La Dama Nera di Parco Sempione
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Quando, fra fine ottobre e febbraio, capitano (fortunatamente sempre più di rado) delle giornate di nebbia, che i milanesi chiamano ‘scighera‘ o meglio ancora ‘scigheron‘, se è vero nebbione (quello da tagliare col coltello), la città, improvvisamente ovattata e surreale, appare forzatamente deserta, ed anche i luoghi che si conoscono bene, sembrano improvvisamente irraggiungibili e avvolti nel mistero. Guai a perdere il senso dell’orientamento, poiché non si ha più alcun riferimento. Muoversi in queste condizioni, diventa davvero un dramma! L’ho sperimentato personalmente negli anni ‘Sessanta … non vedere, a piedi, l’ostacolo di un palo davanti a sé, a un metro di distanza, in pieno giorno, assicuro che è veramente tragico!
Riaffiorano incredibilmente, in queste occasioni, dai più reconditi cassetti della memoria, le leggende e le storie fantastiche di fantasmi che i nonni mi raccontavano quando, ormai sufficientemente grandicello e ‘vaccinato a questo tipo di discorsi‘, andavo a trovarli, durante le festività natalizie. Così, al calar delle tenebre, seduti al calduccio davanti allo scoppiettante caminetto, rievocavano, oggi l’una, domani l’altra, le tante ‘allegre’ leggende milanesi: dal racconto del fantasma della Carlina del Duomo, a quello degli spettri degli eretici di Corso Monforte, o peggio ancora, alla macabra storia del ballo dello scheletro della bimba morta di peste in San Bernardino alle Ossa, o infine, a quella dell’incredibile apparizione del fantasma della Dama Nera di Parco Sempione.
La storia della Dama Nera, fra leggenda e realtà
Quest’ultima storia, ambientata ai primi del Novecento, era praticamente questa:
Era una fredda sera di fine novembre: la nebbia fitta rendeva irreale tutto il mondo intorno a lui, i rumori in lontananza arrivavano attutiti, eccetto i suoi passi frettolosi che scricchiolavano sulla ghiaia di quel vialetto del parco, che stava attraversando. La scighera rendeva i contorni delle cose indefiniti, gli alberi ormai spogli, parevano delle figure spettrali. Il freddo pungente e l’umidità che penetrava nelle ossa, costrinsero l’uomo ad alzare il bavero del suo cappotto intorno al collo, alla ricerca di un minimo di calore; mai si sarebbe azzardato ad attraversare il parco se non fosse stato più che sicuro di conoscere il percorso come le sue tasche. Strada quella, che era solito fare quotidianamente, di ritorno dal lavoro, per accorciare di un centinaio di metri, il già lungo percorso per tornare a casa: attraversava il parco in direzione di Corso Sempione, lasciandosi alle spalle il Castello. Milano, quella sera, sembrava davvero una città fantasma. Le flebili luci dei lampioni a gas del parco non si riuscivano quasi a distinguere, tanto era fitta la nebbia; lui, pervaso da un lieve senso d’inquietudine, sentendosi solo e indifeso, d’istinto accelerò il passo per tornare prima possibile fra la gente, all’altro lato del parco. Quasi quel senso d’inquietudine fosse stato per lui un segno premonitore, quella sera, di lì a poco, le cose presero una piega diversa dal previsto. Mentre stava camminando, gli parve di vedere davanti, a breve distanza, una figura indistinta. Era forse una immaginazione, ma no, sembrava reale …. si stava avvicinando a lui, anche se, stranamente i suoi passi non facevano alcun rumore … sentì all’improvviso il suo intenso, inebriante profumo di violette. Ne distinse i lineamenti solo quando la figura era arrivata a due passi da lui: erano quelli di una donna, vestita – almeno così pareva – con un lungo abito nero ed un velo nero calato sul viso. Una allucinazione? No, sembrava reale! Gli si fermò davanti: lui ebbe un sussulto: era sicuramente una donna, che, a giudicare dai lineamenti del corpo, doveva pure avere una figura snella, bellissima da cui lui non riusciva a staccare gli occhi di dosso. Senza proferire parola, la donna allungò la sua mano verso di lui. Lui gliela strinse, era gelida, ma rimase talmente affascinato da quella figura, da