Maria Teresa d’Austria
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Siamo nel Settecento: la stragrande maggioranza degli Stati europei di allora, si rifiutava di accettare l’idea dell’ascesa di una donna ai vertici di una monarchia, a maggior ragione se importante come quella degli Asburgo. Maria Teresa d’Austria fu una grande donna: di indubbio carattere, riuscì, nonostante l’ambiente ostile intorno a lei, a svolgere egregiamente il ruolo che il destino le aveva riservato. Per capire come e perché si trovò nella sua scomoda posizione, mi soffermo a descrivere alcuni momenti salienti della sua vita: fu un periodo di rilevanza storica in cui avviò, nella capitale del suo Impero. una stagione di riforme che vennero estese a tutto il resto dei suoi domini, lasciando, come vedremo, un segno più che tangibile anche a Milano.
Chi era Maria Teresa d’Austria?
Fu terribilmente infausto quel giovedì 13 maggio 1717, per la ventiseienne Elisabetta Cristina di Brunswick Wolfenbuttel (1691 – 1750) quando, al suo secondo parto, al posto del tanto atteso maschietto, che tutta la Corte auspicava, nacque col classico vagito, una femmina che proprio nessuno voleva! L’ingresso in scena di Maria Teresa d’Austria non poteva davvero essere peggiore! Ovviamente non era colpa sua, poverina, ma, a differenza del fratello maggiore, nato nell’aprile dell’anno precedente, per lei non ci furono né salve di cannone, né alcuna festa a palazzo, ma solo accorate annotazioni di ambasciatori sull’infelicità della casata asburgica. Insomma una tristezza infinita Come mai?
Problemi dinastici
Qualche mese prima, il 4 Novembre 1716, Leopoldo, il primogenito di Elisabetta Cristina, era stato trovato morto nella sua culla, a nemmeno sei mesi di vita. Comprensibile quindi il dolore anche di suo padre che, su quel piccino, aveva riposto tutte le aspettative per il futuro della sua dinastia. Gli restava unicamente la speranza che il nascituro fosse un altro maschietto! In effetti, il marito di Cristina era piuttosto blasonato … Imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Napoli come Carlo VI, Arciduca d’Austria, Re di Sicilia, Re di Sardegna, Re d’Ungheria, Re di Boemia, Duca di Milano, Duca di Parma e Piacenza, Re di Spagna e Conte di Barcellona come Carlo III e Duca di Teschen come Carlo I. Comprensibilmente quindi, non voleva che, venendo a mancare lui, di tutti questi titoli, essendo di regola ereditari, potessero fregiarsi altri, che non fossero i suoi figli maschi.
Mentre in Inghilterra, già nel Cinquecento, una donna, Elisabetta Tudor aveva conquistato il potere, diventando regina d’Inghilterra e d’Irlanda (dal 1558 al 1603) col nome di Elisabetta I, nell’area tedesca, l’accesso ai vertici della monarchia, era rimasto sempre precluso al genere femminile, impossibilitato ad assumere qualunque incarico di governo, in virtù di un antico codice, la cosiddetta “lex salica”.
La “lex salica” era una delle prime raccolte di leggi dei regni latino-germanici, il cui contenuto non era ispirato né alla cultura cristiana, né alla precedente cultura antica. Il termine “salico” è relativo ai Franchi Salî, popolo germanico stanziatosi nel 4° sec. d. C. nella valle dell’IJssel (Paesi Bassi).
La “lex salica“, risalente al 503 d.C. e dovuta al re merovingio Clodoveo, fissava per iscritto, norme giuridiche preesistenti, che sino ad allora, erano state tramandate unicamente per via orale.
Con riferimento al diritto successorio, la “lex salica” prevedeva che le figlie non potessero ereditare “le terre saliche” (ma non erano escluse da altri beni, compresi territori non appartenenti a quella regione). Tale disposizione, in alcuni casi “rispolverata” anche dopo essere stata dimenticata per secoli, fu utilizzata anacronisticamente durante dispute per varie successioni al trono, a partire dal XIV secolo, come argomento contrario alla discendenza femminile nelle case regnanti.
CURIOSITA’ : Com’era qui da noi sotto i Savoia?
Per quanto riguarda l’Italia, lo Statuto Albertino del 1848, recita all’articolo II comma due:
“Il trono è ereditario secondo la legge salica“.
È recente (2020) l’annuncio, fonte di numerose polemiche, che Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia Umberto II, e suo figlio Emanuele Filiberto, abbiano abolito la “legge salica”, consentendo anche alle donne, il ruolo di capofamiglia.
Nello specifico, il titolo potrebbe essere assunto ora da Vittoria, primogenita di Emanuele Filiberto, che, al momento, ha soltanto due eredi femmine. Le polemiche seguite a questo annuncio, sorgono, sia all’interno dell’ex casa regnante, che tra studiosi e monarchici.
