Galleria Vittorio Emanuele II
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ToggleFra scandali, incidenti e fallimento, non andò proprio tutto così liscio …
Non si può proprio dire sia stata una gran felice battuta, quella che Vittorio Emanuele II, Re d’Italia, fece a proposito degli italiani, rivolgendosi il 6 luglio 1867, al plenipotenziario inglese August Paget, inviato in Italia in rappresentanza del suo paese:
“Ci sono due modi per governare gli italiani: con le baionette o con la corruzione”. Fece usare le une e l’altra, con spregiudicata brutalità, e così nacque l’Italia: una monarchia poco democratica, fondata sulle tangenti.” (tratto da Centro studi Giuseppe Federici I moribondi di Palazzo Carignano, di Giorgio Filograna – Le origini risorgimentali della corruzione italiana)
Accomunare ai suoi corrotti sudditi savoiardi, i poveri italiani del lombardo veneto, nell’Italia appena unificata, mi sembra francamente un clamoroso autogol. Basta conoscere un minimo di storia per capire che i lombardo-veneti, essendo stati per secoli, sotto dominazione straniera, anche volendo, non avrebbero potuto essere corrotti da alcuno, dato che, comunque, tutte le posizioni chiave, erano saldamente tenute dall’occupante straniero di turno. Se è vero che ci furono episodi di corruzione, anche eclatanti, in Italia, dopo l’unificazione, (il crack della Banca Romana o altri), questi comunque, alla data, non erano ancora accaduti.
Il malcostume savoiardo
C’è quindi da ritenere, e sono diverse le fonti di storici che concordano in merito, che l’origine della piaga della corruzione in Italia, sia attribuibile effettivamente ai savoiardi di cui Vittorio Emanuele II era il re, già prima dell’unificazione.
Del resto, che esistesse il mal costume nelle alte gerarchie savoiarde è un fatto risaputo … uno dei milanese che ne fece le spese, vivendo di persona il malcostume locale, fu proprio l’ing. Giovanni Battista Porta – l’ideatore del martello pneumatico – cui i savoiardi, con l’avallo dei ministri piemontesi conniventi e corrotti, rubarono l’idea che lui aveva proposto nel progetto presentato per il traforo del Frejus, brevettando la sua invenzione, a loro nome, per trarne illeciti profitti.
Leggi l’articolo che parla dell’ing. Giovanni Battista Porta
Storicamente pertanto, tutto cominciò a conclusione della seconda guerra d’indipendenza italiana, combattuta dalla coalizione franco-savoiarda contro gli austriaci, dal 27 aprile al 12 luglio 1859. L’armistizio di Villafranca (11-12 luglio 1859), siglò la sconfitta dell’Austria. Questa dovette cedere a cedere la Lombardia alla Francia. Quest’ultima, la girò poi al Regno di Sardegna. E fu così che, appena passata sotto i Savoia, il vento della corruzione non tardò a dilagare anche in Lombardia, cominciando per prima cosa, ovviamente, dalle Amministrazioni locali.
Un Sindaco scelto dal Re
Nel 1859, all’indomani dell’unità d’Italia, Antonio Beretta, membro della borghesia lombarda. fu eletto consigliere comunale della città meneghina.
Una apposita legge del 1859, emessa dal Regno di Sardegna, prevedeva che a capo dell’amministrazione comunale di Milano, ci fosse un sindaco con carica triennale, scelto e nominato dal re, tra i consiglieri comunali.
Così, dal 21 gennaio 1860, Beretta divenne il primo sindaco della città di Milano, inizialmente sotto il Regno di Sardegna, poi, dal 1861, sotto il Regno d’Italia.
Più bandi per un progetto ambizioso
La prima idea di una via commerciale che collegasse piazza Duomo a piazza della Scala, fu del patriota e scrittore Carlo Cattaneo, nel 1839. Ma quell’idea, restò lettera morta per altri vent’anni. I tempi, evidentemente, non erano ancora sufficientemente maturi. Poi, andati finalmente via gli ultimi occupanti austriaci, si rispolverò nuovamente l’idea del Cattaneo, questa volta con maggior successo.