convincerlo a seguirla ovunque andasse. Lasciandosi guidare da lei, camminarono un po’ insieme, mano nella mano, lungo quei viali ovattati. Un attimo di distrazione e, nella nebbia fitta, lui perse del tutto l’orientamento e si ritrovò ad un certo punto, condotto da lei, all’ingresso di una villa che lui non ricordava di aver mai notato, ai bordi del parco. Oltrepassato il cancello, lei lo guidò in casa: era un ambiente terribilmente lugubre. Le tremule fiammelle di alcune candele rischiaravano a mala pena un vasto atrio, con le pareti listate a lutto; subito oltre, un salone in cui un’orchestrina che lui riuscì ad intravedere a malapena in un angolo stava suonando in sottofondo, una musica surreale. Gli parve di vivere un sogno …. lui totalmente rapito dal fascino di quella donna, lei che lo abbracciava …. si misero a ballare al ritmo di quella strana musica …. conduceva naturalmente lei, ballarono e ballarono fino a che, stanca, la donna non lo portò nella sua camera da letto … lo fece sdraiare su lenzuola di seta nera che odoravano di quel medesimo profumo di violetta che lo aveva colpito in parco, mentre lei voluttuosamente iniziava a spogliarsi davanti a lui, senza però togliersi il velo che copriva il suo viso. Solo quando, si distese su di lui e lo strinse forte a sé, l’uomo prese il coraggio di alzare quel velo, per guardare gli occhi ed il viso di quella donna meravigliosa che lo aveva ammaliato. Sollevò il lembo inferiore dell’organza e scoprì lentamente il suo volto. L’orrore che lo pervase, lo fece scappare terrorizzato da quella villa. Corse via all’impazzata, urlando finché ebbe fiato in gola. Come mai? Cosa era accaduto? Non avrebbe mai più dimenticato per il resto della sua vita, il volto di quella dama velata: quell’orribile teschio che lo fissava, con le sue orbite vuote, al di sotto di quel velo nero!
Storiella da incubo, insomma, certamente non adatta ad essere raccontata a bambini al di sotto dei 10 anni!
Questa, riportata sopra, è bene precisarlo, non è la testimonianza reale di un singolo soggetto che ha avuto questo tipo di ‘sinistra‘ esperienza, bensì il frutto dei racconti di gente credibile, (non burloni intendo), in periodi diversi, che, rimasta scioccata, asserisce di aver vissuto qualcosa di assolutamente analogo, storie raccolte nel corso degli anni, poco diverse fra loro. Sono tutti passanti rimasti scioccati, avendo avuto l’avventura/sventura d’incappare (così hanno dichiarato), nell’avvistamento di questo fantasma di donna velata che si aggirava nel parco del Castello Sforzesco, preferibilmente nelle giornate di forte nebbia. I primi racconti di questo tipo, risalirebbero già alla fine dell’Ottocento, praticamente da quando è stato realizzato il parco, che precedentemente era la piazza d’armi del Forte. Vi è chi asserisce di aver visto questo fantasma di donna qualche volta pure in alcune sere d’estate, comunque, da allora, fino ad oggi, le versioni non sono molto dissimili fra loro. La dama velata compare all’improvviso, all’ignaro passante; è una figura dai contorni indistinti che si materializza in lontananza, poi si avvicina rapidamente e, col suo magnetismo ed un fascino di altri tempi, riesce a carpire la fiducia del soggetto incontrato. Questi poi, come in stato di trance, si lascia condurre da lei in una villa … Le cronache riferiscono che molti di quanti sono rimasti vittime della dama, sarebbero poi impazziti, passando il resto della loro esistenza ad aggirarsi ogni sera nel parco, alla ricerca della villa della donna di cui si erano incredibilmente invaghiti. Caso di fenomeno paranormale? Di allucinazionei? Può darsi ….. un po’ come la storia degli Ufo che ogni tanto compaiono , ma ciò che fa maggiormente pensare. è che la cosa fu presa talmente sul serio dalla gente, che i milanesi organizzarono addirittura in Parco Sempione, delle vere e proprie spedizioni (nelle notti di nebbia), alla ricerca sia di questa fantomatica Dama Nera, che della sua misteriosa villa. Investigazioni queste, rimaste finora, naturalmente sempre infruttuose.