[rif. – La Legge Salica | La Storia Viva – articolo del 20 gennaio 2020]
Proprio in virtù della “lex salica“, l’imperatore Leopoldo I d’Asburgo (nonno paterno di Maria Teresa), si era sposato per ben tre volte, eliminando, più o meno naturalmente, le prime due mogli, ree, a suo dire, di avergli dato solo dei figli maschi morti alla nascita o subito dopo, oppure delle femmine e quindi, per questo, classificate “infeconde”, dal punto di vista dinastico. La terza moglie poi, Eleonora Maddalena Teresa di Neuburg, appresa la triste fine delle altre due, si era data da fare, dimostrando la sua fertilità esagerata, dando alla luce fra dieci marmocchi, tre maschi, di cui solo due arrivarono all’età adulta: Giuseppe (1678 – 1711) e Carlo (1685 – 1740).
Il 12 Settembre 1703, ancora sotto l’impero di Leopoldo I, i suoi due figli, Giuseppe (25 anni – già sposato e con prole femminile) e Carlo (alla data, 18 anni – ancora celibe), dietro suggerimento del padre, firmarono fra loro un accordo interno, un pactum mutuae successionis, secondo il quale, in caso di estinzione della discendenza maschile, in contrasto con la lex salica, sarebbero subentrate (in ordine di nascita) le figlie di Giuseppe, quali presunte eredi della monarchia Asburgica (Maria Giuseppa, nata nel 1699, Maria Amalia, nel 1701).
Morto, nel 1705, il loro padre Leopoldo, diventò imperatore, il primogenito Giuseppe. Non durò molto: questi infatti, dopo soli cinque anni di regno, nel 1711, contagiato, durante una violenta epidemia di vaiolo, morì , lasciando, all’età di 33 anni, le due figlie femmine. A questo punto subentrò suo fratello Carlo, come nuovo imperatore col nome di Carlo VI. Essendosi sposato con Cristina nel 1708, e non avendo ancora figli con lei, una delle sue prime preoccupazioni, fu proprio la successione al trono. Contando di avere un erede quanto prima (al limite, “cambiando” moglie, imitando suo padre), decise di invalidare ufficialmente la lex salica, emanando il 19 aprile 1713, un decreto imperiale, meglio noto come la “Prammatica Sanzione”, allo scopo di assicurare le regole di successione della monarchia nei suoi Stati.
Ndr. – La “Prammatica Sanzione” stabiliva che, in difetto di una successione maschile, dovessero subentrare nell’ordine:
a) le figlie dello stesso Carlo VI e la loro discendenza;
b) le figlie dell’imperatore Giuseppe I (fratello di Carlo VI, morto nel 1711) e la loro discendenza:
sempre secondo il diritto di primogenitura, in modo da salvare il principio della indivisibilità e dell’unità dei territori sottomessi al dominio asburgico.
La “Prammatica Sanzione” emanata da Carlo VI, ribaltava in sostanza, il pactum mutuae successionis, stipulato col fratello maggiore dieci anni prima, atto secondo il quale, in caso di estinzione della discendenza maschile, le figlie di Giuseppe, avrebbero dovuto prevalere su quelle eventuali di Carlo. Ora, nella sua nuova posizione d’imperatore, Carlo aveva pensato bene di tirar l’acqua al proprio mulino, garantendo alle sue figlie (sempre in assenza di eredi maschi) la linea di successione diretta, e quindi pure l’indivisibilità dei propri domini. Perché questo decreto fosse ritenuto valido, non bastava la firma dell’atto di rinunzia al trono (che lui pretese dalle due nipoti Maria Giuseppa e Maria Amalia), ma era necessario pure l’improbabile riconoscimento di tutti gli altri Stati europei, innescando così la miccia che, alla sua morte, avrebbe inevitabilmente fatto scoppiare la guerra di successione austriaca.
I primi anni di Maria Teresa
La piccola visse i suoi primi anni a Vienna, nel Palazzo imperiale di Hofburg. I suoi genitori le dettero, in quegli anni altre due sorelline, Maria Anna (1718 – 1744) e Maria Amalia (1724 – 1730).
Nonostante Carlo VI avesse cautelato, con la Prammatica Sanzione, la successione alla monarchia, favore delle proprie figlie, la sua ossessione per un nuovo erede maschio che non arrivava, lo rese incredibilmente indifferente nei loro confronti, rifiutando a se stesso l’idea di volerle considerare candidate a succedergli sul trono.
