La Casa degli Atellani e la Vigna di Leonardo
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Fra i tanti angoli nascosti di Milano, c’è questo, in pieno centro, che lascia davvero incredulo il visitatore, da un lato per l’inattesa bellezza, dall’altro per l’incredibile oasi di pace, in una zona notoriamente molto trafficata. E’ un luogo, ai più sconosciuto, direi senza tempo, visitabile in ogni stagione dell’anno.
Si trova in Corso Magenta, a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria delle Grazie e dal celebre Cenacolo Vinciano: è la Casa degli Atellani e la Vigna di Leonardo.
Una casa che, le cronache riferiscono, all’epoca, era molto conosciuta a Milano, molto invidiata dal popolo e direi anche discretamente chiacchierata … Indubbiamente i proprietari di quella casa dovevano essere piuttosto inclini alla spensieratezza e all’allegria …. Vi era un’intensa attività mondana, musica, cene, balli, feste almeno un paio di volte alla settimana … sembrava quasi una celebrazione senza fine, del carnevale della vita, così ben descritta in rima, da Lorenzo il Magnifico nella sua famosissima “Canzona di Bacco”:
Quant’è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuole esser lieto, sia,
di doman non c’è certezza.
Praticamente, l’esortazione a godere pienamente delle gioie della vita (i sensi, la bellezza, l’amore) nella consapevolezza della loro fugacità.
Ci fossero stati, a quei tempi, i paparazzi con le loro macchine fotografiche, avrebbero certamente avuto il loro bel da fare! In compenso i cronisti dell’epoca, avevano sicuramente motivo di sbizzarrirsi già allora, presidiando l’ingresso della casa e descrivendo, all’arrivo di ogni carrozza, i costumi delle dame e gli ospiti di riguardo, invitati a quelle feste mondane.
Ovviamente l’ingresso alla Casa era riservato ai pochi intimi … agli amici del proprietario e del Duca, e le donne erano, naturalmente, il fior fiore della nobiltà milanese.
Pillole di storia
Eravamo verso la fine del XV secolo. Il Ducato di Milano era in mano agli Sforza. Alla morte del fratello Galeazzo Maria, assassinato da oppositori sulla porta della chiesa di Santo Stefano il 26 dicembre 1476, Ludovico il Moro, dopo tre anni di lotte interne per la gestione del potere, riuscì a prendere il controllo della situazione, affiancando dal 1480, il giovanissimo nipote Gian Galeazzo Maria nella reggenza del Ducato. Alla morte di quest’ultimo a soli 25 anni, (probabilmente avvelenato), Ludovico il Moro assunse il potere in toto, a partire dal 1494.
Durante il suo governo, Milano conobbe il pieno Rinascimento e la sua Corte, divenne una delle più splendide d’Europa.
La mappa della zona
La città era ancora tutta racchiusa intorno al suo Castello. Limitatamente alla zona ovest, la via Carducci che tutti oggi conosciamo, allora non esisteva proprio, e al suo posto c’era un lungo canale pieno d’acqua, esternamente addossato alle mura della città. Vi erano due porte, in quell’area, in corrispondenza di due ponti: una, Porta Vercellina, all’incrocio con l’attuale Corso Magenta, l’altra, la Pusterla di Sant’Ambrogio, più avanti, all’incrocio con la via San Vittore. Al di fuori delle mura, praticamente solo boschi e campagna. A due passi dal Castello, fuori porta Giovia, qualche casermetta per i soldati del Duca, rare le case e i cascinali disseminati nella campagna, un paio di strade polverose e qua e là, qualche singola chiesa con annesso convento. La più vicina fra le chiese, a qualche centinaio di metri dal Castello, era proprio quella nuova, dedicata a San Domenico (dal 1492, ampliata e ristrutturata, diventerà Santa Maria delle Grazie), con l’annesso convento domenicano. Più a sinistra, ma molto più in là, la chiesa di San Vittore al Corpo e l’antico monastero benedettino (in seguito diventato degli Olivetani ed ora Museo della Scienza e della Tecnica). Fra le due chiese, a parte qualche singola casa , una ampia distesa coltivata a filari di vigneti
I sogni di Ludovico il Moro
Probabilmente memore dell’assassinio del fratello, Ludovico il Moro aveva come sogno quello di creare proprio in quell’area, un quartiere residenziale per i suoi uomini più fidati, in modo da poter contare sul loro aiuto in caso di bisogno. L’altro suo sogno, era quello di trasformare la chiesa di San Domenico nel mausoleo del proprio casato, gli Sforza, facendola diventare la Basilica di santa Maria Delle Grazie che tutti conosciamo. Sogno questo che la storia non farà andare a buon fine, ma che oggi rivive sotto forma di testimonianza del glorioso passato meneghino.
