ultima dimora, alla sua villa nella tenuta a Sant’Agata di Villanova sull’Arda. In seguito, a giustificare ai suoi parenti la decisione di aver cambiato idea optando per Milano, come luogo definitivo dell’ultimo riposo, pare avesse loro detto “Vi tolgo il fastidio di troppa gente che verrebbe a visitarmi da morto, a casa vostra!”.
L’acquisto del terreno
Sembra che fin dal 1888, inaugurato il suo Ospedale, Verdi avesse confidato alla moglie, sua fida amica e consigliera, l’intenzione di dare vita ad una struttura che potesse aiutare nella vecchiaia i “suoi amici musicisti” meno fortunati. Naturalmente allora, questa era solo un’idea. I genitori di Verdi, essendo benestanti ma di origini contadine, avevano abituato il figlio, fin da piccolo, al risparmio. Una volta sposato con Giuseppina Strepponi, la moglie, più colta di lui, lo aiutava attivamente nella gestione e nell’amministrazione dei loro beni. Nel 1889, disponendo di un piccolo capitale da investire, frutto dei suoi ultimi lavori da compositore, Verdi colse l’occasione, come sua abitudine, di acquistare senza fini precisi, un appezzamento di terreno incolto di tremila mq, subito fuori le mura della città, dietro il sobborgo di San Pietro in Sala, in un’area, all’epoca, non ancora urbanizzata (l’attuale piazza Michelangelo Buonarroti).
L’idea di un uso a fini sociali
Solo alcuni anni più tardi, cominciò a delinearsi nella sua mente un’idea più precisa di come avrebbe potuto utilizzare quel suo terreno. Verdi era un soggetto riservato, diffidente con gli estranei, ma generoso con gli amici, risparmiatore, ma capace di grandi gesti umanitari. Ricevendo infatti, di continuo, richieste di piccole sovvenzioni ora da questo, ora da quel amico che si trovava in ristrettezze finanziarie, gli dispiaceva essere costretto a negare il proprio sostegno a chi ne aveva realmente bisogno. Essendo per sua natura, soggetto piuttosto restio a concedere ad amici meno fortunati di lui, piccoli prestiti che poi difficilmente sarebbero stati restituiti, gli venne l’idea di usare meglio quel danaro, facendo costruire proprio per i più bisognosi, un edificio da utilizzare a fini sociali ed assistenziali, cioè una “Casa di Riposo per Musicisti”, intendendo così offrire a costoro, la possibilità di trascorrere una vecchiaia più serena e dignitosa.
Ndr. – Al tempo, infatti, non esistevano pensioni e sovvenzioni statali, ed un artista, se non aveva avuto l’accortezza di accantonare, durante la sua vita lavorativa, parte dei suoi guadagni per la propria vecchiaia, una volta terminata la carriera, si trovava spesso in condizioni precarie, se non addirittura disperate. Da qui l’idea di una struttura moderna e decorosa che permettesse agli anziani musicisti, una vecchiaia serena e protetta: una novità assoluta per il tempo.
In tal modo Verdi, senza far torto ad alcuno, avrebbe fattivamente dato una mano a quanti, essendo in ristrettezze, continuavano a chiedergli dei piccoli sussidi. La sua idea ebbe il plauso incondizionato anche da parte della moglie Giuseppina, memore degli anni grami da lei stessa trascorsi in gioventù, prima ancora di iniziare a frequentare Verdi, quando, da brillante soprano qual era, si era trovata costretta all’improvviso a rinunciare al successo e alla carriera, a causa di un forte e persistente calo di voce (disfonia dovuta all’eccessivo carico di lavoro) che l’aveva colpita già all’età di trent’anni. Avendo a carico anche tre figli piccoli, avuti da precedenti relazioni, pure lei aveva vissuto in prima persona, difficoltà economiche non indifferenti che l’avevano costretta, per sbarcare il lunario, a ripiegare sull’insegnamento, dando saltuariamente lezioni di canto.