L’inquietante storia sulla Dama Nera, diceria che ha addirittura ispirato una celebre storia di Dylan Dog, il famoso indagatore dell’incubo, iniziò a circolare, come accennato, già nella Milano di fine Ottocento. Il fatto stesso che questo fantasma si aggirasse o si aggiri (in teoria, ancora oggi) esclusivamente in Parco Sempione induce a pensare ad una donna bellissima, morta evidentemente al Castello, di morte violenta (cioè giustiziata). Le basi storiche di simili eventi, vanno sicuramente ricercate qualche secolo più indietro, ai tempi degli ultimi Sforza, in quella che – per giochi politici, alleanze ed incredibili voltafaccia – era forse una delle Corti più à la page dell’Italia Settentrionale.
Agli inizi del Cinquecento infatti, visse una delle più discusse ‘fammes fatales‘ dell’epoca: Bianca Maria Scapardone (o Gaspardone), contessa di Challant.
Il nome di costei, quasi sicuramente dice poco o nulla ai più, eppure la storia della sua breve vita (26 anni in tutto), è densa di avvenimenti.
A giudicare dai dipinti che la ritraggono, il suo, appare un viso giovane, fresco, bellissimo, incorniciato da lunghe ciocche di capelli biondi, da ‘femme fatale‘: una strabiliante bellezza ed un fascino irresistibile, nonché la capacità di sfruttare queste doti a proprio favore. Da un lato, appare come un soggetto assolutamente angelico, dall’altro, il fatto stesso che si sia guadagnata la sinistra fama di ‘dama della morte‘, induce a pensare che ci sia qualche seria ragione per avere simile appellativo!
Questa è la sua incredibile storia:
Bianca Maria Gaspardone (o Scapardone)
Nacque a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, verso l’inizio del Cinquecento – si dice tra il 1499 ed il 1501. Era l’unica figlia di un ricco uomo d’affari, Giacomo Gaspardone e di Margherita degli Inviziati appartenente ad una delle più illustri famiglie di Alessandria. Giacomo, a quanto è dato sapere, era un nobile oltre che facoltoso mercante e tesoriere generale del Marchesato (di Casale Monferrato). Nel 1464, il marchese di Monferrato Guglielmo Paleologo, aveva aggregato alla nobiltà cittadina Francesco Gaspardone (il nonno di Giacomo), e tutta la sua discendenza, investendo inoltre il casato dei Gaspardone, del feudo di Terruggia (località in provincia di Alessandria).
Il matrimonio con Ermes Visconti (1513)
Non si sa nulla dei suoi primi anni, né quale sia stata la sua formazione scolastica. Si sa unicamente che era già nota, fin da bambina, per la sua bellezza fuori dal comune. I suoi non ebbero alcuna difficoltà a maritarla prestissimo. Infatti, grazie anche alle notevoli fortune economiche paterne, nel 1513, aveva appena tredici anni, andò in sposa, a Milano, a tale Ermes Maria Visconti, signore di Somma Lombardo. Lui era di circa venti anni più anziano di Bianca Maria, un ‘vecchio‘ insomma, per lei! Questi era però un Visconti, il figlio secondogenito di Battista Visconti, (cortigiano di Ludovico il Moro), discendente di uno dei rami della ricca e potente famiglia aristocratica che spadroneggiò a Milano per quasi due secoli. Fu proprio merito di questo ‘vecchio‘, di avere inconsapevolmente aiutato Bianca Maria a scalare il successo, dandole, oltre alla ricchezza, proprio quel cognome Visconti, la sola pronuncia del quale, sarebbe stata sufficiente ad aprirle tutte le porte del mondo dorato della nobiltà cittadina.
