Il caso: la tomba del Parini
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La scuola di oggi, si sa, non è più ‘cultura’ com’era secoli addietro, ma semplice ‘nozionismo’, una sorta di ’infarinatura generale’, su argomenti vari. Il suo scopo, oltre a quello d’insegnare a ‘ragionare’ e dove andare a ricercare le informazioni che un domani potrebbero servire, dovrebbe essere anche quello di ‘affiancare’ la famiglia, nel far assimilare ai giovani quei ‘valori’ che, ognuno di noi, oggi possiede. La cosiddetta ‘cultura’, uno se la crea più tardi, a suo piacimento, nel corso della sua vita, ‘specializzandosi’ poi su qualcosa in particolare, secondo i propri interessi, andando a ‘selezionare’ e ‘ricercare’ quello che gli serve per completare la base delle proprie conoscenze.
Sono tantissimi i nomi dei ‘grandi’ che, a vario titolo, e in vario modo, hanno contribuito a migliorare la nostra esistenza, regalandoci le loro intuizioni, il loro ingegno, e illuminandoci col loro pensiero, e la loro arte, in senso lato. Tanti di loro, sono stati addirittura considerati come modelli da seguire: col loro esempio, abbiamo fatto nostri, alcuni dei loro ‘valori’. Trovo quindi giustificato che tutti costoro siano ricordati ai ‘posteri’ per le loro opere ed imprese, con monumenti, targhe commemorative, lapidi ed altro.
Chi, ad esempio, trovandosi oggi a visitare le bellezze di Ravenna, non va a vedere la tomba di Dante Alighieri, oppure a Parigi, quella di Napoleone Bonaparte, a Washington, il mausoleo di Abramo Lincoln, o ad Amboise, la tomba di Leonardo da Vinci? Penso siano ben pochi coloro che, avendo studiato a scuola, ed essendo andati a visitare l’una o l’altra di queste località, non si siano recati, quanto meno per curiosità, a vedere le tombe di questi illustri personaggi! Tutti nomi, beninteso, diventati familiari perché, volenti o nolenti, qualcuno, al liceo, ce li ha fatti studiare! Quanti patemi d’animo per colpa di questi ‘grandi’… i temi in classe su di loro (su argomenti di cui non si sapeva mai cosa scrivere e come riuscire a riempire le quattro pagine di foglio protocollo) ….. il batticuore per le interrogazioni impreviste (temendo sempre la domanda, la cui risposta, era ovviamente, nella pagina che nessuno aveva letto), …. ‘Scorci’ del nostro vissuto scolastico che, proprio in queste occasioni, prepotentemente riaffiorano alla memoria …. Chi può scordare Dante con quel suo indimenticabile “Papè Satàn, papè Satàn aleppe!” all’inizio di quel VII Canto dell’Inferno… Napoleone Bonaparte, con la rivoluzione francese, Waterloo e l’isola di Sant’Elena …. Lincoln, con la guerra di secessione americana … Leonardo, quel vulcano di idee, con le sue geniali invenzioni …. La visita alle loro tombe, è un po’ come un ‘percorso della memoria‘, una sorta di omaggio alla grandezza di questi uomini, che hanno fatto la ‘Storia’. Il cosiddetto turismo nelle nostre città d’arte, invita non solo a ‘ricordare’ i grandi del passato, ma anche a ‘toccar con mano’ e ad apprezzare le loro opere, ed i tesori che tutto il mondo c’invidia.
Perché questa lunga premessa? Come spesso capita, non tutti i personaggi che, in vario modo, si sono distinti nei campi dello scibile, sono stati poi ‘baciati’ dalla dea bendata in ugual misura, sia da vivi, che da morti. Sappiamo tutti che diversi di loro, spesso incompresi da vivi, sono poi stati ‘rivalutati’ da morti e viceversa …. Ecco vorrei soffermarmi su questo ‘viceversa’ ….
Mi fa venire alla memoria, un soggetto in particolare, Giuseppe Parini (1729-1799), non uno sconosciuto qualsiasi!
Chi è il Parini?
Non voglio tediarvi oggi, col racconto della storia della sua vita, comunque, per chi non lo rammentasse, ricordo che questo poeta, vissuto nel Settecento, fu uno dei massimi esponenti del neoclassicismo e dell’Illuminismo in Italia, uno dei maggiori e rispettati intellettuali dell’epoca, il primo autore della letteratura italiana che non proveniva da una famiglia ricca. Grande fu l’amore che provò per Milano, combattendo tutta la sua vita per la libertà (si era ai tempi della dominazione austriaca) e per garantire alla Lombardia un governo autonomo. La sua satira fece tremare l’aristocrazia, una classe sociale che, in quell’epoca, aveva raggiunto insostenibili livelli di corruzione. Un ‘grande’, non c’è che dire, eppure ….
Se provate ad andare al Pantheon Ambrosiano, cioè al ‘Tempio della fama‘ (o Famedio, che dir si voglia) del Cimitero Monumentale, a cercare il nome di Giuseppe Parini fra i personaggi illustri, di lui non troverete traccia! Certamente non è l’unico ad essere dimenticato! Perché? Mistero! Per qualcuno, evidentemente, non ‘meritava‘ menzione!
IL PANTHEON AMBROSIANO
Al centro del prospetto frontale del cimitero affacciato sul piazzale di ingresso domina il Famedio, o “Tempio della Fama”. Originariamente progettato da Maciachini con la funzione specifica di cappella cattolica, l’edificio tra il 1869 e il 1870 viene destinato a luogo di sepoltura, celebrazione e ricordo dei milanesi di origine o di adozione (compresi gli ospiti e i cittadini onorari) che attraverso opere e azioni hanno reso illustre la città e l’Italia. Viene così a concretizzarsi l’idea di allestire un grande Pantheon ambrosiano, già viva in età napoleonica e prefigurata dalla serie di monumenti commemorativi ai cittadini celebri innalzati nel cortile e negli spazi interni del Palazzo di Brera, per eccellenza il luogo del sapere della Milano ottocentesca.
