Il primo telefono a Milano
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Boston (Massachusetts) 10 marzo 1876:
“Mr. Watson. Come Here. I need you.”
(“Venga qui Watson, per favore. Ho bisogno di lei!”)
Con queste parole il ventinovenne scozzese Alexander Graham Bell (1847 – 1922) effettuò la prima conversazione telefonica ufficiale della storia, all’Università di Boston, dove insegnava “psicologia vocale e dizione” ai bambini sordi, confutando la teoria comune che ai sordi non si potesse insegnare a parlare. Quel primo modello di telefono monodirezionale consisteva in un microfono (trasmettitore) e un altoparlante (ricevitore), collegati fra loro da un circuito elettrico con una batteria in serie. Quel giorno segnava l’inizio di una nuova era!
Esposizione Universale di Filadelfia
E per noi in Italia? Tutto cominciò da una visita alla Centennial Exhibition of Arts, Manufactures and Products of the Soil and Mine, l’ Esposizione Universale, che si tenne a Filadelfia dal 10 maggio al 10 novembre 1876. Era la prima Expo in territorio statunitense, organizzata in occasione del centenario della “Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America”, dichiarazione firmata il 4 luglio 1776, proprio nella città organizzatrice dell’evento. Fra i rari visitatori europei, ce n’erano tre, venuti appositamente dall’Italia: il prof. Giuseppe Colombo, del Politecnico di Milano, e due attivissimi imprenditori milanesi, i fratelli Gerosa.
Ndr. – Per presenziare all’evento, con i mezzi disponibili all’epoca, i visitatori italiani (ed europei in generale), avevano dovuto affrontare, oltre un mese di viaggio, ovviamente via nave.
Fra le varie novità presentate, vi era uno stranissimo apparecchio a marca Bell, che consentiva di trasmettere la parola a distanza, per mezzo dell’elettricità. A dire il vero, qualcosa di simile era già stata annunciato undici anni prima, dai giornali di tutto il mondo, come invenzione di un certo Innocenzo Manzetti italiano di Aosta, ma la cosa non aveva avuto seguito, poiché nessuno aveva avuto modo di toccar con mano e sperimentare quell’invenzione a qualche manifestazione fieristica internazionale. Ora finalmente un apparecchio simile era in mostra, per la prima volta, al grande pubblico, sotto nome Bell, proprio all’Esposizione Universale di Philadelphia di quell’anno (1876). Quella novità in particolare, chiamata “telefono”, suscitò notevole interesse fra i visitatori.
Tornato in patria, il prof. Giuseppe Colombo presentò una dettagliata relazione, su questo nuovo strumento della Bell, ultimo ritrovato dalla tecnica, che aveva particolarmente destato la sua curiosità, e per il quale, già riusciva ad intravedere l’utilizzazione pratica. Si trattava praticamente di un “telegrafo parlante”! L’anno successivo, infatti l’ing. Marco Maroni, allora capo dell’Ufficio Telegrafi delle Ferrovie, sulla base proprio della relazione del prof. Colombo, costruì autonomamente il primo telefono italiano, che presentò a Milano.
Nel dicembre 1877, in un articolo sul quotidiano milanese “La Perseveranza”, (giornale di riferimento delle correnti moderate del ceto dirigente milanese) il prof. Colombo scriveva:
“… ora non solo il telefono è già in uso, ma nella stessa Milano, grazie agli studi di un nostro egregio cittadino, si poté avere la fortuna di constatarne gli effetti, quasi nello stesso momento in cui l’apparecchio veniva, dall’inventore, introdotto in Europa”.
Nel frattempo i due imprenditori fratelli Gerosa, acquisita a Filadelfia la licenza della Bell, tornati a Milano, avevano iniziato a produrre i loro primi apparecchi telefonici, generando la Alcatel – Face, una delle più importanti società della telefonia italiana.
Il primo telefono installato in Italia, fu a Milano
La prima attivazione fatta in Italia, venne realizzata proprio dai fratelli Gerosa il 30 dicembre del 1877, collegando col primo “telegrafo parlante”, il distaccamento di Zappatori Pompieri presente permanentemente a Palazzo Marino (il Municipio di Milano, in piazza della Scala), e il deposito della la S.A.O. (Società Anonima degli Omnibus) di Porta Venezia, ente che si occupava del sistema di trasporti della capitale meneghina. La distanza fra i due punti, era grosso modo, poco più di un chilometro in linea d’aria. Venne usata allo scopo la linea telegrafica già esistente, che univa fra loro le due utenze. Ma le novità non erano ancora finite, quell’anno era stato davvero speciale e mancava ancora un giorno alla fine di quell’incredibile 1877 !