La sua istruzione
Maria Teresa fu affidata a due precettori, (preti gesuiti) che ne curarono la formazione: oltre allo studio del latino, le impartirono lezioni di francese, spagnolo e italiano e di tutte le altre discipline che, all’epoca, si riteneva fossero utili per una donna destinata a frequentare l’ambiente di Corte. Tuttavia, non riuscirono mai a trasmetterle la capacità oratoria dei suoi predecessori, al punto che, probabilmente per dispetto e per provocare le loro reazioni di disappunto, lei aveva preso l’abitudine di parlare e scrivere addirittura in dialetto viennese.
Nonostante Maria Teresa dimostrasse di essere sveglia e intelligente, il fatto che suo padre non volesse considerarla come possibile candidata a succedergli, apparve evidente quando si oppose all’idea che le venissero impartite le nozioni base di economia e di diritto, materie queste ritenute utili solo per chi avrebbe dovuto ricoprire incarichi di governo.
Pare che solo dopo il suo quattordicesimo anno d’età, il padre, con grande magnanimità, le avrebbe permesso di assistere, a titolo conoscitivo, in rigoroso silenzio, al suo fianco, alle riunioni del Consiglio della Corona.
La ricerca di un apparentamento adeguato
Non fu certo Maria Teresa, che, a 6 anni, giocava ancora con le bambole, a pensare, alla sua giovane età, di scegliersi così presto un futuro marito. Allora, nelle alte sfere, erano i genitori a decidere il futuro dei figli, maschi o femmine che fossero. Vi erano sempre interessi politici in gioco, naturalmente. Nel caso specifico, fu ovviamente suo padre Carlo VI, a decidere per lei, cercando un futuro genero, che gli potesse garantire qualche tornaconto personale.
Ndr. – Era questo uno dei retaggi medievali più duri a morire nelle case regnanti. “Lex salica” a parte, l’avere un figlio maschio da accasare, significava, nella maggior parte dei casi, garanzia di acquisizione di nuovi territori portati in dote dalla futura nuora, senza la necessità di spargimento di sangue per conquistarli. Quindi, implicitamente, alleanze e garanzia di non belligeranza (almeno per un po’). Per la figlia femmina la cosa era di regola diversa, (si cedevano propri feudi per darle una dote), ma poi tutto dipendeva dall’importanza della casata. Fin da piccini, i figli, grazie ai patti matrimoniali, servivano quindi ai potenti, come “merce di scambio”, a garanzia della pace o dell’ampliamento della loro area d’influenza … ecco perché le regine o le imperatrici in età fertile, erano sempre incinte!
L’idea di un apparentamento con i potenti Asburgo, attirava i regnanti di mezza Europa. Infatti furono diversi i rampolli blasonati, che si erano proposti come partito matrimoniale per Maria Teresa, ancora piccina.
Ma suo padre, sempre in attesa del tanto desiderato maschio, temporeggiava non volendo prendere in considerazione nessuno di quei possibili partiti finché sua moglie era incinta. Nel 1723, si era fatto avanti il giovane, Leopoldo Clemente (1707 – 1723), erede al trono del Ducato di Lorena, inviato dai suoi genitori a Vienna, col duplice scopo di portare a termine la sua formazione sotto la supervisione di Carlo VI, primo cugino di suo padre (Leopoldo, duca di Lorena), e nel contempo di creare, attraverso un matrimonio combinato con l’arciduchessa Maria Teresa, un’alleanza fra le due casate Asburgo e Lorena. Solo perché glielo aveva chiesto suo cugino, Carlo VI acconsentì che i due ragazzi si frequentassero previo accordo prematrimoniale definito fra i rispettivi genitori; lei 6 anni, lui 16, ma non se ne fece nulla perché quello stesso anno, Leopoldo fu colpito dal vaiolo e morì. I suoi genitori allora, per non perdere l’apparentamento con gli Asburgo, portarono in sostituzione, a Vienna, Francesco Stefano (1708 – 1765), il figlio minore, (di un anno più giovane di Leopoldo). Questi, rifatto fra i rispettivi genitori l’accordo prematrimoniale, completò gli studi insieme a Maria Teresa e fra i due, nonostante la differenza d’età, nacque una vera simpatia.
Maria Teresa, nel fiore dei suoi anni, era di bell’aspetto, gli occhi azzurri, i capelli biondi, il portamento signorile, il sorriso accattivante, sempre elegante, era la classica principessa che tutti avrebbero voluto al loro fianco. Essendo di sana costituzione, probabilmente grazie al fatto di essere frutto di un matrimonio tra “non consanguinei”, non ebbe mai particolari problemi di salute. Estremamente seria e riservata, incline alle arti come la pittura, la musica e la danza, amava cantare, così come tirare con l’arco. Le sarebbe piaciuto anche andare a cavallo ma il padre, temendo che si potesse fare male, glielo impedì sempre.
