L’Acquario Civico, padiglione dell’Esposizione Internazionale di Milano 1906
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Passeggiando oggi per il Parco Sempione, non si può non rimanere incuriositi, da questo strano edificio dalla facciata molto particolare (situato, a dire il vero, al margine del Parco stesso, fra l’Arena Civica ed il Castello Sforzesco), costruito in cemento armato, mattoni e pietra artificiale. E’ l’Acquario Civico della città, struttura questa, dalla storia del tutto particolare. Nato inizialmente come uno dei tanti padiglioni di una Esposizione Universale, è rimasto oggi l’unico testimone silenzioso della grande kermesse che, nel 1906, portò Milano alla ribalta internazionale.
Prima però di continuare a parlare più approfonditamente dell’Acquario Civico e di che cosa offre oggi, mi pare interessante fare una digressione proprio su questa Esposizione Internazionale, oggi praticamente dimenticata, eppure allora così importante per Milano e l’Italia intera, in cui l’Acquario fu uno dei tanti poli d’attrazione di quella grande manifestazione.
Come mai un‘Esposizione Internazionale in Italia?
Nel corso dell’Ottocento, si erano susseguite fra le nazioni più avanzate d’Europa, diverse grandiose esposizioni universali che, nel presentare le ultime scoperte nei vari campi della scienza e della tecnica, esprimevano la loro cieca fiducia nel progresso e nella modernità.
In Italia, fino all’inizio del XX secolo, erano state fatte delle manifestazioni unicamente a carattere nazionale, essendo il Bel Paese rimasto indietro rispetto alle altre nazioni, essenzialmente a causa di una economia ancora prevalentemente agricola, dovuta al pluri-secolare perdurare nella penisola delle dominazioni straniere. Solo, dopo l’Unità d’Italia, verso fine Ottocento, lo sviluppo dell’industria aveva cominciato a prender piede in maniera turbolenta e del tutto esclusiva anche qui da noi, in particolare nelle regioni dell’area nord-occidentale del Paese.
L’occasione del completamento dei lavori del traforo del Sempione
Quale occasione migliore infatti, se non quella di celebrare il felice completamento dei lavori del Traforo del Sempione, di quei 20 km di tunnel sotto le Alpi, lavoro davvero ciclopico dal punto di vista ingegneristico, che, almeno nel tratto italiano, aveva visto al lavoro, per anni, le nostre maestranze. Iniziato nel 1898, il primo dei due tunnel fu ultimato nel febbraio 1905, mentre per il completamento del secondo bisognerà attendere fino al 1921. Unendo direttamente l’Italia alla Svizzera, questo traforo gettava le basi per un collegamento ferroviario diretto di Milano con il Nord Europa e quindi sarebbe stato il preludio di un notevole aumento nel volume del traffico commerciale anche nel futuro triangolo industriale con Torino e Genova.
Altro aspetto non irrilevante, fu che proprio il traforo rappresentò anche un grande passo avanti nelle tecniche di perforazione e nella gestione degli operai che migliorarono notevolmente le loro condizioni di lavoro e di vita.
L’Esposizione internazionale di Milano del 1906, fu quindi il primo evento davvero importante, per far conoscere al mondo intero che, dopo i secoli bui del lungo giogo straniero, anche l’Italia si stava risollevando. Il tema ispiratore era “La scienza, la città e la vita”, il dinamismo che sottende qualunque tipo di trasporto: il suo simbolo era Mercurio con una ruota alata, associato alla nascente industrializzazione. Era pensata come un grande evento per riscattare la situazione economica e culturale della città e della penisola.
Nel 1906, in occasione della grande Esposizione Universale, il triestino Leopoldo Metlicovitz vinse il concorso per il manifesto simbolo della fiera, dedicata al Traforo del Sempione, affermandosi come uno dei migliori cartellonisti italiani.
Venne chiamata anche “Esposizione internazionale del Sempione“: solennemente inaugurata il 28 aprile dai sovrani d’Italia, (Vittorio Emanuele III e la regina Elena di Montenegro), giorno in cui si pose formalmente anche la prima pietra della nuova Stazione centrale di Milano in piazza Andrea Doria (attuale piazza Duca d’Aosta), opera questa che sarebbe poi stata inaugurata appena nel 1931.
Ndr.- Alla data della manifestazione, la Stazione Centrale delle ferrovie, era spostata di circa quattrocento metri più verso il centro città. Costruita nel 1864, si trovava in piazzale Fiume (l’attuale piazza della Repubblica) e, a differenza dell’attuale, non era una stazione di “testa”, ma “passante”.
La manifestazione si svolse fino all’11 novembre, in padiglioni ed edifici appositamente costruiti in due aree distinte: la prima, nel Parco Sempione, l’area verde alle spalle del Castello Sforzesco (destinata prevalentemente ad ospitare gli eventi di interesse artistico e storico): la seconda, in quella che allora era l’area occupata dalla Piazza d’Armi (futura Fiera Campionaria e attuale City Life) in fondo a via Buonarroti, sede dell’esposizione dei trasporti e dei padiglioni dedicati all’industria.