Il 31 dicembre infatti, gli stessi fratelli Gerosa realizzarono il collegamento di Palazzo Marino con Palazzo Borghi (Municipio di Gallarate) e con Palazzo Estense (municipio di Varese). Fu infatti questa prima telefonata ufficiale, l’occasione per il Sindaco di Milano Giulio Berlinzaghi, per fare, via “telegrafo parlante”, gli auguri per il Nuovo Anno, rispettivamente ai colleghi Sindaci di Gallarate e di Varese.
Ndr. – Per la cronaca, quello stesso anno 1877, ci furono a Milano altri quattro eventi memorabili:
Dopo il successo ottenuto con il negozio di via Santa Radegonda, il primo a vendere in Italia abiti preconfezionati, i fratelli Ferdinando e Luigi Bocconi avevano aperto all’inizio dell’anno 1877, “Aux Villes d’Italie”, il primo grande magazzino in Italia, d’ispirazione parigina. Con il loro nuovo modo di esporre la merce, le vetrine ampie e luminose, i colori studiati per attirare gli sguardi, cambiarono per sempre il modo di vendere.
18 Marzo – Tutta la città, a mezzanotte era presente in Piazza Duomo, per assistere ai primi esperimenti di illuminazione elettrica con una potente lampada ad arco, posta in cima ad una torre appositamente eretta in piazza.
26 luglio – i milanesi si erano ritrovati ai Giardini Pubblici per vedere il giovane Enrico Forlanini che, con una strana macchina dotata di due eliche coassiali del diametro di circa due metri spinte da un motore a vapore, si alzava in volo a 13 metri per ben 20 secondi. Ai giardini di Porta Venezia, era stato effettuato il primo volo al mondo di un elicottero. L’aereo, alla data, non solo non esisteva, ma non era ancora stato concepito.
23 agosto – grazie alla posizione favorevole del pianeta, in opposizione rispetto alla Terra, Giovanni Schiaparelli compiva dall’Osservatorio di Brera le osservazioni di Marte, che diventeranno presto celebri per la scoperta dei “canali” che fanno supporre la presenza sul pianeta di esseri intelligenti.
All’inizio, il servizio telefonico era realizzato interamente dai privati. I Gerosa costruivano i telefoni in via Vittoria Colonna e nel 1881 aprirono, di concerto con la Bell Telephone Company, due società per l’esercizio dei telefoni: la prima, Italo-Americana in via Orefici e la seconda, Italiana in via Filodrammatici. Queste due società si fusero poi nel 1884, quando fu creata la prima rete interurbana d’Italia, la Milano-Monza.
La prima sperimentazione ufficiale di telefonia interurbana avvenne il 28 febbraio 1878, quando si tenne la presentazione ufficiale del telefono, alla presenza della famiglia reale: il collegamento era stato attivato fra il Palazzo del Quirinale e l’ufficio del telegrafo di Tivoli, utilizzando la linea telegrafica in filo di ferro lunga 29 Km.. “L’esito dell’esperimento fu felicissimo e le LL.MM. se ne mostrarono pienamente soddisfatte” così recitava la Relazione statistica sui telegrafi del Regno d’Italia dell’anno 1878 -1879 !
A partire dal 1879, tutti gli uffici telegrafici di Roma furono collegati fra loro via telefono.
Nel 1881 il Ministro dei Lavori Pubblici emanò il primo decreto di concessione per l’esercizio del servizio telefonico a privati (D.M. del 1 aprile1881). Nel corso dell’anno vennero accordate in tutto 37 concessioni. Nelle grandi città il permesso a esercitare il servizio, venne accordato a più di un’impresa. Il primo vero servizio telefonico ebbe però inizio nel 1881 con l’attivazione della linea al signor Giovanni Uberti (il quale ebbe il numero 1) di Roma. Nel corso dell’anno vennero allacciate le prime 900 utenze.
