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L’Enrico Toti (S-506)

Premessa

Sono passati già un bel po’ di anni da allora, eppure la memoria di quel 14 agosto 2005, è ancora oggi vivissima, pur avendola io vissuta solo tramite i mezzi d’informazione. Era una domenica mattina, ricordo, ed ero in ferie in montagna, già da una decina di giorni. L’attenzione di tutti i notiziari dei telegiornali Rai e Mediaset di quella giornata, fin dalle prime edizioni del mattino, era polarizzata, con lunghi reportage, sull’incredibile arrivo in centro città (a Milano) dell’Enrico Toti, il sottomarino che, da pochi mesi andato in disarmo, era stato donato già nel 2000, dalla Marina Militare, al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci. Indubbiamente la notizia, assolutamente unica per la sua particolarità, era, per certi versi, davvero affascinante. Era stata naturalmente anticipata dalla stampa già alcuni giorni prima, anche per giustificare alla cittadinanza il previsto avvio di “strani” lavori lungo certe strade a sud della città (tipo l’eliminazione di semafori esistenti, di pali di segnaletica stradale presenti e cose simili. L’interesse per la notizia era tale che, a quanto mi risulti, mai così tanti milanesi hanno deciso di restare in città per ferragosto come quell’anno, per poter seguire di persona, le varie fasi dello storico, incredibile trasporto. In effetti, lo spettacolo era certamente assicurato. Non capita ogni giorno di vedere un “mostro d’acciaio” di quelle dimensioni (oltre 46 metri di lunghezza, quasi 5 di larghezza, più di 4 d’altezza, 458 tonnellate di peso), montato su un giga-carrello (di 62 metri di lunghezza, a 30 assi e 240 ruote) circolare per la città ….. tentando di arrivare nientemeno che in centro!

Per chi conosce un po’ Milano, via Olona (dove si trovano i cancelli dell’ingresso al cortile del Museo delle Scienze e della Tecnologia, destinazione finale del prezioso carico), è il prolungamento di via Carducci, quasi in linea retta, dall’incrocio con via de Amicis, fino a piazza Sant’Agostino. Siamo praticamente a ridosso della cinta muraria della Milano del Trecento, ai tempi dei Visconti. I cancelli del Museo si trovano davvero a due passi sia dalla fermata “Sant’Ambrogio” della metropolitana verde (linea 2), che dalla famosa Pusterla di Sant’Ambrogio dove nel 1385, Gian Galeazzo Visconti tese l’agguato a suo zio Bernabò Visconti, imprigionandolo e usurpando così il potere della Signoria della città.

Per chi fosse interessato all’agguato che il nipote tese allo zio, leggere il seguente articolo:
Bernabò e Gian Galeazzo Visconti

Nulla, meglio di qualche immagine, può rendere l’idea di cosa intenda dire per “vedere circolare per le vie della città, un mostro d’acciaio di simili dimensioni”.

Piazza XXIV Maggio

Il mostro d’acciaio

Il Toti, a dire il vero, era già arrivato in città, la sera dell’11 agosto, proveniente da Cremona, dopo un complicato viaggio di tre giorni, ovviamente via terra. Era stato temporaneamente “posteggiato” in via Toffetti (Quartiere Fatima, vicino al vecchio scalo di Rogoredo), una lunga strada poco frequentata della periferia sud di Milano, in attesa del “via libera” da parte del Comune, una volta completati i lavori straordinari di rimozione temporanea di ostacoli in città, per consentirgli il transito in totale sicurezza, lungo il percorso prestabilito.

Il transito in città di un mezzo così grande e lungo, sarebbe un problema ovunque in Europa, particolarmente da noi, a causa della conformazione delle nostre città, le quali, man mano che ci si avvicina ai centri storici, hanno strade notoriamente sempre più strette. Comprensibilissima quindi la curiosità dei 150.000 milanesi rimasti in città per godersi lo spettacolo fuori programma, nel voler seguire passo per passo, le incredibili manovre per riuscire a portare a destinazione quel carico gigantesco.

Ma prima di continuare sull’argomento trasporto, vediamo di conoscere meglio questo “mostro d’acciaio”, cominciando proprio dal suo nome.

Chi era Enrico Toti?

Tragico a dirlo, ma fu un bersagliere ucciso due volte!

