Il … “Santa Radegonda” conteso fra il sacro e il profano
Sommario
ToggleSono quasi certo che nessuno dei progettisti del cinema multisala Odeon, dietro il Duomo, avesse idea durante i lavori di ristrutturazione della precedente omonima sala, dell’incredibile storia di quel fazzoletto di terra su cui stavano operando. Si tratta davvero di pochi metri quadrati! Per chi non è pratico di Milano, la via a cui faccio riferimento è una traversa di Corso Vittorio Emanuele. esattamente all’altezza dell’abside del Duomo. La strada davvero centralissima, si chiama via Santa Radegonda, e fiancheggia i Magazzini “la Rinascente” di Piazza Duomo. Strada questa chiamata frequentemente anche la via del “Luini“, dal nome del forno, noto in tutta Milano, dove si possono gustare degli ottimi “panzerotti” (tipico prodotto pugliese). Questa via, rispetto ad altre, è, tutto sommato, recente, essendo stata aperta solo nel 1781: prima non esisteva proprio! La storia ha inizio ben più di qualche secolo indietro ….
IV – V secolo
Tutta la vasta area dell’attuale centro di Milano, in epoca romana tardoimperiale, era un “complesso episcopale”, il vero centro religioso della città, comprendente l’Arcivescovado, varie luoghi di culto, edifici ecclesiastici e monasteri. Era quindi un’area “sacra“. La prima costruzione in assoluto di cui si ha notizia era un piccolo battistero, quello di Santo Stefano alle Fonti (313 – l’anno dell’Editto di Costantino) destinato al battesimo dei pagani convertiti al cattolicesimo. Era situato proprio in prossimità della via Santa Radegonda attuale (esattamente dove c’è oggi l’ascensore per salire in cima al Duomo). L’anno successivo (314), era poi iniziata la costruzione della basilica paleocristiana vetus (Santa Maria Maggiore) davanti alla quale fu poi costruito il battistero di San Giovanni alle Fonti (378- 397).
Sant’Ambrogio fu battezzato nel 374 nel battistero di Santo Stefano alle Fonti
VI – VII secolo
Inizialmente erano solo gli uomini, coloro che si convertivano. Quando, col passare del tempo, ci si rese conto che anche diverse donne chiedevano di essere battezzate, si pensò di destinare agli uomini il battistero più grande di San Giovanni alle Fonti, riservando alle sole donne l’altro. Distinzione questa, resasi necessaria perché il rito ambrosiano prevedeva che il battesimo avvenisse per “immersione” e non si voleva che la cosa creasse turbamento fra il sacerdoti. Per la celebrazione della cerimonia per le donne, vennero quindi nominate delle diaconesse. Infatti il battesimo consisteva nello spogliare completamente le battezzande, nell’immergerle nel fonte battesimale. nell’impartire loro il sacramento e infine nel rivestirle .
VIII – XI secolo
In seguito, nell’ottavo secolo, il Battistero fu demolito e, lì accanto, sorse il monastero di Santa Maria di Vigilinda [Vigilinda era una duchessa longobarda, probabile fondatrice del convento]. A questo primo monastero si affiancò, nel X secolo, quello del San Salvatore.
Già prima del Mille, il cenobio [luogo dove le monache, sottoposte alla medesima regola, fanno vita comune], ottenne il giuspatronato sull’ospedale e la chiesa di San Raffaele, che sorgevano accanto al monastero e nell’XI secolo pure quello sulla piccola chiesa di San Simplicianino, edificata su terreni che l’ente possedeva nelle vicinanze.
XII secolo
Sulle stesse fondamenta di questi due monasteri, venne fondato, nel 1130, un nuovo monastero benedettino femminile dedicato questa volta a Santa Radegonda con la relativa chiesa annessa.
Il motivo di questa denominazione era prettamente “politico”. C’era una diatriba in atto fra due partiti ai vertici della Chiesa: da una parte quello di papa Innocenzo II e l’imperatore Lotario II, dall’altra quello dell’antipapa Anacleto II. supportata da Corrado III e dall’arcivescovo di Tours Ildeberto di Lavardin.