Le prime invenzioni nel campo delle comunicazioni
Fin dalla fine del Settecento, la necessità di migliorare il sistema delle comunicazioni, cominciò a diventare un’esigenza sempre più pressante e sentita, inizialmente per soli scopi militari, successivamente pure per finalità civili. Si cominciò dalla scoperta del telegrafo ottico di Claude Chappe (1793), sistema questo usato pesantemente da Napoleone in diverse sue campagne militari in Europa, per poi passare a quello elettromagnetico di Samuel Morse (1844). Il telefono nacque successivamente, inteso come ulteriore evoluzione del telegrafo, nel senso che, essendo parlante, era un mezzo molto più comodo perché immediato, senza necessità di transcodifica.
Molti storici, analizzando il processo di diffusione del telefono, sono concordi nell’affermare, che a differenza dell’America, il lancio del telefono in Europa non fu altrettanto facile ed entusiasmante. Venne percepito più come uno strano giocattolo scientifico, che come apparecchio di qualche uso pratico; gli europei ormai abituati ad apparecchi telegrafici molto evoluti, mal tolleravano le frequenti défaillances dei primi telefoni.
Qui in Italia poi, facendo i telefoni concorrenza al telegrafo, in realtà erano abbastanza mal visti dallo Stato che notoriamente aveva il monopolio del telegrafo. I messaggi trasmessi per via telegrafica erano, fra l’altro, facilmente controllabili dalle autorità, perché usualmente venivano registrati su banda perforata. Il Ministero Italiano della Pubblica Istruzione era contrario ad un’invenzione che avrebbe permesso ai cittadini di comunicare direttamente tra loro scavalcando il controllo dei funzionari pubblici. “Verba volant, scripta manent”, dicevano gli antichi romani!
A partire dal 1881, negli USA, cominciarono ad essere collegate le banche e gli agenti di cambio, quindi le ferrovie ed infine gli imprenditori e i professionisti
Ma chi ha effettivamente inventato il telefono?
Ad una domanda del genere, penso, ognuno di noi, sottoscritto compreso, risponderebbe oggi senza esitazione: Antonio Meucci! Ricordo che ce lo hanno fatto studiare sui libri di scuola, così come Guglielmo Marconi è stato l’inventore della radio! In fin dei conti, possiamo esserne orgogliosi: sono due illustri nomi di scienziati italiani, e, diciamolo pure, un pizzico di orgoglio nazionale non guasta! Ma perchè allora non si parla di telefono Meucci, ma di telefono Bell?
In realtà la domanda relativa all’invenzione del telefono è più complessa di quanto appaia a prima vista. Infatti le cose sembrano essere andate in maniera leggermente diversa da come, io ricordo, l’avevo studiata a scuola. Visto che ormai non ci sono più in gioco interessi economici che potrebbero falsare la verità storica, vediamo di ricostruire i fatti, per quanto possibile, in maniera obiettiva. Oggi, questo discorso riveste puramente carattere culturale.
A dire il vero, la paternità del telefono è un discorso rimasto tabù per troppi anni. E anche oggi la verità non sembra sia ancora venuta a galla del tutto, almeno non ufficialmente, nonostante non ci siano più motivazioni per continuare a tacitare quanto di poco chiaro ci fosse dietro. Anzitutto, ecco spuntare dal nulla, oltre a Meucci e Bell, il nome di un altro italiano, il cosiddetto terzo “incomodo” (mai studiato a scuola)!
Innocenzo Manzetti
A quanto pare, il primo in assoluto ad occuparsi di questo tema, fu lo scienziato Innocenzo Manzetti (1826 – 1877), che, appassionato di meccanica, era noto nella comunità scientifica e nella sua città natale, Aosta, per aver perfezionato diverse invenzioni.
Il suo nome divenne celebre anche al grande pubblico nel 1849, quando presentò il “suonatore di flauto”: si trattava di un automa completamente meccanico, che rappresentava un uomo seduto mentre suonava il flauto. L’automa muoveva le braccia, si toglieva il cappello, salutava, pronunciava alcune parole e, attraverso un circuito che immetteva aria compressa, poteva suonare il flauto, riproducendo dodici arie differenti, che erano modulate da un programma registrato meccanicamente su di un cilindro rotante un sistema simile a quello delle pianole meccaniche (carillon).
A lui, ad esempio si deve il brevetto della macchina per la pasta, la realizzazione della prima autovettura a vapore in grado di circolare lungo le strade, un particolare tipo di calce idraulica sperimentata fin dal 1869 e brevettata nel 1877 e un orologio da caricarsi una sola volta all’anno.
