Costumi e società nella Milano del Settecento: focus su Cesare Beccaria
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Questa è la seconda parte di uno studio sul cicisbeismo. Per leggere la prima parte, cliccare sul seguente link: “Costumi e società nella Milano del Settecento“
In Italia, il cicisbeismo fu un costume molto diffuso e radicato nella società nobiliare del Settecento. Visto come forma di libertinaggio amorale, essendo praticamente un adulterio legalizzato, ebbe, fra i suoi più accaniti detrattori, come voce fuori dal coro, il marchese Cesare Beccaria, il famoso autore del trattato “Dei delitti e delle pene”, uno dei massimi esponenti dell’illuminismo italiano. A ragione, si dichiarava, “scandalizzato” per la legge che esimeva i “cavalier serventi” da qualunque responsabilità genitoriale, in caso di procreazione. Lui, visse da vicino questa esperienza, senza poter fare nulla per combatterla, essendo istituzionalizzata da leggi che favorivano questo malcostume dilagante. Nel suo piccolo, in quel contesto di generale degrado della società, ben tre casi coinvolsero le donne della sua famiglia. E’ incredibile che, per la sua cocciutaggine, proprio lui, notoriamente contrario a questo costume, abbia finito per favorirlo, probabilmente senza rendersene conto, proprio con sua figlia. Per questa sua “svista”, diventerà un nonno celebre!
Ndr. – Senza la pretesa di voler fare la biografia completa del giurista, con tutte le sue opere ecc., qui di seguito traccio, unicamente per le finalità di quest’articolo, un breve profilo di Cesare Beccaria, soffermandomi successivamente su alcuni dettagli della sua vita, sicuramente poco noti, assolutamente reali e non romanzati che denotano come il lassismo dei costumi del tempo non abbia risparmiato nemmeno soggetti integerrimi come lui.
Cesare Beccaria
Figlio di Maria Visconti di Saliceto e del marchese Giovanni Saverio di Francesco, Cesare Beccaria, nacque a Milano il 15 marzo 1738.
Gli studi
Entrato a 8 anni nel collegio dei Nobili di Parma, si diplomò a 16 e, iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza all’università di Pavia, si laureò nel 1758.
Tornato a Milano, quello stesso anno prese parte all’Accademia dei “Trasformati”, avente come oggetto della sua attività, la lingua italiana e la poesia. Era questa un’istituzione sostenuta da Giuseppe Maria Imbonati, uno dei più ricchi patrizi di Milano. Qui ebbe modo di conoscere l’insegnante brianzolo Giuseppe Parini, e l’aristocratico Pietro Verri, col quale stringerà una lunga e sincera amicizia.
Il matrimonio
Nell’estate del 1760, conobbe Teresa de Blasco, in casa del maestro di cappella Monzino, dove erano entrambi stati invitati a partecipare ad un’accademia musicale. Di lì a poco, sbocciò l’amore e fermamente deciso a sposarla contro la determinazione del padre, entrò in conflitto con lui. Per amore, finì addirittura per alcuni mesi agli arresti domiciliari, reo di aver osato contrastare la volontà del padre. La punizione non servì a molto e la spuntò lui che, nel febbraio 1761, infischiandosene del padre adirato, da ventiduenne ribelle, sposò Teresa de Blasco, allora solo sedicenne.
Quel medesimo anno, unitamente agli amici Pietro ed Alessandro Verri, fu uno dei fondatori del salotto culturale l’“Accademia dei Pugni“, quale fucina di idee del pensiero illuminista, movimento questo che ebbe la sua origine in Inghilterra, dilagando successivamente in Francia.
Nel 1762, Cesare diventò padre di Giulia; nel frattempo, in questo periodo, gli sorse il desiderio di scrivere un trattato finalizzato a dare vita a una riforma in sostegno dei carcerati, sollecitato in questo, pure dall’insistenza dell’amico Alessandro Verri protettore dei reclusi: fu così che Cesare, nel 1764, pubblicò (inizialmente in maniera anonima) il famoso trattato “Dei delitti e delle pene“, che opponendosi alla tortura e alla pena di morte, gli avrebbe dato così tanta notorietà.