Matteo Bandello (1485 – 1561), frate domenicano e scrittore di Novelle, ebbe modo di conoscere personalmente la coppia, nella casa milanese di donna Ippolita Sforza Bentivoglio. Secondo la sua diretta testimonianza, l’ingresso a Milano della sposa-bambina avvenne in pompa magna, con grandissimo sfarzo, su una carrozza lussuosamente addobbata, dono nuziale fattole da Francesco Visconti, fratello dello sposo. Bianca Maria grazie alla propria bellezza e alla propria vivacità, si impose in breve in società, provocando spesso la gelosia del marito.
La morte del padre
A nemmeno un anno dalle sue nozze con Ermes, morì improvvisamente Giacomo, il padre di Bianca Maria. Nonostante Margherita (sua madre) fosse ancora in vita, probabilmente a causa dell’esistenza di un testamento del padre a favore della sola figlia, obbligò la neo-sposa, rimasta unica erede delle cospicue sostanze della famiglia, a condividere, almeno in parte con la madre, l’eredità paterna. Così, con il consenso del marito, con atto rogato nel settembre 1514, Bianca Maria assegnò alla madre una rendita vitalizia di 300 scudi all’anno, oltre alla restituzione in favore della madre, della sua dote, alla cessione della casa familiare e alla fornitura annuale di 100 staia di vino.
Ndr. – La staia è un’antica misura di capacità variabile da luogo a luogo. A Milano, 1 staia era pari a 18,27 litri. Nel caso specifico quindi, 100 staia equivalgono a 1827 litri all’anno, pari 5 litri di vino al giorno!
Pare che i rapporti fra madre e figlia non fossero idilliaci se la madre fu costretta a ricorrere in giudizio nei confronti della figlia per inadempienza dei patti stabiliti. Evidentemente i patti tra madre e figlia, rimasero a lungo lettera morta e non riuscirono a evitare una lite giudiziaria, dal momento che il 1° luglio 1518 il marchese Guglielmo di Monferrato dispose il sequestro di tutti i frutti, affitti, censi e redditi dei coniugi Visconti, finché Margherita degli Inviziati non avesse ricevuto quello che le spettava.
La morte del marito (1519)
Dall’unione tra Bianca Maria ed Ermes Visconti, non nacquero figli, comunque il loro matrimonio durò solo sei anni e si concluse tragicamente per il Visconti. Milano venne riconquistata dai Francesi nel 1519; implicato con altri, in una congiura contro il governo francese, Ermes Visconti, riconosciuto colpevole, fu condannato a morte per cospirazione e tradimento, e finì giustiziato al Castello Sforzesco, il 22 ottobre 1519. Così Bianca Maria, rimasta improvvisamente vedova non ancora ventenne, lasciò Milano per fare ritorno nella natia Casale. Non restò certo a lungo in gramaglie: giovane e bella com’era, non tardarono a farsi avanti numerosi e spesso illustri e blasonati pretendenti, attirati oltre che dal suo fascino, soprattutto dalla sua ricchezza.
Due in particolare, si contesero la sua mano: Sigismondo Gonzaga (condottiero), cugino del marchese di Mantova, ed il ventenne Renato (René) conte di Challant. Il matrimonio, a quei tempi, non era un’unione d’amore, ma essenzialmente una questione d’interesse politico e/o economico concordato fra le famiglie degli sposi, o le persone da esse delegate.
Per cui, essendo entrambi interessati ovviamente al danaro, cercarono di procurarsi tramite l’aiuto di amicizie influenti, l’intercessione in loro favore, della marchesa Maria di Monferrato, alla quale Bianca Maria era particolarmente legata. In favore del Gonzaga intervenne il marchese Federico II, genero della marchesa.