Brevettare un’invenzione, significa tutelarsi, cioè mettersi al riparo da eventuali utilizzi fraudolenti della stessa. Il brevetto infatti, in quanto tale, rappresenta il certificato legale che garantisce la paternità di un’invenzione. Naturalmente la tutela ha un costo, spesso anche salato, commisurato al tipo e alla durata della stessa.
Nel periodo compreso fra il 1850 e il 1865, pur non brevettandolo mai, Innocenzo Manzetti inventò pure il telefono. In particolare, fra il 1864 e il 1865 creò un vero e proprio telefono elettrico, in grado di trasmettere la voce umana ad oltre mezzo chilometro di distanza. Nell’estate del 1865, Manzetti presentò alla stampa, il suo telefono notevolmente perfezionato rispetto alla versione originale.
La notizia della nuova invenzione fece grande scalpore ad Aosta. Nei giorni successivi alla scoperta fu un accorrere di amici e conoscenti a casa di Manzetti, tutti curiosi e desiderosi di provare il rivoluzionario apparecchio.
Dapprima furono sperimentati collegamenti tra il giardino e la casa dell’inventore o tra una casa e l’altra, in seguito le sperimentazioni permisero la trasmissione della voce da una sponda all’altra del fiume Dora Baltea. Ovviamente i primi giornali a parlare della scoperta furono quelli valdostani, seguiti ben presto dalla carta stampata nazionale ed internazionale.
Ecco la citazione di un giornale locale “L’Indépendant”
“Il signor Innocenzo Manzetti, di cui abbiamo avuto più volte occasione di parlare, ci ha informati di un’applicazione assai sorprendente del filo telegrafico. Dei suoni prodotti da un apparecchio alla stazione di partenza, possono riprodursi alla stazione di arrivo: per mezzo di questo strumento si potrà un giorno parlare da Aosta a Torino, a Parigi, a Londra, […] Alcuni esperimenti ci sono parsi fattibili sebbene ancora imperfetti. […]. Dal canto nostro, ne abbiamo la certezza, il signor Manzetti riuscirà nella sua impresa e legherà il suo nome alla scoperta più sorprendente del nostro secolo”.
“L’Indépendant” del 29 giugno 1865
il periodico bolognese “L’Arpa”, in un articolo intitolato “L’uomo automa e il telegrafo musicante” enunciava:
Altra meraviglia che vince il cavallo di Vienna si è quella del suonatore automa inventato e costruito da signor Manzetti di Aosta. Esso non soltanto si alza, si siede, volge le braccia, muove occhi e membra, apre e chiude la bocca, saluta, ma, mercè un tubo di gomma elastica ripieno di aria compressa, dà persino le pulsazioni del polso.
“L’Arpa” che, nel numero del 24 luglio 1865,
[…] Messo in comunicazione con un “armonium” il nostro suonatore di carta pesta alza il suo strumento e con mirabile precisione ripete tutte le suonate con tale grazia, inflessione di voci, e chiaroscuri, da destare in chicchessia indefinibile meraviglia.
Ma non è tutto; ché il bravo Manzetti, che raccomandiamo al Governo per un posto di insegnamento di meccanica, ha trovato il modo di trasmettere per mezzo del telegrafo elettrico, i suoni musicali; ed è già a buon punto, specialmente per le parole di suono accentato vibrato di trasmetter da luogo a luogo tutto intero l’umano linguaggio.
I giornali di tutto il mondo, per la prima volta in assoluto, annunciarono non solo la possibilità di trasmettere la parola a distanza, per mezzo dell’elettricità, ma pure la realizzazione pratica da parte del Manzetti, di un dispositivo (il telefono), in grado di rendere possibile tutto ciò. L’errore di Manzetti fu che non pensò proprio a brevettare la sua invenzione. Lo avrebbe certamente fatto, se avesse avuto il tempo materiale per rendersi conto dell’enorme implicazione economica che la sua invenzione avrebbe potuto fornire.
La morte prematura
Innocenzo Manzetti morì prematuramente a soli 51 anni, nel 1877 appena un anno dopo la morte della sua seconda (e ultima) figlia, Marina Fortunata. La sua prima figlia, Maria Sofia, era morta già nel 1867, all’età di soli due anni. Lasciò pertanto la moglie Maria Rosa Anzola, totalmente sola e nella più completa povertà. Fu purtroppo lei che, involontariamente condannò il marito all’oblio. Evidentemente lo stato d’indigenza la spinse, dietro presunto lauto compenso, a cedere ingenuamente, con atto notarile del 7 febbraio 1880, tutti gli strumenti scientifici del marito (bussole, barometri, termometri e pure il prototipo del suo“téléphone”), a due sconosciuti viaggiatori americani: tali Max Meyer, uomo d’affari, e Horace H. Eldred che si scoprì successivamente, essere il direttore dei telegrafi di New York.
