La zanzara, un ‘caso nazionale’
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Senza voler esprimere commenti personali o giudizi di merito sull’argomento, in questo articolo mi limito a raccontare, il più obiettivamente possibile, la cronistoria di un fatto reale accaduto a Milano poco più di cinquant’anni fa, nel 1966 per l’esattezza, vicenda questa, poco nota ai giovani di oggi ed espressione del fermento giovanile della generazione del secondo dopoguerra, che, volente o nolente, ha avuto un grosso impatto sulla “modernizzazione” dei costumi della società italiana di oggi. I “meno giovani” sicuramente ricorderanno tale storia, soprattutto per la risonanza che ha avuto sia sulla stampa locale, che nazionale ed estera.
La zanzara, è quel micidiale insetto che, amando ronzare intorno alle orecchie di chi tenta di addormentarsi, fa, con le sue fastidiosissime punture irritanti, “trascorrere in bianco” le afose notti d’estate. L’esemplare della foto in testata, per chi non lo ricordasse, è proprio quel maledettissimo insetto, chiamato scientificamente Culex pipiens!
Ma “la zanzara” è pure il nome di un giornalino scolastico, “storico” periodico mensile del liceo classico Giuseppe Parini di via Goito 4 – Milano, il cui primo numero uscì nel ‘45, subito dopo la fine della guerra. Il suo titolo di testa era «La libertà nella scuola», curato allora, da Achille Cutrera, Mario Scamoni e Valerio Riva. Essendo l’unico giornale studentesco, di cui il preside di allora consentiva la diffusione all’interno dell’istituto, “la zanzara” era diventato, l’organo ufficiale di tutti gli studenti del Parini, un “distintivo storico” del liceo della borghesia milanese. Nel corso degli anni, si erano naturalmente alternati alla redazione del giornale, diversi nomi di pariniani, anche molto noti: uno fra tutti, quel grande giornalista che fu Walter Tobagi (classe 1947) ucciso a soli 33 anni, dai terroristi nel 1980.
Quell’anno (1966) a gestire il periodico, c’erano tre diciassettenni dell’ultimo anno di liceo: Marco de Poli nella veste di “direttore responsabile”, Marco Sassano (figlio del direttore del quotidiano socialista Avanti!) e Claudia Beltramo Ceppi (figlia del primo questore antifascista di Milano, nei giorni della Liberazione) in qualità di “redattori”.
Certamente, lo scopo di questa loro pubblicazione, come del resto suggeriva lo stesso nome del periodico, era proprio quella di “punzecchiare” l’opinione pubblica studentesca (gli 850 compagni del loro ginnasio-liceo) proponendo, di volta in volta, inchieste serie su vari temi di carattere sociale. E ci riuscirono eccome, in quell’intento, ben oltre ogni più rosea previsione! Mai e poi mai, avrebbero potuto immaginare che quel numero del loro giornalino, sarebbe diventato così famoso e sarebbe stato oggetto di discussioni ad oltre cinquant’anni di distanza!
Uno dei temi presentati, ad esempio, aveva come titolo «Che cosa pensano le ragazze d’oggi», nel senso di “quale è la posizione della donna nella società di oggi”, esponendo riflessioni, riferimenti e giudizi, nel campo della famiglia, dell’educazione sessuale, della verginità e dei rapporti prematrimoniali, temi questi, tutti decisamente tabù, al punto da provocare motivo di scandalo! E questo, non accadeva molto tempo fa! Ma vediamo di capire meglio tutta la vicenda.
IL CONTESTO: Il boom economico e le sue contraddizioni sociali e culturali.
Negli anni ’50, finita da poco la guerra, in un’Italia poverissima, le aspettative di vita e di carriera dei giovani erano molto legate alle famiglie da cui provenivano. Il sistema era articolato in comparti abbastanza rigidi: i figli degli operai destinati a fare a loro volta gli operai, venivano avviati alle scuole di avviamento professionale, per diventare “specializzati”. Le ragazze di basso ceto, finivano alle scuole commerciali, per diventare impiegate, mentre i figli della borghesia venivano mandati alle scuole medie, per assicurare il ricambio alla classe dirigente.
Il processo di modernizzazione del Paese, nato prima in sordina, poi via via in maniera tumultuosa (col boom economico) pose il problema della giustizia sociale. Arcaismo e modernità coesistevano nell’Italia degli anni ’60, e non casualmente: da un lato infatti, cominciava a farsi strada la civiltà industriale avanzata con le sue contraddizioni (confortevole benessere, in un contesto di democratica “non libertà”), dall’altro ci si immergeva con forza in una Italia ancora contadina poverissima e discriminata, (così ben dipinta da don MIlani nel suo libro “Lettera a una professoressa“), con una mentalità arretrata, mancanza di scolarità, non più al passo con i tempi. Da inserire in simile contesto anche l’innegabile ruolo magistrale della Chiesa e della religione cattolica con i suoi dettami di morale comune focalizzata soprattutto sui temi della famiglia, del sesso, delle relazioni nella società. Parlare quindi di certi argomenti che coinvolgevano la sfera sessuale, era un tabù. Discorsi sulla contraccezione, offendevano la morale: non esisteva l’aborto e men che meno il divorzio, parlare di omosessualità era un’eresia … i rapporti matrimoniali erano, secondo i dettami della religione cattolica, unicamente finalizzati alla procreazione.