Il padre alla ricerca di miglior partito per la figlia
Indipendentemente dalle promesse fatte al cugino, Carlo VI considerò altre possibilità per accasare la figlia: pensò di farla sposare a Federico, il principe ereditario di Prussia, in modo da creare un forte Stato tedesco: ma si scontrò con problemi di religione visto che lui era protestante e lei cattolica; in seguito, la promise in moglie a Carlo di Spagna, ma le potenze europee, timorose che un tale matrimonio avrebbe sconvolto gli equilibri del vecchio continente, si opposero e lo costrinsero a rinunciare. Maria Teresa, che nel frattempo era divenuta ottima amica di Francesco Stefano di Lorena, fu assai rallegrata della conclusione negativa di tali negoziati. Alla fine, Carlo VI, cedendo alle pressioni della figlia, si decise di concedere la sua mano proprio a Francesco Stefano. Naturalmente, “do ut des”, come contropartita per averle accordato il permesso di sposarsi col giovane, pretese che lei firmasse la rinuncia al trono in favore del “fratello maschio” che, secondo lui, prima o poi, sarebbe sicuramente arrivato, convinto com’era di restare presto vedovo della moglie “infeconda”, e pronto a risposarsi appena possibile, giustificato in ciò, naturalmente dalla ragion di Stato.
Francesco Stefano di Lorena, succeduto al padre nel 1729, fu il detentore del titolo di duca di Lorena fino al 1737, anno nel quale decise di cedere la Lorena alla Francia (allora sotto Luigi XV) in cambio però della corona del Granducato di Toscana.
lI matrimonio col duca Francesco Stefano di Lorena
Le nozze fra Maria e Stefano si celebrarono a Vienna il 12 febbraio 1736, (19 anni lei, 28 lui). L’amore che Maria Teresa dimostrò nei confronti del marito, fu sincero ed appassionato, anche se non sempre contraccambiato. Fin dal primo momento infatti, lei si rivelò essere tremendamente possessiva e gelosa di lui: riusciva però a tenere ben distinti il suo ruolo di donna, da quello di sovrana, e, in seguito, non permise mai al marito di intromettersi nel suo governo. Lui non se la prese, anzi, le fu sempre grato … venendogli affidati dalla moglie compiti quasi da segretario, gli restava tanto tempo libero per dedicarsi alle donne: ebbe infatti moltissime amanti, pur essendo sempre molto affezionato a Maria Teresa.
Comunque dall’unione tra i due, sarebbero nati, in diciannove anni (fra il 1737 e il 1756), ben sedici figli (nessun gemello), dieci dei quali (quattro maschi e sei femmine) avrebbero raggiunto l’età adulta.
Ndr. – I loro figli sarebbero poi stati, quasi tutti. piazzati in posti strategicamente importanti per la politica dell’Austria. Allora, l”amore e la felicità di coppia, per come le intendiamo oggi, erano ancora una pura utopia: se fra qualcuna di quelle coppie fosse sbocciato poi effettivamente l’amore, sarebbe stato solo un fatto puramente casuale.
Maria Teresa, dopo lunghe trattative, riuscirà a far sposare una delle sue figlie, la quattordicenne Maria Antonietta, al Delfino di Francia, il futuro Luigi XVI. (Entrambi poi verranno ghigliottinati nel 1793, a Parigi, dopo la presa della Bastiglia)
La morte del padre Carlo VI
Il 20 Ottobre 1740, inaspettatamente, all’età di 55 anni appena suonati, fu proprio Carlo VI – che contava seppellire sua moglie, per risposarsi con una più giovane ed aitante – ad andarsene per primo, a causa di un peccatuccio di gola (avvelenamento da funghi della specie Amanita phalloides)!
L’eredità del potere
Così, dall’oggi al domani, in seguito a questo evento, la vita di Maria Teresa fu radicalmente sconvolta: non solo inaspettatamente, all’età di soli 23 anni, si trovò orfana di padre, ma, proprio in virtù della “Prammatica Sanzione“, quel 20 Ottobre 1740, diventò d’ufficio, pure, l’arciduchessa regnante di un impero, (fatto questo, inedito e, per molti, anche scandaloso ed inaccettabile), senza sapere cosa fare e da che parte cominciare! Aveva ereditato, in un solo giorno, le Corone d’Austria, Ungheria e Boemia! Era assolutamente impreparata a quest’evenienza, per il fatto che le mancavano le minime conoscenze per poter governare, cioè proprio quelle nozioni basilari di economia e di diritto, che suo padre non aveva voluto apprendesse, giudicandole inutili per lei, in quanto donna!. E qual impero, doveva ora gestire! Più di mezza Europa, dall’Olanda al Granducato di Toscana, dal Lombardo-Veneto alla Romania, e per giunta, con urgenti problemi per la successione sui possedimenti degli Asburgo, e per quella ad Imperatore del Sacro Romano Impero.