Collegamento fra le due aree espositive
Queste due aree erano fra loro collegate da una ferrovia elettrica monofase transitante su una sopraelevata costruita provvisoriamente a 7 metri di altezza e lunga circa 1.350 metri. Si calcola che, durante i sei mesi della Manifestazione internazionale, trasportò ben 6 milioni di passeggeri.
ll viadotto era costruito in legno sopra le strade cittadine, e in ferro sul tratto di scavalcamento degli incroci stradali più importanti e della stazione di smistamento. Tutto il percorso era illuminato grazie a 48 lampade ad arco. La linea era a doppio binario, anche se le stazioni contavano un unico binario capolinea per facilitare la salita/discesa dei passeggeri. Pure le due stazioni, costruite interamente in legno, erano riccamente decorate con elementi liberty.
Questa era una vera “chicca”, considerando che al pari dell’elettrificazione di alcune linee tramviarie di Milano, pure quella della ferrovia elettrica, era una recentissima novità. Le corse avevano una frequenza ogni 5 minuti; il costo del biglietto era di 10 centesimi di lira (circa 42 centesimi di € attuali). Era anche un mezzo veloce perché, almeno sulla carta, alla media di 35 km/h, avrebbe coperto il percorso di 1350 m (dall’Arco della Pace sino alla Piazza d’Armi) in soli tre minuti, senza fermate intermedie. In realtà, a causa dell’affollamento, spesso i tempi inevitabilmente si allungavano. Il treno era un convoglio composto da quattro carrozze con 24 posti a sedere ciascuna, con comodi cuscini in velluto rosso.
In un primo momento (quando nel 1902, si era cominciato a prendere in considerazione l’idea dell’evento), l’Esposizione avrebbe dovuto riguardare unicamente il lavoro ed i trasporti: poi si decise di ampliarla anche alle scienze e alle arti, specialmente a quelle applicate all’industria. Fu quindi lanciata una sottoscrizione pubblica, rimborsabile a fine evento, per ottenere quanto prima i fondi necessari, all’avvio dei lavori.
Qualche numero
A pochi giorni dall’inaugurazione, fu tale l’interesse dei milanesi per la manifestazione, che si raggiunse la considerevole cifra di 6 milioni di lire raccolte (oltre 26 milioni di € attuali). Vennero investiti in tutto 13 milioni di lire dell’epoca (circa 55 milioni di € attuali): furono costruiti ben 120 padiglioni, ed un altro centinaio di strutture accessorie. Uno solo di questi è rimasto ancora oggi, a testimoniare quell’evento: l’Acquario Civico (vedi la descrizione di questo padiglione, più avanti).
Alla fine, furono una quarantina le nazioni partecipanti, con 35.000 espositori provenienti un po’ da tutti i continenti: oltre alla presenza di numerose nazioni europee, vi erano significative rappresentanze provenienti dall’Asia, dall’Africa, dalle Americhe. Fra le nazioni maggiormente rappresentate, vi erano l’Austria, l’Ungheria, la Germania, la Francia, la Svizzera, oltre all’Inghilterra, l’Olanda, il Portogallo, la Turchia, l’Egitto, il Canada, la Cina, la Russia e il Giappone. In base ai biglietti venduti, i visitatori furono stimati in più di 5 milioni: un’enormità, se si considerano le strade extraurbane non certo asfaltate, ed i mezzi di comunicazione di allora (niente aerei, ma unicamente carri, diligenze ed ancora piuttosto rare le automobili). Successo di pubblico straniero, indubbiamente attirato dal Bel Paese e dalla sua ottima cucina: in buona parte dovuto ad una efficace campagna pubblicitaria, a cui era preposto un apposito ufficio diretto dall’imprenditore italiano Ernesto Reinach (fondatore della Ernesto Reinach Lubrificanti e proprietario del marchio Oleoblitz). Sua, l’ingegnosa idea di pubblicizzare l’Expo, mettendo in atto già a partire dalla fine del 1905, fra le diverse iniziative sia nazionali che internazionali, quella di far inserire nelle confezioni dei panettoni diretti all’estero, oltre 50mila dischi che reclamizzavano l’evento.
Gli architetti dell’Expo
La sistemazione generale dell’area del Parco Sempione, venne affidata all’architetto Sebastiano Giuseppe Locati (1861 – 1939), mentre quella di Piazza d’Armi, all’amico architetto Giuseppe Sommaruga (1867 – 1917). Si era in pieno periodo liberty.
I padiglioni
Trattandosi di costruzioni provvisorie, cioè destinate ad essere abbattute tutte a fine manifestazione, i vari padiglioni furono realizzati in legno, gesso, graticcio di ferro e tela dipinta. L’unico ad essere costruito diversamente dagli altri, fu invece l’Acquario Civico che, realizzato in cemento armato, mattoni e pietra artificiale, fu il solo padiglione dell’Esposizione a sopravvivere.
Come si accedeva all’Esposizione
L’ingresso principale all’Esposizione era subito dietro il Castello Sforzesco (appena restaurato da Luca Beltrami), in quello che, ai tempi degli Sforza, si chiamava il cosiddetto “Barcho ducale”.
L’ingresso d’onore all’Esposizione si trovava nell’area del Parco Sempione ed era stato predisposto sulla destra dell’immenso piazzale: era stata costruita ad hoc, a chiudere la facciata del padiglione Sempione, una grande piazza ellittica, con due ali curve riccamente decorate e completate ai due estremi, da due cupolette.
