La Certosa di Garegnano
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ToggleChiare, fresche e dolci acque …
Durante il suo soggiorno milanese, al servizio dei Visconti (1353- 1361), Francesco Petrarca, nei momenti liberi dagli impegni ufficiali, era alla continua ricerca di un’oasi di pace e tranquillità, che lo portavano a scovare fuori città, dei luoghi particolari.
Amava fare lunghe passeggiate per isolarsi dai rumori e dai frastuoni del centro abitato. la sua casa era a due passi dalla Pusterla Sant’Ambrogio, una delle porte della città.
Una delle sue mete preferite, era la Cascina Linterno nell’allora Comune di Sella Nuova. Lì, riusciva a trovare nel silenzio e nella serenità, l’ispirazione per scrivere qualche brano del suo Canzoniere.
In alternativa, amava andare al nuovo monastero, ad un’ora di cammino da Porta Tenaglia. Proseguendo in direzione nord-ovest fuori città, quella era la meta ideale per una passeggiata solitaria tra i campi, nelle ultime domeniche d’estate, rifugio quieto e fresco, lontano dall’agitata vita di corte.
Era quella un’altra oasi di frescura, con ruscelli dalle acque limpidissime e aria purissima. Lì, proprio, ai limitari del bosco della Merlata, sorgevano una serie di costruzioni recenti tutte in mattoni a vista, tante non ancora ultimate, secondo lo stile lombardo di allora. Era un monastero dell’ Ordine religioso dei certosini, quello stesso Ordine, presso cui aveva preso i voti, in un momento di crisi mistica, suo fratello Gherardo, abbandonando moglie e figli, al loro destino.
La chiesa del monastero non aveva ancora i magnifici affreschi che solo poco più di due secoli dopo, avrebbe realizzato il bergamasco Simone Peterzano, allievo del Tiziano Vecellio e, maestro del Caravaggio, né tanto meno quelli, altrettanto splendidi, di Daniele Crespi. E pensare che questi affreschi, insieme alle opere ancora precedenti di Bernardo Zenale, pittore apprezzato presso la corte di Ludovico il Moro, di Bartolomeo Benzi e Bartolomeo Roverio, detto il Genovesino, le avrebbero fatto contendere, con la splendida Chiesa di san Maurizio al Monastero Maggiore di Corso Magenta, il titolo di “Cappella Sistina di Milano”!
Eppure, quel monastero piaceva a Petrarca, per la pace e il silenzio, al punto che, andò addirittura a viverci, ospite dei monaci, nell’ultimo periodo della sua permanenza a Milano. In una lettera al suo amico Guido Sette, vescovo di Genova, definì la Certosa «nuova e nobile, elevata a pianura», essendo stata costruita, in uno dei punti più alti dell’intera area.
Sembra davvero strano che questo, che è uno dei monumenti fra i più importanti di Milano, sia quasi sconosciuto agli stessi milanesi. Eppure, è effettivamente così. Molto probabilmente, la giustificazione si trova proprio nella storia travagliata vissuta da questa “Certosa”, a causa del “giuseppinismo”, cui farò cenno, più avanti.
Una ‘certosa‘ è un monastero di monaci ‘certosini’ , cioè appartenenti all’Ordine religioso eremitico fondato nel 1084 da San Brunone di Colonia, alla Chartreuse, nei pressi di Grenoble. Proprio dal nome di questa località, deriva il nome, attribuito ai loro monasteri.
Dire quindi certosa, è come dire, luogo, di norma, situato in zone solitarie. E in effetti, questa, era, fino a qualche secolo fa, una zona assolutamente isolata. Chiamata anche ‘Certosa di Milano‘, risulta in effetti essere la prima certosa fondata in Lombardia. Sorgeva anticamente nei pressi del centro del borgo di Garegnano , più o meno quattro chilometri a ovest di Milano, fuori Porta Tenaglia.
Ma torniamo un attimo indietro …
Un pò di storia
Siamo al tempo dei Visconti, sotto la guida illuminata di Giovanni, l’arcivescovo di Milano che, dal 1349 al 1354 (anno della sua morte), resse da solo, le sorti della Signoria.
Giovanni fu sicuramente la figura che espresse il momento più alto della potenza politica viscontea, nel XIV secolo.
Subentrato alla guida della Signoria, alla morte del nipote Azzone nel 1339, ne condivise le sorti, assieme al fratello Luchino. Essendo però stato, fin da giovane, avviato dal padre, alla carriera ecclesiastica, preferì dedicarsi maggiormente alla cura delle anime e al potere spirituale, lasciando al fratello la gestione temporale della Signoria. Alla morte di Luchino, nel gennaio del 1349, per mano della moglie Isabella Fieschi, toccò a lui, come co-Signore di Milano, prendere in mano, in toto, le redini della Signoria.