Le maggiori tensioni sociali, quegli anni, si esprimevano o contro le derive autoritarie del potere imprenditoriale, o contro la magistratura, che censurava spesso pubblicazioni e film, in difesa della “morale comune” e del “buon costume” degli italiani.
I sessantottini, gli studenti che avrebbero fatto la “rivoluzione del ’68”, erano studenti universitari provenienti dalla scuola d’élite, precedente cioè alla scuola obbligatoria e unica, che vedrà la luce solo a partire dal 1963. Quelli erano giovani appartenenti ad una media e alta borghesia, mossi però dal bisogno di creare ponti con la classe operaia, con la gente semplice, per svecchiare un’Italia per molti versi arretrata, contro vecchi e nuovi autoritarismi.
Pubblicazione del n. 3 de “la zanzara”.
Tutto cominciò proprio il giorno di san Valentino: era il 14 febbraio 1966! Al ginnasio-liceo Parini era uscito il terzo numero (di quell’anno scolastico) del periodico studentesco “la zanzara“. L’inchiesta all’interno del giornale, veniva annunciata dall’articolo “Scuola e Società” in prima pagina, a firma del direttore Marco De Poli. L’indagine intendeva essere semplicemente una riflessione sui risultati di un sondaggio d’opinione operato dagli stessi redattori del giornale, su un esiguo campione di adolescenti (nove loro compagne di liceo) intervistate in materia di famiglia, sesso, realizzazione personale ed impegno sociale. L’articolo analizzava il pensiero delle ragazze interpellate (rimaste naturalmente anonime), riportando i loro pensieri e le loro risposte più significative su questi temi. Inconsapevolmente, quel numero de la zanzara, circa 900 copie distribuite fra studenti ed insegnanti di quel liceo, sarebbe diventato famoso. Prezzo di copertina: 50 lire. Tutte le copie vendute, tranne cento: le rifiutarono quelli di Gioventù Studentesca, l’associazione cattolica, che poi sarebbe diventata Comunione e liberazione. Questo giornale, attraverso un’inchiesta sul mondo delle ragazze, anticipò quella voglia di cambiamento e il bisogno di maggiori diritti civili da parte dei giovani, intesi come nuovo soggetto sociale, segnando simbolicamente, l’inizio di una nuova epoca della società italiana.
Le reazioni contrapposte
Gli studenti
Come prevedibile, dato il moralismo imperante all’epoca, le reazioni dell’opinione pubblica al contenuto di quell’articolo, non si fecero attendere: nel giro di qualche giorno, fra gli studenti, vi fu chi espresse il proprio plauso condividendo in toto quanto esposto, chi, come normale, il proprio dissenso più o meno velato.
Gioventù Studentesca
Scontata la critica (e c’era da attenderselo) di quel centinaio di pariniani cattolici giovani di GS (Gioventù Studentesca) che si erano rifiutati di acquistare il giornale (ma evidentemente lo avevano letto). Questi, in un volantino giustificarono il proprio forte dissenso, giudicando l’articolo come “offesa recata alla sensibilità e al costume morale comune”, in quanto non solo, uno degli argomenti trattati (cioè l’educazione sessuale) veniva considerato “osceno”, ma anche perché le ragazze intervistate erano tutte minorenni. Inoltre attaccarono i redattori per aver assunto una posizione eversiva nei confronti della morale, sottolineando inoltre che era assolutamente risibile il voler chiamare “inchiesta”, una rilevazione limitata a pochi soggetti.
I genitori
Meno prevedibile alla vigilia, fu, viceversa, la reazione (per tutto quello che ne seguì poi) di un gruppo di genitori che, toccati nella propria sensibilità, vedendo in quell’articolo, un grave attentato alla morale dei propri figli, non solo minacciarono la scuola di ritirare il loro pargoli da quel liceo, ma addirittura sporsero (il 22 febbraio) denuncia alla Procura della Repubblica contro i redattori de la zanzara, per “oscenità a mezzo stampa”, avviando così una sorta di “crociata” contro il dilagante malcostume, la degenerazione del sistema valoriale, la corruzione e il turbamento di minorenni.
Ndr. – Pare, a prima vista, strana questa reazione di alcuni genitori così ancorati ai vecchi schemi moralistici in una società alto-borghese milanese. In effetti, la realtà era diversa, come spiegò recentemente in un’intervista Marco Sassano. Le classi del ginnasio-liceo, quegli anni, erano un incredibile miscuglio di ragazzi e ragazze appartenenti sia alla borghesia, che alla classe operaia ed artigiana, abitanti nella stessa area di Corso Garibaldi, oltre a giovani figli di professionisti che abitando in via Moscova e appartenendo allo stesso bacino d’utenza, avevano diritto a frequentare la medesima scuola. L’ambiente quindi era abbastanza promiscuo.