L’ingresso all’area della manifestazione riproduceva fedelmente l’entrata alle gallerie del traforo del Sempione (dal versante italiano): al suo interno, un breve tratto di tunnel simulava lo scavo nella roccia con la grande trivella con la quale, fra mille difficoltà, quel tunnel era stato realizzato. A sinistra dell’ingresso principale, si accedeva al Palazzo della retrospettiva dei mezzi di trasporto, mentre a destra, a quello della mostra di piscicoltura e all’acquario con il suo ristorante. Il progetto fu realizzato dall’architetto Sebastiano Locati che assieme, all’architetto Orsino Bongi (1871 – 1921), avevano la direzione tecnico/artistica di tutta l’esposizione. Questa aveva altri due ingressi in Piazza d’Armi: il primo in via Buonarroti, il secondo, a Porta Domodossola.
L’area complessiva occupata era di circa 987mila mq, su cui sorgevano 225 fra padiglioni ed altre strutture di servizio che coprivano circa 248mila mq. Questo era più del doppio di quanto messo a disposizione nell’Esposizione tenutasi a Liegi, l’anno precedente. Mentre il Parco Sempione era dedicato essenzialmente alle mostre d’arte, la Piazza d’Armi prevedeva l’esposizione di tutti gli ultimi ritrovati della tecnologia per quanto riguarda i trasporti stradali, marittimi, ferroviari ed aerei (questi ultimi erano davvero in via ancora embrionale).
Le attrazioni
Fra le due aree, quella del Parco Sempione era essenzialmente devoluta ai divertimenti, alle birrerie ed ai ristoranti. Una delle attrazioni che andava per la maggiore fra i giovani, in quel periodo, era il toboga; per l’occasione, era stato realizzato appositamente un laghetto artificiale; si trattava di una rampa (sistemata sulla sponda del laghetto), dalla quale erano lasciate scivolare delle barche, lungo dei binari, che finivano quindi nello specchio d’acqua. Se, in fase di salita, con barche e passeggeri trainati da un cavo, era possibile godere di uno splendido panorama, la precipitosa discesa verso le acque del laghetto, garantiva certamente grandi emozioni.
Un’altra delle maggiori attrazioni era rappresentata anche dal padiglione dedicato all’Estremo Nord, che permetteva di visitare le regioni dell’Europa Settentrionale (fiordi norvegesi ecc.), stando comodamente seduti in una piccola imbarcazione.
Il Teatro degli Animali, come indicato dallo stesso nome, era un vero e proprio teatrino, con tanto di sipario, che ospitava le esibizioni di famosi domatori dell’epoca e numerosi animali feroci.
Vi era anche uno chalet-cinematografo per laproiezione dei brevissimi filmati di allora [Ndr. – Si era ancora agli albori del cinema muto].
Indimenticabile poi, nei pochi giorni dedicati a Milano nel suo tour italiano, l’esibizione del Wild West Show di Buffalo Bill, con realistiche rappresentazioni di pistolettate, assalti alla diligenza e rodei.
Altre attrazioni di successo, questa volta in Piazza d’Armi, erano quelle riguardanti l’aeronautica. C’era la possibilità di salire, a pagamento, sui palloni aerostatici frenati, esperimentando l’ebbrezza della mongolfiera.
Bisognava indubbiamente avere molto fegato poi, per tentare di far partire l’aerocicloplano Corazza II, in esposizione, realizzato dal padovano Aldo Corazza (1878 – 1964). Era questo un veicolo ultraleggero, senza motore, dotato unicamente di un triciclo che, usando solo la potenza di gambe e piedi, doveva sviluppare la forza di propulsione necessaria al decollo del mezzo e ad un piccolo volo.
Era stato proprio del padovano Aldo Corazza, due anni prima (1904), con un modello simile, il primo volo in assoluto effettuato in Italia, di un mezzo più pesante dell’aria. Era anche presente all’Esposizione l’aeronave “Italia”, primo dirigibile da trasporto italiano della storia, opera di Almerico da Schio (1836 – 1930), pioniere dell’aviazione.
Ndr. – Da non confondere questa aeronave con il famoso dirigibile “Italia” col quale il 13 aprile1928, Umberto Nobile, fece la famosa seconda spedizione polare tutta italiana, missione che avrebbe portato per la prima volta l’uomo a calpestare il ghiaccio del Polo Nord, ma che si risolse in modo disastroso il 25 maggio 1928.
lunghezza 37,78m, peso a vuoto,785kg, capacità di carico 400kg
Innovazioni tecniche
Fra le altre importanti innovazioni tecniche, fu presentata in quell’occasione, la prima radio Marconi, un nuovo sistema per la produzione industriale dell’ossigeno, la prima filovia elettrica, e il faro realizzato dalla filotecnica di Angelo Salmoiraghi.
L’Esposizione del 1906 vide anche il debutto del primo “Automat” in Italia, il ristorante completamente self service, portato a Milano da una ditta tedesca, probabilmente ispirato ai “dispencer” automatici americani fioriti pochi anni prima, oltre oceano.
Non mancavano naturalmente chioschi, bar e ristoranti: alcuni padiglioni stranieri prevedevano la degustazione dei loro prodotti più tipici (frequentatissimo in particolare il padiglione cinese, con il relativo ristorante).
Incendio (forse doloso?)