Non potendo quindi, dedicare più molto tempo alla spiritualità, pensò di delegare questa attività a dei monaci.
1349 – Fondazione del monastero
Così, Il 19 settembre 1349, l’arcivescovo Giovanni Visconti pose la prima pietra per la costruzione di una ‘casa’ per i monaci, su un vasto appezzamento di terreno di proprietà della famiglia. Fu lui stesso a finanziare la costruzione, pagando di tasca propria, e facendone poi donazione all’Ordine certosino, uno dei più rigorosi Ordini monastici della Chiesa cattolica, affinchè i monaci pregassero al posto suo. Il luogo era il borgo di Garegnano marcido. Lì, in quell’oasi di pace, sarebbe sorto un monastero di clausura, posto ideale per la contemplazione, e la dedizione a Dio.
Fino alla morte di San Brunone (1101) i certosini non ebbero regola scritta. Soltanto nel 1128, il quinto priore della Grande Chartreuse, Don Pietro Guigo (morto nel 1137) dettò le “Consuetudini” che, in breve ebbero forza di legge per tutte le altre comunità.
Vivendo nel più completo silenzio e nella più assoluta solitudine, ognuno nella propria cella, senza alcun contatto col mondo esterno, i monaci certosini erano dediti quasi esclusivamente alla preghiera e alla meditazione. Abituati, come siamo, alla vita frenetica di oggi, questo tipo di realtà stride, risultando difficile non solo immaginarla, ma addirittura comprenderla, al punto da non capire come questi Ordini religiosi riuscissero a trovare degli adepti. Le “Consuetudini“, erano davvero, incredibilmente severe.
Poiché la Certosa, essendo un monastero di clausura, doveva essere completamente autonoma, Giovanni Visconti la dotò di ampie proprietà terriere ed immobiliari, totalmente esenti da imposte e tasse, per consentire il sostentamento dei monaci, con i proventi della terra. Nell’atto di fondazione, egli dichiarò espressamente che fondava la Certosa di Milano affinché i monaci pregassero al suo posto:
“A coloro che si dedicano al servigio del Dio della virtù, essendo sovraccarichi di altri doveri pubblici, accade spesse volte, di essere allontanati, per diverse e molteplici ragioni, dalla meditazione, dalla contemplazione da altri esercizi spirituali, a cui dovrebbero attendere continuamente […] perciò, abbiamo voluto coi beni nostri fraterni e non coi beni di qualche Chiesa, o possedimenti da dignità ecclesiastiche, far erigere in onore della B. V. Maria Madre di Dio e di N. S. G. C. nel villaggio di Garegnano della diocesi di Milano, una casa dell’Ordine dei Certosini, la quale verrà chiamata: Monastero di Santa Maria o Casa dell’Agnus Dei”.
A quei tempi, il borgo di Garegnano marcido (o semplicemente Garegnano), contava davvero pochi cascinali. Il bosco della Merlata era a due passi da lì e si estendeva verso la località di Musocco e anche oltre. Tutt’intorno, campagna verdeggiante. Il torrente Nirone passava nei pressi e tutta la zona era ricca di rogge, fontanili, rigagnoli e ruscelli. E così, quell’area, fino a metà Ottocento, rimase natura incontaminata.
Solo negli ultimi due secoli, con l’espandersi della città, il borgo venne assorbito dapprima nel comune di Musocco, e dopo il 1923, inglobato in quello di Milano, unitamente a tanti altri comuni della cerchia periferica.
I lavori per la costruzione del monastero, iniziati subito nel 1349, vennero in gran parte completati entro il 1352, anche se la chiesa venne ufficialmente consacrata solo più tardi, non prima del 1367, benché sia essa, che il complesso conventuale, a quella data, fossero ancora incompleti.
Uno scritto epistolare del Petrarca, documenta la prima visita che lui fece a questa Certosa, nel 1357, durante il suo soggiorno a Milano. Vi rimase colpito, sia per la bellezza della natura, che per quel senso di pace e tranquillità che quel monastero gli infondeva.
Morto l’arcivescovo Giovanni Visconti nel 1354, la Signoria passò in mano ai tre nipoti Matteo. Galeazzo e Bernabò, che, a dire il vero, non si occuparono molto delle sorti del monastero. Altro Visconti che, invece, finanziò significativamente l’ampliamento della Certosa, fu Luchino Novello, (figlio illegittimo di Galeazzo Visconti ed Isabella Fieschi), nipote di Giovanni Visconti. Lui fece cospicue donazioni alla fabbrica della Certosa perché fosse arricchita con addobbi preziosi e vi venissero costruiti anche dei nuovi altari nelle varie cappelle. Non per nulla quindi, sia Giovanni, che il nipote Luchino Novello verranno ricordati con dei busti in marmo sulla facciata della Chiesa, più di un secolo dopo.
Oltre al Petrarca, altro visitatore illustre di quel periodo, fu il francescano San Bernardino da Siena.