L’incriminazione dei redattori
Il 28 febbraio, i tre autori dell’inchiesta vennero convocati in Questura. La Procura di Milano li reinviò a giudizio: l’accusa principale loro addebitata, era “corruzione di minorenni a mezzo stampa” …. ma c’era un piccolo dettaglio …. minorenni erano anche i redattori! [Ndr. – allora si diventava maggiorenni a 21 anni] La situazione paradossale era che si trattava di corruzione di minorenni da parte di altri minorenni!
Il rinvio a giudizio dei tre studenti fece clamore sulla carta stampata, scatenando contrasti tra le forze politiche, il cui eco arrivò perfino in Parlamento. A Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, il consigliere socialista Achilli, ex pariniano ed ex direttore de “la zanzara” tra il 1948 e il 1950, proclamava la sua totale solidarietà ai tre studenti coinvolti, constatando come in altri ambienti quali il cinema, o la pubblicità, le tematiche sessuali fossero trattate in modo certamente più superficiale di quanto avessero fatto i tre giovani nel loro articolo. Pure piena solidarietà anche da parte di Antonio Greppi (il primo sindaco della Milano liberata) e per il quale, la vicenda dimostrava che era giunto il momento di modificare in senso più democratico e garantista, il codice penale, e la legge di pubblica sicurezza.
Per i tre ragazzi, la notizia dell’inatteso reinvio a giudizio a loro carico, e soprattutto di quello che ne seguì il mese successivo, fu un trauma incredibile, in termini di paura, di adrenalina e di emozioni.
Senza volerlo e senza poterlo nemmeno immaginare, i tre giovani erano riusciti con quell’articolo sul giornalino della scuola, ad aprire una breccia nel muro del moralismo imperante in Italia. I tempi cominciavano ad essere maturi: loro, con la zanzara, erano i pionieri di una ribellione agli schemi moralistici precostituiti, di un desiderio giovanile di rinnovamento, di modifica del modo di pensare e anche di vivere. Eravamo alle soglie del ’68!
Come ne parlavano i giornali
Il caso de La zanzara, a questo punto, non si limitò a qualche trafiletto sulle pagine della cronaca locale di qualche quotidiano, ma rimbalzò con articoli sulle cronache nazionali, dividendo sul caso, prima la città, poi l’intero Paese.
il Corriere Lombardo fece scoppiare il “caso”: “Scandalo al Liceo Parini”, intitolava a tutta pagina il 22 febbraio
Il Corriere della Sera, senza prendere una posizione netta, cercò di barcamenarsi, dando comunque sostanziale spazio alle voci di chi gridò allo scandalo. Soltanto un mese prima, aveva elogiato la serietà del giornale studentesco e dei suoi redattori, osservatori attenti del mondo giovanile, capaci di allargare lo sguardo ai grandi temi di impegno civile: «Nei nostri licei, ne fa fede il Parini, non ci sono miti, per fortuna».
L’Espresso (con articoli di Camilla Cederna, Eugenio Scalfari, Carlo Gregoretti ed altri), guidò viceversa il fronte opposto.
Larga parte della Democrazia Cristiana e il Movimento Sociale Italiano costituirono il “partito della colpevolezza“, mentre la sinistra e i cattolici progressisti intervennero in difesa degli studenti. Interrogazioni furono firmate da parlamentari di tutti i gruppi, nei due rami del Parlamento.
Incredibile il modo in cui si mosse la Procura della Repubblica di Milano, scatenando addirittura interrogazioni in Parlamento e numerosissimi articoli sui principali quotidiani di tutto il mondo, a partire da Le Monde, al New York Times, da le Figarò, al Times e simili.
Come mai tutto questo interesse da parte dei quotidiani esteri per un banale articolo scritto da ragazzi? Il caso de “la zanzara” evidenziò al mondo intero l’arretratezza culturale della nostra classe politica e di un sistema di leggi, che, in Italia, non era più al passo dei tempi.
Il clamore fu tale, che furono ben 400 (a quanto pare) i giornalisti di tutte le principali testate italiane ed estere, accreditati a seguire le varie fasi del processo per direttissima.
Gli “attori”
Gli imputati erano cinque in tutto:
- i tre studenti diciassettenni, Marco de Poli (direttore del periodico studentesco la zanzara), Marco Sassano e Claudia Beltramo Ceppi, redattori di quell’articolo.
- Il preside del Liceo classico Giuseppe Parini, Daniele Mattalia.
- la titolare della tipografia di via Boscovich 17, Aurelia Terzaghi.
La difesa degli imputati era costituita da un collegio composto da alcuni tra i più importanti penalisti d’Italia
- Giandomenico Pisapia (il padre di Giuliano Pisapia ex sindaco di Milano)
- Carlo Smuraglia,
- Alberto Dall’Ora
- Giacomo Delitala
- Enrico Sbisà
- Vittoro Gaballo
- Alberto Crespi.
Il tribunale:
- Presidente Luigi Bianchi d’Espinosa
- Pubblico Ministero Oscar Lanzi
- Sostituto Procuratore Pasquale Carcasi
Cosa “diceva”, di tanto scandaloso, l’articolo incriminato
Riporto, qui di seguito, solo alcune delle frasi (ritenute scandalose) dette dalle ragazze interpellate sui vari argomenti proposti:
La famiglia
Nei confronti dei rapporti con i genitori, le ragazze milanesi non accettano più un atteggiamento autoritario, ma chiedono loro amicizia e una maggiore comprensione dei propri problemi.