Di pari passo con la pubblicazione di quel trattato, si dedicò alla stesura di articoli di economia anche per la rivista letteraria illuminista “il Caffè”.
Nel 1766, divenne padre di Maria, la sua seconda figlia, nata con gravi problemi neurologici e probabilmente con qualche serio handicap (morirà poi nel 1788), mentre l’anno successivo, poco dopo il ritorno dal suo primo e probabilmente unico viaggio all’estero,, nacque Giovanni Annibale, un maschietto che però, morì pochissimo tempo dopo.
Il lavoro
Beccaria, a dispetto di un carattere scostante e fragile, molto indolente e poco incline alla vita sociale, diventò professore di Scienze Camerali alle Scuole Palatine. Nel 1771 entrò a far parte dell’amministrazione austriaca, prima di essere nominato membro del Supremo Consiglio dell’Economia; ricoprì tale carica per oltre un ventennio, nonostante le critiche di Pietro Verri e di altri amici, che lo additarono come burocrate. Contribuì, tra l’altro, all’istituzione delle riforme asburgiche avviate sotto Maria Teresa e Giuseppe II.
Nel 1772, nacque Margherita, la sua quarta figlia, che però non sopravvisse che pochi giorni. Gravemente minata nel fisico, due anni più tardi, sua moglie Teresa morì all’età di soli trent’anni.
Il secondo matrimonio
Si risposò poco dopo con la ventiduenne Anna, figlia unica dei Conti Barnaba Barbò che, non solo gli portò una ricca dote, ma nel 1775, gli regalò pure un bel maschietto, Giulio.
Questo secondo matrimonio gli fece bene, non solo dal punto di vista finanziario, riuscendo ad appianare tutti i debiti contratti quando era con Teresa, ma soprattutto dal punto di vista affettivo e caratteriale. Si rese finalmente conto che il padre, quando si era tanto arrabbiato con lui, quattordici anni prima, aveva ragione! Ora, con Anna, tutto era cambiato: era più sereno, meno scontroso, persino allegro! L’unica cosa che gli fu impossibile eliminare, fu la sua proverbiale taccagneria, per la quale era noto in tutta Milano.
Nuovi prestigiosi incarichi
Nel 1778, entrò a far parte della commissione per la riforma delle monete, alla Zecca.
Nel 1786, entrò nel Consiglio di Governo per la riforma della giustizia.
Nel 1791, fece parte della Giunta per la revisione del sistema giudiziario civile e criminale e nella Commissione per la riforma del diritto penale.
La morte
Cesare Beccaria morì a Milano il 28 novembre 1794, all’età di soli 56 anni, pare per un colpo apoplettico. Quella sera, dopo una lauta cena, si era sentito male. .Fu tumulato nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina.
Pietro Verri
Pietro Verri (1728 – 1797), amico di Cesare Beccaria, era un personaggio di spicco, uno dei massimi esponenti dell’illuminismo italiano, fondatore col giovanissimo fratello Alessandro, della cosiddetta “Accademia dei Pugni“, iniziale nucleo redazionale del foglio periodico Il Caffè, destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico italiano.
Pietro, scapolone impenitente, a 38 anni non era ancora sposato. Nonostante fosse di 10 anni più anziano di Cesare, anche se di caratteri molto diversi, i due avevano fatto amicizia, come detto, all’Accademia dei Trasformati, qualche anno prima.
Quella di Pietro Verri, fu per Cesare Beccaria, davvero un’amicizia preziosa, amicizia che si rivelò tale, nel momento del bisogno. Si è già riferito che, contravvenendo al volere del padre, Cesare si era intestardito a voler sposare l’esuberante Teresa de Blasco, allora sedicenne. A parte gli arresti domiciliari di alcuni mesi (inflittigli dal Governatore di Milano, il duca Francesco III d’Este, su richiesta di suo padre) per evitare che i due potessero continuare a frequentarsi, le conseguenze di simile gesto ribelle. non si fecero attendere. Era colpevole di avere sfidato le tradizioni e l’autorità paterna, avendo siglato, senza l’autorizzazione di suo padre, un contratto di matrimonio, per sposare una ragazza di dote e condizione sociale inadeguate (non essendo di pari ceto). Il padre, per questo, lo cacciò letteralmente da casa e lo diseredò, facendogli perdere ogni diritto di primogenitura. Gli lasciò solo la facoltà di ereditare il titolo di marchese, alla sua morte.