L’idea che diventò realtà
L’idea prese forma concreta nel febbraio del 1895, quando Verdi (allora già ottantaduenne), rese edotto Giulio Ricordi delle sue intenzioni e gli lesse le sue disposizioni testamentarie per il futuro mantenimento della Casa ancora da costruire. Il 5 marzo dello stesso anno, Verdi e la moglie vennero appositamente a Milano per incontrare l’architetto Camillo Boito, docente a Brera, che sottopose loro la prima bozza del progetto della Casa. Camillo era il fratello maggiore di Arrigo, amico del compositore, famoso librettista dei capolavori verdiani “Otello”, “Falstaff” e dell’opera “Mefistofele”. I Verdi affidarono a Camillo la progettazione dell’edificio e la direzione del lavori, mentre l’appalto per la sua costruzione venne affidato l’anno successivo (aprile 1896) ai fratelli Noseda, imprenditori edili. Sul contratto si legge “Fabbrica del Ricovero per Musicisti”: sarà questa la prima ed ultima volta in cui comparirà simile dizione. L’edificio in stile neogotico, verrà poi ultimato nell’arco di cinque anni (1901).
Nonostante l’impegno profuso per il completamento dell’opera buffa il “Falstaff”, e nell’assistenza alla moglie Giuseppina Strepponi (allettata per una grave forma di artrite reumatoide, che la porterà alla morte nel 1897, volle seguire con attenzione quasi maniacale, le varie fasi di sviluppo del progetto e la realizzazione dello stesso.
- Da sinistra Giulio Ricordi, Camillo Boito, Giuseppe Verdi e staccato, Arrigo Boito nei cantieri della Casa di Rposo
- Giuseppe Verdi a sinistra, Camillo Boito, al centro, e il capomastro Noseda a destra,, nei cantieri della Casa di Riposo.
Come usava riprendere i suoi orchestrali quando qualche nota era stonata, evidenziava le sue doti di architetto suggerendo spesso al Boito delle varianti in corso d’opera, quando qualcosa non era di suo completo gradimento.
Era pure uno psicologo. Nel progettare questa Casa, lui già la immaginava funzionante. Verdi conosceva bene l’ambiente dei musicisti: si guardava bene dal pensare di organizzarli, ordinarli o assimilarli in un modello, né tantomeno metterli a disagio in un ambiente diverso da quello in cui, fino ad allora, avevano vissuto. L’assistenza a chi ne aveva necessità, non avrebbe in alcun modo dovuto ledere la dignità della persona. Lo stesso nome “Casa Verdi“, non è un nome buttato lì a caso: è studiato per dare l’impressione come se lui abitasse tra loro e con loro. Le parole contano, vanno “pesate” e devono riflettere gli intendimenti di chi le scrive.
Giustificato quindi quanto abbia urtato la sensibilità di Verdi il leggere “Fabbrica del Ricovero per Musicisti” sul contratto appena stilato, che Boito aveva sottoposto al Maestro per la firma. Sarà la prima e l’ultima volta in cui trova simile dizione su un documento ufficiale, segno questo che Verdi, discretamente, non mancò di farglielo notare. Da parte sua non si trattava di pura pedanteria: nella parola “ricovero” o “ricoverato” è insito un significato diverso da quello che il Maestro intendeva, meno “umano”. Cioè per lui il soggetto non è un numero, ma una persona, con la propria dignità! Non deve sentirsi imprigionato, od oppresso dai rapporti di vicinanza col prossimo. Non deve essere un luogo dove aspettare la morte, ma anzi una casa dove continuare a vivere con dignità. Pertanto da allora le parole “ricovero” od “ospizio” sparirono dal vocabolario dell’architetto. Verdi, l’aveva capito Boito, non amava sentir parlare di “ricovero”, bensì di “riposo”, non di “ricoverati” ma di “Ospiti”: “I miei Ospiti”, diceva sempre il Maestro!. Esattamente come continuiamo a sentirli noi oggi … gli “Ospiti di Casa Verdi! Non più paroloni come “istituzione” od “istituto”, ma semplicemente “Casa Verdi”!.
L‘istituzione della Casa di Riposo per Musicisti
Il 16 dicembre 1899 nel palazzo di Piazza Michelangelo Buonarroti n. 29 a Milano, Giuseppe Verdi istituì, con atto notarile, la Casa di Riposo per Musicisti – Fondazione Giuseppe Verdi “nella quale raccogliere e mantenere persone dell’uno o dell’altro sesso addette all’Arte Musicale, che siano cittadini italiani e si trovino in stato di povertà”. Con l’occasione le donò il fabbricato di piazza Buonarroti.