Enrico Toti (Roma, 20 agosto 1882 – Monfalcone, 6 agosto 1916) fu un patriota italiano che combatté nelle file dei bersaglieri ciclisti, durante la prima guerra mondiale. Era un soldato irregolare, non arruolabile in quanto privo di una gamba, persa a causa di un incidente sul lavoro durante la sua attività di meccanico ferroviere, prima dell’inizio del conflitto. Nonostante la sua menomazione, insistette a voler partecipare a varie azioni militari.
LA MORTE
Inviato sul fronte del Carso, il 6 agosto 1916, durante la sesta battaglia dell’Isonzo (che si risolse nella conquista di Gorizia), lanciatosi con il suo reparto all’ attacco della Quota 85 ad est di Monfalcone, venne ferito più volte dai colpi avversari e nonostante questo, continuò a combattere fino alla morte incitando i suoi compagni all’assalto. Aveva solo 33 anni!
Il suo gesto eroico fu immortalato dalla stampa dell’epoca. Leggendaria divenne la copertina della Domenica del Corriere illustrata da Achille Beltrame, che mostrava Enrico Toti in piedi tra le sue truppe, nell’atto di scagliare la propria stampella contro le truppe austriache prima di morire. Con questo suo gesto, egli assurse a simbolo dell’eroismo e del senso di abnegazione del militare italiano.
(LA SECONDA MORTE)
Fu sepolto inizialmente a Monfalcone; poi, essendo lui romano e i suoi genitori di Cassino, il 24 maggio 1922, (era il settimo anniversario dell’entrata in guerra dell’Italia), il feretro venne traslato a Roma, dove ricevette onoranze e funerali solenni. Durante e dopo la cerimonia, nel difficile clima politico e sociale del primo dopoguerra italiano, pochi mesi prima che il fascismo prendesse il potere (…..), nei pressi di Porta San Lorenzo, vi furono sanguinosi scontri fra comunisti ed anarchici da un lato e la Guardia Regia che aveva reso gli onori alla salma, dall’altro. Per inciso, evidentemente in segno di dispregio da parte di qualcuno, durante gli scontri, il feretro fu oggetto di alcuni colpi di arma da fuoco. Dopo le agitazioni di piazza, seguì uno sciopero generale.
ONORIFICENZA
Non essendo inquadrato ufficialmente in una compagine militare a causa della sua disabilità, fu decorato post mortem della Medaglia d’oro al Valore Militare concessa, motu proprio, dal re Vittorio Emanuele III, con la seguente motivazione:

«Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’armi dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone), lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. – Monfalcone, 6 agosto 1916»

E’ un Sommergibile o un sottomarino?

Molto spesso per fare riferimento a un sottomarino come il Toti, si usa impropriamente il termine sommergibile. I due termini sono frequentemente adoperati come sinonimi, ma in realtà non sono la stessa cosa, esprimendo due concetti diversi:

  • Per sommergibile s’intende un’imbarcazione adatta alla navigazione in superficie, che, all’occorrenza, può immergersi, perdendo però in manovrabilità e velocità. Inoltre, non è in grado di operare in immersione, per periodi prolungati.
  • Per sottomarino invece, s’intende un’imbarcazione progettata per navigare principalmente sott’acqua e solo saltuariamente in superficie. La sua velocità in immersione è decisamente superiore a quella in superficie. Questo è dovuto essenzialmente alla forma più affusolata dello scafo in modo da creare minore inerzia all’avanzamento sott’acqua. Inoltre, è in grado di operare in profondità, per periodi prolungati.

Il Toti S-506 è tecnicamente un “sottomarino” (anche se, secondo la denominazione ufficiale, è un “sommergibile”).

Il suo nome rappresenta un primato nella storia della Marina Militare Italiana: infatti è la seconda unità navale intitolata all’eroe della prima guerra mondiale, decorato con la medaglia d’oro al valor militare alla memoria. 

C’era stato un altro Toti prima di questo …. era un sommergibile.

Il primo Enrico Toti aveva prestato servizio nella Regia Marina Italiana, dal 1928 al 1943, durante il secondo conflitto mondiale; pur essendo stato impiegato principalmente come unità di addestramento sommergibilisti (a Pola) e come unità da trasporto di batterie per altri sommergibili, ancora oggi viene ricordato negli annali della Marina Militare, per essere stato l’unico sommergibile italiano ad aver affondato, in azione, un sommergibile nemico: infatti il 15 ottobre 1940, mentre il sommergibile Toti, stava rientrando a Brindisi per un’avaria ai motori, dopo essere riuscito a schivare un siluro lanciatogli dal nemico, contrattaccò, affondando a cannonate, il sommergibile britannico HMS Triad (N53) che aveva tentato di colpirlo, mentre entrambi stavano navigando nelle acque del Mare Ionio.

Il sommergibile Toti della Regia Marina Italiana (1930)

Il Toti S-506

PILLOLE DI STORIA
Nel 1947, persa la Seconda Guerra Mondiale, fra le varie limitazioni e restrizioni imposte a nostro carico dalle clausole del trattato di pace, firmato a Parigi fra l’Italia e le potenze alleate, il 10 febbraio di quell’anno, alla Marina Militare italiana era stato vietato l’acquisto e la sostituzione di navi da battaglia, l’utilizzo e la sperimentazione di unità portaerei, la costruzione di naviglio subacqueo, di motosiluranti e di mezzi d’assalto di qualsiasi tipo. 
Quasi diciotto anni dopo, in seguito alla precaria situazione geopolitica creatasi nel Mediterraneo Orientale e al perdurare della guerra fredda fra Stati Uniti e Russia, alcune delle clausole relative agli armamenti consentiti all’Italia (divenuta nel frattempo partner atlantico), vennero meno e fu permesso alla Marina Militare di dotarsi di un certo numero di piccole navi per il pattugliamento del Mediterraneo, principalmente in funzione anti-sovietica.