Il 3 agosto, alle tre e mezza del mattino, nella galleria d’Arte decorativa italiana e ungherese scoppiò un incendio che distrusse diversi edifici e padiglioni. Andò in fumo il settore espositivo delle Industrie Femminili Italiane e fu distrutto il padiglione dell’Architettura. Il padiglione in legno della Veneranda Fabbrica del Duomo, progettato da Gaetano Moretti e che esponeva documenti e opere d’arte (arazzi, disegni, pergamene e libri) relativi alla cattedrale milanese, fu danneggiato dal fuoco. Fu perduto, fra gli altri documenti, il disegno originale della facciata dell’architetto Carlo Buzzi del 7 aprile 1653, che era servito come base per la facciata attuale del Duomo. Andò perduto anche il disegno originale del 1806 della facciata dell’architetto Carlo Amati e dell’abate Giuseppe Zanoja: di entrambi i disegni esistono tuttora riproduzioni fotografiche dell’epoca a dimensione originale. Nel giro di quaranta giorni i locali andati distrutti furono ricostruiti grazie al lavoro dell’ebanista Eugenio Quarti e nuovamente inaugurati alla presenza del re Vittorio Emanuele III. Il 1º ottobre fu anche inaugurata la sezione d’arte decorativa ungherese alla presenza del presidente del Consiglio dei ministri Giovanni Giolitti. [rif. Wikipedia]
La Torre Stigler
Al centro del Parco Sempione, la Torre Stigler, (Stigler è la prima famosa ditta milanese di ascensori in Italia). Tale torre era stata costruita già nel 1894, quale una delle principali attrazioni delle “Esposizioni Riunite” di Milano di quell’anno. Ora, nel 1906, era ancora un ottimo biglietto da visita per l’azienda: era alta 40 metri: era possibile salirvi mediante un ascensore idraulico della portata di 10 persone per ammirare dal terrazzo in cima, il magnifico panorama tutt’intorno.
Vi erano anche diverse attrattive ludiche come giostre varie oltre a diversi chioschi e ristoranti. Tra gli altri padiglioni quello della città di Sanpierdarena, opera dell’architetto Gino Coppedè, il padiglione del Canada, quello della città di Milano, l’originale padiglione Svizzero progettato dall’architetto Guidini.
Con un percorso ferroviario di poco più di 1 km, si passava dall’area espositiva di Parco Sempione, alla stazione di Piazza d’Armi, in fondo a via Buonarroti, piazza che sarebbe poi diventata, nel 1923, la sede della nuova Fiera Campionaria.
Di fronte alla stazione ferroviaria, c’era il grande padiglione della Marina, con sezioni dedicate ai trasporti marittimi e fluviali. Vennero mostrati tutti gli ultimi ritrovati della navigazione, della costruzione navale, dell’oceanografia, degli sport nautici, ma anche della guerra navale, con la presenza della Regia Marina italiana.
La piazza era dominata dall’alto dal grande faro della filo-tecnica di Angelo Salmoiraghi, specializzata nella costruzione di strumenti ottici e di misura. Nel periodo dal 1906 fino agli albori dell’ultima Guerra Mondiale, l’azienda aveva preso il nome di Filotecnica Salmoiraghi e allargando la sua gamma produttiva non più solo agli strumenti topografici, ma anche strumenti per la matematica, il disegno, l’astronomia, la meteorologia, l’idrometria, l’ottica tradizionale, la navigazione marittima e la navigazione aerea. Tutti prodotti questi, che dagli stabilimenti milanesi si diffusero in Italia e all’estero. Salendo sul faro si poteva ammirare tutta l’esposizione dall’alto.
Fra i vari padiglioni, vi era quello della galleria del lavoro, opera degli architetti Bianchi Magnani Rondoni che ospitava le arti grafiche e quelle tessili; quello grande dell’automobilismo e del ciclismo, a fianco della stazione ferroviaria. (Per la cronaca, alla data, l’invenzione del motore a quattro tempi da parte di Carl Benz, aveva solo 12 anni). Sul retro del salone dell’automobilismo, il padiglione della carrozzeria opera degli stessi architetti con le diligenze ormai destinate, nel giro di pochi anni, a scomparire. Dall’altro lato della strada, il padiglione delle arti decorative francesi, più in là sullo sfondo, i padiglioni d’Agraria dell’architetto Bongi che mettevano in mostra i nuovi macchinari che, a poco a poco, avrebbero soppiantato il pesantissimo lavoro manuale dei contadini. Non lontano da lì, un esempio di “fattoria modello” dei F.lli Vittadini, opera dell’architetto Zanoni.
Sull’altro lato dell’esposizione il grande padiglione del Belgio realizzato in stile fiammingo dall’architetto Henry Ways.
Poi la grande mostra ferroviaria dove si poteva ammirare tutto il meglio della produzione mondiale: era forse il padiglione più importante di tutta l’Esposizione, visto che l’esposizione era nata proprio per festeggiare il traforo ferroviario del Sempione; al suo interno il salone d’onore delle Ferrovie dello Stato nazionalizzate proprio l’anno prima, nel 1905
Fra il materiale rotabile ferroviario, vi erano motrici provenienti dai Paesi Bassi, dall’Austria, dalla Germania, dal Belgio e dalla Francia.