CRITERI DI AMMISSIONE
I criteri di “ammissione” al Famedio rispondono a un regolamento definito nel 1884 e in parte modificato nel 1904, il quale fissa a tre le categorie dei cittadini considerati degni di passare alla storia: gli “illustri” per meriti letterari, artistici, scientifici o atti insigni, i “benemeriti” che per virtù proprie hanno recato benefici e fama alla città e i “distinti nella storia patria” che hanno contribuito all’evoluzione nazionale. Per ricevere gli onori del Famedio non occorre esservi tumulati, molti dei personaggi ricordati nelle lapidi poste all’interno sono infatti sepolti in altre zone del Monumentale, per esempio Arturo Toscanini. Sono ricordati anche alcuni italiani illustri le cui salme riposano altrove, come Giuseppe Verdi, tumulato nella cripta della Casa di Riposo per Musicisti a lui dedicata, sita in piazza Buonarroti a Milano, oppure Giuseppe Mazzini, sepolto nel cimitero di Staglieno a Genova.
[ rif. – https://monumentale.comune.milano.it/personaggi-celebri ]
Ndr. – A tal proposito, mi viene spontanea la seguente considerazione:
Augurandomi che nella scelta dei nomi da iscrivere al Famedio non vi siano, da parte delle Istituzioni, posizioni politiche preconcette, (e onestamente non mi sembra sia così), sarebbe interessante capire il criterio usato per scegliere fra i ‘personaggi illustri, quelli giudicati degni di menzione, da quelli non altrettanto degni (classificazione che, onestamente, mi sfugge). Il Parini evidentemente, ricade nella seconda categoria! Diversamente come si spiega che uno come lui, con tutto il lustro che ha dato alla città e all’Italia, non compaia fra i nominativi elencati al Famedio? Anche questo, è Milano!
Non è tutto naturalmente! Ma lo vediamo fra poco! E’ comunque incredibile come questa scoperta sia stato lo spunto per le ricerche successive sul suo caso.
A tener vivo oggi il suo ricordo, a parte gli scritti che lui stesso ci ha lasciato, vi sono a Milano un paio di monumenti che i suoi numerosi estimatori hanno voluto, perché rimanesse imperituro il suo ricordo, oltre all’intitolazione di una scuola e di una via a suo nome, da parte delle Istituzioni, ed un paio di lapidi fatte apporre dall’Amministrazione Comunale, nei luoghi più significativi ove ha vissuto e lavorato.
Per il resto, che io sappia, non mi risulta che, a Milano, vi sia altra traccia di lui.
Monumento commemorativo in Cordusio
L’idea di creare un monumento in sua memoria, in occasione del centenario della morte del poeta, venne presentata il 18 aprile 1897, sul periodico «La scuola secondaria italiana», dal giornalista e scrittore Avancinio Avancini (1866-1939), allora giovane professore del Liceo classico Giuseppe Parini di Milano. Il progetto accolto con notevole entusiasmo, comportò l’apertura di una sottoscrizione fra le scuole della città.
Grazie ad una generosa colletta (17.000 Lire pari a circa 85.000 € attuali) degli insegnanti e degli studenti delle scuole cittadine e alla altrettanto cospicua donazione (25.000 Lire pari a circa 125.000 € attuali), che Giuseppe Robecchi (1805 – 1874), senatore del Regno, grande estimatore del Parini, fece alla sua morte, affinché la figura del poeta abate, non andasse dimenticata, il progetto prese vita e trovò effettiva realizzazione.
Il monumento, inaugurato nel 1899, in piazza Cordusio, è alto 10,5 metri e consta di una base in serizzo con un piedestallo di 6,5 metri in botticino, disegnato da Luca Beltrami, e di una statua (4 metri di altezza) opera realizzata nel 1898, modellata dallo scultore cremonese Luigi Secchi (1853-1921).
Statua a Brera
Una statua di Giuseppe Parini in marmo, opera di grande eleganza e raffinatezza, si trova anche sullo scalone che conduce alla Pinacoteca di Brera. Ordinata dall’Accademia dei Filodrammatici di Milano, fu realizzata nel 1838, dallo scultore ravennate Gaetano Matteo Monti (1776-1847).
La statua raffigura il Parini seduto, che, mentre con la sinistra regge una tavoletta appoggiata sulla coscia sinistra, con la mano destra sembra quasi in atto di scrivere. Il suo sguardo pensoso, perso nel vuoto, quasi a voler trarre potentemente ispirazione. Pare che la statua definitiva, che si vede nella fotografia accanto, presenti alcune differenze rispetto al modello in gesso presentato nel 1835, all’esposizione di Belle Arti di Brera. Non si ha notizia comunque di una sua inaugurazione ufficiale nel 1838, data alla quale, la statua risulta essere già elencata tra le opere esposte a Brera.
Alcune targhe commemorative
Una doppia targa (oggi quasi illeggibile), risulta apposta sul muro dell’ultima casa in cui abitò a lungo e in cui morì. E’ la casa di via Brera 26, edificio che si affaccia sulla piazzetta, ove oggi troneggia fra le piante il monumento al pittore Francesco Hayez. Fra l’altro, l’appartamento in cui abitava, gli era molto comodo perché esattamente di fianco al Palazzo dell’Accademia di Brera, ove non solo insegnò gli ultimi 18 anni della sua vita, ma, per le sue grandi doti, venne pure nominato nel 1791, sovrintendente dell’Accademia stessa, carica che porterà avanti sino alla sua morte.