Una visita ‘poco gradita‘
Purtroppo, tutta il territorio di Garegnano, particolarmente ai tempi della fondazione della Certosa, era noto per essere infestato da briganti e banditi, che a gruppi di dieci/quindici individui, usavano assaltare i viandanti, finendoli spesso, dopo averli derubati dei loro averi. .Pertanto la presenza in quell’area, di quel sacro luogo, rappresentava un sicuro rifugio per i pellegrini e i viandanti che si trovavano in zona. Non così purtroppo accadde la notte del 23 aprile 1449, quando i predoni entrarono nottetempo nel monastero, devastando tutto, compiendo ogni sorta di razzie ed impadronendosi dell’ oro e di tutti gli oggetti preziosi trovati.
1560 – La ventata della ‘Controriforma‘
Paladino della riforma cattolica o Controriforma, consistente nell’applicazione delle disposizioni decise dal Concilio di Trento appena concluso, Carlo Borromeo, (allora ventiduenne), si mise subito al lavoro, appena tornato a Milano. Non era ancora stato nominato arcivescovo (lo sarà ufficialmente nel 1564), che cominciò a darsi da fare, per moralizzare la società di allora, troppo lassista nei costumi. Estremamente volitivo e di carattere decisamente ‘tosto’, incontrò vivaci resistenze. Cominciò a fare ordine nella Chiesa, emanando disposizioni precise non solo sulle norme comportamentali che i preti avrebbero, d’ora in avanti, dovuto tenere, ma pure sullo stile architettonico sobrio delle nuove costruzioni e delle decorazioni degli edifici sacri (troppo ricchi, a suo modo di vedere).
1562 – La rinascita della Certosa
Visto che, a duecento anni dalla fondazione, le strutture cominciavano a denunciare l’età, i monaci si impegnarono alla ricostruzione del complesso monastico secondo i nuovi dettami, chiamando, allo scopo, i migliori architetti, allora operanti in città: Vincenzo Seregni e Pellegrino Tibaldi.
La rinascita cinquecentesca della Certosa, porta la data del 1562, anno a partire dal quale, il monastero venne rielaborato in forme tardorinascimentali. Il progetto della facciata della chiesa, porta la firma di Vincenzo Seregni, (già a capo della Fabbrica del Duomo, e architetto del Palazzo dei Giureconsulti in Piazza Mercanti). Sempre a lui, spettano, in particolare, la direzione della costruzione del Cortile dell’Elemosina, del Cortile d’Onore, del Grande Chiostro, del Chiostro della Foresteria, la ristrutturazione e l’ampliamento della chiesa originaria della quale si è conservato originale, praticamente solo l’abside e il tiburio ottagonale. Rispetto a quanto possiamo vedere oggi, la Chiesa, dopo la ristrutturazione, si presentava divisa fisicamente a metà in due aree, una destinata ai soli monaci, l’altra ai soli fratelli conversi.
i monaci certosini, avendo formulato voti religiosi, sono dei sacerdoti essenzialmente dediti alla preghiera e dalla contemplazione. Sono persone istruite, dedite alla meditazione e alla lettura di testi sacri.
I fratelli conversi, ancora oggi, sono coloro che pur vestendo la tunica bianca da frate certosino. non hanno formulato i voti religiosi, sono tenuti a rispettare regole meno stringenti e sono addetti ai lavori più umili. Gestivano le attività necessarie alla vita della Certosa, dalla cucina alla lavanderia ecc.. In passato, questa, era una condizione comune, specialmente per le persone illetterate, che volevano entrare in convento.
La Certosa, ai tempi dei Borromeo
Completata la ristrutturazione, la Certosa risultava essere un complesso decisamente imponente.
Il Cortile dell’Elemosina
Dall’ingresso principale, si accede direttamente al Cortile dell’Elemosina, con la portineria, aperto a tutti: al popolo, ai viandanti, si pellegrini, ai poveri che si affidavano alla carità dei conversi. Oltre questo cortile, c’era un cancello in ferro che delimitava la zona di clausura. Quindi, tutto il resto dell’area, era esclusivamente riservata ai monaci, ai conversi ed agli ospiti illustri. La stessa Chiesa era preclusa al popolo.
Il Cortile d’Onore
Dal Cortile dell’Elemosina, si passa al Cortile d’Onore, praticamente un cortile quadrato, con, di fronte, un lato interamente occupato dalla facciata seicentesca della Chiesa, mentre gli altri tre lati a esedra per dare sensazione di maggiore ampiezza alla piazza.
Esedra è l’incavo semicircolare usato in architettura, anche per l’apertura di una parete.