Ecco così che, venuto meno il divieto di costruzione di naviglio subacqueo imposto dal trattato di pace, con una sobria cerimonia tenutasi presso l’Italcantieri di Monfalcone (C.R.D.A. – Cantieri Riuniti Dell’Adriatico), l’11 aprile 1965, fu celebrato il taglio della prima lamiera per la realizzazione di un sottomarino, il primo di quattro piccole unità navali gemelle.
Due anni dopo, il 12 marzo 1967, madrina al varo dell’Enrico Toti, una nipote dell’eroico bersagliere ciclista, ebbe l’onore di premere il pulsante per il lancio della fatidica bottiglia di spumante beneaugurante contro la chiglia del sottomarino, facendolo poi scivolare in acqua.
Dopo altri dieci mesi di collaudi e di addestramento del personale, l’unità fu ufficialmente consegnata alla Marina Militare il 22 gennaio 1968.

L’Enrico Toti (distintivo ottico S-506) fu il primo sottomarino a propulsione diesel-elettrica, di una serie di quattro unità dello stesso tipo, costruite in Italia nel dopoguerra. Essendone il capostipite, diede il suo nome alla classe, che fu completata, nell’arco di due anni, dai sottomarini gemelli Dandolo S-513,  Mocenigo S-514 e Bagnolini S-505.

Ndr. – Il distintivo ottico è il segno distintivo dell’unità navale, l’identificativo che si usa per farsi riconoscere nelle comunicazioni usate dalle navi. Esso è  costituito generalmente da una lettera (che identifica la tipologia dell’unità – C per incrociatore, F per fregata, D per cacciatorpediniere ecc.) e una serie di numeri disegnati sullo scafo. E’ denominato anche Pennant number, che significa “numero della bandiera di segnalazione”, perché, in origine, le navi militari avevano una apposita bandiera che identificava il tipo di unità o la flottiglia di appartenenza. Nel caso dei nostri sommergibili o dei sottomarini, essendo evidente dalla forma dello scafo, la loro funzione, non viene specificata la lettera (S che sta per sottomarino) anteposta al numero. Ecco perché, ad esempio il Toti, invece di essere contraddistinto dalla sigla S-506, riporta sulla vela (torretta), solo il numero 506.


La sua base navale di riferimento fu inizialmente La Spezia. In seguito, quando l’Italcantieri di Monfalcone consegnò alla Marina Militare (fra il 1968 e il 1969) anche le altre tre unità della stessa classe, tutte quattro vennero inquadrate nel 2º Gruppo Sommergibili (GRUPSOM2) del Comando Sommergibili, e nel 1971, trasferite alla base navale di Augusta, per essere impiegate come “sentinelle”, sia nel canale di Sicilia, che nel resto del Mediterraneo.

Le caratteristiche del Toti

  • Lunghezza : fuori tutto m 46,2
  • Larghezza : m 4,75
  • Altezza : m 7
  • Velocità : 9,6 nodi in superficie | 14 nodi in immersione
  • Immersione : m 4
  • Apparato motore : 2 FIAT MB 820 Diesel da 1040 CV totali, 1 motore elettrico da 900 CV
  • Velocità : 9,6 nodi in superficie | 14 nodi in immersione
  • Dislocamento : t. 536 in superficie – t. 593 in immersione
  • Quota operativa : m 150
  • Profondità di collaudo : m 300
  • Equipaggio : 4 Ufficiali e 22 Sottufficiali, Sottocapi e marinai comuni
  • Armamento : 4 tubi lanciasiluri da 533 mm a prora per siluri elettrici filoguidati a testa autocercante A184
  • Ultima missione : 1997 ma è rimasto in Marina fino al 30 giugno 1999

L’S-506 e gli altri battelli della classe Toti, erano di dimensioni ridotte, studiati, come già detto, per il pattugliamento nel Mediterraneo. Avendo una lunghezza addirittura pari quasi alla metà di quella dei normali sottomarini e dei sommergibili (anche stranieri), usati durante la Seconda Guerra Mondiale, erano di facile manovrabilità e nel contempo, caratterizzati da sistemi tecnici avanzati per la ricerca del bersaglio. Senza voler scendere troppo in dettagli tecnici, questi sottomarini utilizzavano come armamento, dei siluri elettrici filoguidati con testata autocercante A184, asserviti ad una centrale di lancio elettronica.

Una rara immagine del Toti della Marina Militare, in navigazione in superficie

Il Toti era un’unità classificata “SSK” (Submarine-Submarine Killer), ovvero un sottomarino destinato alla localizzazione, intercettazione ed eventualmente distruzione di altri sottomarini, e in particolare dei grandi sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare, una delle armi maggiormente temute, fra quelle del blocco sovietico. L’armamento era di 4 tubi lanciasiluri prodieri per il lancio di siluri multiruolo antinave-antisommergibile. Avendo quindi compiti di individuazione e di attacco di altre unità subacquee, aveva una buona dotazione di sensori, di sistemi di comunicazione e di guerra elettronica.

Questa classe di mezzi navali segnò una svolta nella storia dell’arma subacquea italiana: le maestranze dell’Italcantieri ove i quattro sottomarini erano stati realizzati, avevano maturato, nel periodo 1944-45, esperienza nella costruzione di alcuni esemplari di U-Boot tedeschi tipo XXI e XXIII, conoscenze che, naturalmente, furono riversate nella progettazione e costruzione dei battelli della classe Toti. Furono ad esempio loro, i primi in Italia ad adottare lo snorkel e vennero dotati pure di tutte le attrezzature e le apparecchiature, che l’esperienza del periodo bellico e la tecnologia postbellica avevano contribuito a migliorare, ottenendo notevoli risultati riguardo alla silenziosità, alla velocità in immersione, all’autonomia alla quota operativa di immersione.