Pochi giorni dopo, il 31 dicembre 1899, con Regio Decreto n. 384, firmato da re Umberto e da Luigi Pelloux (allora Presidente del Consiglio dei ministri), la “Casa di Riposo per Musicisti” venne riconosciuta come Ente Morale e venne approvato il suo primo statuto.
Lo statuto
Lo statuto prevedeva che, per i primi dieci anni, la struttura potesse accogliere un massimo di cento ospiti in Casa Verdi, sessanta uomini e quaranta donne. con più di 65 anni d’età. Per la formazione del consiglio d’amministrazione vennero indicate sette persone di fiducia del Maestro: tra queste, l’architetto Camillo Boito, il senatore Gaetano Negri (ex sindaco di Milano), l’editore Giulio Ricordi, l’avvocato Enrico Seletti (presidente della Fondazione).
I finanziamenti
Per garantire alla Casa la possibilità di continuare ad operare, Verdi le destinò una parte cospicua del proprio patrimonio: oltre alla proprietà dell’area e dello stabile costruito in piazza Buonarroti, gli oggetti e le rendite che avrebbe assegnato alla Casa con il proprio testamento del 14 maggio 1900. In particolare oltre a rendite su titoli e crediti in essere presso Casa Ricordi, Verdi avrebbe ceduto all’opera pia “tutti i diritti d’autore sia in Italia che all’estero di tutte le mie opere comprese tutte le partecipazioni a me spettanti in dipendenza dei relativi contratti di cessione”. Ai lasciti del Maestro, seguirono poi, negli anni, le donazioni anche cospicue di molti benefattori. Due fra i tanti, Toscanini e la figlia Wanda (sposata Horovitz), con le cui consistenti donazioni, dopo la guerra, venne eretta una nuova ala di quattro piani, sì da permettere l’ampliamento significativo della struttura.
Ndr. – Nel suo testamento stabilì infatti che i proventi delle sue opere avrebbero dovuto essere destinati per sempre al mantenimento della Casa. Purtroppo non è così, poiché l’attuale regolamentazione dei diritti d’autore stabilisce la decadenza dei diritti stessi dopo 70 anni dalla morte dell’autore. Di conseguenza, i proventi legati ai diritti d’autore sarebbero arrivati regolarmente fino alla loro scadenza legale del 1971 e non oltre. Per questo motivo oggi, in mancanza di altre sovvenzioni, gli amministratori si trovano in seria difficoltà a far quadrare i conti.
La Casa tuttavia non iniziò ad operare subito, anche perché non era ancora totalmente ultimata. Giuseppe Verdi da due anni e mezzo visitava assiduamente il cantiere, controllando meticolosamente l’avanzamento del lavori, facendo fronte personalmente a tutte le spese.
Completati i lavori, per esplicito desiderio del Maestro, la Casa venne aperta agli Ospiti solo dopo la sua morte. Essendo caratterialmente un soggetto piuttosto schivo, non desiderava essere ringraziato da coloro che avrebbero beneficiato della sua generosità.
Giuseppe Verdi si spense a 88 anni in una camera del Grand Hotel et de Milan di via Manzoni n. 29, nella notte del 27 Gennaio 1901. Ricevette funerali solenni che lo accompagnarono provvisoriamente al Cimitero Monumentale, da dove la salma venne poi traslata, nel trigesimo della sua scomparsa, per riposare insieme alla moglie nella stupenda cripta della Casa di Riposo per Musicisti, con una folla immensa a partecipare all’evento. La Casa di Riposo per Musicisti divenne quindi anche uno dei luoghi di pellegrinaggio degli ammiratori del Maestro.
L’inaugurazione della Casa Verdi
Il 10 ottobre 1902, nell’anniversario della nascita del Maestro, venne inaugurata senza particolari cerimonie ed aperta agli Ospiti la nuova “Casa Verdi“. Quel giorno entrarono nella struttura i primi nove Ospiti.
Forse più conosciuta all’estero che in patria, la Casa di Riposo per Musicisti, unica al mondo nel suo genere, è considerata l’ultimo capolavoro del Maestro di Busseto che dedicò a questo progetto, gli ultimi anni della sua vita.