Il Chiostro della Foresteria
Sul lato destro del Cortile d’Onore, il Chiostro della Foresteria destinato ai soli fratelli conversi. Mentre al pianterreno c’era il refettorio loro riservato, al primo piano, c’erano le celle ove dormivano (le finestre che di vedono in foto)
La parte rustica
Sul lato sinistro del Cortile d’Onore, la cosiddetta “parte rustica” (con altro porticato) , sempre ad uso dei conversi per le varie attività. Vi erano ben due mulini (alimentati dalle rogge che passavano proprio lì, la falegnameria, il torchio, la lavanderia, la farmacia, addirittura una vasca per i pesci. Poi il forno, la nevèra, l’orto, il frutteto. Non erano invece previste né stalle, né pascoli, perchè l’Ordine vietava di mangiare la carne. La dieta quindi era di tipo vegetariano / vegana.
Il Chiostro piccolo e il Refettorio
Sul lato destro della Chiesa, c’era il Chiostro Piccolo, attiguo alle cucine e al Refettorio riservato ai soli monaci, poichè i fratelli conversi , come visto, mangiavano separati, nei locali della foresteria.
Il Refettorio veniva utilizzato dai certosini, unicamente nei giorni di festa e, mentre tutti gli altri monaci mangiavano in religioso silenzio, uno di loro, a turno, leggeva brani tratti dalla Sacra Scrittura per intrattenere la comunità. Durante la settimana, ogni religioso mangiava da solo, nel cupo silenzio della propria cella. I conversi preparavano il cibo che poi distribuivano ai monaci, lasciandolo sulla ruota di ogni cella.
Il Chiostro grande
Dietro la Chiesa, c’era il Chiostro grande, oggi andato perduto. Era un chiostro quadrato di 500 m di perimetro, 125 m per lato, cui si affacciavano un totale di quindici celle tutte uguali sistemate su tre dei quattro lati del quadrato. Il quarto lato confinando con l’abside della Chiesa, con la Sala Capitolare e col Refettorio, era semplicemente un porticato di transito. L’unica traccia ancora visibile, di quel chiostro, sono l’accenno delle arcate e i peducci d’imposta del porticato sul retro della chiesa, (visibili distintamente dal cavalcavia del Ghisallo).
peduccio è un capitello pensile sul quale si appoggia un arco o una volta. A differenza del capitello vero e proprio non poggia su un pilastro o una colonna, ma rimane “appeso” al muro, come una mensola incassata.
Le celle dei monaci
Ogni cella, si sviluppava su due livelli, con l’ingresso che si apriva sul grande chiostro: internamente, due locali in tutto: al primo livello c’era una cucina con laboratorio, al secondo, un letto, l’inginocchiatoio per la preghiera e una tavolo per lo studio. Il mobilio era, assolutamente essenziale ed estremamente spartano. Una stufa a legna, completava l’arredo. Ogni cella aveva il suo piccolo orto che ogni monaco curava personalmente, nei rari momenti di svago. Un alto muro divideva l’ orticello da quello dei vicini onde evitare motivo di possibili conversazione con i monaci delle celle accanto. Era praticamente vietato parlare!
La Prioria
C’era poi la Prioria, cioè la casa del Priore. Pure questa è andata perduta. A differenza delle altre celle, questa non si affacciava sul chiostro. In effetti fiancheggiava la Biblioteca. Era molto più grande delle altre, in quanto , oltre alla cella e all’orticello, aveva pure altri locali usati come uffici per l’amministrazione della Certosa.
La Biblioteca e lo Scriptorium
Attigua alla Prioria, c’era la Biblioteca con una preziosa raccolta di oltre 5000 volumi antichi. C’era inoltre, di fianco alla Biblioteca, lo Scriptorium , grande sala ove monaci amanuensi copiavano codici e i libri antichi.
La Chiesa
La facciata
La facciata seicentesca della chiesa, Santa Maria Assunta in Certosa (questo è il nome ufficiale della Parrocchia attuale), rispetta fedelmente le regole della controriforma dettate, anche dal punto di vista architettonico, da Carlo Borromeo.
“Centrale dev’essere il ruolo della facciata, biglietto da visita dell’edificio; i muri laterali infatti e quello posteriore non siano decorati da immagini; il muro anteriore la facciata sarà invece tanto più decoroso e solenne n quanto più sarà ornato di immagini o pitture relative alla storia sacra L’ornamento della facciata prevede l’uso di statue e pitture e un preciso ordine: sulla facciata di ogni chiesa specie se parrocchiale, al di sopra della porta principale, all’esterno, si dipinga o si scolpisca decorosamente e piamente l’immagine della beatissima Vergine Maria con il figlio tra le braccia sulla sua destra si porrà l’effigie del Santo o della Santa qui intitolata la chiesa, sulla sinistra quella del Santo o della Santa maggiormente venerato dal popolo di quella parrocchia. E’ importante che la decorazione sia ricca ed eclatante ma al tempo stesso familiare e rassicurante per i parrocchiani”
La facciata attuale risulta essere un misto tra gli stili rinascimentale e barocco. Dalla data 1608 incisa sul portale, sembrerebbe sia stata terminata successivamente al resto della chiesa, secondo il progetto originale proposto dal Seregni (che, ormai ottantacinquenne, era già morto quattordici anni prima), tuttavia qualche altro indizio induce a pensare che la data di ultimazione, sia ancora successiva.