Chi erano gli Atellani ?
Giacomotto della Tela, capostipite della famiglia nota come Atellani, era un cortigiano e diplomatico, originario della Basilicata, giunto al nord con i suoi, nel corso del Quattrocento, ed entrato al servizio dei duchi di Milano al tempo degli Sforza. Era un valoroso uomo d’arme, che seppe conquistarsi presto stima, fiducia e prestigio, soprattutto agli occhi di Ludovico il Moro, allora, ancora reggente insieme al nipote. Fece la sua fortuna, diventando scudiero ducale.
La donazione della casa (1490)
Fu proprio per questa dedizione, che il Moro, nel 1490, in segno di riconoscenza per la fedeltà e per l’ operato dell’ Atellani, decise di donargli, una bella casa con giardino, rilevata qualche mese prima, dai conti Landri di Piacenza, che avevano deciso di trasferirsi. Era allora l’unica casa signorile, in mezzo a quella distesa di vigneti.
I maligni del tempo insinuarono però che la casa non era destinata proprio al fedele Giacomotto, quanto alla bella moglie di lui, Macedonia. Alcuni sostenevano infatti che la giovane donna fosse diventata l’amante segreta del duca e che la casa servisse alla coppia clandestina per gli incontri amorosi.
Ludovico il Moro non era nuovo a questo tipo di donazioni. Da quando era salito al potere, aveva cominciato ad incrementare il proprio patrimonio immobiliare, acquistando, ora qui, ora lì, varie case e ville, dentro e fuori le mura della città. Questa ‘mania’ di acquistare immobili che a lui personalmente non servivano affatto, faceva ovviamente parte di un disegno strategico del “Do ut des” (= ti do perché tu mi dia), che, alla fine, tornava sempre a suo vantaggio. Acquistava immobili unicamente per usarli come merce di scambio: offriva in dono case o terreni per sdebitarsi con chi vantava crediti nei suoi confronti, oppure per iniziare a tessere, con personalità di spicco, quella rete diplomatica di alleanze, indispensabile nell’ottica di un mantenimento degli equilibri politici, in tutto lo Stato.
C’era sempre un doppio fine, in tanta magnanimità. Coloro che, baciati dalla fortuna, potevano godere di tale “onore”, dovevano ovviamente accollarsi, una volta in possesso del bene, tutte le ingenti spese di ristrutturazione degli immobili stessi. Non solo, ma la donazione che figurava come “perpetua”, lo era in effetti solo in teoria, poiché poi, in pratica, sarebbe stata tale, solo per il tempo in cui lui sarebbe rimasto al potere. Il prossimo che fosse subentrato al suo posto, avrebbe, quasi certamente, cambiato le regole del gioco.
Fu così che, spendendo praticamente pochissimo, il Duca apportò, con i soldi dei beneficiari, miglioramenti sostanziali al patrimonio edilizio della città. Comunque è indubbio che i 50 anni di predominio sforzesco ebbero notevole influenza nello sviluppo del Rinascimento a Milano. Basti considerare la presenza alla loro corte, in quel cinquantennio, di tre ‘grossi nomi’ della storia dell’arte: il Filarete (1400 – 1469), il Bramante (1444 – 1514) e Leonardo da Vinci (1452 – 1519) .
La Casa degli Atellani visse “la sua età dell’oro” dal momento della donazione, fino al 1535, l’anno in cui Francesco II Sforza, secondogenito di Ludovico il Moro, morì, e il Ducato di Milano passò definitivamente in mano agli spagnoli.
Il palazzo era bellissimo, con le sale completamente decorate dai maggiori artisti del tempo. Qui si svolgevano quasi quotidianamente, pranzi o cene per oltre cento invitati che, in quelle 14 stanze, si trattenevano in ogni sorta di divertimento.