Un’altra targa commemorativa a lui dedicata (quest’ultima molto meglio conservata delle precedenti e leggibilissima), fu posta, in occasione del duecentesimo anniversario della morte del Poeta, da parte dell’Amministrazione Comunale, in Piazza Mercanti, sul muro dell’edificio delle Scuole Palatine, sotto il porticato, a fianco del portone d’ingresso, al num. 11.
Intitolazione di una scuola
Dopo l’unificazione nazionale, nel 1865, il Liceo di Porta Nuova (ex Collegio Longone) venne ribattezzato col nome di Liceo Giuseppe Parini, E’ un Liceo Classico prestigioso, in pieno centro città, in via Goito 4, a due passi da Piazza San Marco, vicino a Brera.
NOTA SU QUESTA SCUOLA
Nel 1774, era stato istituito da Maria Teresa d’Austria, il Regio Ginnasio, presso il Palazzo di Brera.
Successivamente poi, durante il periodo napoleonico, si stabilì, nel quadro della riforma del sistema scolastico, che a Milano ci fossero due scuole superiori: il Liceo di S. Alessandro, che continuava le vecchie “Scuole Arcimbolde”, di cui era stato allievo Giuseppe Parini, e quello di Porta Nuova, ex Regio Ginnasio di Brera, che fu ospitato nel palazzo in cui precedentemente funzionava una scuola, il Collegio dei Nobili, che, fondato per un lascito di Pier Antonio Longone e affidata ai Barnabiti, aveva preso il nome di Collegio Longone.
Intitolazione di una via
Risulta gli sia intitolata una via in zona Porta Nuova. E’ una traversa di Corso di Porta Nuova, all’altezza di via Fatebenesorelle.
“Il Giorno”, l’opera principale che ci ha lasciato
‘il Giorno‘ è sicuramente la sua opera più importante, alla quale lavorò per molti anni, praticamente fino alla morte, lasciandola poi incompiuta. Nella sua prima versione ‘il Giorno‘ prevedeva tre poemetti (il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera. Di questi però pubblicò solo i primi due: il Mattino (1763) e il Mezzogiorno (1765).
Non scrisse mai il terzo poemetto, la Sera, avendo nel frattempo maturato la decisione di fare un poema scritto in endecasillabi sciolti intitolato nello stesso modo ‘il Giorno‘ e composto invece da quattro parti: Il Mattino, Il Meriggio, Il Vespro, la Notte.
Si tratta di un poema didascalico satirico , con cui egli vuole fustigare, con garbata ironia, la società frivola e corrotta dei suoi tempi. I primi due poemetti vennero quindi rimaneggiati, e la parte finale del Mezzogiorno verrà fatta confluire nella prima parte del Vespro (che resterà comunque più breve e meno elaborato).
Quanto a La Notte, questa fu abbandonata negli ultimi anni, e di essa rimangono solo 673 versi, oltre a vari appunti.
Ndr. – Il poema didascalico è un genere letterario che si occupa di divulgare conoscenze tecnico-scientifiche oppure filosofiche attraverso lo strumento della poesia
In esso, Giuseppe Parini immagina di essere il precettore di un «giovin Signore» (un giovane nobile debosciato).
In qualità di critico, coglie l’occasione di un ricco banchetto fra nobili, per fare varie riflessioni e considerazioni sagaci riguardo la nobiltà, argomento topico, su cui si basa tutta la sua opera.
Ci propone, infatti, un’aspra critica nei loro confronti, in particolare verso quel senso di superiorità innato nella classe aristocratica, corredando queste sue osservazioni con esempi e confronti immediati ed efficaci.
Dov’è la sua tomba?
Bella domanda! Se provate a cercarla al Cimitero Monumentale, dove sarebbe abbastanza logico trovarla, essendo il Poeta vissuto e morto a Milano, lì non la troverete! E neppure a Bosisio, vicino al lago di Pusiano, sua terra natale. E dire che il Parini non è morto nel Trecento, ai tempi di Dante (secoli quelli, in cui, il ‘perdere‘ una tomba avrebbe potuto essere anche giustificato), bensì nel 1799, quasi all’alba dell’Ottocento, solo, si fa per dire, 225 anni fa! E allora dov’è?
Il fatto che in varie sue biografie, non si faccia mai cenno ove riposino le sue spoglie, mi ha naturalmente indotto a vederci più chiaro, scoprendo, come vedremo, qualche notiziola interessante, anche se l’argomento non è particolarmente allegro. Comunque è vero: la sua tomba c’era, ovviamente, ma oggi non esiste più! Di lui quindi, si è incredibilmente persa ogni traccia! E questo, non a causa di guerre o di altri eventi che potrebbero giustificare la cosa, ma, incredibile a dirsi, di assurdi regolamenti cimiteriali. Ma vediamo di approfondire meglio questo punto.
Giuseppe Parini morì all’età di settant’anni, probabilmente d’infarto, il 15 agosto 1799, presso la sua abitazione di Brera. Solo poche ore prima, i cronisti dell’epoca riferiscono che aveva dettato l’ultimo suo sonetto “Predàro i Filistei l’Arca di Dio“, celebrante il ritorno degli austriaci a Milano, avvenuto da pochi mesi. Il suo decesso venne annotato in un atto presso la vicina chiesa di San Marco.
Assecondando le sue ultime perentorie volontà:
“Voglio, ordino che le spese funebri mi siano fatte nel più semplice,
mero, necessario e dall’uso che si costuma per il più infimo dei cittadini”
il suo amico abate e collega Calimero Cattaneo, professore di retorica a Brera, presente, insieme a pochi altri, alle esequie del Poeta, lo fece seppellire, con un funerale di terza classe, in una fossa comune nel reparto num. 40, nelle vicinanze del muretto di cinta del cimitero della Mojazza di Porta Comacina, (praticamente in zona Piazzale Lagosta, nell’odierno quartiere Isola).