Fosse almeno stata ben vista, e aiutata da qualcuno dei consiglieri di suo padre, ma nemmeno quello! Tutti anzi, proprio perché non la ritenevano adatta, erano pronti a cogliere la sua prima mossa falsa, per scatenare, a suo danno, commenti non certo lusinghieri, basati su pregiudizi nei suoi confronti, sulla sua inettitudine (perché donna), e sulla sua “ovvia” incapacità, essendo nata per fare figli ed essere solo sposa premurosa e compiacente.
Inutile dire che questo fatto, destò molto scalpore in tutte le Cancellerie d’Europa. Maria Teresa ereditò da suo padre uno Stato in enormi difficoltà: con le casse svuotate dalla logorante guerra austro-turca, finita l’anno precedente, fra l’altro, in maniera disastrosa per l’Austria; con un esercito decimato, scoraggiato e militarmente non certo pronto ad un nuovo confronto con nemici potenti come una Francia e una Prussia, che, al pari della Baviera e della Sassonia, non intendevano riconoscere quanto stabilito nella “Prammatica Sanzione” voluta da Carlo VI. Anche diversi alleati della stessa Austria, che davanti all’imperatore ancora vivente, avevano formalmente assunto l’impegno a rispettare quel suo decreto successorio, ora, che lui era morto, si erano tirati indietro, negando alla nuova sovrana, la piena legittimità ad occupare quel trono.
La guerra di successione austriaca
In particolare, Federico II di Prussia, (da sempre nemico degli Asburgo d’Austria, perché detenendo questi ultimi, da secoli, il controllo del Sacro Romano Impero, ostacolavano l’espansionismo prussiano), vide, nell’ascesa di Maria Teresa al trono asburgico, un elemento di debolezza da sfruttare al volo, per espandere i propri domini. Infatti, pochi mesi dopo la proclamazione di Maria Teresa a sovrana, lui invase, senza preavviso, la regione della Slesia, attaccando i domini asburgici; poco dopo, anche Carlo Alberto di Baviera (marito di Maria Amalia, la figlia minore di Giuseppe I), sceso in campo per vendicare la moglie “esautorata” dal trono asburgico, forte del sostegno di Francia e Spagna, capeggiò la coalizione contro l’Austria aiutata dai Savoia, dai Paesi Bassi e, in seguito, pure dall’Inghilterra,. La giovane sovrana, isolata e accerchiata, dovette quindi difendere con la forza, il suo diritto a governare: in questo modo iniziò la logorante Guerra di successione austriaca, che, avendo come causa principale, la contesa intorno ad un trono “occupato illegittimamente”, si manifestò con un conflitto su più fronti che, per ben 8 anni, tenne impegnate militarmente le maggiori potenze europee dell’epoca.
La pace di Aquisgrana
Dopo alterne vicende e nonostante le numerose difficoltà, finalmente, nel 1748, Maria Teresa riuscì a porre fine a questa guerra logorante: la pace siglata ad Aquisgrana, riconobbe, in cambio di alcune cessioni territoriali (fra cui la Slesia a Federico II di Prussia e parte della Lombardia ,ceduta ai Savoia), la piena legittimità a governare alla nuova sovrana e al marito (nel frattempo nominato, sotto la sua egida, imperatore del Sacro Romano Impero). L’Austria confermava definitivamente il proprio dominio sullo Stato milanese che, persa una parte consistente delle sue terre ai confini con lo Stato sabaudo, si allargava a comprendere il ducato di Mantova, accogliendo, per un breve periodo, i ducati di Parma e Piacenza.
Guerra per orgoglio
L’importante risultato conseguito non avrebbe messo, tuttavia, Maria Teresa al riparo da nuovi conflitti, che si sarebbero riaccesi per sua volontà, nel 1756, per altri sette anni proprio nel tentativo di riconquistare la Slesia perduta all’inizio della guerra di successione austriaca, a causa dell’illecita occupazione prussiana di Federico II, da sempre, il maggior antagonista dell’energica sovrana.
Era il 1763, appena finita la guerra dei sette anni:
Maria Teresa, tirando le somme del conflitto, giurò a sé stessa di non farsi mai più trascinare in una guerra del genere.
“Non scordatelo mai …” scrisse a Giuseppe, il maggiore dei suoi figli maschi, ” … è meglio una pace mediocre, che una guerra fortunata“.
E nelle sue note private, annotò come il suo peccato più grande, quello di “aver fatto la guerra per orgoglio”. Peccato questo, che nell’ultimo conflitto con la Prussia, le costò, oltre alle sofferenze, le distruzioni, e il dissesto delle casse dello Stato, la morte di oltre 300.000 soldati austriaci.