Una di loro dice:
«Io posso accettare un consiglio da mio padre solo se è motivato e non perché dice che è il padre e basta!».
Un’altra aggiunge:
«Io considero mia madre come un’amica, come una donna con cui discutere apertamente, Lei ha verso di me una grande fiducia ed io altrettanto»
Come si vede, quindi, vi è una notevole consapevolezza della propria libertà.
Rapporti prematrimoniali
Qui, in effetti, le ragazze si dividono: vi sono quelle che «pongono dei limiti»,
altre invece che sostengono che:
«nell’amore nessuno dovrebbe agire secondo limiti e regole già prima codificati, ma solo secondo la propria coscienza e la propria volontà». «All’uomo che si ama si può dare tutto entro però certi limiti. Se si vuole veramente amare, vi è solo il matrimonio».
«Entrambi i sessi hanno ugualmente diritto a rapporti prematrimoniali».
«Molte di queste ragazze che aspirano come unico fine al matrimonio, saranno veramente, secondo me delle pessime mogli ed e cattive madri; sarà certamente buona madre quella che, già da ragazza, ha una coscienza personale e civile»
E ancora:
«Se una donna non vede se stessa come individuo singolo profondamente interessato e impegnato, con responsabilità e diritti anche nel matrimonio al 50%, è inutile parlare di parità con l’uomo».
«Il divorzio, a mio parere di cattolica, non dovrebbe esistere, però sarebbe giusto esistesse per quelle persone che, non condividendo le mie idee, sono costrette lo stesso a rimanere legate per tutta la vita alla persona che non amano»
L’educazione sessuale
È quella che manca a scuola, dicono le intervistate. Le studentesse reclamano maggiore libertà nel vivere la propria sessualità:
«ognuno sia libero di fare ciò che vuole».
Un’attenzione particolare all’uso degli anticoncezionali e un totale ribaltamento dell’opinione comune riguardo al tema della verginità:
«la purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica».
E ancora:
«Non vogliamo più un controllo dello Stato e della società sui problemi del singolo e vogliamo che ognuno sia libero di fare ciò che vuole, a patto che ciò non leda la libertà altrui. Per cui assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità»
L’articolo della Zanzara rompe un tabù:
«Se potessi usare gli anticoncezionali non mi porrei limiti nei rapporti prematrimoniali», ammette una studentessa.
«Perché ciò che è naturale dopo le nozze, dovrebbe essere innaturale prima?», confessa un’altra.
Molte risposte sono registrate e intrise di buon senso, ma il moralismo, nel 1966, è ancora forte.
La religione e il sesso
Queste sono alcune delle frasi maggiormente incriminate:
«La religione in campo sessuale è portatrice di complessi di colpa»,
oppure:
«Quando esiste l’amore non possono o non devono esistere limiti e freni religiosi»,
e ancora:
«La posizione della Chiesa mi ha creato molti conflitti fin quando non me ne sono allontanata».
Per chi fosse interessato, cliccando sulle “Note in Sommario, vi è l’articolo completo, oggetto dello scandalo e della conseguente denuncia.
Dalle risposte riportate dall’inchiesta, soprattutto per quanto riguarda la religione, si spiega la veemente reazione di don Luigi Giussani (1922 – 2005) capo della Gioventù studentesca e futuro fondatore di Comunione e Liberazione, che scrisse contro la zanzara, un furioso comunicato.
Il reato
Ma obiettivamente quale era il reato? Amoralità a mezzo stampa a parte, ricercando un movente, si venne a scoprire che la zanzara non figurava fra i periodici registrati alla cancelleria del tribunale, come prescriveva la legge.
Il preside Daniele Mattalia, che avrebbe dovuto registrarlo, non lo aveva fatto, ed inoltre gli venne imputato il fatto di non aver esercitato adeguati controlli preventivi, sul numero del periodico in questione, prima che venisse dato alle stampe.
La tipografia Terzaghi, nella veste della sua titolare Aurelia, era invece rea di aver dato alle stampe un giornale, non avendo preventivamente verificato che fosse regolarmente registrato.
I cinque imputati reinviati a giudizio, avrebbero dovuto rispondere di violazione dell’articolo 14 della legge sulla stampa, legge che si riferisce alle pubblicazioni oscene destinate ai fanciulli e agli adolescenti quando, per la sensibilità e impressionabilità ad essi propria, siano comunque idonee ad offendere il loro sentimento morale o a costituire, per essi, incitamento alla corruzione, al delitto, e al suicidio.
La cosa ebbe una tale risonanza che la settimana dopo la denuncia fatta dai genitori “bacchettoni”, il prezzo della copia del giornale era passata dalle 50 Lire alle 20.000 Lire, cioè era salito di quattrocento volte!
Lo scandalo, nello scandalo
Il processo non era ancora iniziato, essendo prevista la prima udienza appena per mercoledì 30 marzo. Ci fu comunque un altro evento che fece notevole scalpore, una quindicina di giorni prima: una convocazione dei tre giovani in Questura da parte del magistrato inquirente.