Nei due ordini inferiori, la facciata è costituita da coppie di paraste in granito con capitelli in pietra gialla d’Angera. Il portale è decorato con un altorilievo rappresentante il riposo della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto.
Lateralmente all’architrave, si aprono due nicchie con San Bruno e Sant’Ugo Vescovo. Sui due timpani spezzati delle finestre più esterne, campeggiano i busti si Giovanni e di Luchino Novello Visconti. Nella parte mediana, ai lati di una finestra a serliana, si aprono due nicchie con San Carlo Borromeo, a sinistra e Sant’Ambrogio a destra, mentre, nella parte superiore, si trova un bassorilievo in pietra rossa d’Angera, con la Maddalena portata in cielo dagli Angeli. Completano la facciata una statua della Vergine in marmo di Candoglia, posta sull’apice del frontone, e quella di due statue di angeli ai lati di essa.
Proprio la statua di San Carlo. con l’iscrizione “S. Carolus”. induce a pensare ad un completamento reale della facciata posteriore al 1610. Come avrebbe potuto infatti, la facciata essere completata nel 1608, se alla data. Carlo era ancora un beato? Venne infatti canonizzato nel 1610!
L’interno
La Chiesa, ad un’unica navata lunga e stretta, ha una curiosa planimetria a T rovesciata, in quanto le cappelle presenti sono poste all’ingresso. In effetti la loro disposizione è particolare anche rispetto alla navata, nel senso che, solo due delle quattro cappelle sono ad accesso diretto dalla navata. Rispetto ad oggi, la chiesa era praticamente divisa trasversalmente in due con un alto divisorio in legno: la parte anteriore verso l’altare, prevedeva gli stalli per il coro dei soli monaci, quella posteriore, verso l’uscita, quelli del coro per i soli fratelli conversi. [n. p. – Facendo caso, circa a metà della navata, si può notare sul pavimento originale, una striscia trasversale in marmo rosso, indicante il punto esatto ove l’alta separazione in legno, divideva le due zone. Inoltre poiché gli stalli erano posizionati lungo le pareti della navata, ecco giustificato il motivo per cui gli affreschi partono tutti da una certa altezza in sù.]
Poiché le “Consuetudini” di quest’Ordine, vietano ancora oggi l’uso di qualunque strumento musicale di accompagnamento alla liturgia, ma prevedono unicamente un coro vocale, a differenza di quanto si trova usualmente nelle Chiese monastiche, quì non era previsto alcun organo. Quello che attualmente si trova nascosto dietro l’altare maggiore, è stato installato recentemente per consentire l’utilizzo della Chiesa per serate nusicali sinfoniche. All’interno, nell’area absidale, il soffitto è sovrastato da un tiburio di forma ottagonale, mentre tutto il resto della chiesa , si presenta con volta a botte e stucchi geometrici.
Gli affreschi
Il certosini amavano l’arte, perché attraverso le opere d’arte, secondo loro, si poteva pienamente esprimere la bellezza e la grandezza di Dio. Sono proprio di questo periodo (1578-1582), i bellissimi affreschi del presbiterio e dell’abside, che i monaci commissionarono a Simone Peterzano. Sono invece di quarant’anni,più recenti (1620-1629), quelli altrettanto belli, lungo le pareti della navata e sulla volta, che i certosini richiesero a Daniele Crespi, uno dei massimi esponenti del Seicento lombardo. Sono tutte opere che rendono l’interno di questa luogo, un vero gioiello. per gli amanti dell’arte. Fra l’altro, gli affreschi sono anche molto ben conservati, nonostante le peripezie vissute dalla Certosa, nel corso dei secoli successivi.
In particolare, di Peterzano sono davvero notevoli l’Adorazione dei Magi, (parete destra) e La Natività (parete sinistra), nel catino dell’abside la Crocifissione , negli spicchi della cupola otto Angeli con simboli della Passione , e nei pennacchi otto Sibille, Profeti e gli Evangelisti.
Le tre tele dell’abside, realizzate dal Peterzano nel 1578, rappresentano: la Resurrezione, la Madonna col Bambino ed i Santi Ugo, Ambrogio, Giovanni Battista e Bruno, e l’ Ascensione.