Gli Ospiti vennero sistemati in stanze da due persone, in modo da poter garantire a tutti compagnia costante e possibilità di assistenza reciproca. Seguendo le volontà del Maestro, i residenti andavano e vanno visti e trattati come Ospiti. Anche se inizialmente, seguendo le abitudini comuni nelle istituzioni di allora (vedi i Martinitt), era stato accolto il suggerimento di una sorta divisa (gli uomini vestiti in abito scuro, all’ultimo Verdi, con cappello di Panama e le donne con cappellino e veletta secondo la moda dell’epoca), successivamente venne esclusa ogni tipo di uniforme. Verdi non lo avrebbe voluto! Ognuno era ed è libero di vestire come ha sempre fatto e come meglio crede, nel rispetto del decoro dell’ambiente.
Naturalmente la situazione iniziale andò a mutare nel corso degli anni, sia in seguito alle necessarie ristrutturazioni per stare al passo con i tempi ed il progresso (ad esempio i bagni nelle varie stanze) per permettere una privacy più decorosa, sia perché la struttura venne ampliata, sopraelevandola di un piano e creando quindi ulteriori opportunità di assistenza per nuovi Ospiti oltre a nuovi e più confortevoli ambienti per la vita di relazione sociale.
Dall’apertura della Casa agli Ospiti, a tutt’oggi, sono più di 1.000 gli anziani artisti (fra compositori, musicisti, cantanti, coreuti, coristi, ballerini e professionisti che abbiano operato nell’ambito musicale) che hanno usufruito dei servizi e trascorso serenamente gli ultimi anni della loro vita.
I residenti autosufficienti sono liberi di entrare od uscire dalla Casa, a piacimento. Nella struttura, dispongono degli spazi privati come meglio credono: ognuno può portare con sé le proprie cose, arredando la propria stanza con ciò che gli è più caro. Le camere sono attualmente dotate anche di quelle comodità e strumenti quali televisione, internet, aria condizionata, tutte cose che il Maestro a quell’epoca non poteva lontanamente immaginare. Vi sono sale comuni tipo la sala Toscanini ove oltre a ricevere parenti ed amici, è possibile poter suonare il pianoforte e fare piccole esibizioni canore alla presenza degli altri Ospiti. Non vi è luogo della casa dove chi riceve gli amici o i parenti debba chiedere scusa, o faccia un po’ di pena.
Casa Verdi – Vista parziale della sala Toscanini Casa Verdi -Altra vista della sala Toscanini
I servizi offerti
Fra i servizi vari alla persona, il barbiere-parrucchiere, la sartoria, spazi e attrezzi per l’esercizio fisico e laboratori vari per stimolare la fantasia e la creatività diversificando le esperienze: ad esempio l’arte dei fiori, l’atelier di pittura, la redazione di un giornale trimestrale interno “La voce di Casa Verdi”.
Modifiche apportate allo statuto
Apertura ai giovani studenti di musica
Dal 1998, Casa Verdi, ha esteso la sua proverbiale ospitalità anche ai giovani, cioè a un massimo di sedici studenti di musica (di ambo i sessi) frequentatori dell’Accademia della Scala, del Conservatorio e della Civica Scuola di Musica di Milano, che si trovino in stato di bisogno, purché risultino meritevoli. Scelta questa che sicuramente il Maestro avrebbe approvato, considerando la Casa come un luogo vivo e aperto, di scambio culturale fra generazioni, dedicato alla musica e all’arte. A disposizione degli Ospiti, ci sono infatti numerose sale da musica con pianoforti e strumenti vari, dove i giovani studenti possono esercitarsi e gli anziani Maestri continuano ad impartire lezioni ai propri allievi.
Eliminazione della clausola dello stato di povertà
E’ stata recentemente eliminata dallo statuto la clausola “ e si trovino in stato di povertà”. Attualmente chiunque, italiano o straniero, abbia operato in ambito musicale, compiuti i 65 anni d’età, ha diritto ad usufruire dei servizi della Casa, indipendentemente dal reddito. Naturalmente si paga una retta giornaliera proporzionata al livello di reddito di ognuno e comunque inferiore ai prezzi di mercato delle altre Case di Riposo, trattandosi comunque di un’Opera assistenziale.
Oggi la Casa è divisa in “Casa Albergo” per gli Ospiti autosufficienti e in “Residenza Sanitaria Assistita” per coloro che necessitano di cure costanti, garantite da personale socio-sanitario attivo 24 ore su 24.