Il telefono di Manzetti non va visto come una realtà virtuale citata solo sulle pagine dei giornali dell’epoca e nelle storie di alcuni testimoni oculari. Il dispositivo dell’inventore aostano fu concretamente realizzato e utilizzato anche nel nostro Paese. Infatti, già dal 1884, un telefono fu costruito secondo i progetti di Manzetti, dallo Stabilimento Meccanico di Applicazioni Elettriche G. Nigra.. Pare sia stato usato a Ferrara e utilizzato anche a Pavia, Alessandria, Torino sia presso i vigili del fuoco che presso i singoli comandi di polizia e in diversee località più piccole (Collegno, Fossano …). Possiamo quindi dedurre che Manzetti non solo aveva creato un prototipo, ma un vero e proprio telefono elettrico funzionante.
Sala museale dedicata al Manzetti
Oggi la cappella del Collegio Saint-Bénin di via Jean-Boniface Festaz, antico priorato e storica istituzione scolastica nel pieno centro di Aosta, è sede della mostra permanente dedicata a Innocenzo Manzetti e alle sue numerose invenzioni.
Antonio Meucci
Grazie alle notizie diffuse dai giornali internazionali di quell’estate, anche il fiorentino Antonio Meucci (1808 – 1889) , che, in quel periodo, viveva già stabilmente a New York, venne a conoscenza dell’invenzione del telefono, attraverso “L’Eco d’Italia” del 19 agosto 1865. A conferma di ciò, c’è anche il riconoscimento implicito dello stesso Meucci, che in una lettera inviata all’amico genovese Ignazio Corbellino, direttore de “Il Commercio di Genova” scrisse: “Io non posso negare al signor Manzetti la sua invenzione, ma soltanto voglio far osservare che possono trovarsi due pensieri che abbiano la stessa scoperta, e che unendo le due idee si potrebbe più facilmente arrivare alla certezza di una cosa così importante” . Pure lui aveva infatti inventato un oggetto simile, ma la sua invenzione, alla data, era in uno stadio meno avanzato di quella di Manzetti.
Scampato ad una serie di guai giudiziari di piccola entità che lo portarono comunque in carcere più di una volta, Meucci, ragazzo sveglio, brillante e curioso, venne assunto giovanissimo, come macchinista, presso il Teatro alla Pergola di Firenze. Lavorando lì, cominciò a inventare dispositivi meccanici. Avendo scoperto la possibilità di trasmettere la voce attraverso un lungo tubo metallico, per propria comodità, inventò il telefono acustico, utilizzando un sistema di tubi che trasportando il suono da una parte all’altra del palco, gli davano la possibilità, senza muoversi dal punto dove si trovava, d’impartire istruzioni agli operai della cabina di regia.
A Cuba (l’Avana) dal 1835 al 1850.
Dato che l’opera italiana era, in quel periodo, molto apprezzata nel mondo, nel 1835, appena sposato con la giovane Ester, colse l’occasione per trasferirsi all’Avana in qualità di meccanico attrezzista, al seguito di una compagnia teatrale italiana, scritturata da un impresario cubano per alcune stagioni liriche al Gran Teatro de Tacón. Le “alcune stagioni” diventarono 15 anni nella capitale cubana e furono i migliori della sua vita. Mentre la moglie Ester faceva la sarta per la compagnia teatrale, lui era diventato il factotum maturando esperienze in vari campi dalla meccanica alla fisica, dallo studio delle acque alla galvanostegia, ecc. Venne molto apprezzato dagli spagnoli e riconosciuto come inventore dei filtri dell’acqua. In quegli anni, fra l’altro, nel 1837 lo statunitense Samuel Morse, aveva brevettato un sistema per trasmettere a distanza, su singolo cavo di rame, dei messaggi sotto forma di impulsi elettrici e lo corredò con un codice che abbinava sequenze di impulsi lunghi o brevi a lettere dell’alfabeto e a numeri: il codice Morse appunto, che sarebbe poi diventato il linguaggio universale della telegrafia.