Il gossip impazzava già allora e naturalmente, anche le male lingue … Come detto, in particolare nel primissimo periodo, quella casa era frequentata oltre che dagli amici del proprietario, anche da notabili, ambasciatori, uomini di corte molto vicini al reggente (Ludovico). Fra le donne, sarebbe potuta mancare una Cecilia Gallerani (allora diciottenne), l’amante prediletta di Ludovico il Moro? No, di certo! La cosa ovviamente faceva tanto più scalpore, in quanto da pochissimo (gennaio ’91), si erano celebrate le nozze fastose fra il Moro (trentanovenne) e Beatrice d’Este (sedicenne). Si trattava. come al solito in quei tempi, di nozze combinate. Le scintille, fra le due, scoppiarono quasi subito … Beatrice non perse molto tempo a rendersi conto che la sua rivale in amore, non solo, viveva pure lei al Castello per volontà del Moro, ma che Ludovico l’aveva pure messa incinta (di Cesare uno degli ‘n’ figli illegittimi …. ), mentre lei … ancora niente!
Cecilia, in casa Atellani, era sicuramente l’ospite d’onore nelle frequenti feste che il padrone di casa organizzava. Spessissimo, in barba ai doveri coniugali, ci veniva anche lui, Ludovico, amico personale di Giacomotto, ufficialmente per partecipare a riunioni …. importanti!
Dov’era questa Casa?
Era appena fuori città, a due passi dal Castello, a circa 300 mt da Porta Vercellina, sulla strada per Vercelli-Novara. La casa, che oggi risulta pienamente inglobata nel tessuto urbano, allora era isolata. Si trattava del primo nucleo della casa che conosciamo oggi, quello più occidentale, corrispondente all’attuale numero 67 di Corso Magenta, con giardino annesso. Al di là della strada, il convento dei Domenicani e la chiesa di San Domenico (Santa Maria Delle Grazie), in ristrutturazione.
Il Cenacolo di Leonardo
Proprio in quegli anni (1494), Leonardo da Vinci, stava preparando i primi bozzetti per l’Ultima Cena, commissionatagli da Ludovico il Moro. Gli era stato richiesto di affrescare una parete del refettorio del convento domenicano, di fronte alla Casa degli Atellani, dipinto questo, destinato alla “lettura” e alla meditazione da parte dei monaci che lì, nel più rispettoso silenzio, consumavano quotidianamente i loro pasti frugali.
A PROPOSITO DI “AFFRESCO”
A dire il vero, è improprio chiamare “affresco” l’Ultima Cena, perché “affresco” proprio non è! Leonardo, si sa, era un perfezionista, cioè uno che non si contentava della semplice pennellata, ma amava passare e ripassare più volte sullo stesso punto, fino a quando la sfumatura di colore non lo soddisfaceva a pieno. E l’affresco, come pittura su muro, non gli piaceva, perché trattandosi di una pittura da fare “a fresco”, non gli lasciava tempo sufficiente per ripassare più volte sul medesimo punto, prima che seccasse sulla parete. Quindi si rifiutò di operare “a fresco”, non volendo sottostare ai tempi stretti della rapida essiccazione dell’intonaco. Ad essere precisi, quindi, il suo è un dipinto parietale, realizzato su intonaco secco.
La donazione della Vigna (1498)
Leonardo impiegò diversi anni per realizzare questo magnifico dipinto parietale. Di tanto in tanto, Ludovico il Moro veniva a “controllare” lo stato di avanzamento dell’opera. Naturalmente, col passare del tempo, si era stabilito fra loro un rapporto confidenziale. Parlando varie volte, in privato con lui, Leonardo amava ricordare con nostalgia la sua terra e i vigneti posseduti dalla sua famiglia in Toscana da cui ormai mancava da tanti anni, ma ormai era a Milano… gli sarebbe piaciuto acquisire la cittadinanza milanese, ma non gli era possibile averla, non potendo dimostrare il possesso di una casa. E lui avrebbe potuto farsela, solo se proprietario del terreno su cui la sua casa sarebbe sorta.
Eravamo ormai nel ’98, il lavoro dell’Ultima Cena era quasi del tutto ultimato. In una delle sue periodiche visite al refettorio, Ludovico rimase talmente colpito dal dipinto, da decidere, quale segno di gratitudine e profonda stima per le opere del Maestro, di fargli omaggio di una vigna, che gli avrebbe tanto ricordato ”casa”.