I due giovani si sposarono il 22 febbraio 1761, andando a vivere in affitto in un appartamentino di contrada Rovello a Milano. Da primogenito di buona famiglia con pochi doveri e molti diritti, Cesare era diventato, nell’arco di pochi giorni, uno spiantato ai margini della società!
Vista la tragica situazione in cui stava versando l’amico, Pietro Verri s’impietosì, ospitandolo in casa sua, dandogli per un certo periodo, anche il sostegno economico negatogli dal padre, per poter condurre una vita modesta ma dignitosa.
Quello stesso anno, Pietro, lo coinvolse assieme al fratello Alessandro Verri e ad altri, nella fondazione dell’Accademia dei Pugni, salotto culturale, espressione moderata dell’illuminismo lombardo, spronandolo nel contempo, a collaborare con loro alla stesura di articoli, per il nuovo periodico “il Caffè”, che contavano pubblicare con cadenza settimanale.
Cesare e Teresa
Erano davvero la “coppia degli opposti” quei due ragazzi, Cesare Beccaria e Teresa de Blasco! Tanto scostante, serio, paranoico, indolente e poco incline alla vita sociale, lui, quanto esuberante, allegra, amante della vita, desiderosa di farsi notare e corteggiare, lei. L’amore a volte gioca degli strani scherzi e Cesare non capì subito il carattere “sfarfallante” della giovane compagna, ancora troppo bambina. Si rese conto dell’errore compiuto a sposarla, un po’ troppo tardi, quando il comportamento di lei, era ormai di dominio pubblico. Probabilmente per questo lui divenne così scostante ed ombroso di carattere.
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Poco più di un anno dopo, nel maggio del 1762, Cesare, su consiglio di Pietro, tentò di riappacificarsi col padre, venendo praticamente a Canossa. Lui e Teresa si presentarono in casa del padre, inscenando una “recita” di patetiche scuse, la richiesta di riammissione in famiglia e il preannuncio della nascita a breve del primo bimbo. L’idea del futuro nipotino intenerì il cuore di suo padre e la missione andò a buon fine. Tornata la pace in famiglia, gli sposi riabilitati si reinstallarono, poco prima del lieto evento, nel palazzo di via Brera 6, ove, ventiquattro anni prima, era nato lui (Cesare).
La nascita, quel luglio, della loro prima figlia Giulia, non bastò a calmare i bollenti spiriti di Teresa, né fu salutata con molta gioia dall’ombroso Cesare, che già sospettava non fosse sua. Se la moglie si comportava in modo non del tutto consono, avrebbe dovuto farsi lui un esame di coscienza e un profondo “mea culpa”! Ma lui era superiore a certe cose. non le capiva o si rifiutava di pensarci! Non se ne parla poi, della sua gioia alla nascita degli altri tre figli, che lei partorì negli anni successivi. Se già aveva sospettato della povera Giulia (che probabilmente, a dispetto delle malelingue, era davvero sua figlia) tutti gli altri erano sicuramente non suoi. Si rodeva dalla gelosia, ma era incapace di qualsiasi reazione.
In forte crisi d’indolenza, il suo amore per Teresa, di lì a poco, si affievolì, non altrettanto la sua gelosia. Lei, libera, sempre frivola e leggera, trovò subito nel ricchissimo Bartolomeo Calderara, un nuovo assiduo accompagnatore capace di soddisfarla in tutto. La cosa, ovviamente risaputa all’Accademia dei Pugni, era spessissimo, in sua assenza, motivo di ameni pettegolezzi fra i presenti. Si giocava persino ironicamente sul suo cognome in cui, per assonanza, Becc..aria diventava “Becco …. “! La cosa era di tale dominio pubblico che, nel 1767, addirittura l’abate Alfonso Longo, abituale frequentatore dell’Accademia dei Pugni, stilò per gioco, un vero e proprio “catalogo” degli amanti di Teresa de Blasco, inviandolo poi a Pietro Verri per conoscenza!