Al centro dell’Esposizione, c’era una grande fontana: dappertutto intorno, chioschi, ristoranti, cinema e molti altri padiglioni. I collegamenti fra le strutture, all’interno di questa ampia area, erano assicurati da un curioso “tram a benzina” della Fiat-Diatto.
Fra gli altri padiglioni, c’era quello stradale e quello dell’Ansaldo Armstrong, con una torretta armata di cannoni che destava brutti presagi. Quasi di fronte, il padiglione Terni-Odero, le acciaierie che controllavano la produzione dell’acciaio in Italia. Il padiglione dell’Igiene progettato dall’architetto Bongi permetteva di dimostrare i passi avanti fatti in questo campo.
Altro padiglione interessante, era quello della Previdenza (settore che si occupa delle pensioni e delle assicurazioni per i lavoratori): si trattava allora di un tema nuovo, non esistendo ai tempi una vera e propria forma di previdenza. Vi era una sezione dedicata al mutuo soccorso, alle assicurazioni, agli istituti di credito e di risparmio e ai patronati del lavoro. Su questo tema la Società Umanitaria presentava le proprie realizzazioni sfociate proprio in quell’anno, nella costruzione del Primo quartiere popolare della Società Umanitaria, complesso di edilizia residenziale pubblica costruito in via Solari su progetto dell’architetto Giovanni Broglio.
Per dare un po’ di folclore, vennero anche ricostruite sia una piazza del Cairo dove si potevano incontrare veri e propri dromedari e dove si organizzavano eventi orientali, che un villaggio eritreo con tanto di figuranti,per mostrare ai partecipanti i costumi del Paese che era colonia italiana già dalla seconda metà dell’Ottocento.
Fuori dal perimetro dell’esposizione, vi erano i padiglioni dell’Aeronautica e della Meteorologia con le rimesse dei palloni frenati e dei dirigibili. Eravamo in piena Bell’Epoque: i grandi progressi della tecnica e delle scienze non avevano portato solo, nell’arco di pochissimi anni, innovazioni importantissime come la luce elettrica, la scoperta della radio, dell’automobile, del cinema, della pastorizzazione, dei vaccini, ma anche il desiderio di portare la cultura ed il sapere a più vasti strati della popolazione e di migliorare le condizioni di lavoro degli operai. La società era “pericolosamente” pervasa da un grande ottimismo su quelle che sarebbero state le sorti dell’umanità e sulla possibilità di avere un futuro di pace e di benessere. Nemmeno 10 anni più tardi, tutto questo sarebbe stato, purtroppo, solo un ricordo.
Il padiglione della piscicoltura (l’acquario)
Come già anticipato, pure l’Acquario, era uno dei tanti padiglioni dell’Esposizione. Nell’area di Parco Sempione, all’immediata destra dell’ingresso principale, vi era una sezione dedicata all’acquacoltura, alla pesca, alla fauna acquatica viva e alla conservazione del pescato. Aveva anche il suo ristorante, con pietanze. manco a dirlo, rigorosamente a base di pesce!
Era stato costruito diversamente dagli altri padiglioni: era infatti l’unico, fra le 225 strutture dell’Esposizione, a non essere realizzato in legno, gesso, graticcio di ferro e tela dipinta. Non è escluso che l’idea di un’armatura più solida per questo padiglione fosse dovuta alla necessità di fare sopportare alla struttura, i notevolissimi carichi (in metri cubi d’acqua) per le varie vasche ospitate, cosa che sicuramente una costruzione provvisoria in legno, non sarebbe stata in grado di garantire. Comunque la sua costruzione, a differenza di tutte le altre, era decisamente più solida, fatta cioè per durare nel tempo.
A detta degli esperti in materia, questo di Milano, risulta essere il terzo Acquario più antico d’Europa; il secondo in Italia, dopo quello di Napoli (Stazione zoologica Anton Dohrn – 1872). Il più antico in assoluto (al mondo) è quello di Parigi, costruito nel 1867, e chiamato “Acquario Trocadero”.
Secondo la moda dell’epoca, il padiglione era stato costruito in stile eclettico, e si richiamava, nell’apparato decorativo, al Liberty. Al suo interno, una serie di vasche più o meno grandi, impianti frigoriferi, tubature dell’acqua e pompe varie, permettevano la creazione di un habitat accettabile per la vita della fauna acquatica, perché potesse essere osservata dal pubblico e soprattutto studiata dagli scienziati.
Esternamente, l’edificio era stato decorato, in modo tale da preannunciare ai visitatori la tematica che avrebbe loro offerto all’interno. Tali decorazioni, infatti, rappresentavano animali e piante acquatiche, sia di mare che di acqua dolce, sia nostrani che esotici, a corredo di quanto mostrato nelle numerose vasche, durante l’Esposizione Internazionale.
In facciata, ancora oggi si riconoscono facilmente le decorazioni tipiche di questo stile architettonico, rilievi in cemento con figure di pesci e flora acquatica, opere di Giovanni Chini, scultore celebre ai suoi tempi, per la lavorazione delle pietre artificiali: autore, tra l’altro, anche delle decorazioni esterne dell’attuale Stazione Centrale di Milano. Gli ornati in piastrelle maiolica (a rilievo) con disegni di pesci, crostacei, aragoste, tartarughe, riquadri, fasce policrome erano lavori eseguiti delle maestranze della Richard-Ginori (attiva a Milano con questo nome, sin dal 1896), mentre la statua del giovane Nettuno, protettore delle acque, opera di Oreste Labò (1865 – 1929), sovrasta una fontana con l’acqua che scorga dalle fauci di una testa d’ippopotamo (opera del Chini).