Ndr. – Il toponimo Mojazza sembra che derivi dal nome di una cascina presente in quell’area (Cassina Mojascia), o, più propriamente, dal fatto che il terreno di tutta la zona, era fortemente imbevuto d’acqua piovana, che filtrava dai corsi d’acqua che scorrevano lì vicino. ‘Mojà’ infatti, in dialetto milanese, significa ‘poltiglia, melma, fango’.
Tutta quella zona era quanto mai inospitale, un tratto di campagna incolto, in un leggero avvallamento del terreno: bastava che piovesse un minimo più del dovuto, perché tutta l’area si trasformasse in un autentico stagno. Lì, nei pressi, sorgeva la Cassina Mojascia, già esistente e registrata a catasto, a quanto pare, in un documento trovato dei primi del Seicento.
Il cimitero della Mojazza
Il cimitero della Mojazza era uno dei cinque cimiteri cittadini, collocati fuori dalle porte della città.
1685 – 1786
Era inizialmente sorto nel 1685 nei pressi della Cassina Mojascia, in un’area individuabile oggi fra le vie Jacopo Dal Verme, Cola Montano, Angelo della Pergola e Piazzale Archinto. Il suo nome era foppone di San Giuseppe alla Mojazza (dove ‘foppone‘ significa ‘grossa fossa’). A quei tempi, non si facevano carotaggi preventivi nel terreno per stabilire se quell’area fosse o meno idonea alle sepolture. Solo a cose fatte, ci si rese conto che quel terreno era inservibile, soprattutto perché eccessivamente acquitrinoso, per cui, a distanza di un secolo dalla sua apertura, se ne decise la chiusura.
La necessità tuttavia, di avere comunque, un cimitero in zona, portò il Comune ad acquistare lì accanto, al di là della strada di campagna che conduceva alla vicina chiesa di Santa Maria alla Fontana (l’attuale via Borsieri), un’area di 16 pertiche, di proprietà dei padri Minimi di San Francesco da Paola, della chiesa sopra nominata.
Ndr. – Una pertica milanese corrisponde a 654,5179 metri quadrati, per cui, un’area di 16 pertiche, corrisponde esattamente a 10472,2864 metri quadrati, l’equivalente, per dare l’idea, ad un quadrato di 100 metri per lato.
1787 – 1895
Così, continuando a mantenere lo stesso nome, il vecchio cimitero della Mojazza venne trasferito nell’area poco distante appena acquistata, corrispondente all’attuale Piazzale Lagosta. Il perimetro del nuovo camposanto toccava le attuali vie Trau, Pola, Perasto e Borsieri e distava da Porta Comacina, poco più di mezzo miglio. L’ingresso, localizzato nell’attuale via Borsieri, si trovava all’altezza dell’attuale n. 30, dove, percorrendo un vialetto, si arrivava all’ingresso del cimitero.
Così la Cassina Mojascia, nel 1787 aveva avuto il malinconico previlegio di vedersi scavare accanto, un altro camposanto, ‘santo’ si fa per dire, perché era davvero di tutto fuorché benedetto! Un cimitero da ‘incubo‘, in cui, a dare il benvenuto ai visitatori all’ingresso, faceva gli onori di casa, quale ‘allegro’ custode, un sinistro scheletro incastrato in una nicchia, protetta da una grata. Indubbiamente era una macabra presenza suggerita forse da qualche architetto buontempone, o più probabilmente, quale lugubre usanza dei tempi (vedi il caso analogo in Piazza Aquileia, all’ingresso del foppone di Porta Magenta). Avrebbero potuto i milanesi, davanti a simile provocazione, trattenersi dall’inventare una battutaccia? Certo che no! Da quando avevano sistemato lì, quello scheletro, “Faccia de portinar de la Mojazza“, era diventata la frase tipica per indicare un losco figuro o comunque chiunque avesse un volto sinistro e spettrale.
Il camposanto, di dimensioni ridotte, aveva due unici viali che si incrociavano al centro, dove era stata collocata una colonna votiva in cima alla quale, vi era, dicono, un simbolo cristiano. All’interno, solo tanta erba, rigorosamente nessun albero o cipresso, ma solo cippi, croci alte, e basta. Non le caratteristiche croci di legno di un tempo, che ancora si vedono oggi nei cimiteri di campagna, ma croci in ferro, quasi tutte di modesta fattura.
Nel 1793, all’interno del piccolo cimitero, fu anche costruita una cappella con dentro una colossale statua di San Carlo (assolutamente sproporzionata per il luogo) ed un pallio di legno, piuttosto rozzo, su cui era dipinta, con discreto pennello, una “liberazione delle anime del Purgatorio“.
Nel 1817 poi, venne aggiunta una porzione ad Oriente, sul lato di via Pola.
L’intera area cimiteriale, faceva comunque capo alla vicina chiesa di Santa Maria alla Fontana.
Fra i vecchi camposanti di Milano, l’antico cimitero della Mojazza era sicuramente, per le memorie che racchiudeva, uno dei più caratteristici ed interessanti.
I regolamenti cimiteriali di allora
In quel periodo, l’usanza, decisamente assurda e, per noi oggi incomprensibile, non prevedeva la posa di monumenti o di lapidi in corrispondenza della tomba del defunto, ma unicamente, e comunque non sempre, la sistemazione di una croce assolutamente anonima, stile cimitero di guerra attuale. Questo, sulla base del concetto, fondamentalmente non errato, che i morti, alla fine, sono tutti uguali. Peccato che l’anonimato imposto, quale realizzazione pratica di simile concetto, mettesse ovviamente in grossa difficoltà i vivi. Non era quindi praticamente possibile per i parenti di un defunto, impossibilitati, al momento della tumulazione del loro caro, a presenziare al mesto rito, il poter lasciare successivamente un fiore sulla sua tomba, non sapendo esattamente dove questa fosse ubicata.