Per lo Challant, visto che la sua casata era da sempre stata fedele ai Savoia, scese in campo il duca Carlo II di Savoia. La vicenda assunse in tal modo toni marcatamente politici. Indubbiamente, a far muovere così tanti interessi contribuirono principalmente le cospicue risorse economiche di cui la vedova disponeva, grazie anche all’eredità lasciatole dal primo marito.
Il matrimonio con René de Challant (1522)
Fra i due contendenti, alla fine, la spuntò l’aristocratico valdostano René de Challant.
Nell’estate del 1522, a quasi tre anni di distanza dalla morte del primo marito, Bianca Maria si risposò in segreto con il conte valdostano. I due giovani andarono ad abitare nel Castello di Issogne, vicino a Verres, in Valle d’Aosta.
Fu da questo momento, che Bianca Maria Gaspardone (o Scapardone) poté fregiarsi dell’ambito titolo di contessa di Challant.
Francesco I di Francia contro il Ducato di Milano (1523)
Nonostante il suo secondo marito, a differenza del primo, fosse praticamente suo coetaneo, cioè avesse come lei, 22 anni, non ci volle comunque molto per la bella contessina, scoprire con enorme disappunto e delusione che la vita da castellana in una prigione dorata, che lui le stava imponendo, era terribilmente più noiosa, rispetto alle frizzanti giornate di vita milanese che avevano allietato i suoi precedenti sei anni di matrimonio col ‘vecchio’ Ermes. Inoltre lui, Renato, essendo molto più interessato alle armi che all’amore, pareva assolutamente insensibile al suo fascino, cosa questa che ovviamente la feriva non poco. Erano davvero scarsissime da parte di lui le attenzioni che lei avrebbe gradito ricevere e che, avendo deciso di sposarlo, ora ‘pretendeva ‘ dal suo ‘René‘.
Lui poi, si era anche dimostrato, ai suoi occhi, politicamente troppo filo-francese, al punto di volersi mettere (non richiesto), al fianco di Francesco I, re di Francia, nella sua spedizione in Italia per quella che i francesi chiamavano la ‘legittima‘ conquista del Ducato di Milano.
Nel settembre 1523, prima di partire per la guerra, al fianco di Francesco I, Renato di Challant aveva prudentemente inteso fare testamento, lasciando, tra l’altro, alla “dilectissima” moglie, il castello di Châtillon, quale sua abitazione privata.
Fino alla partenza per il fronte italiano, pare quindi non vi fossero (a parte la scarsa dedizione), altri grossi motivi di dissapore fra i coniugi. Dissapori che invece si manifestarono in seguito: un po’ perché contrariata per la prolungata assenza del marito, sempre impegnato in attività diplomatiche e militari, un po’ anche perché essendosi lui legato a Francesco I per fare la guerra a Milano, lei non condivideva affatto le sue mire di conquista di quella città di cui lei serbava bellissimi ricordi, avendovi vissuto negli anni del suo primo matrimonio, e che quindi amava. Stanca di starsene sempre sola ad aspettare il ritorno di un marito inesistente, sentì, giorno dopo giorno, scemare il proprio affetto per lui, sino ad arrivare addirittura ad un punto di rottura tale, da prendere, alla fine, la decisione di separarsi da lui.
Bianca Maria, a Pavia
Ormai totalmente disamorata di lui, abbandonò il tetto coniugale ad Issogne, decidendo di trasferirsi a Pavia, dove sicuramente avrebbe trovato un ambiente più consono alle sue esigenze di socializzazione e divertimento. Nella città della Lomellina, trovò ospitalità in casa di un suo parente.