In effetti, nel 1859, per saggiare il terreno, qualcuno organizzò una prima gara, di generica risistemazione del centro città, coinvolgendo i migliori architetti del momento. Presentarono tantissimi progetti, ma nessuno giudicato papabile, perché o troppo ‘dimessi’ rispetto alle aspettative, quindi inadeguati, o troppo ‘grandiosi’. Mancava la classica via di mezzo … C’era anche un problema di tempi e costi da non sottovalutare … a quelli vivi della costruzione in sé, bisognava anche aggiungere i costi non irrilevanti degli espropri, delle demolizioni e della rimozione delle macerie.
1860 – 1° bando
Nel giugno 1860, uno dei primi atti di Antonio Beretta, come nuovo sindaco, fu una delibera comunale per indire una prima vera gara di idee per costruire un passaggio coperto che collegasse fra loro Piazza del Duomo con quella della Scala. . La commissione selezionò solo 176 tra i progetti presentati, e li espose in visione, presso la Pinacoteca di Brera. Molti interpretarono il passaggio coperto, come un porticato, tipo il Coperto del Figini.
1861 – 2° bando
Riformularono quindi il bando, con indicazioni più precise circa le forme, proponendo l’idea di una galleria commerciale bandendo un secondo concorso internazionale nel febbraio 1861. Doveva essere simile a quella analoga già esistente, la Galleria De Cristoforis di San Babila, ma molto più elegante e grandiosa. Anche in questo caso, non ci fu un vincitore.
1863 – 3° bando
Infine, l’anno successivo (1863), il terzo e ultimo concorso internazionale per il ridisegno completo «di Piazza Duomo e [delle] vie adiacenti a Milano», fu bandito dal Comune, per dotare il centro cittadino di una nuova fisionomia, compiuta e monumentale, assolutamente necessaria per una città che ambiva ad assumere un ruolo di spicco nel neonato Regno d’Italia. Fra i progetti presentati, ne valutarono solo otto, Tra questi, quello di Giuseppe Mengoni (1829-1877) risultò il vincitore, a condizione che fosse disponibile alla revisione di alcune parti del progetto.
Il suo elaborato prevedeva la risistemazione di Piazza del Duomo, dandole un forma di rettangolo regolare. Era necessario, per questo, demolire il Rebecchino e il Coperto del Figini, oltre naturalmente il quartiere che stava fra Piazza Duomo e piazza della Scala. Si sarebbe dovuto ricostruire un quartiere nuovo, con palazzi eleganti che si affacciavano su Piazza Duomo. In particolare, Portici settentrionali, meridionali ed una Galleria commerciale pedonale che unisse la piazza, con quella della Scala. Aveva previsto pure la costruzione di una grande loggia reale, e di un palazzo detto dell’Indipendenza, esattamene di fronte alla facciata del Duomo, in fondo alla piazza. Questi ultimi però non vedranno mai la luce, molto probabilmente, per questione di costi eccessivi.
Espropri e demolizioni
Così nella primavera del 1864, il Comune partì con la lunga fase burocratica degli espropri e col trovare diversa collocazione alle attività commerciali esistenti in loco.
Si riuscì pure a spostare altrove il teatro Re, impiantato agli inizi del secolo, da Luigi Canonica, al posto di uno xenodochio (una sorta di ricovero gratuito medioevale per viandanti), ricavato nella ex chiesa di San Salvatore.
Completata questa fase, non semplice da gestire, per le vicende umane degli sfrattati che rifiutavano di andarsene dalle loro abitazioni, il Comune dette l’autorizzazione all’impresa di procedere con le demolizioni.
Altro pezzo della vecchia Milano, cancellato
Al posto della Galleria attuale, c’era una volta la contrada dei Due Muri, che venendo da piazza Duomo, all’altezza dell’ottagono, proseguiva con un percorso ad angolo retto, lungo l’attuale via Tommaso Grossi per sbucare in contrada Santa Margherita. Dicono, ma dalle piantine non si riesce a vedere, ci si accedesse attraverso un piccolo arco da piazza del Duomo. La contrada si chiamava così perché effettivamente c’erano, per un tratto, due muri contigui e paralleli, memoria toponomastica del sistema difensivo pre-romano e romano.