Le salme venivano infatti tumulate a ‘capriccio’, senza cioè un ordine preciso. La scelta del luogo della loro collocazione era, di norma, a discrezione del responsabile preposto alle sepolture in quel cimitero. Nei funerali di terza classe, ad esempio, la tumulazione avveniva in fosse comuni, senza una cassa, ma i cadaveri, avvolti in un lenzuolo, rigorosamente senza targhetta di riconoscimento, venivano accatastati l’uno sull’altro. La deroga alla discrezionalità del responsabile, si aveva nel caso in cui il defunto non fosse stato un poveraccio qualsiasi (bracciante, contadino etc), ma un soggetto di alto lignaggio (nobile o alto-borghese) o comunque un personaggio distintosi per meriti speciali, (ad esempio uno scienziato, un militare decorato etc). I familiari di tali categorie di defunti avevano il diritto di scegliere a piacimento il miglior posto per il loro caro, in qualunque area libera, in prossimità del muro di cinta del cimitero. Questa prerogativa dava loro l’ulteriore diritto di poter apporre, sul muro, nelle vicinanze del tumulo (cioè a distanza di diversi metri dallo stesso), una lapide in memoria dello scomparso.
Col passare del tempo, man mano che morivano personaggi conosciuti, i muri perimetrali del cimitero andarono a tappezzarsi di lapidi e targhe di tutte le fogge e dimensioni. Queste ricordavano i defunti eccellenti quali legislatori, letterati, patrioti, soldati, scienziati ed artisti, per non parlare poi, dei nomi illustri dell’aristocrazia milanese. Disseminati lungo il muro, si potevano leggere fra i nominativi eccellenti, quelli dei Giulini. dei Porro, dei Serbelloni, dei De Cristoforis, per non parlare dei Guerrieri. dei Gonzaga, dei D’Adda, dei Gambarana. dei Troiani. dei Parravicini, dei Crivelli, dei Taverna ecc.
Gaetano Crespi – giornalista del Corriere della Sera nel periodo a cavallo fra fine Ottocento ed inizio Novecento, e noto scrittore e poeta dialettale milanese – era andato personalmente a visitare questo cimitero poco prima della sua chiusura definitiva. Oltre ai nomi noti elencati sopra, riferisce in un suo articolo al Corriere, pure della presenza di una lapide a ricordo della contessa Bigli, nata Clerici, grande di Spagna, nella quale, era osannata come “la pia, la benefica, la saggia“. Ma, oltre a quelli già elencati, vi erano anche i Trussardi, i Caleppio, i Trecchi–Cremonesi e tanti altri.
La lapide in memoria del Poeta
Nel giorno dei funerali del Poeta, il collega e abate Calimero Cattaneo, pose lui stesso una croce anonima in ferro sul tumulo del Parini e fece apporre sul muro perimetrale del cimitero, in prossimità della tomba dell’amico, il seguente epitaffio (ancora oggi esistente)
JOSEPH PARINI POETA
HIC QUIESCIT
INGENUA PROBITATE
EXQUISITO JUDICIO
POTENTI ELOQUIO CLARUS
LITERAS ET BONAS ARTES
PUBLICE DOCUIT AN. XXX
V AN LXX
PLENOS EXTIMATIONIS ET GRATIÆ
OB. AN. MDCCXCIX»
Ma, qualche tempo dopo, nottetempo, quel cimitero venne preso di mira dai ladri che razziarono, unitamente a tante altre, anche la croce che era stata posta sul tumulo del Parini.
A PROPOSITO DI CROCI
Nella monografia di Gaetano Crespi, giornalista del Corriere di cui ho accennato sopra, vi è il riferimento ad un curioso documento, un fogliettino già appartenuto ad un suo bisavolo materno, tale Vincenzo Rusconi, il quale, avendo conosciuto il Parini ed essendo stato suo amico, gli era rimasto evidentemente affezionato e ogni tanto si recava al cimitero per dire una preghiera sulla sua tomba. In questo foglietto lui stesso aveva fatto lo schizzo di una croce, che l’amico abate aveva fatto rimettere sul tumulo del Poeta dopo il furto della prima croce, riportando sotto il disegno, questa nota: “E’ questa, la croce che c’era”.
Al foppone della Mojazza, i furti di ferro (unica cosa che si poteva rubare, lì dentro) dovevano essere evidentemente abbastanza frequenti. Sulla tomba del Parini, era stata posizionata dall’abate, amico del Poeta, una seconda croce ma pure questa seconda era sparita, naturalmente assieme ad altre, durante una nuova incursione notturna dei soliti ignoti. Questa seconda croce, a differenza della precedente, aveva un dettaglio che la distingueva e, questo particolare figurava proprio su quel foglietto. Cos’era? Per rispettare l’anonimato imposto dal regolamento cimiteriale e nel contempo avere la certezza della esatta posizione della tomba dell’amico, Calimero Cattaneo aveva pensato di far fare questa seconda croce con una caratteristica speciale che solo un occhio attento poteva notare. La parola cristiana “Pax” posta su di essa, era formato invece che dall’intreccio di una P con una X, da quello di una P con due J, Differenza minima ma quale significato poteva avere? “Joseph Parini, Jacet“ (tradotto: “Qui giace Giuseppe Parini“)!
Fatta la legge, trovato il sistema per aggirarla!