Mercoledì 16 marzo infatti, il Sostituto Procuratore Pasquale Carcasi dispose che i tre studenti, dopo un breve imterrogatorio, fossero sottoposti ad una visita medica .
Pare che la visita medica (o meglio, l’ispezione corporale), fosse una pratica prevista dal codice Rocco (circolare fascista n. 2326 del 21 settembre 1933) ancora in vigore per i minorenni fra i 14 ed i 18 anni, colpevoli di reato. La richiesta era finalizzata alla compilazione di una scheda fisico-psichiatrica, per capire se i tre studenti “erano in grado di intendere e di volere” e “per verificare la presenza di tare fisiche e psicologiche“ nei giovani imputati.
I due ragazzi, nonostante le proteste, furono obbligati a sottoporsi a tale visita, mentre la ragazza, rifiutandosi categoricamente di collaborare, pretese di vedere subito un avvocato.
Clamoroso autogol della Procura
Sparsasi la notizia in città, ci furono subito polemiche. La cosa scatenò il putiferio fra gli studenti del liceo, che provvidero immediatamente a informarne la stampa.
Per quale motivo fare spogliare i tre redattori convocati in questura? Per “capire” la loro capacità di intendere e di volere? Ma se avevano tutti e tre la media del nove, non era forse sufficiente per la Procura il giudizio più che lusinghiero degli insegnanti del liceo considerato il più severo d’Italia? Che senso aveva quella richiesta? Nessuno ovviamente! Era solo un modo gratuito ed ingiustificato, per umiliarli! Quindi, sciopero!
La cosa stava prendendo una piega non prevista: tantissime le prese di posizione. Le reazioni contrarie furono tante, non solo quelle dei partiti di sinistra, notoriamente a favore dei diritti dei giovani, ma anche quelle degli ambienti moderati e conservatori che ritenevano che la Procura avesse decisamente esagerato. Contro il comportamento del magistrato Pasquale Carcasi, protestarono molti avvocati, giornalisti ed un folto gruppo di intellettuali di varie correnti politiche. Fra questi, Julius Evola (filosofo, poeta e pittore descritto come un “intellettuale fascista”) ed Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura. Quest’ultimo scrisse sul Corriere della Sera:
«Trovo molto più scandaloso questo, di qualunque cosa possano aver scritto i tre ragazzi»
Non è difficile immaginare la gazzarra che scoppiò sulla stampa, quando Marco Sassano (uno dei tre studenti imputati) intervistato dai giornalisti, riferì loro alcuni dettagli, relativi alla sua convocazione in questura insieme agli altri due ragazzi: «Ci presentammo in giacca e cravatta, ci puntarono una luce negli occhi». Mandata via dagli inquirenti l’amica che si era rifiutata di spogliarsi, lui e Marco de Poli furono costretti a sottoposero alla visita medica ….. a giustificazione della loro richiesta, «dicevano che dovevano stabilire se stavamo bene, se eravamo in grado di intendere e volere …. Ci dissero di spogliarci e cominciarono a farci strane domande …. ci chiesero per esempio se i nostri genitori convivevano». Una volta denudati, entrambi furono pure oggetto di domande personali …. sui loro eventuali rapporti con prostitute o su affezioni veneree eventualmente contratte in precedenza.
Pare che, nella relazione alla Procura, il medico che li aveva visitati, avesse pure fatto rilievi negativi sul loro stato di gracilità apparente, accusando praticamente le rispettive famiglie di scarsa attenzione nei loro confronti.
Il 23 marzo poi, per la prima volta nel dopoguerra, migliaia di studenti di tutte le scuole di Milano, scesero in piazza, in segno di protesta, per affermare la loro richiesta di libertà di espressione.
Il processo
Il processo fu istruito con giudizio direttissimo, seguendo un iter anomalo rispetto al procedimento ordinario. La cosa trovò concordi sia la difesa che l’accusa, nonostante, la procedura per reati relativi alla legge sulla stampa, non prevedesse un rito simile. In questo caso tuttavia, la necessità di far presto, era legata all’esigenza più che avvertita, (dato anche il clamore che il “caso” aveva suscitato sui giornali), di dare una veloce risposta all’opinione pubblica, rimasta traumatizzata dalla “amoralità”, del contenuto di simile articolo.
Così, al Tribunale di Milano, quel 30 marzo 1966, alle ore 9.40, con il classico:
«Gli imputati si alzino. Do lettura dei capi di imputazione», il presidente Luigi Bianchi d’Espinosa. illustre costituzionalista, dava inizio al processo. Il “reato” era l’aver pubblicato, il 14 febbraio 1966, sul giornale dell’associazione studentesca “la zanzara“ «periodico destinato ai fanciulli e agli adolescenti», un’inchiesta dal titolo “Cosa pensano le ragazze d’oggi”, dal contenuto che «offende il sentimento morale dei fanciulli e degli adolescenti», costituendo «un incitamento alla corruzione».