Leonardo, da sempre interessato alla botanica e alla viticoltura, naturalmente fu felicissimo del dono inatteso, e cominciò ben presto a progettare la ‘sua’ nuova dimora. Fra l’altro, quel terreno era davvero a due passi dal convento, proprio dietro la casa degli Atellani. Piace quindi immaginare Leonardo, nei momenti di relax o di meditazione su come procedere col suo capolavoro, mollare i pennelli e prendere la vanga per zappare la terra, fra i filari della sua vigna, al di là della strada.
La donazione prevedeva un terreno di 16 pertiche (circa 10000 mq), senza però indicarne i confini. Nel Codice Atlantico si trovano annotazioni di Leonardo per un terreno di dimensioni di 100 braccia milanesi (circa 59 metri) per 294 braccia (circa 175 metri) e la relativa corrispondenza a una superficie di circa pertiche milanesi 15 e tre quarti; alcune di queste annotazioni sono accompagnate da riferimenti a confinanti della vigna.
Purtroppo, il volgere degli eventi, non diede tempo sufficiente a Leonardo di completare il suo progetto e di godere a lungo della sua nuova proprietà.
La fuga di Ludovico il Moro sconfitto a settembre del 1499 dal re di Francia Luigi XII, e la sua successiva cattura, determinarono il fallimento dei migliori propositi del Maestro. Leonardo godette ben poco la sua vigna, un anno o poco più. Quando i francesi invasero il Ducato di Milano, costringendo Ludovico il Moro a fuggire e a rifugiarsi a Innsbruck, anche Leonardo, sentendosi minacciato, lasciò la città, abbandonando la sua Vigna e i sogni di una casa tutta sua. A dire il vero ci teneva molto a quella vigna, e infatti, prima di scappare, la affidò, affittandola, al padre di Gian Giacomo Caprotti, detto il Salai, allievo prediletto del Maestro. Si rifugiò temporaneamente Mantova, tra il dicembre 1499 ed il febbraio 1500, ospite dei marchesi Isabella d’Este e Francesco II Gonzaga.
La precauzione di Leonardo, per evitare che la vigna finisse in mani ‘sbagliate’, non servì a nulla, perché i francesi, una volta insediatisi in città, misero in discussione la donazione che gli fece Ludovico il Moro. Provvidero immediatamente alla confisca del suo appezzamento di terreno, che cedettero a tal Leonino Villa. Questi era già stato maestro delle entrate straordinarie presso la Corte sforzesca, ma, da grande opportunista qual’era, arrivato il nuovo dominatore, aveva pensato bene di cambiar subito bandiera, passando rapidamente al suo servizio.
Quando, nel 1507, per fargli concludere alcune opere non completate, re Carlo VIII di Francia, chiese a Leonardo di tornare a Milano, da Firenze dov’era, il Maestro condizionò il suo rientro, alla restituzione della vigna confiscatagli. Di fronte alle inconfutabili argomentazioni di Leonardo, fu lo stesso re a ordinare l’immediata riconsegna del bene al Maestro. La vigna ritornata così in suo possesso, restò tale fino alla sua morte.
Nel testamento redatto il 23 Aprile 1519, pochi mesi prima di morire, dispose che la vigna venisse divisa in parti uguali fra Salai e il suo servitore Batista de Vilanis, che lo aveva seguito al castello di Clos-Lucé ad Amboise, dove il maestro trascorse suoi ultimi anni, protetto da Francesco I di Francia.
L’incredibile scoperta
Un alone di mistero avvolse la Vigna nei 400 anni successivi la morte di Leonardo. Per sentirne nuovamente parlare, si deve arrivare appena al 1920.
Luca Beltrami, grande studioso di Leonardo, avendo avviato una ricerca circa la presunta ubicazione della Vigna del Maestro, rimase assolutamente basito nello scoprire che, dopo tanti secoli di assoluto silenzio, la vigna esistesse ancora, sepolta da sterpaglie. Non solo ma, incredibilmente, in tutto questo tempo, non era stata modificata né l’estensione né la destinazione d’uso di quell’appezzamento. Cosa questa, ancora più sconcertante in quanto, proprio in quegli anni, l’espansione edilizia della città, prevista dal ‘piano Beruto‘, aveva avviato la lottizzazione per la costruzione di abitazioni residenziali in tutta la zona. E la vigna era proprio confinante con la casa degli Atellani … anzi finiva proprio in fondo a quel giardino ….