Ndr. – Lo snorkel, (o snorkeling) usato in particolare dai sottomarini a propulsione convenzionale (diesel-elettrica), è un tubo a sezione ellittica, in grado di elevarsi sopra la superficie del mare mentre il battello si trova in immersione a profondità ridotta (generalmente 10–12 m), per garantire l’afflusso d’aria necessario al funzionamento dei motori Diesel per il tempo sufficiente alla ricarica delle batterie e all’aerazione dei locali. Questo consente di ridurre la possibilità che il battello possa essere individuato durante questa fase di particolare vulnerabilità. Dell’impianto, fa anche parte una condotta di scarico, generalmente separata da quella di aspirazione e terminante nella parte poppiera superiore della torretta, con possibilità di essere smistata su uno scarico ancora più basso per la navigazione in superficie. [ rif. – Wikipedia ]

Il sottomarino Bagnolini (stessa classe del Toti) in fase di snorkeling

Per un sottomarino cacciatore come il Toti, era indispensabile disporre di valida strumentazione per poter “vedere” qualunque tipo di ostacolo, possibile bersaglio, durante la navigazione in immersione: disponeva pertanto di un sofisticato dispositivo capace di emettere e ricevere onde ultrasoniche  (impianto eco-goniometrico) per permettere la localizzazione di oggetti subacquei. Questo, che costituiva il “sistema attivo” (meglio conosciuto col nome di sonar), era sistemato entro quel caratteristico bulbo a prora detto “naso”, mentre l’impianto idrofonico, che costituiva il “sistema passivo”, era contenuto nella porzione di perimetro anteriore basso, subito sotto i tubi lanciasiluri del “battello”. L’insieme dei due, con la netta prevalenza nell’uso del sistema passivo su quello attivo, creava l’impianto necessario ad individuare i bersagli.

Il Toti fu essenzialmente impiegato per addestramento e nelle esercitazioni, per simulare attacchi a sommergibili sovietici o a task force del Patto di Varsavia. Non partecipò mai ad azioni belliche effettive, né quindi, affondò mai alcun sottomarino nemico. Partecipò invece a varie esercitazioni navali della NATO. Negli anni Settanta, si mise in evidenza proprio in esercitazioni NATO, dimostrando la validità della strumentazione in dotazione e la sua incredibile silenziosità. Riuscì a penetrare lo schermo di protezione delle unità di scorta di un gruppo da battaglia (nemico) dell’US Navy, simulando l’affondamento della portaerei, per poi, dopo il riuscito “attacco al nemico”, riemergere a fianco della stessa unità “affondata”.

Dopo 27.030 ore di navigazione e 137.000 miglia nautiche navigate, cioè 6 volte il giro del mondo (dati della Marina Militare), completata, nel 1997, l’ultima missione, il 30 giugno 1999, il Toti, ormai obsoleto, fu posto in disarmo (per ultimo rispetto agli altri della sua stessa classe), dopo un trentennio di onorato servizio.

Ndr. – Il miglio nautico o, più precisamente, il miglio nautico internazionale (chiamato anche miglio marino) è una unità di misura di lunghezza equivalente a 1.852 m.
Da questa unità di misura, se ne ricava un’altra, il nodo, che è usata per misurare la velocità (1 nodo è definito come 1 miglio nautico all’ora).

Come era successo per due degli altri tre battelli già andati in disarmo, il “Dandolo” (che era stato donato all’Arsenale di Venezia come “nave museo”), e il “Mocenigo” (che viceversa era conservato nel porto di Augusta), viste le buone condizioni del “Toti“, piuttosto che farlo demolire in Turchia come era già stato previsto per il “Bagnolini“, la Marina Militare pensò nel 2000, di donarlo, come “nave museo”, al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

La donazione a Milano era poi traducibile in realtà?

All’indomani della donazione effettuata dalla Marina al Museo milanese, si pose il problema di come riuscire a far giungere il sottomarino a destinazione. Se il trasferimento del “Dandolo” a Venezia, non aveva presentato difficoltà di alcun tipo, altrettanto non si poteva dire per il “Toti” a Milano. L’impresa, tecnicamente, non era facile, visto che la Lombardia, a parte il Po (quando in condizioni di normale navigabilità), non è attraversata da altri fiumi con portata d’acqua sufficiente alla navigazione in superficie, di un mezzo di quel tipo.

Si iniziarono quindi a fare valutazioni e studi tecnici di fattibilità, addirittura simulazioni a computer su come riuscire a realizzare il trasferimento del Toti dalla base navale di Augusta (ove era di stanza), fino alla capitale lombarda. Pareva, in effetti, una mezza follia!

Il suo ultimo incredibile viaggio: Augusta – Milano

Accertata la fattibilità del trasferimento sia via fiume, che via terra, il Toti, trainato dal rimorchiatore d’altura Polifemo, il 5 Aprile 2001, lasciò la base navale siciliana, per il suo ultimo, incredibile viaggio.

Attraversato il Mare Ionio, e doppiato il Capo di Santa Maria di Leuca, il sottomarino al traino del rimorchiatore, risalì lentamente l’Adriatico sino ad arrivare alla foce del Po.