Naturalmente, a parte i 400 giornalisti delle testate italiane ed estere presenti, c’era mezzo Liceo Parini in aula. Il processo mise in tensione fra loro due mondi, due diverse visioni della vita, dei diritti, della cultura e dell’educazione. Gli studenti sottolineavano con applausi o sonore bordate di fischi nei confronti del Pubblico Ministero, un dibattimento che, già sin dalle sue prime battute, affrontava l’argomento scottante della visita medica, oggetto di tanto clamore. A giustificazione di tale richiesta, per tentare di tacitare il vespaio che ne era nato su tutti i giornali (anche esteri), il PM Lanzi sostenne che il magistrato si era avvalso di una legge del ’33 (ancora in vigore) che richiedeva l’effettuazione di questo esame fisico-psichico sui minorenni. accertamento necessario, allo scopo di tutelare il loro interesse, potendo la giustizia condannare inconsapevolmente degli irresponsabili.
Quanto al rifiuto categorico di Claudia Beltramo Ceppi di sottoporsi a tale visita, nonostante le giustificazioni addotte dagli avvocati difensori della giovane, il tribunale respinse l’istanza, riservandosi di riprendere questo punto più avanti, nelle giornate in cui sarebbero stati ascoltati i testi (cioè gli insegnanti del Liceo) per quanto riguardava il rendimento scolastico e la condotta degli imputati.
Durante il dibattimento, il PM Oscar Lanzi ebbe modo di scontrarsi più volte con il presidente del tribunale Luigi Bianchi D’Espinosa, proprio sui modi poco ortodossi con cui si erano svolte le indagini preliminari. Con particolare riferimento alla visita medica che aveva fatto scalpore, la circolare Rocco del ’33, era da ritenersi annullata dall’articolo 13 della Costituzione.
ARTICOLO 13 della Costituzione.
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art. 111 c. 1, 2] e nei soli casi e modi previsti dalla legge [cfr. art. 25 c. 3].
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
E` punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà [cfr. art. 27 c. 3].
Accogliendo le tesi degli avvocati difensori, il PM riconobbe che l’ispezione corporale non era necessaria e che contrastava con i princìpi costituzionali.
I tre giorni di quel processo furono pieni di colpi di scena, che per brevità, non riporto
L’arringa dell’accusa
Naturalmente tralascio i dettagli, ma decisamente merita menzione, perché resterà negli annali, il modo in cui il PM Oscar Lanzi dipinse nella sua arringa, i tre giovani imputati: non esitò a paragonarli “a promotori del sesso sfrenato” «come girassero per i corridoi della scuola, con un materasso legato alla schiena».
Questa infelice “uscita” del togato, fu sottolineata dagli studenti con una sonora prolungata bordata di fischi in aula. Oscar Lanzi se l’era decisamente cercata e meritata!
Le pesanti richieste dell’accusa
Il PM non fu di mano leggera nel richiedere le pene per i cinque imputati:
a Daniele Mattalia (Preside del Liceo Parini):
50.000 lire (518 €) di multa per non aver fatto la registrazione del giornale.
4 mesi e 15 giorni e 60.000 lire (622 €) di multa per concorso nell’incitamento alla corruzione.
a Marco de Poli (direttore del giornale):
30.000 lire (311 €) di multa per la mancata registrazione del giornale.
2 mesi e 20 giorni e 40.000 lire (415 €) di multa per concorso nell’incitamento alla corruzione.
a Marco Sassano (redattore e Claudia Beltramo Ceppi (redattrice):
2 mesi e 20 giorni e 40.000 lire (415 €) di multa per concorso nell’incitamento alla corruzione.
ad Aurelia Terzaghi (titolare della tipografia):
12.000 lire (124 €) di ammenda per mancato deposito delle copie del giornale in tribunale e in prefettura.
2 mesi e 20 giorni e 40.000 lire (415 €) di multa per concorso nell’incitamento alla corruzione.
oltre al
Sequestro del numero de “la zanzara” contenente l’inchiesta, oggetto della denuncia.
L’arringa della difesa
Riporto un “passo” dell’arringa l’avvocato Delitalia difensore dei ragazzi:
«Il Pubblico Ministero si è accorto persino lui di aver tirato troppo la corda e di aver promosso uno scontro tra due Italie: quella vecchia, che non era meglio di quella di oggi — anche noi parlavamo di questi problemi in modo peggiore dei nostri ragazzi — e quella moderna. È un’azione quella dei ragazzi della Zanzara che induce noi adulti a meditare ed avrebbe dovuto indurre anche il pubblico a farlo per evitare che da questi fatti fosse fatto un processo. Ma forse sarà un bene, perché così tali problemi sono venuti a galla ed è un bene, soprattutto per la collettività, che se ne parli. Ma non è un bene per gli imputati, ai quali è stata inflitta un’esperienza che lascerà un segno nello sviluppo futuro, buono o cattivo che sia»
Il verdetto della Corte
Prima che i giurati si ritirassero in camera di consiglio, il PM Oscar Lanzi, temendo in un verdetto non conforme alle sue aspettative, ammonì i presenti: «State attenti ad assolverli, darete inizio ad un processo che non sarete in grado di fermare».