La storia d’amore con Ardizzino Valperga (1524)
Qui, quasi per reazione alle lunghe ed inutili attese del ritorno del marito dalle sue missioni, e alle rinunce patite per amor suo, nel recente passato, si mise a condurre una vita assolutamente libera. Considerando che nonostante la separazione da René, era ancora ufficialmente sposata con lui, probabilmente per ricuperare il tempo perduto, si dedicò ad una vita sentimentale molto intensa, ed inquieta, per non dire addirittura amorale.
Indubbiamente favorita dalla sua naturale avvenenza e dalle sue ricchezze, ebbe modo di conoscere e frequentare la nobiltà locale, di essere invitata a molte feste e d’intrecciare soprattutto nuove fugaci relazioni sentimentali. Probabilmente fu proprio a Pavia, che iniziò la sua storia d’amore col conte di Masino, tale Ardizzino Valperga, rapporto questo, che, continuando poi a Milano, durò incredibilmente più di un anno. nonostante, a voler credere alla narrazione del Bandello, fosse abbastanza burrascoso.
Il testamento di Bianca Maria
Probabilmente spaventata dall’evolversi delle vicende belliche che coinvolsero pesantemente oltre a Milano, pure la città di Pavia, nel 1525, Bianca Maria tornò a Casale Monferrato, sua terra natia, per poi, come sopra detto, trasferirsi nuovamente a Milano col suo ultimo amante, appena ebbe sentore che lì, le acque si erano finalmente calmate. Nel suo soggiorno a Casale, aveva, fra l’altro, deciso pure di fare testamento. [ Ndr. – A pensarci, è molto singolare che ad una venticinquenne, con tutta una vita davanti, venga l’idea di fare testamento! Pare quasi se lo sentisse nelle ossa che sarebbe morta di lì a breve!]
Aveva nominato come sua erede universale, la marchesa Maria di Monferrato, cui si sentiva tanto legata. In caso di morte o comunque, di rinuncia della designata, la sua eredità avrebbe dovuto essere divisa a metà tra il marchese Guglielmo (figlio della marchesa) e Francesco Visconti (il fratello del suo primo marito).
Aveva pure espresso il desiderio di venire sepolta accanto ad Ermes Maria Visconti (il suo primo sposo).
Ndr. – Da notare che nel testamento di Bianca Maria, non c’è una sola parola per René de Challant che, alla data della stesura dello stesso, era ancora suo marito e quindi, in teoria, sarebbe stato logico comparisse, quantomeno nominato, in tale documento. Come detto, Bianca Maria era separata da lui, ma non divorziata, mantenendo ancora così il titolo di contessa acquisito, grazie al suo matrimonio con René. Evidentemente, lo aveva proprio cancellato del tutto dal suo cuore!
La relazione sentimentale con Roberto Sanseverino (1525)
Tornando agli amanti della contessa, a Milano, la volubile Bianca Maria, era ancora innamoratissima di Ardizzino, quando parallelamente, aveva già iniziato a fare una corte spietata ad un altro giovane di cui si era invaghita, tale Roberto Sanseverino (1500 – 1532) conte di Caiazzo, nobile napoletano, al servizio dell’imperatore Carlo V. Costui, col suo esuberante modo di fare napoletano, la aveva stregata al punto che pur di stare con lui, lei non esitò a troncare la sua relazione con il conte di Masino.
La ripicca di Ardizzino
Naturalmente offeso per essere stato piantato in asso e tradito così platealmente da lei per correre dietro ad un altro, Ardizzino Valperga, non trovò di meglio che iniziare a sparlare della contessa infangandone pubblicamente il nome, in modo che tutta Milano venisse a sapere del suo comportamento disinvolto e assolutamente amorale. ln pratica, a causa delle numerose relazioni avute al di fuori del matrimonio, Bianca Maria venne additata come una ‘poco di buono’.