Radegonda era stata un’ importante figura nel monastero di Tours e questa intitolazione rappresentava una presa di posizione netta della città di Milano nello scontro fra i due papi che si stavano contendendo il potere, all’epoca.
La città ambrosiana era schierata totalmente a favore di Anacleto II, perché in lui aveva visto un alleato ai fini della protezione delle “consuetudines” e degli ”honores” contro la pressante “ingerenza” della Curia Romana.
[Ndr. – “cosuetudines” erano ad esempio, la celebrazione dei riti ambrosiani;“honores” era la facoltà di incoronare gli imperatori,. retaggio del periodo Longobardo]
Ma chi era questa Radegonda?
Era la figlia di Bertario, re dei Turingi (tedeschi). Quando i re franchi (della dinastia dei merovingi) Teodorico I e Clotario I conquistarono la Turingia (531), Radegonda allora tredicenne, presa in ostaggio da Clotario, venne condotta in Neustria (Francia settentrionale) con gli altri prigionieri. Crebbe alla corte di Soissons e quando Clotario, accortosi della sua bellezza, decise di farne sua moglie, fu mandata ad Athies per ricevere un’educazione adatta ad una regina. Divenne quindi regina di Francia. Il matrimonio fu tuttavia molto infelice per lei, a causa dell’indole brutale ed i continui tradimenti del marito. Fallì definitivamente, quando Clotario fece uccidere il fratello di Radegonda, l’unico parente rimastole. Lei decise allora di abbandonare il marito (al quale non aveva dato eredi) e di prendere i voti. Clotario, pentito di aver accettato la vocazione della moglie, inviò alcuni soldati a Saix per riportarla a corte. Ma Radegonda fuggì attraverso i campi ove alcuni contadini stavano seminando l’avena. Miracolosamente le sementi crebbero fino a nascondere la fuggitiva ed i soldati non riuscirono più a trovarla. A questo punto, a Clotario non restò che ripudiarla lasciandole proseguire il suo percorso di fede. Fece il suo ingresso prima nel monastero di Tours poi in quello di Saix, dove si dedicò all’assistenza dei lebbrosi. Clotario I fece costruire per lei il monastero di Notre-Dame a Poitiers, che divenne poi della Sainte-Croix quando, nel 569, Radegonda ottenne in dono dal basileus (re d’Oriente) Giustino II, un frammento della croce di Cristo. La regina fu tumulata nell’Abbazia di Notre Dame a Poitiers nel 587. Fu venerata e poi canonizzata nel IX secolo. Nel maggio 1561 un gruppo di protestanti incendiò la cappella dove era sepolta Radegonda; i fedeli ne salvarono pochi resti carbonizzati e li custodirono in una cassetta, oggi deposta nella chiesa di Poitiers a lei intitolata.
XII secolo – Le distruzioni del Barbarossa
Nel 1162, le truppe del Barbarossa distrussero parzialmente il convento delle monache. Come risarcimento per i danni subiti, al monastero venne assegnata una casa e un ampio terreno appartenuti al vescovo Galdino della Sala (1096 – 1176) co-patrono di Milano insieme a San Carlo e Sant’Ambrogio.
XIII – XVII secolo
Nel corso dei secoli, il convento delle benedettine osservanti, acquisì una certa importanza, essendo divenuto rinomato per lo studio del canto e della musica. Probabilmente anche per questo, fu frequentato da molte giovani fanciulle che, costrette dalla società di allora a prendere i voti, sopperivano con lo studio della musica e del canto, alla naturale mancanza di vocazione. Proprio grazie alla sua scuola di canto, il monastero godette di numerosi lasciti e privilegi. In questo periodo ‘aureo’, il monastero si arricchì pure di diverse opere d’arte significative, come le tavole di un discepolo di Paolo Veronese (1528 – 1588). Per gli apprezzamenti, fu famosa all’epoca, Donna Teresa Francesca Guinzani, ricordata da noti maestri di canto e persino dall’imperatrice Maria Elisabetta Cristina Brunswick-Wolfenbüttel (consorte di Carlo VI d’Asburgo e madre della celebre Maria Teresa d’Austria).