Gli affreschi del Crespi, che ricoprono le pareti e la volta a botte dell’unica lunga navata, si armonizzano mirabilmente con le linee architettoniche. Sulla volta, tra fasce geometriche. si affacciano angeli e figure di monaci certosini, mentre, entro i quattro medaglioni sono raffigurati: il sacrificio di Abramo, la Maddalena portata in cielo dagli angeli, il Battista, l’Ascensione. Interessante, ad esempio, il notare come anche negli affreschi, sia riproposta la medesima separazione fra monaci e conversi già evidenziata nella divisione in due della navata della chiesa;: davanti, gli affreschi che rappresentano monaci, dietro, quelli di soli conversi. Sulle pareti, scorgiamo entro delle nicchie, figure monumentali di santi e beati certosini, ed il ciclo con Storie della vita di San Bruno.
Fra gli ospiti illustri della vita religiosa e politica di quel periodo, furono frequenti le visite dell’Arcivescovo Carlo Borromeo dal 1574 in poi e . l’inattesa, ma graditissima visita del ventinovenne re Filippo IV di Spagna (Felipe el Grande), nel 1634.
La Cappella dell’Annunciazione o del Rosario
La prima cappella a destra, entrando in chiesa, dedicata alla Madonna, fu affrescata nel 1771 da Biagio Bellotti, un canonico di Busto Arsizio, che l’affrescò in stile rococò, dipingendovi fra l’altro un ciclo dedicato ai Quindici Misteri del Rosario. (Per questo motivo la cappella viene anche detta “del Rosario”).
Una pala d’altare dipinta nel 1596 da Enea Salmeggia troneggia sopra l’altare della cappella
Il confronto fra gli affreschi della navata e quelli della Cappella del Rosario permette di percepire la differenza di stile fra il rococò settecentesco e il barocco seicentesco.
La sagrestia
Alla sinistra della balaustra che delimita il presbiterio, si accede alla sagrestia, che conserva sulla parete di fondo, il più antico affresco della Certosa, un affresco quattrocentesco, raffigurante Santa Caterina da Siena fra San Benedetto da Norcia e San Bernardo da Chiaravalle. Sotto l’affresco si può ammirare un altare con Paliotto in scagliola, opera del ticinese Pietro Antonio Solari.
La Sala Capitolare
Sul lato destro della balaustra che delimita il presbiterio, una porta conduce alla Sala Capitolare. Qui si usava leggere giornalmente un “capitolo” della regola e vi si svolgevano le assemblee dei monaci, per il funzionamento del monastero e della sua comunità. Ad esempio ci si riuniva lì per l’elezione del nuovo Priore, quando quest’ultimo veniva a mancare; ci si riuniva lì, per fare l’accusa personale dei propri peccati di fronte all’assemblea monastica o per la discussione di questioni teologiche. Sempre lì, si faceva la relazione sull’andamento del lavoro nella comunità o la richiesta di consiglio ai confratelli, da parte del Priore, su come gestire situazioni particolari.
La sala, che conserva ancora un impianto cinquecentesco, è affrescata da monocromi attribuiti al canonico Biagio Bellotti. Rappresentano il martirio cruento subito dai Certosini e narrano gli episodi avvenuti nell’aprile del 1534 a Londra, per volere di Enrico VIII. Durante i restauri del 1998-1999, sulla volta è stato scoperto un affresco, dove al centro campeggia San Michele arcangelo a figura intera, opera di Bernardo Zenale (principio del XVI secolo). Lungo le pareti, si trovano gli stalli dei monaci, di gusto rococò.
Quanti erano i monaci di questa Certosa?
A giudicare dal numero di celle, i monaci a erano sedici in tutto (compreso il Priore). A questi, ovviamente, andavano aggiunti i fratelli conversi, il cui numero non è noto ma è presumibile fossero altrettanti.
Il “giuseppinismo”, causa della decadenza
La Certosa rimase in auge sino alla morte di Maria Teresa d’Austria nel 1780. Giuseppe II, che era imperatore d’Austria, co-reggente con la madre, attese che lei morisse, per mettere in pratica un disegno che lui covava da tempo. Essendo evidentemente di idee diverse da quelle di Maria Teresa, decretò nel 1782, la soppressione degli Ordini contemplativi, in tutto l’Impero, ritenendoli assolutamente inutili. Furono così soppressi ben 700 monasteri, sostituti con altrettante parrocchie, alle dirette dipendenze dello Stato. La Chiesa del monastero diventò la Parrocchia Santa Maria Assunta in Certosa. Si trattava di un declassamento de facto, fenomeno noto appunto, col nome di “giuseppinismo”.
Questo significò, naturalmente, l’allontanamento dei monaci dalla struttura. Vennero confiscati tutti i beni materiali del monastero, accumulati nei secoli. Fu messo all’asta tutto, venduto il vendibile, modo semplice per rimpinguare le esauste casse di Vienna. Andarono venduti e quindi dispersi, anche i 5000 volumi antichi della biblioteca, quadri, mobili, suppellettili varie. I terreni coltivabili e alcuni edifici della Certosa vennero venduti a famiglie nobili (fra cui gli Atellani di Corso Magenta). La Prioria, che il Crespi aveva decorato con alcuni affreschi, venne adattata a residenza per gli agricoltori che coltivavano le terre circostanti, precedentemente appartenute al monastero. Fu solo grazie all’intervento di don Filippo Premoli, parroco del paese di Garegnano, che, per concessione del governo austriaco, la chiesa monastica e alcune parti del monastero affidate alla cura parrocchiale, riuscirono a salvarsi dal degrado.