La vendetta della contessa
Non certo felice per le pesanti esternazioni del suo ex-amante, aventi il solo scopo di metterla in cattiva luce davanti a tutti, Bianca Maria meditò una feroce vendetta nei suoi confronti, da realizzare nel caso lui avesse ulteriormente insistito a diffamarla. Non appena si rese conto che le maldicenze sul suo conto erano diventate non solo di dominio pubblico, ma addirittura il principale argomento di conversazione nei salotti buoni della città, furibonda per essere stata così infangata, decise di dare attuazione al suo piano. Per portarlo a compimento, aveva però bisogno dell’aiuto di qualcuno. Tentò di coinvolgere il suo amante attuale, il Sanseverino istigandolo, se avesse voluto restare con lei, ad uccidere il Valperga, colpevole di aver distrutto la sua onorabilità.
Nuova relazione con Pietro Cardona
Ma Sanseverino, pure innamorato di lei, non stette al suo gioco: fiutando le probabili conseguenze penali, si era rifiutato di assecondare il suo disegno, non essendo disposto a macchiarsi di un delitto unicamente per compiacerle. Come lei si rese conto che Sanseverino non l’avrebbe aiutata a portare a termine il suo disegno di vendetta, non ci pensò due volte a troncare la sua relazione con lui per iniziarne subito una nuova, seducendo un giovane capitano spagnolo, conosciuto da poco e forse più disposto del precedente cavalier servente, ad assecondarla nel suo piano criminoso. Questi era un certo Pietro Cardona, figlio naturale del conte di Collesano (o Golisano), anch’egli al servizio dell’imperatore Carlo V.
L’assassinio di Ardizzino Valperga (1526)
Poiché il conte di Masino continuava imperterrito ad infangare l’onore della contessa, Pietro Cardona, infatuato di lei, non si tirò indietro di fronte alla richiesta di Bianca Maria di vendicare il suo onore.
Una notte dell’autunno del 1526, aiutato pare, addirittura da un gruppo di ben 25 suoi complici, tese l’agguato mortale all’Ardizzino. Ci lasciò le penne anche lo sventurato fratello di lui, Carlo Valperga, reo di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, dato che, la sera dell’agguato teso ad Ardizzino, stava rincasando insieme a lui, dopo una cena da amici comuni.
Si dice che il Cardona, per dimostrare a Bianca Maria l’atto compiuto, abbia voluto riempire un’anfora con il sangue dell’assassinato, per poi portarla in dono all’amante.
La soffiata
Il clamore creato da questo episodio, fu enorme in città e le indagini che seguirono furono davvero rapidissime. Appresa infatti la notizia dell’efferrato delitto, Roberto Sanseverino, perfettamente al corrente delle macchinazioni della sua ex e pure a conoscenza della nuova relazione che lei aveva appena iniziato con il giovane amante spagnolo,proprio sperando, ammaliandolo, di poter disporre a suo piacimento di lui come suo sicario, ritenne giusto rivelare i suoi forti sospetti a Carlo di Borbone, il connestabile di Milano, che aveva appena iniziato a svolgere le indagini sul caso.
Il Cardona fu subito arrestato e, poco dopo, analoga sorte capitò alla contessa e alle due cameriere al suo servizio.
Secondo il cronista Antonio Grumello, a spifferare quanto sapeva del piano criminale architettato dalla contessa, fu la seconda delle due cameriere di Bianca Maria. La prima infatti, per essersi rifiutata di parlare, sarebbe addirittura morta a seguito delle torture cui l’avrebbero sottoposta, perché rivelasse indizi utili ad incastrare la sua padrona. La seconda, vista la fine dell’amica, per evitare guai peggiori a sé stessa, aveva preferìto raccontare subito quanto sapeva, mettendo così nei guai la contessa.
La decapitazione di Bianca Maria (1526)
Bianca Maria fu quindi processata per questo delitto, insieme al giovane amante Pietro Cardona: se lui, in quanto solo ‘esecutore materiale‘ del delitto, se la cavò con la prigione (dalla quale peraltro sarebbe anche riuscito a fuggire dopo qualche anno di detenzione), la contessa, in quanto ‘mandante ed ideatrice’ del delitto stesso, fu invece condannata a morte.