Maddalena (sorella minore di Cesare)
Un giorno, era il 1765, Pietro Verri, che aveva ripreso a frequentare casa Beccaria, dopo la riabilitazione dell’amico in casa del padre, ricevette dal marchese Giovanni Saverio (il padre di Cesare), l’incarico di negoziare lui, per conto della famiglia Beccaria, le trattative per il matrimonio della figlia Maddalena Bonesana di Beccaria, (sorella minore di Cesare) con tale Giulio Cesare, rampollo della famiglia Isimbardi. Pietro accettò l’incarico, francamente a malincuore, perchè incontrando in casa Maddalena quando lui andava a trovare Cesare, da qualche tempo si era segretamente invaghito di lei. Avrebbe desiderato sposarla lui, ma l’amico, a cui rivelò il suo segreto, lo dissuase dal legarsi a lei adducendo a giustificazione, il carattere scostante della sorella.
Pietro, cicisbeo di Maddalena
Così, accettato il suo consiglio, portò a termine le trattative per il matrimonio della giovane e nel maggio 1766, Maddalena sposò effettivamente l’Isimbardi, che l’aveva già messa incinta prima delle nozze. Il contratto di matrimonio prevedeva che Pietro Verri avrebbe fatto da “cavalier servente“ alla giovane sposa.
Non è chiaro se quello fosse un matrimonio riparatore o meno, certo è che i problemi fra i due neo-sposi nacquero fin da subito e il giovane si dimostrò essere un soggetto burbero, violento, cattivo oltre che avaro con la moglie. Lasciati passare alcuni mesi dalle nozze, nel gennaio dell’anno successivo, Pietro, sempre innamorato di Maddalena, vedendola ogni giorno, in quanto “cavalier servente”, decise di dichiararsi a lei. All’inizio la donna si dimostrò titubante alla proposta e, nonostante detestasse i comportamenti del marito, indugiò per qualche tempo, non sapendo cosa fare. Alla fine, nel giugno di quell’anno, si decise a contraccambiargli il suo amore. Da lettere scritte al fratello Alessandro, suo confidente preferito, relativamente al suo nuovo rapporto affettivo con Maddalena, Pietro giustificò la cosa ritenendo suo dovere, dati anche i precedenti di amicizia con la famiglia Beccaria, compensare la donna, da un lato per l’affettività negatale dal marito, e dall’altro, tutelarla nella sua incolumità personale, essendo lei, troppo frequentemente, vittima della sua violenza. Pare che per gelosia, il marito la tenesse infatti relegata in casa.
Cesare Beccaria, non credendo alla versione di Pietro, arrivò al punto da mettere in discussione il suo rapporto con l’amico. Rimase infatti molto infastidito per la relazione che l’amico stava intrattenendo con Maddalena, senza remora alcuna nei confronti del marito di lei. Attribuì esclusivamente alla presenza del Verri nella vita della donna, gli atteggiamenti ostili del cognato nei confronti della sorella, quasi quest’ultimo si rifiutasse di voler accettare il Verri “cavalier servente” della propria moglie, come da contratto.
A dire il vero, sempre per questione di donne, c’era già stato un precedente attrito con Pietro qualche anno prima, subito dopo il suo matrimonio con Teresa. L’Accademia dei Pugni oltre ad essere una palestra verbale, scambio spesso vivace di idee fra i presenti, era pure un normalissimo salotto, ameno ambiente di ritrovo fra amici.
Pietro Verri, in qualità di padrone di casa, amava intrattenere rapporti, più che amichevoli, soprattutto con le più carine esponenti del gentil-sesso che, a vario titolo, presenziavano alle riunioni o che comunque facevano parte del circolo. Una di queste, Teresa, la bella e giovanissima moglie del suo amico Cesare Beccaria, lo ammaliò col suo fascino, e con lei ebbe una fugace relazione. Lo confermò lui stesso in una lettera al fratello Alessandro, col quale amava confidarsi sempre, accennando all’epoca, al fatto che il loro amico Cesare Beccaria se l’era presa con lui, accusandolo di essere diventato suo amico, unicamente per poter “riservare attenzioni speciali” a sua moglie . Anche se, concludeva nella sua lettera il Verri, “non era poi così difficile ottenere le sue grazie, che tanti altri, prima di me, avevano già avuto modo di apprezzare”.