XVIII secolo
Il complesso, a furia di acquisizioni e giuspatronati, divenne veramente grandioso, con quattro chiostri che includevano anche le chiese di San Raffaele e San Simplicianino. La chiesa di Santa Radegonda era doppia, secondo l’uso monastico, e custodiva pure alcune reliquie significative: la scheggia della Croce, una Spina, un frammento del velo di Maria e della Maddalena.
Morta l’imperatrice d’Austria, Maria Teresa nel novembre del 1780, subentrò al potere il figlio Giuseppe II (1741 – 1790). Uno degli aspetti sicuramente più rilevanti della sua politica di governo fu il cosiddetto “giuseppinismo” che cambiò, con una svolta radicale, la concezione della religione, non solo nei domini asburgici, ma in tutta Europa.
Nel 1781, rientrando nell’elenco degli edifici religiosi da dismettere (le cosiddette soppressioni giuseppine), il monastero, passò sotto il controllo dello Stato austriaco. Venne sconsacrato e le monache benedettine, trasferite provvisoriamente al monastero di Santa Prassede a Porta Tosa (area dell’odierno palazzo di Giustizia), struttura quest’ultima, che chiuderà definitivamente l’anno successivo.
Il monastero, venne parzialmente demolito per aprire la Contrada Santa Radegonda, che il ministro plenipotenziario austriaco, governatore della Lombardia, conte Carlo Giuseppe di Firmian, aveva richiesto al Piermarini, per facilitare il transito della carrozza arciducale dal Palazzo Reale al Nuovo Regio Ducal Teatro (Teatro alla Scala), aperto da soli tre anni (1778).
Tutto il resto dell’area del dismesso monastero, (comprensivo dei terreni, del convento e della chiesa di Santa Radegonda), venne dapprima acquisito dei Marchesi Cusani. Questi, successivamente , vendettero il tutto a un noto costruttore immobiliare, che provvide alla lottizzazione del suolo, vendendo, a sua volta, i vari frazionamenti. Il convento divenne una locanda, le celle di alcuni chiostri furono tramutate in abitazioni private, altre in un’osteria.
XIX secolo
Nel 1801, il costruttore, trovandosi in temporanea difficoltà finanziaria, fu costretto a cedere per pochi soldi, pure la vecchia chiesa di Santa Radegonda, attigua al convento, che, divenne proprietà di tale Anastasia Franzini, vedova Barbini.
La chiesa sconsacrata diventò teatro
Non sapendo cosa farsene, la Franzini l’affittò ad un ex calzolaio Carlo Re, che, amante di teatro, era diventato imprenditore e, da qualche anno, aveva aperto per conto suo, un teatrino di marionette in un locale del soppresso convento dei Fratini, in contrada Sant’Antonio, lì vicino.
D’accordo con la Franzini, e creando una sorta di sodalizio con lei, questi pensò a trasformare l’interno della ex-chiesa, in un teatro costruito tutto in legno con un palcoscenico, una sala a ferro di cavallo, platea, alcuni ordini di palchi e loggione, per spettacoli di marionette. L’inaugurazione avvenne nel 1803, con “La Maschera di Meneghino”, interpretata dall’attore dialettale Gaetano Piomarta, allora molto in auge per i suoi motti, le inflessioni vocali e i suoi atteggiamenti comici. Ovviamente fu un grande successo. Già due anni dopo, tuttavia, accanto agli spettacoli di marionette e alle commedie dialettali, ecco comparire, immancabile, il melodramma. Nel 1806 la sala ospitò addirittura un classico. quale Nina pazza per amore (Paisiello, 1789).
Nessun pericolo di concorrenza con la Scala
Il Teatro Santa Radegonda, pur essendo vicino al Nuovo Regio Ducal Teatro, non ne temeva la concorrenza, anche perchè il pubblico che seguiva gli spettacoli, era di ceto socialmente inferiore rispetto a quello più pretenzioso, della Scala.