Non è chiaro se questa, fosse un’usanza generalizzata in tutti i cimiteri del comune dei ‘Corpi Santi’ o se fosse una disposizione che riguardasse solo il cimitero della Mojazza. Certo è che, non esistendo una regolamentazione precisa in materia, lo stesso Napoleone, allora Presidente della Repubblica Italiana, emise, il 12 giugno 1804, (cioè cinque anni dopo la morte del Parini), un decreto imperiale sulle sepolture, noto come Editto di Saint Cloud.
EDITTO DI SAINT CLOUD
La cosiddetta Legge di Saint Cloud (in francese: Décret Impérial sur les Sépultures), emanato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804, raccolse organicamente in due corpi legislativi, tutte le precedenti e frammentarie norme sui cimiteri in Francia e nei paesi dell’orbita napoleonica, tra cui l’Italia.
La legge stabiliva che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Per i defunti illustri, invece, c’era una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Questo editto aveva quindi due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l’altra ideologico-politica. Inoltre, la gestione dei cimiteri esistenti, veniva ovunque definitivamente assegnata alla pubblica amministrazione in tutti i luoghi dove fu esteso, e non più alla Chiesa. Fu inoltre vietata, salvo eccezioni, la sepoltura in luoghi cittadini e all’interno delle chiese.
[ Rif. – Wikipedia ]
L’omaggio di Ugo Foscolo
Certo è, che la disposizione vigente alla Mojazza, che vietava l’apposizione del nome sulla tomba del defunto, scandalizzò, a suo tempo, lo stesso Ugo Foscolo (1778 – 1827), che, avendo conosciuto personalmente l’anziano Parini (1729 – 1799), era andato ad omaggiarlo al cimitero (con tutta probabilità durante una visita a Milano nel 1806, quando abitava a Brescia, ospite della contessa Marzia Martinengo, sua amante). In quell’occasione, non essendo riuscito ad individuare la tomba del Poeta, ne rimase sconcertato al punto, che ne avrebbe accennato in alcuni versi dei suoi ‘Dei Sepolcri’, dati alle stampe proprio nel 1807.
Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro
Con lungo amore, e t’appendea corone;
Nei primi versi, non è difficile riconoscere il riferimento all’editto di Saint Cloud, che andava a modificare le regole di sepoltura, rendendo obbligatorio il posizionamento delle tombe al di fuori dei nuclei abitativi e in forma assolutamente anonima: “Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de’ guardi pietosi”, quindi lontano dagli sguardi pietosi, “e il nome a’ morti contende”, cioè sfida i morti, togliendo loro il nome, perché le lapidi dovevano essere assenti o prive di segni di riconoscimento.
Quando il Foscolo dice: “E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia”, fa riferimento al morto illustre, il Parini. Sebbene fosse morto prima dell’editto, era stato infatti sepolto senza esequie solenni e tumulato in una tomba comune, quindi non all’altezza della sua fama e delle sue grandi capacità letterarie in vita. Foscolo si rivolge alla musa della poesia (Talia) dicendo che il suo sacerdote (il Parini), giace senza tomba.
L’accorpamento a Milano, del Comune di Corpi Santi (1873)
L’Italia si era unificata da poco: appena finite le guerre per l’indipendenza, si stava profilando un periodo di pace duratura. Si era agli inizi della prima industrializzazione e parallelamente la città aveva deciso di rifarsi il look con la ricostruzione di tutto il centro, dopo aver demolito interi quartieri (da San Babila a Piazza Duomo e la Galleria, i Portici, piazza della Scala, il Cordusio, etc.). C’era quindi una forte richiesta di mano d’opera per soddisfare sia le esigenze delle numerose nuove industrie che stavano nascendo qua e là intorno alla città, sia quelle dell’edilizia. Si assistette di conseguenza ad una significativa immigrazione di gente in cerca di un lavoro. Il consistente aumento della popolazione comportò naturalmente la necessità di reperire nuovi spazi per costruire alloggi per gli immigrati, e quindi l’esigenza di trovare altra dimora per i morti dei piccoli cimiteri intorno alla città. Per farlo, era però prima necessario creare nuovi cimiteri molto più grandi, per poterli accogliere. Insomma, un’autentica catena di Sant’Antonio! Nel 1866, era stato inaugurato il nuovo Monumentale, fuori Porta Volta, e, nel 1870, pure il suo Famedio.
L’evidente necessità di ampliare una città che stava scoppiando entro le mura spagnole che ancora la delimitavano, aveva convinto il Governo ad emanare un Regio decreto del 1873, che sanciva l’accorpamento del Comune di Corpi Santi a quello di Milano. Per soddisfare le esigenze di una città in forte espansione, si trovò un’altra vasta area fuori Comune, a Musocco, adatta per un secondo cimitero, il Maggiore: Il camposanto (il terzo d’Italia per dimensione) verrà inaugurato nel 1895. Pertanto solo a partire da quella data (1895), l’Amministrazione Comunale avrebbe potuto iniziare a chiudere i diversi cimiteri minori ‘fuori porta‘: fra cui anche quello della Mojazza ed iniziare il trasferimento delle salme nei nuovi campisanti.
I morti dovevano essere sloggiati dai cinque cimiteri intorno alla città e trasferiti altrove, per lasciare il posto ai vivi. Liberate queste aree, solo dopo la loro ‘bonifica’, si sarebbe potuto dare il via alla costruzione di nuovi edifici. La città si stava espandendo a macchia d’olio, secondo la scaletta dei tempi di realizzazione, prevista dal famoso piano regolatore ‘Beruto‘.