L’Enrico Toti trainato dal rimorchiatore d’altura Polifemo

Percorsi controcorrente altri 300 km sul fiume, dopo una breve sosta nel porticciolo fluviale di Boretto (RE), il convoglio arrivò finalmente il 6 maggio 2001, al porto fluviale di Cremona.

La sosta nel porticciolo fluviale di Boretto (prov. Reggio Emilia)

Era quasi fatta! Mancavano ancora solo un centinaio di chilometri per arrivare a destinazione … si sarebbero rivelati sicuramente i chilometri più duri ed insidiosi perché da lì in avanti, il Toti, come un pesce fuor d’acqua, avrebbe dovuto proseguire il suo viaggio sino a Milano, su gomma, via terra.

A Cremona

Il Toti restò ancorato nel porto fluviale della città lombarda per ben quattro lunghi anni.

Ndr. – Non avendo trovato giustificazioni di sorta, presumo che l’unica spiegazione logica per una sosta così prolungata nel porto fluviale di Cremona, fosse dovuta a problemi burocratici legati all’espletamento delle numerose autorizzazioni necessarie per pater proseguire il viaggio sino a destinazione finale. Si trattava da un lato, di richiedere alla Marina Militare di alleggerire il più possibile il battello per agevolarne il sollevamento dall’acqua oltre che a ridimensionarne l’ingombro effettivo, allo scopo di facilitare il già complesso trasporto su strada; dall’altro, di chiedere l’autorizzazione ai numerosi Comuni interessati perché venisse consentito il transito del trasporto eccezionale lungo le strade di loro pertinenza.

Ultimata la parte burocratica, il lavoro preparatorio al trasporto, fu realizzato fra giugno e luglio 2005, quando al Porto Fluviale di Cremona, arrivarono alcune squadre di palombari/sommozzatori del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori Le Grazie”) della Marina Militare di La Spezia.

Riduzione dell’ingombro

Il lavoro di ridimensionamento più appariscente da loro apportato al Toti fu lo smontaggio della torretta/vela e del bulbo prodiero (“il naso”) del sottomarino che portarono l’ingombro verticale, dagli iniziali 7 metri a poco più di 4 metri.

Lo smontaggio della vela/torretta

Alleggerimento del battello

Il grosso del lavoro però, che, per difficoltà, richiese notevole impegno da parte dei sommozzatori, fu la rimozione della zavorra contenuta sotto la chiglia del battello, operazione questa che, dovendo essere fatta naturalmente in immersione, fu resa difficilissima dalle pessime condizioni di visibilità nelle acque fangose del porto fluviale. Furono asportate dalla carena, diverse decine di tonnellate di “lingotti” di piombo contenuti in contenitori chiusi da pesanti pannelli metallici imbullonati allo scafo. L’alleggerimento dello scafo (eseguito anche mediante l’asporto di parte delle batterie all’interno del battello) fu prerequisito fondamentale per permettere il sollevamento dall’acqua ed il successivo trasporto su strada. Alla fine dei lavori, il peso totale del sottomarino era stato ridotto dalle iniziali 536 a 458 tonnellate.

La fase di sollevamento dall’acqua del Toti, al porto fluviale di Cremona
Il Toti montato sul mega carrello da 30 assi (fatto ad hoc), pronto per la partenza per Milano

Partito finalmente da Cremona l’8 agosto 2005 alle ore 21.00, via terra, attraverso le campagne lombarde, impiegò tre notti per arrivare alle porte di Milano, la sera dell’11 agosto, dopo aver percorso 93 chilometri su un eccezionale giga-carrello (costruito appositamente per questo trasporto). Tenendo presente che l’usuale larghezza delle nostre strade statali è attorno ai 7 metri, e che la larghezza massima del carrello (di norma, non supera i 2,50m, il grosso problema fu rappresentato naturalmente dalla larghezza del carico (4,75 m) che debordava abbondantemente da entrambi i lati del pur largo carrello.

Ndr. – Bisogna considerare che non si trattava soltanto di spostare un mezzo con carico eccezionale preceduto e seguito, come recita il codice della strada, dalle staffette della polizia stradale: il convoglio prevedeva tutta una organizzazione a supporto, pronta ad intervenire in caso di necessità con sei gru di diverso tonnellaggio, mezzi dell’esercito per il trasporto di ponti mobili in ferro, altri per la loro posa temporanea in punti critici del percorso, una compagnia di militari del 2º Reggimento pontieri di Piacenza, tecnici della Marina Militare, senza contare altri mezzi dei trasportatori per gli accessori smontati del Toti, oltre naturalmente numerose pattuglie di polizia stradale.
A Milano poi, al già nutrito convoglio, si sarebbero ancora aggiunti tecnici del Comune di Milano, diversi carri attrezzi per rimozione veicoli, mezzi di pronto intervento dellATM, e varie pattuglie di vigilanza municipale.

A Milano

Entrato a Milano dalla Tangenziale Est, il passaggio del convoglio, in alcuni punti della periferia (via Rogoredo e Piazza Mistral), fu reso possibile, grazie al prezioso lavoro dei pontieri di Piacenza, che montarono dei ponti metallici mobili, in punti in cui la strada, per la presenza di strutture sotterranee, non avrebbe retto il peso del carico. In attesa venissero completati dei lavori di rimozione temporanea di cavi aerei lungo il percorso del sottomarino previsto in città, il convoglio rimase parcheggiato in via Toffetti per un paio di giorni.