Sabato 2 aprile alle 20,45 il Presidente della Corte Luigi Bianchi d’Espinosa, dopo breve camera di consiglio, emise il verdetto:
ASSOLTI IL PRESIDE E GLI STUDENTI, perché il fatto NON costituisce reato.
L’unica a rimetterci, fu la titolare della tipografia, Aurelia Terzaghi che, avrebbe dovuto pagare 15.000 lire (€ 155) di ammenda, per non aver provveduto a depositare le copie del periodico sia in pretura che in prefettura (come da disposizioni).
Come l’apertura, così pure la conclusione del processo, come d’usanza, spettavano al presidente Luigi Bianchi d’Espinosa, Questi, come accade normalmente nei tribunali per minori, decise, in quell’occasione, di optare per un “fervorino”, una sorta di ammonimento (da buon papà):
«Il tribunale mi incarica di dirvi che ha riconosciuto che nella vostra inchiesta non esistono gli estremi di reato. Il compito della legge penale si ferma qui.
Se le vostre affermazioni erano opportune o inopportune, lo decideranno le autorità scolastiche. Su questo processo si è fatta una montatura esagerata. Voi non montatevi la testa, tornate al vostro liceo e cercate di dimenticare questa esperienza, senza atteggiarvi a persone più importanti di quello che siete».
Non era ancora finita
Il PM Oscar Lanzi, “piccato” per aver perso la causa, riuscì a fare accogliere dalla Cassazione il suo ricorso in appello, chiedendo la legittima suspicione per la sede di Milano e ottenendo il rifacimento del processo a Genova. La sentenza di Milano aveva segnato comunque un punto di svolta decisivo. Anche il processo di Genova confermò poi l’assoluzione.
’L’Espresso’’ del 10 aprile spiegò l’effetto della svolta, con queste parole: ‘’Oscar Lanzi e quella parte di magistrati presenti in aula che erano d’accordo con lui, sentirono che qualche cosa era finito. Questa volta non era solo un Presidente coraggioso in un’aula di tribunale semideserta a sconfessare la posizione della Procura. Era un giudice illuminato e un grande giurista che difendeva i diritti dell’Italia democratica, dinanzi e con la solidarietà di tutto il paese’’. [rif. – GIOVANI: ”LA ZANZARA” – 1966, UN’INCHIESTA SCOMODA AL LICEO ”PARINI” (12) (adnkronos.com)]
Con questa piena assoluzione, si riconosceva, praticamente, la necessità di modernizzare le idee di moralità in un’Italia troppo ancorata agli schemi del passato.
La vicenda “la zanzara” fu considerata spartiacque, in materia di diritti sociali e civili dell’intera società italiana, e prodromo di quel cambiamento di costumi che avrebbe coinvolto da lì poco tutta la società
Conseguenze
Il giornale riprese le pubblicazioni, con una redazione, ricca di futuri “noti” giornalisti. Tra di loro, oltre a Marco Sassano e Marco De Poli, c’erano Vittorio Zucconi, Massimo Nava, Walter Tobagi, Pier Gaetano Marchetti, Salvatore e Alberto Veca.
Uno dei risultati “negativi” di questa vicenda fu la maggiore stretta che le autorità scolastiche esercitarono sull’autonomia delle redazioni del giornale, iniziando da quel momento in poi. una stagione di censure preventive. Questo fu uno dei fattori della successiva mobilitazione degli studenti medi e universitari (1967-68) nel quadro dei veri e propri moti del “sessantotto”.
Conclusione
La pubblicazione de “la zanzara” di quel 14 Febbraio 1966, rappresentò l’anteprima, sia nelle modalità che nelle opinioni, della rivoluzione dei giovani del 1968. Questi, nel tentativo di essere ascoltati, con le proprie richieste e le proprie posizioni di frattura nei confronti del passato, introdussero grandi cambiamenti sul piano del costume, della mentalità e dei diritti, che volevano tagliare i ponti con la generazioni precedenti.
Cosa dicono oggi i protagonisti dell’epoca
Marco de Poli:
Cinquant’anni fa Marco De Poli non pensava di entrare nella storia come quello de la zanzara , lo studente direttore messo sotto accusa «per aver risvegliato la concupiscenza degli studenti». E invece, dopo una vita speciale e avventurosa in giro per il mondo a girare film e documentari, a occuparsi di povertà, fame ed emarginazione e a far rinascere un borgo nella natura della Liguria, gli tocca rileggere una cronaca all’apparenza blanda e intrisa di buon senso che, quasi senza volerlo, ha cambiato lo spirito di un tempo. Lui, il Parini, lo scandalo, i giornali, il processo, le accuse, la difesa, l’assoluzione finale: dal 14 febbraio 1966 si porta addosso il come eravamo di un altro secolo, un altro millennio: Milano, via Goito, i ragazzi da una parte, le ragazze con il grembiule nero dall’altra, il professore che ha sempre ragione, i Beatles e i Rolling Stones, ma anche via Monte Napoleone, le prime minigonne, il Derby di Monterosa e il Piper della Triennale, con il ballo del mattone e qualche innocente shake.