Ma torniamo al 1748, al riconoscimento di lei come sovrana legittima.
LA STORIA INSEGNA
Se è vero che nei secoli, la politica ed il potere sono stati, in gran parte, appannaggio del genere maschile, è altrettanto vero che numerose donne, fin dall’antichità, si sono distinte per acume politico e abilità fino a farsi largo in un mondo dominato dagli uomini, riuscendo a scalare le gerarchie sociali fino ad arrivare ai vertici. Basti pensare a personaggi celebri come la regina egizia Cleopatra, o l’imperatrice bizantina Teodora o ancora la regina consorte d’Inghilterra e d’Irlanda Caterina d’Aragona, autentiche protagoniste in epoche differenti, grazie alle loro capacità politiche e di comando.
Altrettanto accadde con Maria Teresa d’Austria, che, nonostante la sua apparente fragilità di donna sempre incinta, seppe farsi ugualmente valere ed apprezzare. Invece di usare i metodi autoritari, inappellabili, spesso scostanti, tipici del potere maschile, lei, da imperatrice, si propose all’attenzione internazionale, in chiave più accomodante, con quella sua “clemenza graziosa”, persino seducente, armi queste, tipicamente femminili, riuscendo ad ottenere gli stessi, se non addirittura migliori risultati.
Il suo operato da Sovrana
L’imperatrice non perse molto tempo a rendersi conto dell’arretratezza in cui versava l’impero che aveva ereditato e delle condizioni disastrose delle finanze dello Stato, dopo così tanti anni di guerra. Nonostante fosse di idee conservatrici, si dedicò ad una intensa opera riformatrice dell’amministrazione pubblica dello Stato, allo scopo di renderlo, un apparato più snello ed efficiente, in grado di competere in ogni campo, con gli altri paesi europei ed in particolare con la Prussia, che, con Federico II, aveva avviato un’analoga opera di modernizzazione del paese.
Nella sua opera riformatrice, Maria Teresa si ispirò all’assolutismo, come modello politico. Del resto a questo modello facevano riferimento quasi tutti gli altri Paesi europei, in quel periodo;
Ndr. – Assolutismo è un regime politico in cui chi regna o chi governa, ha potere assoluto, illimitato.
Età dell’assolutismo è il periodo della storia europea continentale compreso tra il 1660 e d il 1789, che ha, nella sua prima fase (1660 – 1748) come misura di giudizio, la Francia di Luigi XIV, nella seconda (1748 – 1789), detta età dell’assolutismo illuminato, l’Austria di Maria Teresa e Giuseppe II e la Prussia di Federico II.
Carattere essenziale dell’assolutismo è il rafforzamento del potere statale, dal punto di vista anzitutto militare e finanziario: nasce lo Stato burocratico e accentratore, i cui organi dipendono direttamente dal re, sovrapponendosi o facendo scomparire, i precedenti organi di origine feudale; la vecchia aristocrazia feudale si trasforma in nobiltà di casta, priva di forza politica; si formano eserciti nazionali di tipo moderno. Sul piano religioso, il sovrano dello Stato, sottomette a sé le Chiese nazionali.
[rif. – Treccani]
Maria Teresa aveva ereditato una realtà caratterizzata da uno Stato centrale debole, dai numerosi privilegi della nobiltà , ma soprattutto del clero e da una realtà territoriale estremamente variegata con popoli di lingue diverse (tedeschi, magiari, fiamminghi, francesi, italiani, slavi e rumeni) e poteri autonomi, non sempre propensi ad accettare imposizioni da Vienna. Riuscire a rafforzare l’apparato statale, creando l’unità politica e amministrativa, e riducendo drasticamente i privilegi, significava per l’imperatrice, aumentare il proprio potere personale, unitamente a quello dello Stato.
I suoi consiglieri di fiducia
In questo arduo compito, l’imperatrice si avvalse della preziosa collaborazione di tre importanti uomini a lei fedeli, Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, Friedrich Wilhelm Graf von Haugwitz e Gerard van Swieten, tutti molto legati a lei, da uno stretto vincolo di fedeltà. Il primo fu latore di molte riforme nazionali nell’Impero, in qualità di consulente dapprima di Maria Teresa (sotto la quale ebbe ampio potere diventando pure cancelliere) e poi anche di Giuseppe II, Leopoldo II e Francesco II, nonché il primo vero fondatore del Consiglio di Stato austriaco; il secondo, riformò profondamente l’ordinamento amministrativo imperiale e fu il creatore del centralismo statale. Fu cancelliere supremo boemo, primo cancelliere austriaco, e poi, nel 1760, anche ministro degli Interni nel Consiglio di Stato. Il terzo infine fu un medico olandese – che dal 1745, diventò archiatra (cioè medico personale) della Sovrana – che si occupò per conto di Maria Teresa, di politica sanitaria sociale con proposte d’istituzione di Cassa di malattia per i lavoratori, di Ospedali pubblici, d’Istituti per accogliere i trovatelli e di Case di Riposo per gli anziani, ecc.