I luoghi visitabili della Casa
La cappella e la cripta
Entrando dal portone principale, in fondo al cortile-giardino interno, un edificio con sei grandi vetrate ad arco, ospita la cappella della Casa, e sotto di essa, la cripta, che Verdi scelse come sua ultima dimora.
Costruito da Camillo Boito architetto dell’intero palazzo, tutto l’insieme appare suggestivo e solenne. Probabilmente , nella sua realizzazione, e particolarmente in quella della cripta, fu consigliato dal fratello Arrigo librettista e poeta, che conosceva bene i gusti di Verdi. L’ambiente è decorato in oro e lapislazzuli su disegni di Ludovico Pogliaghi. Le figure allegoriche, in puro stile Liberty, rappresentano le passioni espresse nelle opere verdiane: Dolore, Terrore, Pianto, Patria e Speranza.
Ndr. – Ludovico Pogliaghi (milanese), fu lo scultore che fece fra il 1906 e il 1908. i battenti e la cimasa (o sopraluce fisso) della porta centrale del Duomo di Milano: Il battente di destra illustra le “Gioie della Vergine”, il battente di sinistra i “Dolori della Vergine”, la cimasa celebra la “Gloria (o Incoronazione) della Vergine”.
Le due tombe, realizzate in bronzo da Giovanni Lomazzi, scultore noto a livello internazionale, sono sobrie ed austere e riflettono pienamente il carattere del Maestro. Alla parete sono appoggiate due corone che ricordano la visita di Vittorio Emanuele III l’8 ottobre 1901. Su suggerimento della regina Margherita, venne successivamente aggiunta una targa in ricordo della prima moglie del Maestro, Margherita Barezzi e dei suoi due figli: Vi si legge “Dolce consorte a lui vicina nelle prime lotte della vita, lo fece padre di Igino e Virginia, desiderati e pianti ancora piccoli”.
Nei due anni successivi alla morte del Maestro, si deve al soprano Teresa Stolz, l’ultimo fiamma di Verdi, il sontuoso completamento delle decorazioni delle pareti. Per devozione al Maestro, lei dedicò gli ultimi anni della sua vita, finanziando con una somma consistente, i lavori di abbellimento della cripta. La decorazione a parete fra le due colonne centrali, ad esempio, fu commissionata da lei, sempre a Giovanni Lomazzi. Al centro del grande mosaico, due Geni reggono una corona appoggiata sopra una lira con al centro un medaglione con il profilo di Verdi fuso nel bronzo. Alla base. un verso di D’Annunzio dedicato al grande Maestro “pianse e amò per tutti“, completa il tutto.
Casa Verdi -. La cripta (vista frontale) corona e medaglione in bronzo con il ritratto di Verdi voluto da Teresa Stolz
Il museo della memoria
“Casa Verdi” è davvero una struttura unica nel suo genere: oltre alla funzione primaria di assistenza sociale per cui è sorta, polo fondamentale della storia di Milano, ha pure un museo davvero unico, una sorta di “Casa della memoria” che ripercorre non solo la vita di Verdi e di sua moglie Giuseppina Strepponi, ma pure quella di coloro che, grati per aver avuto la fortuna di risiedere in quella casa, vollero omaggiare il Maestro, con qualche loro ricordo significativo.
Visitando la Casa si rimane impressionati dall’atmosfera che vi si respira: sembra quasi di calarsi in un tempo passato e sognante. È assolutamente unico, all’interno di una Casa di Riposo, trovare un aspetto artistico e nel contempo culturale, così stimolante. Vi si trovano infatti oggetti personali, arredi vari, autentiche collezioni d’arte con pezzi pregevolissimi di artisti famosi come i busti di Vincenzo Gemito (quello di Verdi, in bronzo fuso, quello di Giuseppina Strepponi, in terracotta) o il celebre ritratto che Giovanni Boldini fece a Verdi, fino ai calchi in gesso del volto e della mano del Maestro. Nelle varie credenze e negli espositori, sono poi conservate le onorificenze, il cilindro e la marsina del compositore.