Pare che in occasione dell’Esposizione internazionale di quell’anno, l’edificio ospitasse una sessantina di vasche (contenenti flora e fauna provenienti dagli ecosistemi di tutto il mondo), sistemate lungo una galleria a forma ellittica, rivestita con blocchi stalattiti di pietra artificiale.
Chi ne volle la costruzione
A dire il vero, la costruzione di questo acquario fu fortemente voluta dal nobile Giuseppe Crivelli Serbelloni (1862 – 1918), IX duca di San Gabrio, fondatore della società lombarda per la pesca e l’agricoltura. Egli fu, fra l’altro, pure uno dei principali finanziatori per la costruzione dell’opera, nell’ambito dell’Esposizione internazionale del 1906, ottenendo per questo, una volta conclusa la manifestazione, un diploma di benemerenza da parte del Ministero dell’Agricoltura.
La giustificazione di un Acquario nel contesto di simile kermesse, stava nel fatto che già allora, si era capito che la diminuzione della pescosità di laghi e fiumi lombardi rilevata negli ultimi anni, era dovuta all’aumento dell’inquinamento causato dai nuovi impianti industriali, che scaricavano le loro scorie direttamente nei fiumi. In quest’ottica, l’acquario, inteso come luogo di studio e di ricerca, avrebbe consentito, da parte dei biologi, lo sviluppo di nuove tecniche di piscicoltura, con l’obiettivo di aumentare la pescosità dei corsi d’acqua, rispondendo in tal modo, alla necessità di portare più pesce sulla tavola degli italiani.
Storia
L’Acquario civico di Milano fu progettato dell’architetto Sebastiano Locati (1861 – 1939), autentica celebrità, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, nell’ambito milanese, al pari di Giuseppe Sommaruga, per le sue creazioni in stile eclettico e liberty. Inaugurato ufficialmente il 28 aprile 1906, giorno di apertura dell’Esposizione Internazionale, è ancora oggi considerato uno degli edifici di maggior pregio e significato, del liberty milanese. A fine manifestazione, il Comitato Esecutivo donò la struttura al Comune, che ne è ancora oggi proprietaria. La sua gestione è attualmente affidata al settore Cultura e Spettacolo.
Due anni dopo la sua inaugurazione, nel 1908, l’Acquario Civico venne arricchito dalla costituzione di una Stazione di biologia e di bio-idrologia applicata.
La costruzione presenta, esternamente, una facciata in stile liberty, a forma sobriamente rettangolare chiusa, nella parte posteriore, da un portico semicircolare.
L’Acquario, finita l‘Esposizione Universale, continuò ininterrottamente la sua attività, anche durante la seconda guerra mondiale, fino ai bombardamenti dell’agosto 1943 allorché, colpito dalle bombe anglo-americane, venne notevolmente lesionato. Dopo nove anni di forzata inattività, nel 1952, cominciarono i primi lavori di ricostruzione che, nel 1960, divennero una vera e propria ristrutturazione degli interni e delle vasche, facendo ben poco per la preservazione architettonica dell’edificio.
La ripresa dell’attività
Nel 1960, Menico Torchio prese servizio presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, dopo aver vinto un concorso nazionale per il posto di “Conservatore per i vertebrati inferiori”. Nel 1963 venne distaccato come Dirigente al ricostruito Acquario Civico di Milano, ove provvide alla messa a punto delle apparecchiature zootecniche ed alla realizzazione dei ripopolamenti. ln appena otto mesi di lavoro, riuscì a riaprire l’Acquario al pubblico, ottenendo per questo, l’encomio ufficiale del prof. Giuseppe Cassinis, presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei, allora anche Sindaco di Milano. Appena completati i 4 anni da Conservatore, come richiesti dal Regolamento, nel 1964, vinse il concorso a Vice Direttore del Museo Civico di Storia Naturale, e nel 1968, quello a Direttore dell‘Acquario Civico, nel frattempo divenuto istituto autonomo.
Questi rifondò immediatamente la Stazione Idrobiologica, purtroppo estinta quarant’anni prima, e diede vita alla sua rivista “I Quaderni della Civica Stazione Idrobiologica di Milano”. L’Acquario ricominciò ad essere così operativo, sia dal punto di vista della ricerca scientifica, sia da quello puramente dimostrativo, rivolto al grande pubblico.
Nel febbraio 1988, nuovo Direttore dell’Acquario, divenne il biologo Mauro Mariani, ricercatore presso l’Euratom di Ispra, esperto in malacologia (branca della zoologia che studia i molluschi). Intorno agli anni ’90, si cominciò a percepire la necessità di un ulteriore ammodernamento dello storico edificio e della concreta possibilità di una redistribuzione di tutti gli spazi. Prese dunque il via nel 2003, ad opera degli architetti Piero De Amicis e Luigi Maria Guffanti (con la supervisione scientifica di Mauro Mariani) la ristrutturazione dell’intero edificio che, terminata nella primavera del 2006, consentì di restituire alla città in occasione del centenario della sua prima inaugurazione, questo importante edificio completamente rinnovato.