La polizia municipale aveva provveduto, già da alcuni giorni, a porre lungo tutte le strade, ove era previsto sarebbe passato il Toti, segnali stradali di divieto di sosta con rimozione certa di tutti i veicoli che la notte fra il 13 ed il 14 non avessero rispettato l’ordinanza. In certi punti del percorso, ritenuti particolarmente “delicati” per il transito del trasporto eccezionale, squadre di tecnici dell’ ATM (Azienda Trasporti Milanesi), previa deviazione delle linee interessate, erano al lavoro per smontare temporaneamente ad alcuni incroci, interi tratti di rete elettrica aerea, dei tram o delle filovie, che usualmente transitavano in quelle strade.

Il Toti “posteggiato” in via Toffetti a Milano

Da via Toffetti a via Olona (7 km)

Avuto l’ok del Comune per il transito in città, per arrecare il minor disturbo possibile alla popolazione, si attese la sera di sabato 13 agosto per la ripartenza del trasporto eccezionale da via Toffetti, prevedendo l’arrivo al Museo, alle 6.30 del mattino successivo: una decina d’ore a disposizione, per fare gli ultimi 7 più difficili chilometri di quel lunghissimo viaggio dalla Sicilia, fino alla destinazione finale di via Olona. Si era scelto di fare quest’operazione proprio la settimana di ferragosto, con traffico, in teoria, nullo o quasi, in modo da essere più liberi di muoversi senza generare grossi problemi alla circolazione stradale.

In quei due giorni di sosta in via Toffetti, a memoria d’uomo, non si era mai vista così tanta gente, quasi in quella via, normalmente deserta, ci fosse una fiera di paese. La notizia dell’arrivo in città del “mostro d’acciaio” era ovviamente dilagata subito e il desiderio di vederlo in anteprima, era naturalmente tanto. Intorno al Toti, c’era un continuo brulicare di curiosi provenienti da ogni dove, increduli ai propri occhi e, nel contempo estasiati per l’eccezionalità dell’evento; un modo festoso, per dare un primo affettuoso benvenuto della città, al nuovo graditissimo ospite.

 Gli ultimi 7 chilometri, in mezzo alla città, furono indubbiamente i più complicati per tutta una serie di ostacoli che finora, durante tutto il viaggio da Augusta non si erano incontrati . Per tutta la notte, man mano che il convoglio procedeva molto lentamente, le varie strade del percorso previsto si animavano di gente chi alle finestre, chi in strada, folle di curiosi in strada a seguire, esaltati ed emozionatissimi, quello storico tragitto.

Il percorso del sottomarino tra le vie di Milano

Ndr. – Per il mega-carrello, “pezzo unico” di 60 metri di lunghezza, appositamente costruito per questo particolarissimo trasporto, essendo scarsissime le possibilità di manovra in città, era stata prevista la possibilità di traino da entrambe le estremità, cosa questa che si rivelò utilissima negli spostamenti in città laddove a causa di ostacoli non rimovibili (spigoli di case ecc) dovendo immettersi in strade perpendicolari al senso di marcia, era necessario fare delle manovre specifiche.

Il percorso di 7 chilometri da via Toffetti a via Olona, era stato studiato nei minimi dettagli cercando naturalmente di minimizzare la necessità di effettuare angoli retti troppo stretti. Il convoglio, transitò lungo via Bonfadini attraversando due passaggi a livello e subito dopo effettuò un primo dietro front invertendo il senso di marcia e viaggiando, quindi, con l’elica in avanti. Proseguì successivamente lungo le vie VarsaviaCadibona, e imboccando a destra il controviale di viale Molise (contromano), svoltò poco oltre a sinistra prendendo via Monte Ortigara e proseguendo quindi lungo le vie Anfossi e Vicenza. All’ingresso in circonvallazione, non riuscendo ad immettersi a sinistra direttamente in viale Regina Margherita, il convoglio svoltò a destra, per alcune decine di metri, verso piazza Cinque Giornate, per poi invertire il senso di marcia (secondo e ultimo dietro front) riprendendo il percorso nuovamente con la prua in avanti, lungo viale Caldarapiazzale Medaglie d’Oroviale Filippetti e viale Beatrice d’Este. L’ultima parte del percorso interessò piazza XXIV Maggioviale D’Annunziopiazzale Cantoreviale Papiniano. Infine, svoltò a destra per piazza Sant’Agostino e proseguendo avanti in via Olona giunse finalmente a destinazione

Lungo tutto il percorso, furono quattro, in totale, i punti critici per cui si dovette ricorrere all’uso dei ponti mobili e delle gru. Escludendo via Rogoredo e piazza Mistral (di cui si è già accennato precedentemente), gli altri due punti critici furono via Anfossi-via Varsavia e viale Gian Galeazzo-via Aurispa. I tecnici che si occuparono del trasporto, decisero di utilizzare una gru da 120 tonnellate più una seconda d’appoggio che si affiancarono alle quattro più piccole (55 tonnellate), per garantire una maggiore sicurezza e soprattutto una maggiore velocità nel montaggio/smontaggio dei ponti mobili e il loro trasporto da un punto all’altro della città.