[rif. – Scandalo Parini, 50 anni dopo La Zanzara e l’inchiesta sul sesso – Corriere.it]
Claudia Beltramo Ceppi:
“Gli occhi di questi giovani sono identici ai nostri di cinquant’anni fa. Vedo la stessa limpidità innocente di chi guarda avanti e prova a dire “io ti accetto, a prescindere da come sei”. Claudia Beltramo Ceppi vive da anni a Firenze, è molto conosciuta nel mondo dell’arte e nella sua vita ha curato mostre di portata internazionale come quella sul Simbolismo a Palazzo Reale.
[rif. – Claudia Beltramo Ceppi: “Noi della Zanzara e i ragazzi di oggi, stessi sogni e ideali” – la Repubblica]
Marco Sassano:
Che anno era, quello in cui la Zanzara fece scandalo?
Il 1966.Il giornale era impegnativo. 36 pagine da realizzare una volta al mese. Al centro della Zanzara c’era un paginone con un sondaggio che coinvolgeva tutta la scuola attraverso un questionario da compilare. Poi la redazione sceglieva una decina di studenti per discutere il tema del questionario e i risultati in un piccolo forum che poi veniva riportato sul giornale.Lo scandalo scoppiò sul tema sesso.
C’era stato un precedente. Sul numero prima avevamo come forum il tema: Dio e famiglia. Il quadro che era emerso era di un Parini non troppo allineato con i dettami della chiesa cattolica. La cosa non era piaciuta a don Giussani, di Gioventù studentesca (poi diventata Comunione e Liberazione) che non ci risparmiò critiche.Insomma lo scandalo era nell’aria?
[rif. – 14 febbraio 1966. Lo scandalo della Zanzara nel ricordo di Marco Sassano – L’alter-Ugo (ugomariatassinari.it)]
Sì e scoppiò con l’inchiesta-sondaggio sulla condizione delle donne. Era il 1966, in Italia non c’era il divorzio, non c’era l’aborto, la contraccezione era un tabù, si diventava maggiorenni a 21 anni: insomma bisogna entrare nel clima di quegli anni per capire quanto poteva risultare clamorosa la questione.
Cosa ne pensano gli studenti oggi
Propongo un documento su come il fenomeno viene visto e valutato dai giovani oggi
IL CASO DE “LA ZANZARA” E GLI STUDENTI DI UN LICEO NEL 2017
Il caso de “La Zanzara” è stato proposto in una classe quinta liceo, come evento significativo per avvicinare gli studenti a quel periodo di grandi cambiamenti sul piano del costume, della mentalità e dei diritti rappresentato dagli anni Sessanta.
La vicenda si è rivelata particolarmente indicativa ed efficace in quanto alcuni ragazzi della classe sono stati impegnati nel corso dei cinque anni nella redazione del giornalino scolastico e proprio per questo si sono sentiti particolarmente coinvolti.
Dopo un esame generale degli eventi principali di quegli anni (dalle rivolte dei “ragazzi con la maglietta a righe” del luglio 1960, alle principali riforme del Centrosinistra, in particolare l’istituzione della Scuola Media Unica), gli studenti hanno analizzato i documenti proposti nel Dossier ed è stato loro chiesto di commentare quelli da loro considerati più significativi. I ragazzi hanno concentrato la loro attenzione sulla tipologia di domande e risposte dell’inchiesta, ai loro occhi di studenti del 2017 assolutamente “innocue”, legittime e prive di qualsiasi elemento che possa essere in contrasto con il comune sentire.
Occasione di riflessione sono state le affermazioni contenute nel volantino di protesta di “Gioventù Studentesca”, in cui ci si appella a un “… elementare senso di libertà e democrazia (…) nel tentativo di eliminare dalla nostra convivenza ogni espressione di violenza”. Si è aperto quindi un dibattito su cosa significhi libertà d’espressione, democrazia e violenza in una società pluralista come quella in cui viviamo, dove, nel rispetto dei principi fondamentali della vita civile, convivono diverse posizioni etiche: è violenza esprimere le proprie concezioni in merito alla sessualità? O è violenza censurarle, in nome di una visione comune? Chi si può arrogare il diritto di prescrivere i “comportamenti corretti” nella sfera dei comportamenti individuali? E’ giusto impedire l’uso del burkini?
Sollecitati a pronunciarsi su cosa potrebbe oggi suscitare scandalo, gli studenti hanno posto l’attenzione sul tema dell’omosessualità e hanno evidenziato come su tale problema, a loro parere, la società italiana sia ancora arretrata. Si sono richiamati, a questo proposito, a un articolo pubblicato sul loro giornalino scolastico, nel quale l’autore sosteneva la “non naturalità”, e quindi la condannabilità, dell’omosessualità, articolo seguito da numerosi interventi in risposta a tali considerazioni. Sul tema c’è stato quindi un libero confronto, ma gli studenti si sono dimostrati convinti che se avessero proposto un’inchiesta sul modello di quella de “La Zanzara”, ma incentrata sull’omosessualità, ci sarebbero state proteste simili a quelle di allora, anche se senza denunce penali.
rif, http://www.novecento.org//dossier/italia-didattica/
Note
Qui di seguito viene riportato in maniera integrale, l’articolo oggetto di tanto scandalo.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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