La Casa degli Atellani
Anche per i della Tela, le cose non si misero al meglio, all’indomani della cattura di Ludovico il Moro da parte dei francesi. Essendo sempre stati fedeli a Ludovico, si videro confiscare tutti i loro beni, la casa e pure loro furono costretti all’esilio.
Francesco II, figlio di Ludovico il Moro, nel 1521, era riuscito a riconquistare il Ducato di Milano. Carlo e Lucio Scipione, figli di Giacomotto della Tela, in qualità di tesorieri dello Stato e cortigiani del Duca, riuscirono, grazie la loro fedeltà agli Sforza, a rientrare quell’anno stesso, in possesso sia dei loro beni, che della loro casa.
Dettero subito avvio ad un’importante opera di ampliamento e di restauro. Affiancarono a quello antico, quattrocentesco, un nuovo palazzo (Corso Magenta n. 65), disposto intorno ad un porticato che, verso il giardino ricoprì la precedente architettura in terracotta con affreschi di paesaggi, castelli merlati, cavalieri ecc. di autore ignoto. Le due case erano comunque contigue, ma distinte, così come pure il cortile, diviso da un muro. Bernardino Luini, affrescò per loro, nella sala prospicente il giardino, delle lunette con i ritratti degli Sforza. Gli originali di questi dipinti, sono ora conservati al Castello. La fronte interna venne decorata con eleganti motivi floreali culminanti in un nastro continuo con disegni di armi e munizioni, disposto lungo la gronda, parte del quale si trova oggi nella sala da pranzo del primo piano. Sono quelli gli ultimi istanti di gloria di questa casa.
In effetti, la Casa rimase proprietà della famiglia Atellani, fino al 1557. Dopo Carlo e Lucio Scipione, l’ultimo dei della Tela ad abitarvi saltuariamente fu, Camillo, figlio di Lucio, valoroso condottiero al servizio di Carlo V (re di Spagna), in Piemonte. Poi la casa passò definitivamente in mano agli spagnoli.
Nel 1557, sotto Carlo V, la proprietà passò alla famiglia del conte Taverna che, con alterne fortune, la tenne fino ai primi dell’Ottocento. Dopo di loro si avvicendarono i Pianca che, 50 anni dopo cedettero la proprietà ai Marchesi Martini di Cigala.
Nel 1919, il senatore Ettore Conti, pioniere della “regia energia elettrica lombarda”, innamoratosi del complesso, l’acquistò, per destinarlo ad abitazione per la sua famiglia. Essendo già in rapporti col giovane architetto Piero Portaluppi (1888 – 1967), cui aveva precedentemente fatto progettare alcune delle sue centrali elettriche, (localizzate in val d’Ossola), pensò di affidare a lui l’incarico per effettuare il restauro della sua nuova casa.
La fiducia che Conti ripose in questo giovane architetto, che diventerà pure suo genero, sarà alla base nella lunga e fortunata carriera che lo farà diventare uno degli architetti più quotati del Novecento a Milano
Ettore Conti (1871-1972) , dopo aver insegnato Scienza delle costruzioni al Politecnico di Milano, per circa un quarto di secolo si dedicò allo sviluppo della nascente industria elettrica. Fondò nel 1901, e diresse fino al 1926, la Società per Imprese Elettriche Conti & C.; questa impresa fu la prima in Italia a realizzare trasporti di energia elettrica a grandi distanze, a utilizzare grandi cadute d’acqua e ad attuare lo sfruttamento completo di un bacino.
Nel 1922, Piero Portaluppi, allora trentaquattrenne, aveva sicuramente già la stoffa per puntare molto in alto. Più che effettuare un vero restauro, rivoluzionò proprio tutto, dando all’edificio l’assetto definitivo che vediamo oggi. Impreziosì il suo lavoro recuperando e riutilizzando fregi, affreschi e altri dettagli decorativi, risalenti all’epoca degli Atellani. Non lasciò nulla al caso. nemmeno i ferri battuti, le ringhiere, le cancellate.