Lavori eseguiti in città per il passaggio del sottomarino

Rimozione o spostamento Semafori …………………… : 22
Rimozione o spostamento pali illuminazione ……. : 44
Rimozione cavi aerei Atm ………………………………………. : 8 strade-incroci
Rimozione e ricollocazione cordoli in pietra ………. : 790 metri lineari
Disfacimento/rifacimento pavimentazioni stradali : 3.590 metri cubi
Sbarramenti ……………………………………………………………….. : 1.450 metri lineari
Rimozione e posa guard-rail e new jersey …………… : 172 metri lineari
Rimozione e posa segnali stradali ………………………….. : 95

Il Toti in via Olona

Inutile dire che l’arrivo del Toti in via Olona venne sottolineato da un’esplosione di applausi delle migliaia di persone che non avevano voluto perdersi quello spettacolo, nonostante fosse mattino presto. Trovò non solo i cancelli del Museo spalancati in segno di benvenuto, ma addirittura una parte del muro di cinta attiguo era stato preventivamente demolito per agevolarne l’ingresso. Diversamente, data la lunghezza e la mole del Toti, non essendo la strada sufficientemente larga, dal solo cancello non sarebbe mai riuscito ad entrare! Varcato l’ingresso, il sottomarino fu collocato nel cortile di fianco al padiglione del settore ferroviario, vicino a quello navale, con la prua rivolta verso il corpo principale del Museo, e l’elica a poppa, verso l’ingresso di via Olona, esattamente dove si trova oggi. A pochi metri da lì, vi è pure la centrale termoelettrica Regina Margherita del 1895, che fino al 1954, ha operato nel setificio Egidio e Pio Gavazzi di Desio ed ora è in esposizione al Museo.

Nei giorni successivi, il battello fu alloggiato sulle due piastre d’acciaio, posizionate all’altezza del terreno, e ricomposto con la vela/torretta, che precedentemente era stata smontata. Fu pure approntata una scala in ferro per poter accedere in sicurezza all’interno del sottomarino.
L’inaugurazione delle visite al pubblico avvenne in occasione della festa di sant’Ambrogio, patrono della città, il 7 dicembre 2005

Il Toti al Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano
Il sottomarino Toti al Museo di Milano – Sul fondo, il campanile di san Vittore (Foto Maccione)

Al Museo della Scienza e della Tecnologia

L’Enrico Toti, è sicuramente oggi una delle attrazioni di maggior interesse del Museo Nazionale di Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano.
Per chi non soffra di claustrofobia e non abbia disabilità motorie, munito di caschetto, il sottomarino è visitabile, anche con guida, essendo completo sia degli arredi, che della strumentazione di bordo, come se, ancora oggi, fosse perfettamente operativo.

L’interno del battello

Visitando l’interno, indubbiamene colpisce quanto sia ridotto lo spazio vitale, al punto che viene spontaneo chiedersi come si faccia a condividere per settimane, quei locali così angusti con altre 20-25 persone. Poiché la vita sedentaria lì dentro favorisce la tendenza all’obesità, guai ad ingrassare di un chilo ….. non ci si muove più del tutto! Se non vado errato, ad essere troppo grassi o troppo alti …. già a livello di selezione degli equipaggi, i sommergibilisti con simili caratteristiche, venivano automaticamente scartati.
Tutto era studiato al millimetro: un unico corridoio lungo e stretto, naturalmente multiuso, era il cosiddetto “locale vita”, che fungeva ora da sala mensa, ora da postazione di caricamento siluri nei tubi di lancio, ora da camerata con letti “a turno” per l’equipaggio. Naturalmente non erano previsti letti per tutti, vigendo la regola della branda calda (alternata con un collega), con turni di 4 ore di sonno e 4 ore di guardia, in modo da restare sempre vigili e attivi. In taluni casi, i turni rispettavano lo schema 4+8 (sempre con branda calda quindi, con due brande si dormiva in tre. Quel vano-corridoio era una sorta di percorso ad ostacoli con porte stagne da superare e, alle pareti, un incredibile groviglio di tubi, valvole, saracinesche, manometri bussole e quadri di strumentazione varia, ovunque. La cabina del comandante era separata. A dire il vero chiamare quella, cabina, era un termine elegante per non dire … cucina, perché in effetti, era lì che, per non dormire in promiscuità con l’equipaggio, lui aveva la branda, vicino ai fornelli, facendo la guardia alle provviste stipate nella dispensa e nel minuscolo frigorifero di bordo.