Quindi, per poter cominciare a liberare l’area del cimitero della Mojazza, si pensò d’iniziare a traslare al Monumentale, per prime le numerose salme dei personaggi del patriziato locale e poi, man mano, quelle dei nomi più noti o più ‘importanti’, quale ad esempio, quella del Parini … ma non era la sola! In quello stesso cimitero ce n’erano altre, altrettanto prestigiose. Qualche anno prima del Parini, ad esempio, nel 1794, era morto il nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria insigne giurista, filosofo, economista e letterato. Dopo il Parini, in ordine di tempo, era stato lì tumulato, un altro nome illustre, quello di Giuseppe Prina, il quarantottenne Ministro delle Finanze del Regno Italico, brutalmente linciato dai milanesi il 20 Aprile 1814. Nel 1816 poi, sempre in quel cimitero. era stato sepolto, anche Francesco Melzi d’Eril, dal 1802 al 1805, Vicepresidente della Repubblica Italiana e successivamente, politico italiano in epoca napoleonica. Nel 1829 poi, era stato lì inumato pure, Melchiorre Gioia storiografo ed economista, autore del testo ‘Il nuovo galateo‘, nonché precursore di concetti giuridici e medico legali. Dal 1832, riposava in quel camposanto, anche la salma di Barnaba Oriani, sacerdote, matematico ed astronomo milanese, e più tardi, nel 1858, anche Carl Thomas Mozart, funzionario municipale e pianista austriaco, il secondo dei sei figli del famoso Wolfgang Amadeus Mozart.
Nel 1885, cioè 10 anni prima, quando il Comune stava ancora cercando ove reperire l’area per il Cimitero Maggiore, non si era preso in considerazione che a breve i cimiteri minori sarebbero stati chiusi, per cui si era dato l’avvio ad una serie di lavori in questi campisanti, per migliorarne il decoro. Con riferimento alla Mojazza, l’assessore Domenico Ferrario, aveva deciso, ad esempio, di fare avviare un’operazione di pulizia e di restauro di tutte le lapidi più ammalorate, presenti lungo il muro perimetrale, i cui epitaffi, col passare degli anni, erano ormai diventati totalmente illeggibili. Una di queste, era quella del Parini che, dal giorno della sua posa , nel 1799, (cioè 86 anni prima), non era mai più stata toccata!
La chiusura del cimitero
Nel 1895, in seguito all’apertura del nuovo Cimitero Maggiore, il Comune decise la chiusura dei cimiteri minori ‘fuori porta‘. Per quanto riguarda quello della Mojazza, il 22 ottobre 1895, decretò la sua immediata chiusura alle nuove sepolture. In 10 anni, a partire da quel momento, si sarebbe iniziato il progressivo svuotamento trasferendo al Monumentale i resti esumati dalle varie tombe della sola area perimetrale e tutte le lapidi presenti sui muri del vecchio camposanto, mentre al Maggiore sarebbero stati trasferiti i resti di tutte le altre tombe. Entro il 1905, si sarebbe dovuto liberare tutto il camposanto, e fare pure l’operazione di bonifica, per consentire successivamente l’apertura dei cantieri per la costruzione dei nuovi insediamenti previsti.
Dove finì la lapide del Parini?
Quando iniziarono ad asportare le lapidi, trasferendole al Monumentale, alcune di queste, tra cui quella del Parini, andarono incredibilmente perdute, tanto che si pensò fossero andate distrutte nella delicata fase di distacco dal muro. In realtà le cose andarono diversamente: quella del Parini rimossa dal muro perfettamente integra, una volta arrivata al nuovo Cimitero Monumentale, rimase inspiegabilmente dimenticata in qualche anfratto dei magazzini del cimitero stesso. Ritrovata casualmente, nel 1922, facendo ordine nei locali, l’allora direttore della Biblioteca Braidense, Francesco Carta, per darle il giusto decoro, ne fece richiesta ai responsabili e, ottenuta l’autorizzazione a prelevarla, la fece posizionare sopra la porta all’ingresso della Biblioteca di Brera, in cima allo scalone, dove è visibile tuttora.
Dove finìrono le sue spoglie?
Per quanto riguarda l’esumazione dei resti del Parini, le cose andarono, invece, molto peggio. Essendo finite le sue spoglie, con un funerale di terza classe, in una fossa comune, assieme a diversi altri corpi accatastati l’uno sull’altro, era impossibile riuscirne a distinguere i poveri resti fra i diversi involucri privi di targhetta di riconoscimento. Le sue spoglie andarono quindi perdute finendo, mescolate alle ossa di altri, in uno di quei 6000 sacchi, destinati all’Ossario del Monumentale.
La bonifica del cimitero
Le cronache locali dell’epoca riferiscono che, l’area venne bonificata ricuperando i resti trovati scavando solo fino a due metri di profondità e non oltre. Per tanti quindi, le spoglie del Parini, oggi sono ancora li sotto (in Piazzale Lagosta)!
Svuotato il camposanto, rimase in piedi solo qualche piccolo tratto del muro di cinta e l’area, lasciata in stato di totale abbandono, rimase per qualche anno, terreno incolto.
Erano ormai gli anni ’20, quando cominciarono a sorgere, tutt’intorno nella zona, i primi nuovi palazzi.
L’Unione Sportiva Milanese prese in affitto un lotto di terreno del cimitero, che attrezzò per consentire di far fare il riscaldamento alle squadre avversarie, prima delle competizioni. Si vociferava che, durante gli allenamenti, di tanto in tanto, specie dopo abbondanti piogge, spuntassero fuori dal terreno, ossa di dubbia provenienza. Evidentemente la bonifica, completata in soli tre mesi, scavando fino a soli due metri di profondità, era stata frettolosa e decisamente, piuttosto approssimativa!