Busto in bronzo di Giuseppe Verdi (opera di Vincenzo Gemito) Busto in terracotta di Giuseppina strepponi (opera di Vincenzo Gemito) Ritratto di Giuseppe Verdi (opera di Giovanni Boldini)
Quadri e decorazioni
Vi sono dei quadri cari al Maestro (ad esempio di Domenico Morelli, uno dei più importanti artisti italiani della seconda metà del XIX secolo, quello ispirato a “I Foscari” o quello de “gli Ossessi”, ma ce ne sono diversi altri e poi le decorazioni alle pareti e ai soffitti, i cui tratti arabeggianti e normanni, si fondono con elementi gotico-toscani ed echi veneto-bizantini, creando dei giochi di colore affascinanti.
I Foscari – Domenico Morelli Olio su tavola, 1857 Gli Ossessi – Domenico Morelli Olio su tela, 1876
La «spinetta» del Maestro
Decisamente emozionante la vista della spinetta cinquecentesca, il primo strumento musicale sui cui tasti le sue manine da bambino, cominciarono ad esercitarsi.
Nella piccola chiesetta-santuario di Madonna dei Prati, sulla strada di campagna che da Busseto porta a Soragna, si legge su una lapide, «nell’aula superiore di questa casa canonica, Giuseppe Verdi apprese dal rettore del Santuario i primi elementi dell’arte musicale». Il suo amore per la musica nacque qui, strimpellando su questo strumento. Il resto poi è noto!
Era infatti originariamente in quella chiesetta questa celebre «spinetta», sulla quale il piccolo Joseph Fortunin François cominciò a esercitarsi. Don Paolo Costa, rettore del Santuario, la vendette poi alla famiglia Verdi ed il Maestro non volle mai separarsi da questo strumento, portandolo con sé nella Villa di Sant’Agata e poi donandolo in eredità alla Casa di Riposo per Musicisti di Milano.
Ndr. – Joseph Fortunin François, così si chiamava Giuseppe nel suo atto di nascita, era nato a Le Roncole, una frazione di Busseto, località che, dal 1807, era stata incluso nel dipartimento del Taro e, dopo l’annessione del Ducato di Parma e Piacenza, si trovava entro i confini del Primo Impero francese. .
tooLeggi l’articolo su Giuseppe Verdi
Il salone d’Onore
Vi è un sontuoso salone d’Onore per i concerti pubblici, che si tengono più o meno settimanalmente, gratis o a pagamento a cura della Società del Quartetto di Milano e di altri enti consimili.
L’Associazione “Amici di Casa Verdi”, ad esempio, nata nel 1979 come ente di sostegno alla Fondazione, organizza a pagamento, alla domenica pomeriggio, con cadenza quindicinale, un concerto dedicato ai propri soci e agli Ospiti, facendo loro conoscere giovani talenti e promesse della musica internazionale.
Si possono vedere alcuni ambienti ricostruiti col mobilio del magnifico appartamento del Maestro, quando viveva a Genova, a Palazzo Doria, negli anni Settanta, dimora in cui solo pochi e selezionatissimi amici venivano ammessi.
La “sala araba”
Ci sono arredi e mobili tipici di fine Ottocento: ad esempio la “Sala araba”, arredata secondo la moda orientale. Vi sono due mobili in particolare, con intarsi in ebano e avorio, dono del kedivè d’Egitto, Isma’il Pascià, quale grazie per la commozione suscitata dalla sua musica, alla rappresentazione della “Aida” per l’apertura del teatro del Cairo il 24 dicembre del 1871. Fra i cimeli verdiani, il pianoforte originale del Maestro (l’unico che non viene suonato da nessuno, per rispetto nei suoi confronti).
La sala da pranzo di Verdi
Altro ambiente sontuoso è la sala da pranzo. Sia sulla credenza, che sulle sedie, sono riportate le iniziali “GV”. Sul tavolo, si possono ancora vedere i disegni originali di Camillo Boito con l’indicazione di “ricovero“, sostituito poi dal termine “Casa di Riposo” dallo stesso Verdi.
Sulla parete si può notare il magnifico quadro della “Venere di Urbino” (copia da Tiziano Vecellio, attribuita al pittore francese Poussin – olio su tela, sec. XVII). Questo quadro venne donato a Verdi nel 1863 da Sir James Hudson, ministro plenipotenziario inglese nel regno di Sardegna, soggetto che lui ebbe modo di frequentare a Torino, all’epoca in cui venne eletto deputato (1861).del regno d’Italia.