Il viaggio a Parigi
Avendo nel frattempo, in quegli anni, pubblicato oltre agli articoli de il Caffè, anche il trattato “Dei delitti e delle pene”, Voltaire e Diderot apprezzarono molto quest’ultimo testo, soprattutto per il suo contenuto fortemente innovativo. La risonanza, a Parigi, delle pubblicazioni milanesi fu tale, che i filosofi francesi, per potersi congratulare con i redattori italiani per i loro elaborati, invitarono sia Cesare Beccaria che i fratelli Verri, a venirli a trovare nella capitale francese, per poterli conoscere di persona.
Pietro, già impegnato nella sua funzione di “cavalier servente” alla contessa Maddalena Isimbardi, rinunciò, suo malgrado, all’invito. Così nel settembre 1766, Cesare Beccaria ed Alessandro Verri organizzarono il viaggio per Londra (culla dell’illuminismo), con tappa a Parigi per andare a conoscere i francesi che li avevano invitati. Per Cesare, quel viaggio fu un autentico trauma: già cominciò a fare scenate, quel 1 ottobre, alla partenza da Milano, al punto da avere una crisi di panico al momento di lasciare la moglie. Non era amore il suo, ma pura gelosia!. Gli rodeva tanto il non poter controllare di persona quegli strani, frequenti viaggi a Como, che Teresa de Blasco, inspiegabilmente, stava facendo da un po’di tempo. Alla fine, si decise e i due amici riuscirono a partire per Parigi. Dopo una settimana di viaggio in diligenza, arrivarono nella capitale francese, ove furono accolti in pompa magna. Davvero inqualificabile il comportamento del Beccaria con chi lo stava ospitando: maleducato, scontroso, isterico, paranoico, il tutto a causa della gelosia , nei confronti di Teresa, cui pensava giorno e notte, e che non lo faceva dormire. L’amore di un tempo era ormai svanito, tuttavia non tollerava che la moglie avesse un “cavalier servente” in sua assenza, e quindi, eroso dalla gelosia, non sopportava il fatto di starle lontano. Per qualche giorno venne ospitato nel circolo del barone d’Holbach, ma improvvisamente sparì dalla circolazione: era scappato via come un ladro, insalutato ospite. Il 16 dicembre aveva preso la diligenza per tornare in fretta e furia a Milano, abbandonando anzitempo, l’amico Alessandro che, finiti gli incontri di Parigi, fu costretto a proseguire da solo, il viaggio per Londra.
Fece tutto il viaggio di ritorno col chiodo fisso che la moglie, in sua assenza, se la stava spassando con qualcun altro. Non si può dire avesse tutti i torti, conoscendo i punti deboli della ventiduenne Teresa: in effetti, tornato a casa assolutamente inatteso, trovò la moglie fra le braccia del ricchissimo libertino comasco, quel marchese Bartolomeo Calderara col quale, ormai già da tre anni, si stava divertendo.
Il 20 agosto 1767 nacque Giovanni Annibale Beccaria, che sopravvisse solo pochi giorni. Secondo un rapido calcolo dell’amico Pietro Verri, cui, essendo rimasto a Milano, non sfuggiva nulla, quel figlio non poteva che essere stato concepito da Teresa proprio col Calderara, durante il soggiorno parigino di Cesare! Suonava tanto di punizione per il suo rientro anticipato non previsto!
Tralascio di citare mille altri piccoli o grandi episodi per cui Teresa de Blasco continuò a far parlare di sé. Comunque non durò ancora moltissimo: con la vita “intensa” che conduceva, si spense infatti di polmonite conseguente a malattia venerea, a soli trent’anni il 14 marzo 1774, dopo essere stata indubbiamente, almeno per un decennio, il soggetto più chiacchierato in tutti i salotti della Milano bene di allora.
Se Cesare Beccaria sperava che dopo tanto clamore, passasse sotto silenzio la sua improvvisa vedovanza, sbagliò davvero i calcoli!