Rimasto nel 1848, con molto tempo disponibile a causa della ristrutturazione generale del teatro, di cui per il suo talento, gli era stata affidata la direzione dei lavori, ebbe modo di dedicarsi nel 1849, dietro suggerimento di amici medici, pure ad esperimenti di elettroterapia su pazienti. Uno di costoro, colpito da una scarica eccessivamente forte, emise un grido che Meucci, trovandosi in altro ambiente, colse distintamente attraverso il cavo. Fu così che scoprì la trasmissione della voce per via elettrica, divenendo, in assoluto, il primo pioniere del telefono elettrico della storia. Antonio diede subito al suo sistema, il nome di “telegrafo parlante”.
Negli Stati Uniti dal 1850 al 1889.
Scaduto il contratto con l’impresario teatrale, si trasferì a Clifton, un piccolo quartiere nell’isola di Staten Island, dove impiantò una fabbrichetta di candele steariche, secondo un’ invenzione di sua concezione. Aveva cioè inventato delle candele che non colavano cera! In tale fabbrica ci lavorò per nove mesi anche Garibaldi che fu ospitato dal Meucci durante il suo esilio.
Nel 1854, costruì il cosiddetto “telettrofono”, cioè il primo dispositivo di comunicazione vocale accreditato da diverse fonti, come il primo prototipo di telefono, allo scopo di poter mettere in comunicazione il proprio ufficio-laboratorio sistemato nella cantina di casa, direttamente con la camera da letto della moglie Ester, al piano superiore, costretta a letto da una grave forma di artrite reumatoide paralizzante (conseguenza di un’artrite trascurata nei 15 anni di clima estremamente umido all’Avana).
Tale sistema, una sorta di moderno interfono, univa fra loro due apparecchi dotati entrambi di una cornetta con all’interno una membrana metallica. La vibrazione di tale membrana, prodotta dalle onde sonore emesse da chi parlava nella cornetta, si riproduceva all’altro capo del telettrofono, per poi essere ritrasformata in onde sonore intelleggibili. In questo modo, moglie e marito potevano scambiarsi qualche messaggio, da un piano all’altro della stessa casa.
Nel tentativo di migliorare il suo “telettrofono”, un appunto del 1857 di Meucci descrive così l’apparato si cui sta lavorando: «consiste in un diaframma vibrante e in un magnete elettrizzato da un filo a spirale che lo avvolge. Vibrando, il diaframma altera la corrente del magnete. Queste alterazioni di corrente, trasmesse all’altro capo del filo, imprimono analoghe vibrazioni al diaframma ricevente e riproducono la parola».
Purtroppo, il brevettare l’invenzione aveva costi elevati, costi che, all’epoca, il Meucci, a causa delle spese per la malattia della moglie, non poteva permettersi di sostenere, date le non floride condizioni finanziarie in cui versava.
La notizia dell’invenzione del Manzetti
Nel 1865, appresa la notizia dell’invenzione del telefono da parte del valdostano, non gli rimase che constatare che, a parte la similitudine funzionale, i due apparecchi erano comunque tecnicamente abbastanza diversi fra loro e anzi, quello del Manzetti era in uno stadio più avanzato rispetto al suo. Infatti mentre nel suo, si era costretti a stringere fra i denti una “barretta di contatto”, cosa questa che comprometteva la chiarezza della pronuncia, in quello di Manzetti si poteva parlare liberamente in una specie di cornetta.
Il brevetto del telettrofono
Nel 1871, Meucci fondò la “Telettrofono Company” nell’intento di riuscire a trovare il finanziamento necessario per il brevetto della sua invenzione. Nel dicembre di quell’anno, depositò presso l’Ufficio Brevetti statunitense, a Washington, il caveat n. 3335 dal titolo Sound Telegraph in cui descriveva il suo apparecchio. Sfortunatamente, non disponendo dei 250$ (circa 4.500€ di oggi), richiesti per depositare un brevetto regolare, riuscì ad ottenere per la sua invenzione, solo un brevetto temporaneo, da rinnovare ogni anno, al prezzo di 10$. Nell’estate del 1872, nella speranza di riuscire a testare la validità della sua invenzione fra due punti tra loro distanti, Antonio Meucci si rivolse pure al Vice Presidente Mr. Edward B. Grant dell’American District Telegraph Co. di New York, chiedendo gli fosse concesso di poter sperimentare il suo telettrofono a distanza, utilizzando le linee telegrafiche di quella compagnia. Naturalmente aveva allegato alla richiesta, la documentazione e i disegni della sua invenzione. Grant passò per competenza l’incartamento .ai suoi due giovani consulenti Alexander Graham Bell ed Elisha Gray, per l’approvazione. Nonostante la rassicurazione iniziale, Meucci si rese conto che, ad ogni sua sollecitazione per una risposta, Grant continuava a tergiversare con pretesti vari. Dopo due anni d’inutile attesa, alla richiesta di restituzione delle descrizioni e dei disegni consegnati, si sentì rispondere che i suoi disegni erano andati smarriti. La realtà era un po diversa! Il ventinovenne consulente scozzese Alexander Graham Bell (1847 – 1922), giovane senza troppi scrupoli, avendo visionato i disegni del fiorentino, aveva fatto il “furbetto” pensando bene di far sua l’invenzione del Meucci, depositando a proprio nome, il 7 Marzo 1876, il brevetto n. 174465 per proteggere “il metodo e l’apparato per trasmettere la voce o altri suoni per mezzo di ondulazioni elettriche”. A due ore di distanza, pure Elisha Gray, altro elemento raccomandabile, si presentò per registrare il brevetto per il telefono.