La ristrutturazione
Il progetto di ristrutturazione iniziato nel 2003 ha portato, oltre al recupero in chiave contemporanea delle qualità architettoniche e decorative dell’originale edificio liberty, alla ristrutturazione completa delle strutture interne dell’Acquario, rendendolo più tecnologicamente avanzato e in grado di offrire al pubblico, un ambiente espositivo ed educativo funzionale, accessibile anche agli utenti disabili.
Al piano terreno si trovano delle aule didattiche per attività con le scuole, alcune sale per ospitare mostre temporanee ed un percorso espositivo rinnovato esteticamente attraverso giochi di volumi, che si sviluppa lungo un perimetro di forma ellittica, unitamente alla possibilità di osservare direttamente gli organismi di alcune vasche con il livello dell’acqua basso, senza l’interposizione del vetro. Al primo piano, si trova invece la biblioteca dell’Acquario (oggi chiusa).
La struttura è circondata da un piccolo giardino a forma di parco pubblico, nel quale oltre ad un percorso botanico d’interesse, si trovano vasche aperte all’esterno con ambienti specifici, (ad esempio, la palude).
Nell’atrio, un’ampia scalinata permette l’accesso al seminterrato dove è stato creato un nuovo spazio con un bar e una libreria.
Percorso scientifico dell’Acquario
Il nuovo percorso espositivo dell’Acquario racconta la storia dell’acqua da quando le precipitazioni atmosferiche confluiscono in un torrente montano fino ad arrivare al mare, attraverso i principali ambienti che via via, si formano lungo il percorso. Dieci sono le vasche degli ambienti d’acqua dolce, e dodici sono quelle dedicate agli ambienti marini, di cui due a cielo aperto. Del mare vengono mostrati i principali ambienti della zona infralitorale, circalitorale e pelagica (mare aperto). Gli ambienti ricostruiti sono principalmente italiani e mediterranei, ad eccezione di una vasca (fuori percorso) che ripropone la scogliera madreporica del Mar Rosso, quale esempio di possibile evoluzione, nei prossimi anni, del Mar Mediterraneo, mare fondamentalmente chiuso. Le vasche di ostensione sono distribuite lungo l’ellisse espositiva, ed i visitatori possono decidere se percorrere questo viaggio seguendo la corrente (dell’acqua) o risalendola, andando cioè dalla montagna al mare o viceversa; un maggior dettaglio degli ecosistemi padani d’acqua dolce sono presentati nel giardino esterno. Oltre alle vasche, nelle sale espositive vengono presentati al visitatore, filmati, mostre a tema e percorsi interattivi sui diversi argomenti.
Fra gli ecosistemi riprodotti, sono visibili il
- torrente alpino, caratterizzato da acque decisamente fredde (temperatura inferiore a 10 °C) e ben ossigenate, da un’elevata pendenza e da un fondo di massi e ghiaia grossolana. In un habitat di questo tipo, le specie viventi si trovano frequentemente sotto i sassi e hanno caratteristiche morfologiche che consentono la vita di organismi di dimensioni ridotte, dal corpo piatto (planarie, larve di insetti) permettono di restare protetti fra le fessure o sotto i sassi, in presenza di elevata corrente e bassa temperatura. Vi è poi il
- lago d’alta quota, di ridotte dimensioni. All’uscita dal lago, il fiume si trasforma in
- fiume montano ove il corso d’acqua si allarga diventando più profondo: la pendenza si riduce notevolmente e diminuisce la velocità della corrente. Qui dominano le alghe e i muschi acquatici e, nelle zone riparate dalla corrente dove il fondo è sabbioso, compaiono le prime piante acquatiche. Il temolo è un pesce presente particolarmente in questo tratto idrico, facilmente riconoscibile, che condivide questo ambiente col gobione e la trota marmorata. Tra la vegetazione acquatica trovano rifugio e nutrimento numerosi molluschi gasteropodi e crostacei. Il gambero di fiume, caratteristico di questo ambiente, è ormai molto raro a causa dell’inquinamento e dell’introduzione di specie più resistenti. Arrivato ai piedi dei monti, Il
- fiume pedemontano aumenta di ampiezza, si riduce ulteriormente la pendenza rispetto ai tratti precedenti e la corrente rallenta. La temperatura dell’acqua subisce notevoli variazioni stagionali e può raggiungere i 20 °C. L’acqua, limpida e ossigenata, scorre su un fondo di ghiaia e sabbia grossolana. Accanto a muschi ed alghe filamentose troviamo piante acquatiche come il ranuncolo fluitante, i millefoglie, la brasca comune e la peste d’acqua comune. Il barbo è la specie più comune in questo tratto di fiume, pesce che ha la caratteristica di riposare durante il giorno e al tramonto si impegna a “setacciare” il fondo del fiume coi propri bargigli (organi sensori) per individuare le prede nascoste. Infine il
- fiume in pianura, con la presenza delle carpe e dei lucci. Si arriva quindi alla
- foce, area dove il fiume si getta nel mare sotto forma di delta o di estuario, area questa dove si ha il rimescolamento di acque dolci e marine. Il fiume scorre molto lentamente su un fondo genericamente sabbioso-fangoso. L’ossigeno disciolto è scarso e l’acqua è torbida per la grande quantità di materiale trasportato dal fiume. Fra le anse del fiume vivono organismi d’acqua dolce e marini in grado di sopportare le frequenti variazioni di temperatura e di salinità. La ridotta velocità di corrente permette lo sviluppo del plancton vegetale e animale. Potamogeti e miriofilli formano “foreste subacquee”. Qui infatti vive lo storione che risale dal mare per riprodursi, assieme al cefalo, alla passera di mare e all’anguilla, nella fase giovanile.