Legge austriaca contro il gioco d’azzardo
Nel tentativo di arginare il malcostume dilagante in tutti i luoghi di ritrovo, una disposizione del governo austriaco del 1788, vietava tassativamente in città il gioco d’azzardo, eccetto che alla Scala, nelle sole giornate di spettacolo.
Costumi e società del tempo
Il Nuovo Regio Ducal Teatro (Teatro alla Scala), nato per il melodramma, nei suoi primi decenni di vita, era essenzialmente usato come luogo di ritrovo della nobiltà e dell’alta aristocrazia. Il teatro era stato costruito col contributo economico determinante della nobiltà che, giustamente, lo riteneva suo. Lo spettacolo era inteso unicamente come giustificazione per recarsi a teatro, esibirsi con nuovi abiti o acconciature, socializzare e soprattutto giocare, non certo per godere della rappresentazione in cartellone come arricchimento culturale personale, come oggi.
In quest’ottica, durante le rappresentazioni, il silenzio in sala era una pura utopia, i palchi del teatro (di proprietà delle singole famiglie) erano eleganti e chiassosi salottini: nella semioscurità delle candele (le lampade a gas ancora non c’erano) , venivano usati come luogo d’intrattenimento conviviale fra amici e quindi era tutto un via vai di servitori che portavano pietanze ai commensali.
Attori e cantanti non traevano grande soddisfazione dalle loro esibizioni: essendo di rango inferiore rispetto ai nobili, venivano naturalmente snobbati e quindi le loro “performances”, anche se talentuose, non venivano prese nella dovuta considerazione. Non solo durante gli intervalli, ma anche durante le rappresentazioni, nel Ridotto della Scala e nello spazio in corrispondenza del quinto ordine di palchi, si giocava legalmente d’azzardo (alla roulette). Gli spettacoli quindi erano seguiti distrattamente, quasi fossero un “accompagnamento di sottofondo”.
Il teatro di via Santa Radegonda, a differenza della Scala, era frequentato prevalentemente dalla media borghesia, desiderosa di cominciare a godere pure lei, dei divertimenti che fino ad allora, erano stati riservati unicamente alla nobiltà. Naturalmente anche le esibizioni degli attori e dei cantanti venivano viste ed apprezzate con occhio totalmente diverso, da un pubblico che, alla lunga, essendo molto meno distratto da attività collaterali non previste, cominciava a diventare, culturalmente, di veri intenditori. Il teatro si conquistò così ben presto notorietà, non solo per gli spettacoli presentati, ma pure perchè favoriva l’esordio di diversi giovani nuovi talenti.
Carlotta Marchionni, ad esempio, una ragazzina poco più che quattordicenne, nel 1810, sul palco del Radegonda, incantò il pubblico per il suo brio e per le ottime interpretazioni. La baronessa Madame de Staël (1766-1817), famosa scrittrice francese, presente alla sua esibizione in teatro, ne rimase impressionata al punto che scrisse di lei ; “possedeva il genio della sua arte”.
La guerra fra i teatri
Carlo Re, facendo leva su una accorta politica di prezzi, leggermente inferiori rispetto alla media degli altri teatri in zona, e su un cartellone di tutto rispetto, che alternava rappresentazioni teatrali a serate musicali, non ebbe difficoltà a prevalere ben presto sugli altri teatri (il Carcano di Porta Romana, il Lentasio, il Patriottico, il Gerolamo) oltre che la Cannobiana. La concorrenza fu così accanita che nel 1807, gli altri impresari, invidiosi per tanto successo, tentarono, senza riuscirci, di prendere in affitto il Radegonda offrendo più di quanto richiesto, unicamente per tenerlo chiuso, affinchè non potesse nuocere agli altri teatri.