Anche il lutto dell’inconsolabile marito, fu motivo di scandalo: a dirla tutta, se l’ era proprio cercata! Non erano ancora trascorsi quaranta giorni dalla morte della moglie, che aveva già siglato un nuovo accordo di matrimonio con la ventiduenne Anna dei Conti Barnaba Barbò. Non è finita! Forse in crisi di “astinenza di gelosia”, a nemmeno due mesi dalla stipula del nuovo contratto di matrimonio, il Beccaria era già di nuovo felicemente sposato (4 giugno del 1774). Era rimasto vedovo in tutto per ben 81 giorni! Chissà perché così tanti “spetteguless” nei suoi riguardi!.
Giulia, la primogenita di Cesare Beccaria
Per cambiare realmente vita con la nuova compagna Anna Barbò, bisognava dimenticare il più in fretta possibile sia Teresa de Blasco, che la sua primogenita ormai dodicenne, Giulia, l’unica figlia ancora vivente, dei quattro avuti dalla prima moglie. Lui preferiva dimenticare la sua primogenita, nella convinzione, che fosse il frutto di una delle tante relazioni che Teresa aveva avuto con altri uomini fuori dal matrimonio (magari anche con lo stesso amico Pietro Verri). Fece pertanto rinchiudere la figlia nel collegio delle suore annesso al convento di San Paolo. Giulia fu così internata in quella prigione per quasi sei anni, fino al raggiungimento della maggiore età (diciotto anni) ricevendo dalle suore la scarsissima istruzione destinata alle ragazze dei suoi tempi. Durante questo periodo il padre la ignorò completamente, al punto da non voler sapere più nulla di lei. e arrivando persino a non considerarla più sua figlia.
Uscita dal collegio nel 1780, Giulia scoprì una situazione familiare mutata rispetto a sei anni prima: suo padre si era risposato con un’altra donna che, nel 1775, gli aveva dato anche un figlio maschio, Giulio. Scoprì così di avere pure un fratellastro ormai già di cinque anni. Lei, essendo sempre la primogenita che il Beccaria si ostinava a non voler reputare sua figlia, costituiva indubbiamente per suo padre un fastidioso “bubbone” da eliminare quanto prima; lui, avaro, non intendeva spendere un soldo per farle una dote e sistemarla.
Giovanni Verri
Giulia, come diciotto anni prima aveva fatto sua madre Teresa, prese a frequentare il salotto dei fratelli Verri. Questa volta era Giovanni (1745 – 1818) a fare le funzioni del padrona di casa. Lui era il fratello minore di Pietro. Nel suo salotto, intellettuali di varia estrazione, ragazze aristocratiche e persino ballerine usavano riunirsi per suonare il clavicembalo e per discutere di filosofia. Giulia rimase affascinata dal padrone di casa che, a trentasei anni era un uomo che vantava un passato romanzesco, cavaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta, ed un’esperienza davvero invidiabile. Anche Giovanni Verri, gran donnaiolo pure lui, non rimase insensibile agli sguardi sognanti della ragazza nei suoi confronti. Finì con l’innamorarsi di Giulia e lei lo ricambiò con altrettanto trasporto. La loro relazione non sfociò in matrimonio, nonostante entrambi fossero d’accordo per regolarizzare la loro posizione. L’opposizione alle nozze venne questa volta da Pietro e Alessandro, i fratelli di Giovanni, timorosi che col matrimonio del fratello minore, potesse andar disperso il patrimonio familiare.
Poiché la società milanese di allora riconosceva alle donne sposate, una larga libertà sessuale, cosa questa assolutamente negata alle nubili, nel timore che Giulia potesse restare incinta da nubile, il marchese Cesare, suo padre , pur di levarsela di torno prima possibile, le combinò in gran fretta un matrimonio col primo trovato, l’anziano (si fa per dire, perché aveva solo trentotto anni) conte Pietro Manzoni, vent’anni più vecchio di lei. Avaro qual era, Cesare Beccaria, totalmente incurante della felicità della ragazza, giocò al ribasso con lui, sulla dote della figlia. Per abbassare la posta sfruttò anche le voci di popolo che davano il conte come impotente (anche se probabilmente, si trattava solo di dicerie). Fatto l’accordo, costrinse la figlia a rinunciare anche all’eredità materna, lasciandola completamente alla mercé del futuro marito anche per quanto riguarda il suo corredo e gli abiti.