Fra le altre vasche, ve n’è una in cui viene presentato l’ambiente del lago di Como (Lario), preso ad esempio per rappresentare un grande lago lombardo. In un’altra, vi sono le acque salmastre ove viene qui presentato l’ambiente acquatico tipico della laguna. Un’altra ancora, è dedicata interamente al polpo, endemico sulle coste italiane. Esiste infine una sezione ove sono presentati le rogge ed i fontanili ambienti questi, artificiali, che esistono in quanto creati e mantenuti dall’uomo, tipici della Pianura Padana.
Fra le vasche più recenti, ve n’è una che mostra la forte presenza di relitti di imbarcazioni di tutte le epoche all’interno del Mediterraneo. Viene spiegato quanto essi possano essere importanti per la ricerca, cosa rappresentino per l’habitat dei pesci che vivono quel tratto marino e gli eventuali pericoli che possono esservi per la loro presenza. Un’altra vasca ancora illustra la tendenza alla tropicalizzazione del Mediterraneo, un problema decisamente attuale, a cui si sta cercando di trovare soluzione per far fronte all’innalzarsi della temperatura delle acque. Un’altra di queste è il posidonieto, in cui vengono presentate le vaste praterie di posidonia oceanica presenti nel Mediterraneo.
Infine un esempio di scogliera madreporica del Mar Rosso, scogliera marittima dove è forte la presenza delle madrepore. Per la scarsa profondità i limitati scambi d’acqua con l’oceano e l’area geografica arida, il Mar Rosso è considerato un bacino semi-chiuso con una salinità superiore del 10% rispetto a quella degli oceani. I lunghi e ripetuti periodi di isolamento hanno favorito la formazione di molti endemismi. Le scogliere madreporiche, dette anche reef, derivano dall’attività costruttrice dei polipi delle madrepore. I polipi formano grandi colonie composte da centinaia o migliaia di individui comunicanti tra loro che vivono all’interno di calici calcarei secreti da loro stessi. Le madrepore, per riprodursi, hanno bisogno di condizioni particolarmente stabili, acque calde, limpide, a salinità costante e un substrato duro su cui crescere. Il reef, che fornisce cibo e riparo a migliaia di organismi diversi, è un ambiente molto competitivo. I coralli usano cellule urticanti sia per alimentarsi che per conquistare uno spazio, molti molluschi e vermi scavano gallerie nelle madrepore sgretolandole, mentre la stella marina si nutre dei polipi corallini.
La biblioteca specialistica
Nel 2015, probabilmente per il contenimento dei costi del personale, l’Amministrazione comunale ha deciso l’assorbimento della Biblioteca dell’Acquario Civico nel patrimonio della Biblioteca del Museo di Storia Naturale, rinominando quest’ultima, Biblioteca del Museo di Storia Naturale e dell’Acquario Civico di Milano. Questo è il motivo per cui oggi, la consultazione dei documenti è possibile, previa prenotazione presso la sede del Museo di Storia Naturale, ai Giardini di Porta Venezia.
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Note
Come arrivare
Indirizzo
Acquario e Civica Stazione Idrobiologica di Milano, Viale Gerolamo Gadio 2 – 20121 Milano
Come raggiungere l’Acquario
Autobus: 57
Metropolitana: M2 (Linea Verde) fermata Lanza
Tram: 2-4-12-14 fermata Lanza M2
Biglietti
Biglietto Intero € 5,00
Biglietto Ridotto € 3,00
Ingresso gratuito:
• Funzionari delle Soprintendenze Statali e organi periferici del Ministero
• Giornalisti e studiosi accreditati con permesso della Direzione del Museo
• Cittadini fino ai 18 anni di età e studenti delle scuole superiori
• Insegnanti e accompagnatori di scolaresche (max. 4 per classe)
• Membri dell’ICOM
• Portatori di handicap e un accompagnatore
• Primo e terzo martedì del mese dalle 14.00
. Possessori di carta Abbonamento Musei
Ingresso ridotto:
• Adulti oltre il 65° anno d’età
• Studenti delle Università e delle Accademie di Belle arti
• Dipendenti del Comune di Milano Cittadini comunitari di età compresa tra i 18 e 25 anni e a cittadini non comunitari “a condizione di reciprocità”
Le Mostre ospitate in sede prevedono l’accesso gratuito con biglietto d’ingresso dell’Acquario, salvo diversa indicazione. Gli orari delle mostre, sono gli stessi dell’Acquario.
La prenotazione non è necessaria ma consigliata per evitare attese.
Acquista online: https://museicivicimilano.vivaticket.it/
Orari
Da martedì a domenica dalle ore 10:00 alle ore 17:30, ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura. Chiusura biglietteria ore 16:30.
Chiuso lunedì
Chiusura 25 dicembre, 1 gennaio, 1 maggio
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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