La rottura del sodalizio Franzini-Re
Visto il successo che stava avendo la sua attività, le ambizioni di Carlo Re non si fermarono al semplice teatrino in legno. Senza consultarsi preventivamente con la Franzini, fattosi fare un progetto di ristrutturazione pesante degli interni in modo da rendere il teatro più confacente alle nuove esigenze, l’aveva presentato in Comune, per l’autorizzazione a eseguire i lavori. Il progetto già approvato dalla commissione d’Ornato, venne però impugnato dalla Franzini che vinse il ricorso contestando il diritto dell’affittuario ad effettuare lavori di carattere straordinario. Questa presa di posizione della proprietaria incrinò il sodalizio fra i due, al punto che il Re decise di andarsene dal Santa Radegonda per fare un altro teatro, tutto suo.
Il nuovo Teatro Re
Carlo Re trovò. a due passi da lì, in Contrada dei Due Muri (nei pressi dell’odierna via Silvio Pellico), la vecchia chiesa sconsacrata di San Salvatore in Xenodochio, la ex-cappella di un vecchio brefotrofio, che lui fece riadattare a teatro, dall’architetto Luigi Canonica, attuando lo stesso progetto già approvato dalla commissione d’Ornato per il Santa Radegonda.
L’inaugurazione del Teatro Re, avvenne il 18 dicembre 1813, con la rappresentazione del Tancredi di Gioachino Rossini. Così i due teatri vicini, il Re ed il Santa Radegonda, dettero inizio fra loro ad una sana rivalità a colpi di spettacolo. Soprattutto nella prima metà del secolo il teatro riscosse grande successo diventando ben presto celebre luogo di ritrovo per intellettuali e patrioti.
Tornando al Teatro Santa Radegonda, la Franzini, con l’attività già ben avviato precedentemente da Carlo Re, ebbe inizialmente vita relativamente facile, nonostante la sua scarsa esperienza, riuscendo addirittura nell’ambiziosa impresa di mettere in scena qualche opere lirica più alla moda.
Altro giovane astro che fece il suo esordio al Santa Radegonda nel 1813, fu diciassettenne Giovanni Pacini, dapprima come compositore in tema di farsa musicale (“Annetta e Lucindo”) e, poi di tragedia lirica con “Saffo”, sua opera in tre atti su libretto di Salvadore Cammarano.
La già affermata, giovanissima Carlotta Marchionni, sarà la prima, applauditissima interprete della tragedia di Silvio Pellico “Francesca da Rimini”, la sera del 18 agosto 1815.
Nel 1817 venne rappresentato il “Barbiere di Siviglia” di Rossini e l’anno successivo pure l’“Otello” dello stesso autore.
Lunghi anni di alti e bassi
Col passare del tempo però, la Franzini, data la sua scarsa esperienza nel campo, non riuscì a sostenere la concorrenza di Carlo Re.
I bilanci cominciarono a non quadrare più e il Teatro Radegonda decadde rapidamente, lasciando il campo libero al Teatro Re. Finì col ridursi a una semplice sala di pubblico ritrovo, fino a quando, nel 1850, la nuova proprietaria, una nipote della Franzini, tale Barbini in Monti, fece restaurare la sala con una certa ricercatezza. Il teatro continuò a essere attivo con alti e bassi, conoscendo una vera e propria rinascita quando passò nelle mani di Edoardo Sonzogno, titolare della celebre casa editrice di famiglia, che, nel 1875, si adoperò anche come impresario teatrale. Introdusse l’illuminazione a gas nel teatro, facendo rivivere al Santa Radegonda alcuni anni d’oro, grazie anche un cartellone di tutto rispetto con diverse opere liriche tra le più note. L’esperimento milanese del Sonzogno terminò però già nel 1880 e la sala tornò ad essere abbastanza anonima.
La ex-chiesa diventò sala da ballo
Per tentare di rilanciare l’ambiente, si tentò nel 1881 di riconvertire il teatro in sala da ballo, smontando il palcoscenico per far posto alla pista, ma la cosa, anche se all’inizio riscosse discreto successo, non ebbe vita lunga. Eravamo agli albori di un cambio epocale:l’arrivo dell’elettricità!