Il monumento a Verdi in piazza Buonarroti
In seguito alla morte del Maestro il 27 gennaio 1901, il Comune decise di intestare a suo nome la via San Giuseppe di fianco alla Scala e a far erigere un monumento commemorativo in suo onore, deliberando la costituzione di un Comitato Esecutivo che bandisse un pubblico concorso per la scelta dell’artista esecutore. Il bando venne fatto nel maggio 1904 lasciando un anno di tempo per la preparazione dei bozzetti. Nonostante la libertà concessa agli artisti nell’ideare l’opera che si sarebbe dovuta erigere in piazza Michelangelo Buonarroti, di fronte alla Casa di Riposo per i musicisti fondata da Verdi, la commissione giudicante, l’anno successivo, non riuscì ad individuare un solo progetto accettabile, fra i settantotto bozzetti pervenuti.
Bandita una nuova gara nel dicembre 1905, la giuria presieduta da Enrico Butti, scelse fra i bozzetti presentati, quello di Antonio Carminati, Questi, mentre stava lavorando alla figura del musicista, morì probabilmente d’infarto, l’11 maggio 1908, all’età di soli 49 anni. Volendo avere la statua pronta in occasione del Centenario della nascita del Maestro, si decise, nel 1910, sia per i costi che per la scarsità di tempo a disposizione, di non fare un nuovo bando ma di affidare l’incarico per l’esecuzione del monumento, voluto dall’Ordine dei Giornalisti, allo scultore Enrico Butti (1847 – 1932), presidente della giuria del concorso e già maestro dello stesso Carminati, all’Accademia di Brera.
Il monumento a Verdi venne inaugurato il 10 ottobre 1913 in mezzo alla piazza Buonarroti davanti alla Casa di Riposo. In posizione eretta su un grande piedistallo, le mani unite dietro a sé, sotto la giacca, sembra guardare lontano, forse in direzione della Scala, con aria distaccata. Era questo, un pò il suo atteggiamento abituale, un’immagine familiare ai milanesi, quella di un uomo partecipe ma che, a momenti pensoso, sembrava estraniarsi dal mondo che lo circondava.
Il basamento è rivestito da quattro rilievi in stile liberty, ispirati all’opera verdiana: la Melodia, la Tragedia dell’odio e del dolore, la Serenità bucolica e la Poesia dell’amor patrio.
Mi sembra simpatico concludere quest’articolo con una frase, di autore ignoto, trovata mentre mi stavo documentando su questo monumento, citazione questa che denota quanto affetto, ad oltre centovent’anni dalla sua morte, gli Ospiti della Casa nutrano ancora oggi per il grande Maestro. La riporto esattamente come l’ho trovata scritta:
“Un passante appena più alto degli altri passanti, e che sta sempre fermo. Ma quando l’acqua, come oggi, viene giù a catinelle, è una pena vedere il nostro padre melodico esposto al diluvio a testa nuda e senza paltò. Si vorrebbe scavalcare la ringhierina di ferro battuto, aiutare il buon Maestro a scendere dallo zoccolo, dargli una mano per fargli attraversare la strada, accompagnarlo sotto l’ombrello dentro la Casa di Riposo”. [rif. – www.casaverdi.it/ ]
Note:
Casa di riposo per musicisti
Fondazione Giuseppe Verdi
Piazza Buonarroti 29, Milano
Tel +39.02.4996009
info(@casaverdi.it
Orari e giorni di apertura
La cripta di Verdi: Ogni giorno dalle 8.30 alle 18.00
La Casa è visitabile liberamente ogni martedì pomeriggio e sabato pomeriggio – dalle 14.30 alle 18.00 – nell’ambito del progetto “Aperti per Voi” del Touring Club Italiano.
Prezzi e Riduzioni
L’ingresso a Casa Verdi è gratuito, ma è gradita un’offerta.
Come Arrivare
Metropolitana : Linea MM1 (per chi viene dal centro, direzione Molino Dorino) – fermata Buonarroti
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
Cosa stai cercando?
Mappe personalizzate di Divina Milano
Scopri curiosità, personaggi e luoghi sulla nostra mappa. Cliccando sulle icone leggi un piccolo riassunto e puoi anche leggere tutto l’articolo.
Il centro
Il Castello