Si dice che nel Medioevo, fosse proprio questo quartiere, il più antico luogo di dimora dei catari a Milano. Avevano attribuito a loro, nel 1252, l’assassinio del frate domenicano Pietro da Verona, reo di aver predicato davanti a Sant’ Eustorgio, contro la setta catara, considerata eretica. Sull’arco che immetteva alla Contrada dei Due Muri, ci fu per secoli, il dipinto del martirio del Santo a cui era stato inflitto un colpo mortale di falcastro sulla testa. Con la demolizione, purtroppo l’affresco andò perduto.
La realizzazione del progetto
Nel settembre del 1864, Giuseppe Mengoni presentò il progetto finale comprensiva della variante, richiesta dal Comune, di un collegamento pedonale fra la nuova strada commerciale coperta e le vie San Raffaele e Santa Margherita. Aveva presentato l’ottagono, come soluzione per raccordare la Galleria, con i bracci ortogonali (verso via Berchet e Tommaso Grossi), inizialmente non previsti, perché la via Berchet non esisteva proprio. Contestualmente, il Comune di Milano firmò un contratto con la società inglese The City of Milan Improvements Company Ltd, finanziatrice del progetto. Quest’ultima aveva vinto la gara, aggiudicandosi la realizzazione della Galleria, dei Portici e la demolizione dei quartieri esistenti. La società avrebbe acquisito la proprietà dei palazzi che s’affacciavano alla galleria, sperando che, affittandoli, avrebbe avuto un utile tale, da rientrare, nell’arco di pochi anni, degli investimenti fatti.
La posa della prima pietra
Il 7 marzo 1865, sotto una fitta nevicata, il Re Vittorio Emanuele II pose la prima pietra della nuova Galleria, nel punto corrispondente al centro dell’Ottagono, alla presenza del Sindaco Beretta e di tutte le autorità civili, militari ed ecclesiastiche. Domenico Induno raffigurò la cerimonia, in un celebre dipinto, ora visibile alla Galleria Morandi (via sant’Andrea 6).
Nota: Caratteristica interessante di questo dipinto è quella di sembrare effettivamente uno scatto fotografico. L’impressionante somiglianza dei visi dei presenti è tale, che, a distanza di anni, rivedendo il quadro, le stesse autorità lì rappresentate, si riconobbero nel dipinto stesso!
Il cantiere, gestito dagli ingegneri capo Chizzolini e Solmi, comportò l’impiego stabile di almeno un migliaio di operai per alcuni anni, con punte fra i 3000 e 4000 nell’inverno 1866-67 per la copertura finale in ferro e vetro. Dato lo scarsissimo livello di protezione anti- infortunistica, gli incidenti mortali sul lavoro furono purtroppo tanti
La scoperta degli illeciti
Il primo scandalo nacque nel marzo del 1867, in seguito ad uno dei controlli tecnici eseguiti, per conto del Comune, dall’architetto Giuseppe Pestegalli che, qualche anno prima, aveva conteso, fino all’ultimo, la vittoria alla soluzione elaborata da Giuseppe Mengoni per il progetto della nuova piazza del Duomo e delle vie adiacenti. Il controllo da lui effettuato, evidenziò la sopraelevazione di un piano in tutti i fabbricati della galleria, rispetto al progetto originariamente approvato dal Comune. Si scoprì che questo era accaduto, grazie ad un accordo segreto fra il sindaco Beretta e la società costruttrice inglese.
E’ evidente che l’innalzamento di un piano e quindi l’aumento della cubatura, avrebbero portato innegabili vantaggi economici alla società finanziatrice, mentre la complicità del sindaco sarebbe stata ottenuta, elargendogli una ricca tangente. Quindi la magistratura aprì in quell’occasione, un‘indagine nei confronti del Sindaco.
Nota: Il piano in più, non fu mai demolito, così, ora, la galleria risulta essere più alta di un piano rispetto a quanto inizialmente previsto.
L’apertura dell’indagine nei confronti del Sindaco Beretta, spinse la magistratura a ricercare ulteriori illeciti, mai denunciati e quindi, fino ad allora, non emersi. Sembra fossero due, i parenti del Sindaco coinvolti: il primo, un lontano parente senza incarichi istituzionali, il secondo invece, suo cognato, G.B. Marzorati, assessore della sua stessa Giunta. Dagli atti sarebbe emerso che, entrambi erano a conoscenza dell’intenzione da parte del Comune di riqualificare l’intera zona. Avrebbero pertanto acquistato interi edifici del quartiere da demolire, rivendendoli poi al Comune, al momento dell’esproprio, a prezzi decisamente gonfiati.