Com’ era stato possibile tutto ciò, visto che, in teoria, quel telettrofono era coperto da brevetto? Antonio Meucci, allora già sessantottenne, aveva avuto grossi problemi finanziari a causa dell’incendio della sua fabbrica di candele e, vivendo solo grazie al generoso aiuto degli amici, era riuscito a pagare solo due volte, il rinnovo annuale del suo brevetto. Nessuna compagnia telegrafica, a cui si era rivolto, aveva accettato di finanziarlo, per cui, il terzo anno, non essendo più stato in grado di reperire i 10$ richiesti, si vide decadere per insolvenza, il suo brevetto temporaneo, facendo il gioco di Alexander Graham Bell. L’apparecchio presentato da Bell era del tutto identico al telettrofono di Meucci. Era cambiato praticamente solo il nome da “telettrofono” a “telefono” e qualche altro dettaglio di poco conto.
Denunce e processi
Meucci, sentitosi preso in giro, non ne fu ovviamente felice e decise di raccontare tutta la sua storia alla stampa, trascinando Bell in tribunale.
A nulla valse comunque la causa che lui intentò ad Alexander Graham Bell. Le ristrettezze economiche in cui si trovava, non gli consentirono di trovarsi un avvocato che avrebbe sicuramente smascherato il “furbetto” facendo valere le sacrosante ragioni ed i diritti di Meucci. Il giudice, che emise la sentenza, evidentemente di parte, per giustificare la sua decisione a favore di Bell, ebbe il coraggio di affermare che Meucci avrebbe inventato solo un telefono meccanico, mentre quello, oggetto del brevetto, era elettrico. Il che, chiaramente, era un falso storico eclatante! Con questa sentenza Bell si guadagnò indebitamente il titolo di inventore del telefono, titolo che riuscì a mantenere per tutto il secolo scorso.
In seguito ad un secondo processo, nel 1887, la Corte Suprema degli Stati Uniti diede ragione a Meucci, ma inutilmente, poiché ormai Bell aveva avviato la sua Bell Telephone Company (oggi AT&T – American Telephon and Telegraph – , una delle più importanti compagnie di telecomunicazioni d’America) e quindi essendo troppo tardi per agire, non si poteva fare più nulla. Scandalosamente non gli venne nemmeno corrisposto un risarcimento per danni morali, lasciando che due anni dopo, morisse di stenti, nell’indigenza più totale. In seguito nessun altro erede contestò la paternità di Meucci dell’invenzione indebitamente attribuita a Bell.
Riconoscimento postumo
Solo 113 anni dopo la sua morte, la disputa giudiziaria si concluse l’11 giugno 2002, con una pronuncia del Congresso degli Stati Uniti che, ammettendo quel clamoroso errore giudiziario, riconobbe al Meucci la priorità dell’invenzione del telefono. Davvero una magra consolazione per il povero inventore, e nemmeno risarcimento economico visto che il brevetto era ormai scaduto da un pezzo (1893)! E’ davvero incredibile, a volte il destino di una persona. Avrebbe potuto diventare ricchissimo, se solo quella sua fabbrica di candele, che gli garantiva di avere il danaro per il rinnovo del brevetto, non fosse andata in fumo per un disastroso incendio!