Le riforme amministrative e fiscali
Viste le necessità urgenti di risanamento delle casse dello Stato, la sua opera riformatrice iniziò dal fisco. Introdusse un nuovo sistema di tassazione, per il quale non c’era più differenza tra cittadini di fronte allo Stato, e tutti erano chiamati a contribuire al tesoro pubblico, in ragione delle loro possibilità. Riuscì ad imporre il pagamento delle tasse pure al clero e alla nobiltà che, fino ad allora, ne erano sempre stati esenti.
Per stabilire il volume delle imposte, venne, per la prima volta, redatto un moderno catasto, che censì i terreni pubblici e privati, garantendo una maggiore equità nella ripartizione dei carichi fiscali.
Vennero espansi e riformati i servizi dell’amministrazione pubblica, riorganizzati e centralizzati gli organi provinciali e comunali, contribuendo a rendere la capitale imperiale una tra le maggiori e più dinamiche città europee del tempo, capace persino di attrarre intellettuali ed artisti, particolarmente in campo musicale grazie a due celebri compositori quali Joseph Haydn e il giovane Wolfgang Amadeus Mozart, facendo fiorire la cultura vicino alla corte imperiale.
Le riforme nell’istruzione
Pur essendo una cattolica convinta, l’imperatrice, non ritenendo corretto che l’istruzione fosse appannaggio esclusivo degli organi ecclesiastici, tolse loro il monopolio dell’insegnamento, decidendo che la formazione del popolo, dovesse spettare allo Stato.
“Il popolo va tolto dall’ignoranza, ad esso va data istruzione al fine di poter migliorare la propria condizione, essere utile a se stesso, allo Stato, alla prosperità della collettività”. Questo, era il suo pensiero.
Nel 1774, nell’ambito della ristrutturazione generale dell’istruzione, attuando nelle scuole un programma di alfabetizzazione e riformando i collegi, con una decisione davvero storica, emanò un decreto che stabiliva, per la prima volta, l’obbligatorietà dell’istruzione dei bambini tra i 6 e i 12 anni. Ciò comportò l’organizzazione di una rete di scuole di vario ordine e grado, che s’iniziò a sviluppare con gradualità, sfruttando anche i numerosi beni incamerati dallo Stato in seguito alla soppressione della Compagnia di Gesù (Gesuiti). Furono anche create Scuole elementari statali e furono migliorate le condizioni di insegnamento. Anche se i risultati non furono immediati, per la prima volta nella storia, venne sancito il principio di una istruzione pubblica e gratuita per tutti.
Se la sua riforma scolastica fu un grande passo in avanti, la riforma dell’università non lo fu altrettanto. Poiché lo Stato aveva bisogno di amministratori, non di scienziati, la libertà di insegnamento fu drasticamente limitata e i liberi pensatori, guardati con sospetto.
Solo la facoltà di medicina, meno soggetta alla censura, riuscì a conquistare fama internazionale.
Il controllo della censura
Sul piano culturale, un altro importante intervento dell’imperatrice, fu quello di sottrarre alla Chiesa i compiti di censura di libri e pubblicazioni varie, ritenendo che fosse solo lo Stato a dover esercitare il controllo sulla libertà d’espressione del popolo. Le idee conservatrici dell’imperatrice, non facilitarono comunque la circolazione delle opinioni o una maggiore libertà di espressione. Durante il suo regno, furono comunque numerose le pubblicazioni di intellettuali messe all’indice, comprese quelle di illuministi come Jean-Jacques Rousseau e François-Marie Arouet (Voltaire), considerate pericolose per l’ordine pubblico. Ciò non toglie che la sua Corte fosse composta di Intellettuali e letterati, che spesso venivano chiamati a prestare servizio per la famiglia imperiale.
Nonostante questo, la grande personalità dell’imperatrice contribuì notevolmente alla sua fama e alla grande approvazione che i suoi sudditi nutrirono sul suo operato.