Quello che possiamo ammirare oggi, è comunque molto diverso da quello che doveva essere la casa degli Atellani allora. Non sarebbe stato possibile fare diversamente anche perchè Portaluppi, a parte gli interventi operati nel ’22 – ’23, fece nuovamente altra pesante opera di restauro della casa, dopo le distruzioni operate dai bombardamenti del ’43.
Abbatté il muro che separava i cortili confinanti delle due case, accorpando in una sola, le due corti preesistenti, creando un nuovo atrio porticato, che dava direttamente accesso all’ingresso dell’appartamento padronale. In fondo al primo cortile, vennero riportati alla luce dei portici rinascimentali in cui era visibile la decorazione ad affresco di paesaggi e scene campestri, probabilmente dipinti nel 1533 in occasione del matrimonio fra Francesco II Sforza e Cristina di Danimarca. Durante le opere di restauro, furono pure rinvenute delle porzioni di finestre in cotto, tipiche del Quattrocento.
La sala dello Zodiaco
Già menzionata in un documento del 1544, la sala detta dello Zodiaco, riprendeva l’usanza medievale, di decorare gli ambienti, con immagini astrologiche. Il nome della sala rimanda ai 12 segni dello zodiaco raffigurati in altrettante 12 lunette, mentre alle pareti compaiono la Rosa dei Venti, una carta d’Italia e alcune figure rappresentanti le stagioni, e sulla volta i carri dei pianeti.
Fra i numerosi interventi operati dal Portaluppi, figura un ampliamento di questa sala, rispetto alla versione originale, dovuta all’eliminazione di una parete obliqua finestrata, trasformandola nell’atrio dell’appartamento padronale. Tale ampliamento comportò l’aggiunta di due lunette all’interno delle quali si possono ora distinguere due scritte: la prima è il motto di Portaluppi “Faire sans dire”, cioè fare senza perdere tempo (secondo la consuetudine milanese), e la seconda, riporta le lettere “H e J” (iniziali di Hector- Ettore Conti e Joanna – Giannina Casati, sua moglie).
Questa sala è un capolavoro dell’arte mimetica di Portaluppi, della sua capacità di mescolare falso storico e vero antico. A pavimento ideò un mosaico richiamante i simboli del soffitto. La parete a occidente è molto manipolata ma le pareti a oriente, restaurate nel 1922, sono autentiche. Non si conosce l’autore di questi affreschi; un’ipotesi li vorrebbe opera degli Avogadro di Tradate, una famiglia di pittori attiva per generazioni nel Cinquecento.
La Sala dei ritratti
Segno tangibile della devozione degli Atellani agli Sforza è la Sala dei ritratti, situata al pianterreno della casa, dove sono dipinti, sotto una volta a lunette, completamente affrescata con arabeschi e motivi vegetali, quattordici tondi con le fattezze di altrettanti uomini e donne della dinastia sforzesca.
Per identificarli è necessario decifrare l’iscrizione che accompagna ogni ritratto. La sala dei Ritratti è ormai attribuita con certezza a Bernardino Luini e ai suoi quattro figli. Oggi, tuttavia, solo gli intrecci floreali del soffitto e delle volte sono gli affreschi originali. Infatti nel 1902, i ritratti degli Sforza, acquistati dal Comune, erano stati trasferiti al museo del Castello Sforzesco, dove tuttora sono esposti. Gli affreschi che oggi si possono ammirare al loro posto, sono copie realizzate negli anni venti.
La sala dello Scalone
. Nel completo rifacimento degli interni dell’edificio, l’elegante scalone d’onore, ideato dall’architetto, introduceva ai grandi saloni di rappresentanza del primo piano, purtroppo abbattuti dai bombardamenti: la sala Omnibus, il vestibolo, la sala del biliardo e il salone degli specchi, oltre alla sala da pranzo, l’unica conservata.
Lo Studio di Ettore Conti
Ettore Conti, stabilì qui il suo studio, che lui usava chiamare “lo studiolo”, ambiente che usò fino all’ultimo, a pochi giorni dalla sua morte a 101 anni. Sopra il grande camino, è esposto lo stemma di alleanza, ideato per il matrimonio di Cristina di Danimarca e Francesco II Sforza, probabilmente ordinato dagli Atellani per rimediare all’assenza del ritratto di Cristina, dal novero dei quattordici ritratti sforzeschi. La biblioteca e le pareti dello studio, con tanto di cariatidi, sono rivestite da boiserie seicentesca di scuola valtellinese.