La dominazione francese
Durante il successivo periodo napoleonico, il convento venne ulteriormente vandalizzato: in parte demolito, ed in parte usato come caserma per le soldataglie. La chiesa, come tante altre in città, venne sconsacrata e probabilmente adibita a magazzino.
Nel 1816, venne visitata da Lord Byron accompagnato da Stendhal, e rimase colpito dai suoi splendidi affreschi. che per fortuna, nessuno aveva osato toccare.
Il periodo della Restaurazione
Passata la meteora napoleonica, tornarono gli austriaci che ripristinarono lo ‘status quo’ precedente (passato alla storia col nome di Restaurazione)
La Chiesa della Certosa venne riconsacrata e tornò ad essere parrocchia.
La Prioria, visto il cattivo stato di conservazione, fu demolita e, con questa, andarono perduti per sempre, anche gli affreschi del Crespi.
Il Chiostro grande, (o meglio, quel che ne restava, fu ancora usato come deposito munizioni e polvere da sparo. Alla fine, ormai fatiscente, sotto il Regno d’Italia, nel 1885, fu totalmente demolito. Al suo posto, in seguito, negli anni 60, venne costruito un raccordo autostradale (cavalcavia del Ghisallo), per le autostrade dei laghi, e per la Milano-Venezia.
E’ davvero incredibile pensare a come cambiano i tempi …quel fazzoletto di terra, che per secoli era stato una felice oasi di pace, di silenzio. di assoluta tranquillità ed aria purissima, oggi è uno degli snodi più rumorosi, inquinati e trafficati d’Italia
Cosa si può vedere oggi
Il Cortile dell’Elemosina all’ingresso, il Cortile d’Onore, il Chiostro della Foresteria, e la Chiesa, con le sue cappelle, la Sagrestia e la Sala Capitolare.
Tutta la zona del Chiostro piccolo, delle Cucine, del Refettorio e della Biblioteca sono visitabili su richiesta, ma essendo state pesantemente modificate, non rivestono più particolare interesse. Tutta quell’area fu ceduta già nel secolo scorso in uso alle Suore francescane, che, oltre a viverci, a quanto mi risulterebbe, hanno aperto un asilo per i bimbi dei residenti della zona. ll Refettorio venne trasformato, in cappella, ad esclusivo uso dell’Ordine
Lo sfregio all’arte
Sulla parete destra della navata, in prossimità del tiburio, è visibilissimo, alla sinistra di una finestra, a livello della volta, un affresco di San Marco Evangelista (fatto dal Peterzano), avente il viso brutalmente sfregiato. Non si tratta di caduta d’intonaco dovuto ad umidità o altro. Molto peggio! Non si è voluto fare il restauro del danno … a perenne memoria per lo sfregio gratuito fatto all’arte, nel corso della seconda guerra mondiale … un colpo di mitra sparato in aria in chiesa, da qualche militare tedesco, trovatosi a passare per caso da quelle parti, probabilmente durante qualche azione di rastrellamento.
“Consuetudini” non facili
Il nucleo della spiritualità certosina consiste nell’abbandono delle realtà fuggevoli, per cercare di afferrare l’eterno (Fugitiva relinquere et aeterna captare[)], nel coltivare il forte desiderio di entrare in unione di vita con Dio, abbandonando tutto il resto e lasciandosi afferrare dall’immenso amore di Dio, per vivere solo di questo amore. Il principale scopo della vita certosina è la contemplazione per rimanere il più possibile in rapporto con Lui. Per questo la preghiera è continua, i certosini fanno vita anacoretica e cenobitica.
L’anacoreta, è colui che vive in isolamento, non sempre totale, prega, lavora per il proprio sostentamento in un contesto di vita austera.
Il cenobita è il monaco che vive come un eremita praticando una vita comunitaria, anziché solitaria.
Come doveva essere la giornata dei certosini
Per rendersi conto della vita che i monaci certosini conducevano in clausura, propongo qui di seguito la giornata tipo dei certosini di oggi, immaginando che, sotto Carlo Borromeo, l’osservanza delle Consuetudini, fosse forse ancora più restrittiva e rigorosa di oggi.