La condanna venne eseguita la mattina del 20 ottobre 1526: Bianca Maria Gaspardone fu decapitata sul rivellino del Castello di Porta Giovia, a Milano, Presenti allo spettacolo, centinaia di milanesi che. conoscendo la sua storia, l’avevano già ribatezzato “la Mantide di Challant”.
La sua testa mozzata venne esposta, come monito per tutte le donne, sul sagrato della chiesa di San Francesco. Aveva solo ventisei anni!
Testamento disatteso
Per quanto riguarda l’eredità della Gaspardone, il suo testamento, alla fine, non fu minimamente rispettato. Pare che già tre giorni dopo la tragica morte della contessa, in mancanza di figli legittimi o naturali della donna, si fece avanti un suo cugino, tale Antonio Gaspardone che prese subito possesso del palazzo di Casale Monferrato e di tutti gli altri suoi beni.
René de Challant, che non era comparso mai in tutta la vicenda giudiziaria della moglie, si fece vivo dopo la morte di Bianca Maria, appellandosi agli statuti casalesi. Secondo tali statuti, l’erede naturale dei beni della contessa, avrebbe dovuto essere il marito, il quale, avvalendosi proprio di questa norma, impugnò il testamento della moglie. Si arrivò alla fine, ad una transazione tra il Gaspardone e lo Challant, per cui il palazzo di Casale, finì in proprietà a quest’ultimo.
Curiosità
Nella sua Novella IV, parte I, Matteo Bandello suggerisce:
«E chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo, vada ne la chiesa del Monistero Maggiore, e là dentro la vedrà dipinta»
Tradotto: Per chi oggi fosse curioso di conoscere qual’era il volto reale della diabolica contessa di Challant, Matteo Bandello suggerisce una visita alla ‘Cappella Sistina‘ di Milano cioè alla chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore in Corso Magenta. In particolare presso la Cappella Besozzi di questa chiesa, nel 1530, Bernardino Luini affrescò ‘la decapitazione di santa Caterina d’Alessandria‘.
Secondo quanto riferisce Matteo Bandello, per la realizzazione di questo affresco e in particolare per il dettaglio del viso della santa Caterina, il Luini si ispirò proprio a quello di Bianca Maria Gaspardone, i cui lineamenti del viso, lui ebbe modo di osservare attentamente da vicino, essendo presente all’esecuzione della sventurata quella famosa mattina del 20 ottobre 1526, al rivellino del Castello di Porta Giovia.
Ritornando alla Dama Nera …
E’ opinione di tanti che, dopo la sua morte, il fantasma di Bianca Maria Gaspardone abbia continuato a vagare e vaghi ancora oggi per i luoghi che erano stati testimoni della sua vita e che lei ha maggiormente amato. Tanti ritengono che la sua sia semplicemente una presenza benevola che continua a vegliare sui luoghi che amava; se poi , per qualcuno, il suo spirito è ancora oggi inquieto, la colpa di tutto questo è imputabile a tutte le ingiustizie subite durante la sua breve esistenza.
Rappresentazione teatrale
Ndr. – La tragica vicenda della contessa di Challant ispirò numerosi romanzieri e drammaturghi, che attinsero i particolari del caso soprattutto dalla novella di Matteo Bandello.
Questa storia è stata rappresentata dal drammaturgo Giuseppe Giacosa (1847 – 1906) ne ‘La signora di Challant‘, un dramma che venne rappresentato per la prima volta al Teatro Carignano di Torino il 14 ottobre 1891, dalla compagnia “Duse”.
La prima rappresentazione, in cui la parte della protagonista fu interpretata da Eleonora Duse, ebbe un esito contrastato, complessivamente inferiore alle aspettative. Il dramma fu ritenuto da una parte del pubblico troppo brutale, e qualcuno avrebbe preferito una versione in versi, ritenendola più adatta all’argomento storico. [ rif. Wikipedia ]
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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