In seguito a quanto emerso durante quei tre mesi d’indagini serrate, il 18 luglio 1867, il sindaco Beretta si dimise.
L’inaugurazione
Ci si mise anche un’ennesima epidemia di colera, quell’anno, a rallentare la frenetica attività del cantiere. Comunque, per fortuna, rientrò velocemente, tanto da consentire ugualmente la cerimonia d’inaugurazione della Galleria, il 15 settembre 1867, alla presenza del re Vittorio Emanuele II. Il giorno dopo fu aperta al pubblico.
L’illuminazione
La Galleria era illuminata con lampioni a gas: luce fioca, ma comunque suggestiva. L’accensione delle lampade sull’ottagono, alla base della cupola, avveniva usando l’ultimo ritrovato della tecnica di allora, un marchingegno automatico chiamato “rattìn” (“topolino” in milanese). Si trattava di una sorta di piccola locomotiva che, correndo velocissima su rotaia, accendeva progressivamente i lumi a gas. La cosa era spassosa al punto che, l’andare a vedere, all’imbrunire, la procedura automatica di accensione, era diventato quasi un rito per i milanesi. Il “rattin“ fece il suo servizio per circa diciotto anni. L’avvento della nuova tecnologia, della luce elettrica (1884-5), suggerì di sostituire tutti i lampioni a gas con le ‘potenti’ lampadine da 12 candele! ET FIAT LUX!
La Galleria comunque, alla data dell’inaugurazione, era ancora incompleta: mancava l’arco trionfale, lato Piazza Duomo. Per questo bisognerà attendere ancora parecchio. Infatti, a rallentare enormemente i tempi di completamento dell’opera, contribuirà, nel 1869, il
Fallimento della società appaltatrice
La bancarotta della City of Milan Improvements Company Ltd, obbligò il Comune a rilevare l’operazione, a lavori non ancora ultimati. A parte il completamento dell’arco trionfale, erano ancora in costruzione gli edifici lato piazza Duomo e da costruirte ancora i portici. Furono vendute ai privati le aree dei portici settentrionali ad est della Galleria, vincolandoli però a ultimare le costruzioni secondo il progetto del Mengoni. La costruzione dei portici fu affidata all’ing. Chizzolini con inizio lavori nell’aprile del 1870, con la supervisione del Mengoni. Tutti questi passaggi burocratici comportarono un notevole ritardo nella conclusione effettiva dell’opera (circa 10 anni – 30 dicembre 1877)
Incidente fortuito o suicidio?
L’architetto Mengoni non riuscì a vedere la sua opera monumentale finita. Per ironia della sorte, morì il giorno prima della consegna della stessa al committente, precipitando dall’impalcatura ancora presente sotto l’arco trionfale della Galleria. Incidente fortuito o suicidio? Non si seppe mai. I termini di ultima consegna dell’opera sarebbero scaduti l’indomani – 31 dicembre 1877. Ad avvalorare l’ipotesi del suicidio, la consapevolezza che, scaduto il termine ultimo, a lavoro non del tutto terminato, il Mengoni avrebbe dovuto pagare una penale molto salata. Comunque, sono tutte supposizioni.
L’ex-sindaco premiato
Non risulta che, alla fine delle indagini della magistratura, l’ex-Sindaco avesse subito alcun processo. La sua stessa Giunta lo graziò, decidendo, con voto unanime, il non luogo a procedere nei confronti del Beretta.
A quattro anni dalle sue dimissioni, l’ex-sindaco Beretta fu nominato Conte titolo concesso, motu proprio, da SM il Re il 15 ottobre 1871. Infatti, nel giro di poco più di un anno tornò sulla scena divenendo un membro illustre della Società storica lombarda. Fu anche presidente del Museo patrio d’archeologia di Milano e presidente dell’Associazione industriale italiana sotto la cui egida istituì’ nel 1882 la Scuola superiore d’Arte applicata all’Industria del Castello Sforzesco di Milano
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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