- 23.45 (in cella) Mattutino della Madonna e preghiere
- 0.30 (in chiesa) Mattutino e Lodi
- 2.30 o 3.30 (in cella) Lodi della Madonna e riposo
- 6.45 risveglio
- 7.00 Ora Prima e preghiere
- 8.15 (in chiesa) Messa conventuale
- 9.15 (in cella) Ora Terza, preghiere
- 10.00 Studio o lavoro manuale
- 11.45 Ora Sesta, preghiere
- 12.00 Pasto, tempo libero
- 14.30 Ora Nona, preghiere
- 14.45 Studio o lavoro manuale
- 16.45 Vespri della Madonna
- 17.00 (in chiesa) Vespri
- 17.45 (in cella) cena, lettura, preghiera
- 19.00 Compieta nella Liturgia delle ore
- 19.45 riposo (quattro ore)
La vita è molto severa ed essenziale, si fonda su preghiera e lavoro, immersi in una totale solitudine. Anche la verbalizzazione tra i monaci è ridotta al minimo. Non esiste una vita pubblica e la vita anche in comune, è limitatissima, giusto alla celebrazione della liturgia comunitaria notturna e al passeggio settimanale denominato “spaziamento” (non più di un paio d’ore in tutto e nessun assembramento: massimo due monaci alla volta!)
E’ evidente che bisogna essere caratterialmente portati all’isolamento, e che condizionamenti ed imposizioni esterne, contrarie alla volontà del soggetto, non fanno altro che nuocere alla causa. Per questo motivo infatti, il prendere i voti in questo Ordine religioso, è un processo molto lungo, qualcosa come sette anni di noviziato!
Il Priore ‘fuori dalle regole’
La letteratura è piena di casi di famiglie, anche nobili, che. per consuetudine, usavano indirizzare i figli non primogeniti, alla vita ecclesiastica. Il prendere i voti, salvo casi particolari, era ben lungi dall’essere una vocazione, ma molto spesso un’imposizione. Caso celebre, è la storia di Marianna de Leyva, la nipote di Tommaso Marino (il faccendiere genovese che fece costruire Palazzo Marino in Piazza San Fedele). Contro la propria volontà, lei finì in convento per decisione del padre. Era suor Gertrude, la Monaca di Monza, ovvero suor Virginia Maria, il cui travaglio interiore e le cui vicissitudini, furono così ben descritte dal Manzoni, nei suoi Promessi Sposi.
Non stupisce quindi, più di tanto, il caso di tal Domenico Boisio, entrato in convento alla Certosa , quasi certamente per volere del padre. La sua colpa? “Quella di non essere stato il figlio primogenito. Fu costretto a prendere i voti e indossare il saio bianco da certosino, per compiacere al padre padrone, senza ombra di convinzione religiosa. Fra le rigide regole conventuali e la reclusione in clausura, il suo patimento dev’essere stato tanto soprattutto i primi anni.. Comunque sia, fra il 1616 e il 1618, il povero monaco fu eletto priore della Certosa.
Localino a luci rosse
Nonostante l’influenza spirituale di Carlo Borromeo continuasse ad aleggiare all’interno della Certosa dopo il suo assassinio , avvenuto nel 1584, il neo-priore, giovane e aitante, mal sopportava questa sua esperienza da ‘eremita forzato’. Essendo totalmente privo di un briciolo di vocazione, forte della sua posizione, nel giro di poco, riuscì ad organizzare nella sua cella, un vero e proprio localino a luci rosse, un autentico luogo di perdizione. Come la cosa sia potuta accadere, non è chiaro, vista anche la condizione di clausura imposta dalla regola. L’inusuale via vai di ‘zelanti religiose’ che si alternavano in Prioria, venne ovviamente notato e dopo un paio d’anni, lo scandalo saltò fuori.
La punizione
Il priore venne inquisito: subì un processo che gli costò piuttosto caro , ma, tutto sommato, gli andò ancora di lusso … ebbe solo 10 anni di lavori forzati come rematore, nelle galee spagnole. Altri, per cose simili, pagarono ben di più. Pochi anni prima dello scandalo che coinvolse il Boisio, una punizione esemplare coinvolse la stessa Monaca di Monza, che aveva dato alla luce un figlio. Incarcerata all’età di 32 anni, ne uscì quando ne aveva 46. Trascorse quasi quattordici anni in una celletta di 1,50 per 2,50, con la porta e la finestra murate «in modo che non vedesse se non tanto spiracolo bastante a pena per dire l’Ofitio».
Scontata la condanna, Domenico Boisio, fu ospitato in diverse altre Certose, fino a quando non morì 34 anni dopo, a Serra San Bruno, la Certosa calabrese, dove fu sepolto San Brunone, il fondatore dell’Ordine.
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Come raggiungere la Certosa
ILa Certosa di Milano si trova oltre piazzale Accursio, poco prima del Cimitero Maggiore.
Parrocchia S. Maria Assunta in Certosa
via Garegnano 28
tel.: 02 38006301
tram : linea 14 (Lorenteggio – Cimitero Maggiore)
Fermata : Certosa / Gradisca
circa 300m a piedi
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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