Il locale vita: letti estraibili, gli armadietti personali per l’equipaggio, il tavolo da pranzo estraibile, in fondo i tubi lanciasiluri

Una delle altre cose che maggiormente colpiscono l’osservatore, è la presenza in tutto il battello, di un unico minuscolo bagno per tutti. Tenendo presente che l’equipaggio di un sottomarino di questo tipo oscillava di regola fra le 20 e le 30 persone, è abbastanza chiaro che essendo una pura utopia il lavarsi in quelle condizioni, era giocoforza per l’equipaggio, rinunciare all’igiene personale. L’acqua andava centellinata! Non è quindi difficile immaginare quanto dura dovesse essere la vita di bordo anche dal punto di vista puramente olfattivo, già dopo solo alcuni giorni di navigazione in immersione, senza mai poter prendere una boccata d’aria. Lo snorkel (per il ricambio dell’aria) funzionava, ma era comunque insufficiente perché agli sgradevoli odori dell’ambiente “vissuto”, si sommavano gli effluvi provenienti dalla sala motori dove Turiddu e Ianuzzu, i due motori diesel che i membri dell’equipaggio avevano così battezzato, impregnavano di odore di olio e di nafta tutto quel che capitava, dalle lenzuola alle tute, dagli effetti personali al cibo. Per poter vivere in un ambiente simile, bisognava indubbiamente avere uno spirito di adattabilità ben superiore alla più dura vita da campeggio. Un piccolo dettaglio … se durante la navigazione in immersione si avesse avuto desiderio di vedere il cielo, bastava andare in bagno dove qualche burlone aveva disegnato a pennellate la luna e delle stelle.

Certamente la camera di manovra è la parte più interessante da visitare per l’impressionante strumentazione di bordo alle pareti e il periscopio, l’unica “finestra” sul mondo esterno.

Il tavolo da carteggio Foto Maccione
Camera di manovra – il periscopio
una porta stagna
Sala macchine con Turiddu e Ianuzzo

Una delle innovazioni sicuramente apprezzate nei sottomarini di questa serie era ad esempio l’alternanza del colore della luce al neon, bianca di giorno, rossastra di notte, cosa questa che garantiva, ad esempio, all’equipaggio di non perdere il senso del tempo (scambio del giorno con la notte) quando si navigava in immersione per giornate intere. A quanto mi risulta, la navigazione in immersione spesso durava diversi giorni (normalmente non più di una decina) con punte di 20 o 25 giorni in occasioni particolari. Non mancava davvero nulla, nonostante lo spazio fosse ridottissimo: la sala da pranzo allestita vicino ai quattro tubi lanciasiluri, si trasformava rapidamente in camerata con le cuccette per l’equipaggio. Lì, si trovava anche l’armadietto personale di ognuno di loro. Le brande, a vederle oggi, paiono incredibilmente scomode e strette ma, probabilmente allora, quando si era stanchi, già lo stare distesi (anche su una tavola dura, era un riposo. E poi ogni branda aveva anche la sua lucina (che non serviva a nulla, se no a dare un senso di privacy), una vera chicca che nessuno dei precedenti sommergibili poteva vantare.

La cucina

A proposito di cucina, fra l’equipaggio era previsto anche un cuoco, davvero bravissimo a preparare piatti succulenti per tutti, in uno spazio così ridotto. Come facesse, è un autentico mistero!

A quanto pare comunque, i cibi preparati dovevano essere tutti rigorosamente senza aglio, non perché il suo uso nelle pietanze potesse a qualcuno provocare problemi di cattiva digestione o, peggio, di alito sgradevole, ma perché, emanando un odore troppo forte e simile a quello del cloro delle batterie, avrebbe potuto mandare in tilt il sistema d’allarme!

Ndr. –  Le batterie al piombo acido, utilizzate per fare funzionare l’elica del sottomarino, hanno l’abitudine (notoriamente cattiva) di creare cloro gassoso se l’inondazione di acqua di mare raggiunge il loro elettrolita e possono rilasciare da soli idrogeno con rischio di esplosione. Ecco quindi il motivo per cui in presenza di cloro gassoso, si attiva automaticamente il sistema d’allarme.

Note

Per chi non ha mai visto internamente un battello di questo tipo, una visita al Toti è sicuramente un’esperienza “illuminante”, che va “vissuta” di persona perché solo così si possono percepire sensazioni ed impressioni che la sola visione di una fotografia o di un film sul medesimo tema, non riuscirebbero a trasmettere.
A parte la curiosità e l’interesse per la ricca strumentazione di bordo, la visita all’interno del battello consente di “toccar con mano” la quotidianità di una professione “molto dura”, quella del sommergibilista, quasi sconosciuta ai più.

Indirizzo Museo della Scienza e della Tecnologia

Via San Vittore 21 – 20123 Milano
tel. 02 485551

Orari di apertura

martedi’ – venerdi’: 9.30 – 17.00
sabato e festivi: 9.30 – 18.30

Prezzi

Intero: 10,00 € (solo Museo)
Ridotto: 7,50 € (solo Museo)
Acquistando un biglietto aggiuntivo (€ 10,00), è possibile salire a bordo del Toti e vedere il suo interno partecipando a una visita guidata. (Conviene prenotare)

 Accessibilità interno Toti

A partire da 6 anni.
I ragazzi sotto i 14 anni possono entrare solo se accompagnati da un maggiorenne in possesso di biglietto.
La presenza delle barriere architettoniche non consente l’ingresso ai visitatori su sedia a rotelle e con grave disabilità motoria.
La visita è sconsigliata a chi ha difficoltà di permanenza in spazi chiusi ed angusti.
Durante i mesi più caldi dell’anno, le temperature interne potrebbero essere elevate.
Le persone non vedenti possono salire a bordo del sottomarino contattando infototi@museoscienza.it con un anticipo di una settimana in modo da organizzare al meglio la visita.

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