Boiserie (spesso usato al plurale boiseries) è un termine usato per indicare una decorazione basata sulla copertura delle pareti con pannelli di legno, variamente intarsiati, incisi e intagliati.
Il giardino delle delizie
Fu proprio sullo sfondo di questa casa e del suo giardino, luogo di cene e feste, centro privilegiato della vita mondana milanese, che Matteo Bandello intrecciò la trama delle sue famose Novelle, pubblicate poi nel 1554. Anche se ovviamente romanzata, la sua testimonianza fu davvero importante, avendo lui conosciuto personalmente, anche se ancora bambino, i maggiori frequentatori di quella casa, ed anche lo stesso Leonardo, che lui ricorda, sempre al lavoro alla sua Ultima Cena. (Bandello era da poco entrato in quel convento, per studiare).
Nell’Ottocento, per mano di Ercole Silva, architetto milanese il giardino delle delizie divenne un giardino all’inglese. Verrà successivamente riprogettato da Portaluppi secondo nuove regole prospettiche, intorno ad un viale composto da cipressi, ornato di anfore e statue in pietra e completato da parterres e fontane.
La Vigna di Leonardo
Come detto sopra, fu proprio Luca Beltrami ad identificare, sulla base degli scarsi documenti disponibili, la posizione esatta dell’appezzamento donato a Leonardo, da Ludovico il Moro. Fotografò tutta quell’area ovviamente incolta ma, incredibilmente ancora intatta. Spettò invece a Piero Portaluppi, che proprio in quel periodo stava ristrutturando la casa e l’annesso giardino, l’individuazione sulla base di quanto scoperto da Beltrami, della porzione ancora incredibilmente sopravvissuta in fondo al giardino della casa. Tanto zelo e tanta cura, purtroppo, non servirono a nulla. Ci pensarono le bombe incendiarie durante i bombardamenti del ’43 a distruggere completamente con un incendio, anche quel po’ che era rimasto di quell’antico vigneto.
Arrivando ai nostri giorni, a riprova, a distanza di tempo, dell’ esatta intuizione del Beltrami, scavando nell’area individuata e riconosciuta come appartenente al Maestro, furono persino individuati i camminamenti che regolavano i filari della vigna, seppelliti sotto le macerie dei bombardamenti del 1943.
Recentemente, la Fondazione Portaluppi, istituita dagli eredi del grande architetto, che ora abitano in quella casa, ha sovvenzionato l’avvio di ulteriori ricerche in profondità nel terreno, in fondo al giardino della Casa degli Atellani. Grazie al materiale organico ritrovato dal professor Attilio Scienza, massimo esperto di DNA della vite, si è riusciti a risalire al DNA del vitigno coltivato da Leonardo: la Malvasia di Candia Aromatica. Sulla scorta di questi risultati, in fondo al giardino di Casa degli Atellani è stata ripiantata nel 2015, ed è così rinata, la vigna di Leonardo. Sfidando il tempo, questa, è oggi, diventata una delle massime attrazioni della Casa.
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Note
(Nella Basilica di Santa Maria delle Grazie)
Dato il mecenatismo di Ettore Conti che, per due volte, prima e dopo la guerra, sovvenzionò pesanti opere di restauro alla Basilica di Santa Maria delle Grazie, oggi, la quarta cappella sulla destra ospita il cenotafio di Ettore Conti e della moglie. La sesta cappella sulla destra raccoglie invece le spoglie degli Atellani
Apertura Casa degli Atellani
Orari:
Dal Lunedì al Venerdì: dalle 9.00 alle 18.00
partenze ogni 30 minuti, ultimo ingresso ore 17.30.
Sabato e Domenica: dalle 9.00 alle 18.00
partenze ogni 15 minuti, ultimo ingresso ore 17.45
Come arrivarci
Metro : M1 (rossa) fermata Conciliazione
M2 (verde) fermata S. Ambrogio
Treno : FNM Stazione Cadorna
Tram : 16 e 19
Autobus: 18, 50, 58, 94
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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