La centrale elettrica Edison
Già da qualche anno, si facevano in città degli esperimenti dimostrativi riguardanti l’utilità dell’energia elettrica al posto dell’illuminazione a gas. In occasione del Carnevale del 1882, per la prima volta, si illuminò con delle lampadine elettriche, il Ridotto della Scala, cosa questa che destò enorme successo tra il pubblico, al punto da convincere la Edison ad acquistare subito un terreno il più possibile vicino al Duomo. La centrale avrebbe dovuto illuminare il teatro alla Scala, il teatro Manzoni, la Galleria Vittorio Emanuele II, e i principali negozi cittadini, sotto i portici, concentrati in quella zona. La scelta ricadde sulll’area comprendente il vecchio Teatro Santa Radegonda. Demoliti tutti gli edifici esistenti, vi fece costruire al loro posto, i capannoni per ospitare la prima centrale termoelettrica dell’Europa continentale per la produzione e la distribuzione di energia elettrica a corrente continua.
La nuova centrale, con una ciminiera in mattoni da 52mt di altezza, entrò in funzione a fine 1883. La sua potenza consentiva di accendere ben 52.000 lampade!
Leggi l’articolo sulla centrale elettrica di Santa Radegonda
Uno dei primi negozi della via, ad usufruire della corrente elettrica della nuova centrale, fu la famosa Confetteria Giuseppe Baj, nota per il miglior panettone di Milano. Aveva aperto undici anni prima, (nel 1872), proprio all’angolo fra via Santa Radegonda e Corso Vittorio Emanuele II, sia il negozio che lo stabilimento per la produzione dolciaria, trasferendosi lì da via del Broletto Era un luogo amatissimo dai letterati e dagli intellettuali dell’epoca, fra cui Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo. Quella casa d’angolo, nel 1883, fu il primo edificio europeo alimentato ad energia elettrica sulla base di un progetto di Edison.
XX secolo
Il primo cinema-teatro
Nel medesimo posto del vecchio teatro Santa Radegonda demolito, in prossimità del’imbocco di corso Vittorio Emanuele, di fianco al palazzo che ospitava la pasticceria-confetteria Baj, comparve nei primissimi anni del Novecento un cinema-teatro dal nome provvisorio di Padiglione Cinematografico. Cambiato il nome in Santa Radegonda, alternava spettacoli teatrali alle prime proiezioni cinematografiche della storia con accompagnamento dal vivo dell’orchestra. L’edifico potè vantare, fin dal 1909, una facciata illuminata da numerose lampadine. Sarà proprio il Santa Radegonda il primo cine-teatro funzionante ad energia elettrica, e il primo dotato di un servizio di “bar automatico”, con annessa pure una pista di pattinaggio.
Chiusura della centrale
La centrale elettrica ebbe però vita breve, in quanto già dai primi del Novecento si cominciò a prendere in considerazione l’uso della corrente alternata; il trasporto a distanza della corrente continua erogata da questa centrale non riusciva infatti ad andare al di fuori del centro cittadino. Il consumo di combustibile fossile, oltre a essere antieconomico, produceva inquinamento e fumi. La ricerca stava sviluppando soluzioni diverse sfruttando l’energia idraulica per cui, nel 1923, la centrale venne dismessa. Nel 1926, l’intero isolato presente tra via Agnello e via Santa Radegonda, venne raso al suolo.
Il cinema Odeon
Al suo posto. in quello stessa area, nacque ancora una volta, un ampio teatro in elegante stile liberty. Era l’Odeon, proprio lo stesso cinema arrivato ai giorni nostri.
Il nuovo cinema multisala Odeon
Rilevato dal gruppo americano Cannon, nel 1986. l’Odeon fu il primo cinema milanese a trasformarsi in Multisala col nuovo nome Cannon Odeon. Mantenendo invariata la grande, caratteristica sala principale da 1170 posti, ne creò una seconda sotterranea da 540 posti e poi altre otto piccole salette fra i 100 e i 250 posti, consentendo in tal modo la proiezione sia delle prime visioni dei film più recenti che la programmazione di nicchia dedicata al cinema d’autore.
Quali altre trasformazioni e nuovi primati potrà vantare questo piccolo fazzoletto di terra, già così ricco di storia, nel suo prossimo futuro? Chi vivrà, vedrà!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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