Giovanni , cicisbeo di Giulia
Il matrimonio fra Giulia e Pietro Manzoni venne celebrato il 20 ottobre 1782. Pare (per la cronaca) che nessuno dei familiari di lei fosse presente alla cerimonia.
Esperienza, per Giulia, tutta da dimenticare il più in fretta possibile! A parte l’ambiente deprimente in cui si trovò catapultata grazie al padre, i familiari del marito terribilmente bigotti e l’amore sognato totalmente inesistente, scoprì che il conte Manzoni non era nemmeno interessato alla cultura, nella quale lei si era rifugiata negli ultimi tempi. Comprensibilmente delusa per tutto ciò, non le restò che correre a cercare consolazione da Giovanni Verri, che era ancora innamorato di lei. Ora, essendo sposata, la gente non aveva più motivo di spettegolare sulla loro relazione: poteva essere fatto tutto alla luce del sole, visto che ogni nobildonna sposata aveva “diritto” ad un “cavalier servente” personale, che la ossequiasse e le facesse il baciamano ad ogni piè sospinto,! Anche a lui la cosa andava benissimo: avrebbe potuto divertirsi con l’amata, senza assumersi ufficialmente alcuna responsabilità.
E fu così che Il 7 marzo 1785, Giulia diede alla luce un bel bimbo, che chiamò Alessandro. Tutti i milanesi sapevano benissimo che il nuovo nato era figlio di Giovanni Verri e non certo del marito che non la guardava nemmeno. All’anagrafe però, al piccolo Verri venne dato il cognome Manzoni, non perchè Manzoni fosse effettivamente il padre ma perché fu lui, Pietro Manzoni, che per tacitare le malelingue, volle riconoscerlo ufficialmente e allevarlo come fosse suo.
Ndr. – La tesi, che il padre del piccolo Alessandro fosse Pietro Manzoni, verrà sposata, per oltre un secolo, dai critici bigotti, che, non potendo ammettere che il più grande scrittore cattolico fosse “un bastardo”, daranno come certa questa versione, lasciando al massimo, adito al dubbio. Per i contemporanei invece, la paternità di Giovanni Verri, era una certezza!
Anche i rapporti tra Giulia e Giovanni Verri, col tempo si guastarono: lei scoprì che lui aveva un’altra amante. Si lasciarono, ma, poco dopo, un incontro fortunato impresse una svolta alla vita, finora così triste, della giovane donna. Lui era il conte Carlo Imbonati, undici anni più vecchio di lei, ma scapolo, bello, colto e straordinariamente ricco!
Nel 1791, tutta Milano parlò della “scandalosa” decisione di Giulia, che rifiutando l’ipocrita costume che le avrebbe consentito, da sposata, di avvalersi di “cavalier serventi”, chiese la separazione dal conte Manzoni.
Il resto è storia nota!
Leggi articolo su Alessandro Manzoni
Ecco così spiegato come il giurista Cesare Beccaria, con gli intrallazzi che mise in atto per liberarsi di quella figlia incomoda, alla fine si trovò ad essere il nonno di quel Alessandro Manzoni, che, futuro autore dei Promessi Sposi, sarebbe diventato il maggiore romanziere italiano di tutti i tempi.
Nel 1791, nonno e nipote, 53 anni Cesare e 6 anni Alessandro, si vedranno per la prima volta, per pochi minuti. Sarà anche l’ultimo malinconico incontro tra i due intellettuali che segneranno così profondamente la cultura italiana. Era stata Giulia a pensare di portare Alessandro a rendere omaggio all’illustre nonno, il giorno del trasferimento del bambino al collegio dei padri somaschi di Merate. Forse ebbe un presentimento, quasi “avesse sentito” che il piccolo Alessandro non avrebbe mai più rivisto suo nonno da vivo.
Quando Cesare Beccaria, colto da un ictus, all’età di soli 56 anni, morì quel 28 novembre 1794, ai suoi funerali volle presenziare anche il nipotino Alessandro, che, alla data, ne aveva solo 9!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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