La ‘chicca‘
Nel 1925, l’Istituto Autonomo Case Popolari, acquistato un lotto di terreno dell’ex cimitero, diede l’avvio ad un cantiere edile, su progetto dell’architetto Giulio Ulisse Arata: si trattava di un doppio caseggiato, il primo, con facciata più elaborata dava direttamente su Piazzale Lagosta, mentre il secondo, più semplice, parallelo al precedente, era sul retro e separato da esso, da un cortile. L’edificio, esistente tutt’oggi, è facilmente riconoscibile, avendo un singolare aspetto di fortilizio, con facciata a mattoni rossi.
Siamo davanti al civico numero 1 di Piazzale Lagosta. Non essendoci portiere, il suo portone d’ingresso rimane sempre chiuso. Desiderando tuttavia entrare, senza voler arrecare disturbo (attaccandosi al citofono per farsi aprire da qualcuno), basta avere un minimo di pazienza e attendere che qualcuno degli abitanti del palazzo entri od esca, per infilarsi nell’androne. Essendo abitato da molte famiglie, i tempi d’attesa sono al massimo di qualche minuto. Perché entrare in questo edificio? Cosa si cela dietro a quel portone? Sorpresa!
A dire il vero, lì non c’è proprio nulla di particolare. L’edificio è una casa popolare dall’aspetto decoroso: l’androne, molto semplice non ha nulla di speciale e non merita certo quell’attesa all’esterno per entrare! Nessuno potrebbe sospettare che a due passi da lì, conservi qualcosa di speciale! Bisogna proseguire oltre, passare il primo cortile e, superato anche l’androne del palazzo più interno, accedere al secondo. Solo allora la sorpresa si palesa effettivamente! Ci si rende conto subito che non ci si trova di fronte ad uno dei soliti cortili di una casa! Lindo, senza cartacce o mozziconi di sigaretta per terra. Questo, pur nella sua semplicità, odora stranamente di sacralità!
Ci si trova di fronte ad un vecchio muretto (evidentemente restaurato), lungo una quindicina di metri, che separa questo secondo cortile da quello di un altro edificio di fronte. Tale muretto è oggi l’unico tratto rimasto del muro di cinta del vecchio cimitero della Mojazza, così come doveva essere nel 1787,(quando il camposanto è stato aperto): è quindi un ‘reperto storico’! Non è tutto! probabilmente l’architetto Arata, a suo tempo, fece fare ricerche sul perché quella porzione di muro di cinta del vecchio cimitero non fosse stata abbattuta, venendo a scoprire che era stata preservata proprio in memoria del Parini perché lì, in quel punto, una volta, era affissa la sua lapide e quindi lì nei pressi, a distanza di qualche metro, anche la porzione di terreno ove era stato inumato! In memoria di ciò, qui, nel medesimo punto, probabilmente Arata stesso fece affiggere al posto della lapide originale, conservata alla Biblioteca braidense, una copia della stessa, talmente ben fatta, da sembrare autentica. Di fianco alla lapide a muro, fu posto un altarino e tutt’intorno, un piccolo giardinetto.
E’ questo, un posto che quasi nessuno conosce, sia perché si trova su suolo privato (e il visitatore può comprensibilmente avere qualche remora ad accedervi senza autorizzazione), sia perché all’esterno del caseggiato, di fianco al portone, non esiste alcuna indicazione al riguardo. Io stesso l’ho scoperto per caso, leggendo tempo addietro, questa “chicca“, su un Corriere della Sera degli anni ’30!
Conclusione
A ripensarci, appare davvero incredibile questa vicenda del Parini, da morto: pare essere stato davvero vittima del malocchio da parte di qualcuno o comunque, di qualche sortilegio particolare tendente a cancellare del tutto la sua memoria. Non lo lasciarono in pace nemmeno da morto! Non solo, nell’esumazione della sua salma, non sapendo più quale fosse il cadavere, i suoi resti andarono perduti precludendogli la possibilità di avere una tomba onorevole tutta per sé al Monumentale, ma addirittura, consentendo la libera vendita di quel lotto di terreno (che si sapeva, comprendere quel particolare tratto di muro del cimitero), si fece diventare proprietà privata, un “reperto storico“ che avrebbe dovuto, viceversa, restare rigorosamente un bene pubblico (cioè visibile liberamente a tutti). Ora quel cimelio è lì, ‘nascosto’ alla vista (non lontano dai bidoni della spazzatura), relegato nel secondo cortile interno di un condominio privato, col portone sempre chiuso! Onestamente, non mi pare sia una cosa accettabile!
La città cambia … Del vecchio e piccolo cimitero della Mojazza, attualmente non è rimasto altro che questo tratto di muro nascosto alla vista di tutti: il restante terreno, non rientrando nel piano di lottizzazione dell’isolato, è diventato quello che oggi è il vasto Piazzale Lagosta, che tutti conosciamo. E’ un altro pezzo della vecchia Milano, sparito per sempre!
Se vi dovesse capitare di transitare da quelle parti, e non vi ricordate l’indirizzo dell’ edificio che custodisce questo reperto, è inutile che chiediate dove si possa vedere la lapide del Parini in zona. Davvero sono in pochi a saperlo! La gente, che oggi abita lì intorno, più o meno tutti immigrati, è assolutamente ignara di che cos’era questo luogo circa centovent’anni anni fa, della sua sacralità e della perduta memoria storica, che questo antico cimitero, ha, per secoli, gelosamente custodito!
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Note:
Qui di seguito, alcune “curiosità” o, più propriamente “perle” sull’argomento, scoperte facendo qualche ricerca su internet.
[ rif. – Carlo Tedeschi – Origini e vicende dei cimiteri di Milano e del servizio mortuario]
Le tariffe dei funerali ai tempi del Parini
Le cerimonie funebri e le usanze di allora in Lombardia:
Precisazioni sul significato di ‘humare’ e ‘sepelire’
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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