Le preferenze della storiografia ufficiale
Nella storia italiana, quando si parla delle grandi invenzioni in grado di modificare le abitudini sociali e ridisegnare le relazioni, la scoperta del telefono, incredibilmente, non cita fra i suoi autori il nome del Manzetti che rimane sconosciuto ai più ancora oggi, mentre riporta Meucci come unico nome ad essere preso realmente in considerazione. Come mai? C’è chi dice che probabilmente dietro il nome di Meucci si può raccontare la storia suggestiva di un emigrato fiorentino, riparato all’estero per motivi politici , avendo partecipato giovanissimo anche alla carboneria. Era amico di Garibaldi, altro grande mito, patriota italiano costretto a rifugiarsi all’estero a causa degli eventi che precedettero l’unificazione d’Italia. Meucci era indubbiamente un inventore brillante, troppo puro però, per sospettare che le potenti lobbies americane avrebbero potuto approfittare di lui e della sua ingenuità, posando gli occhi sulle sue invenzioni, per ingannarlo e trarne immensi profitti. E proprio per questa suo modo di essere, lui, che avrebbe sicuramente meritato molto di più, morì nella più assoluta indigenza.
Innocenzo Manzetti, d’altra parte, vivendo in una terra di confine ove si parlava prevalentemente il francese (e lui lo parlava normalmente), non era uno splendido esempio per il nascente stato italiano. Ma, a parte i problemi di lingua, lui era molto vicino ai circoli cattolici. Infatti i suoi più ferventi sostenitori provenivano dai circoli della Chiesa, e notoriamente in quegli anni di accesa opposizione tra Stato e Chiesa, il rapporto tra il mondo cattolico e il mondo liberale era tutt’altro che idilliaco. Non è escluso pertanto che queste siano le ragioni di fondo che abbiano convinto gli storici a dare al Meucci i meriti che forse per diritto di precedenza, (differenza di 6 anni), sarebbero dovuti spettare al Manzetti. Senza pertanto voler minimamente disconoscere i meriti di Antonio Meucci, indubbiamente la forte presenza della comunità italiana negli Stati Uniti giocò a suo favore.
Nel corso della storia, sono poche le voci, anche se influenti, che si sono levate a favore del genio valdostano, gabbato, alla fin fine. pure lui dai “filibustieri americani d’Oltre oceano. Quando, alla morte d’Innocenzo Manzetti, la moglie cedette ad Horace H. Eldred il prototipo del suo“téléphone”, guarda caso, Eldred, tornato in patria, brevettò immediatamente a proprio nome il telefono del valdostano, dopo essere riuscito a strappare tutti i progetti, i disegni, i modelli e soprattutto i diritti esclusivi dell’invenzione del telefono in cambio della promessa alla vedova di un’enorme somma di denaro, che, naturalmente, si guardò bene dal pagare.
Da questa parte dell’oceano, come sarebbe potuto emergere il nome di uno sconosciuto Manzetti, privo di un reale sostegno da parte dei suoi eredi moglie e fratelli, tutti con seri problemi economici di sussistenza? Certamente nessuno, nei loro panni, pur sapendo benissimo di essere stato raggirato da gente senza scrupoli, avrebbe avuto il coraggio, anche economico, di intentare una battaglia legale contro un colosso finanziario americano, sapendo a priori che l’esito non sarebbe stato per nulla scontato. L’esempio della prima sentenza sfavorevole al Meucci era illuminante. E poi, il tutto a che pro? Anche ammesso e concesso di riuscire a vincere la causa, come era accaduto al Meucci in seconda istanza, di qual utili economici gli eredi avrebbero goduto, quando allo stesso Meucci non era stato nemmeno riconosciuto un minimo di risarcimento per i danni morali subiti e, anzi, era stato lasciato morire di stenti, in assoluta povertà? Una sentenza di un tribunale americano contraria ai diritti del colosso finanziario, avrebbe significato una debacle economica per le sue imprese, con enormi ricadute anche dal punto di vista sociale. Chi si sarebbe assunto tale responsabilità solo per amore della verità scientifica, o per ricevere una semplice pacca sulla spalla in caso di riconoscimento che le accuse fatte, fossero realmente fondate?
Ndr. – Possibile che l’attestazione non solo dei giornali internazionali del 1865, ma della ben più valida ammissione scritta di pugno dallo stesso Meucci, oggi ufficialmente accreditato come inventore del telefono, non possano essere elementi sufficienti per dichiarare ufficialmente riconosciuta al Manzetti, la reale paternità di questa invenzione? Ai posteri, l’ardua sentenza!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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