La riforma della giustizia
Fra le tante riforme, merita menzione particolare quella riguardante la giustizia. Maria Teresa infatti si spese in prima persona in questo campo, impiegando ben quattordici anni (dal 1752 al 1766) nella stesura dettagliata di un codice, (in tedesco) dal nome originale Codex Theresianus, nel quale, in ben ottomila articoli, regolamentava i diritti personali, quelli della Corona e le obbligazioni del regno. Questo codice però non fu mai promulgato perché trovò l’opposizione di alcuni cancellieri che ne criticarono aspramente la forma troppo baroccheggiante. Nel 1771 questo codice fu poi coraggiosamente scartato a favore della costituzione di una commissione legislativa facente capo al cancelliere austriaco Wenzel Anton von Kaunitz-Rietberg, uomo di fiducia dell’imperatrice.
Pur incontrando molte resistenze, riuscì a far abolìre la tortura.
La morte del marito
L’improvvisa morte dell’imperatore Ferdinando Stefano d’Asburgo-Lorena, stroncato da un colpo apoplettico, nella sua carrozza, mentre tornava, assieme al figlio Giuseppe, dal teatro dell’opera, a Innsbruck, la sera del 18 agosto 1765, fu un evento che, dato l’amore che Maria Teresa nutriva per lui, segnò profondamente la Sovrana, al punto da perdere la voglia di vivere e la forza di regnare. Da allora vestì sempre a lutto, rinunciando a ogni gioiello e alla vita pubblica. Anche la sua salute, poco alla volta, andò peggiorando sempre più.
Morto suo padre, il figlio Giuseppe II, all’età di ventiquattro anni, poté assurgere al trono del Sacro Romano Impero. Nello stesso anno venne altresì associato ufficialmente alla madre come co-reggente su tutti gli Stati di collazione arciducale, senza però avere la possibilità di dare spazio alle proprie iniziative di governo.
Ndr. – Collazione è un istituto giuridico per cui chi riceve un’eredità, deve conferire al patrimonio ereditario tutti i beni che gli erano stati donati in vita dal defunto, in modo da dividerli con gli altri coeredi.
In moltissime occasioni Giuseppe aveva manifestato idee completamente opposte a quelle della madre, soprattutto in politica interna, al punto da minacciare l’abdicazione, ma fu comunque soggetto alla predominante figura di Maria Teresa, la quale contribuì ad instradare la sua educazione verso gli ideali dell’illuminismo, che poi saranno la base della sua successiva politica.
Sponsor della “variolizzazione”
Proprio nel 1767, l’anno in cui istituì a Mantova l’Accademia di scienze e belle lettere (oggi Accademia Nazionale Virgiliana), Maria Teresa, allora cinquantenne, fu contagiata dal vaiolo. Si sarebbero dovuti attendere ancora trent’anni prima che nel 1796 Edward Jenner, medico inglese del Gloucestershire, mettesse a punto un vaccino vero contro questo morbo potenzialmente letale. Era stato provato in Inghilterra, in via sperimentale (con un certo successo), un metodo anti-vaiolo chiamato “variolizzazione”.
Questo flagello aveva già colpito duramente la sua famiglia tempo addietro: tre dei suoi figli, erano morti di vaiolo ancora in tenera età, mentre una quarta, sopravvissuta, era rimasta sfigurata in viso al punto da doverla rinchiudere in convento. Quando il vaiolo ritornò colpendo questa volta lei, andando contro il parere sia dei medici di Corte, che quello di diversi accademici e pure della Chiesa, decise di sperimentare su di sé stessa, la terapia immunizzante, facendosi “variolizzare” e ordinando che venissero analogamente immunizzati tutti i suoi figli. Riuscì a superare indenne la malattia, anche se le lasciò qualche risvolto fisico. Sulla scorta di esperienze andate a buon fine in Francia, Gran Bretagna, Olanda e anche in Italia, inaugurò una campagna di variolizzazione pediatrica organizzando al Castello di Schönbrunn una cena per sessantacinque bambini.
Negli anni Sessanta del Diciottesimo secolo, veniva ancora praticata la variolizzazione, un metodo che, attraverso piccoli tagli o scarificando la pelle di polsi, gambe e fronte del paziente, consisteva nel poggiare un pezzo di stoffa imbevuto di pus o imbrattato di croste, materiale prelevato dalle pustole dei malati meno gravi. Si provocava così una malattia lieve per scongiurare l’eventuale infezione, allora, tempo di cicliche e devastanti epidemie, altamente probabile, che avrebbe potuto portare alla morte.
La morte dell’imperatrice
Il 24 Novembre 1780, a seguito delle complicazioni di una polmonite, si spense all’età di 63 anni, dopo quarant’anni di regno, come ultima discendente degli Asburgo, che da quel momento avrebbero avuto il nuovo titolo di Asburgo-Lorena. Sarà il figlio Giuseppe II ad ereditare il trono e a proseguire l’importante opera riformatrice intrapresa dalla madre durante il suo regno.
Maria Teresa venne sepolta a Vienna, nella cripta dei Cappuccini.
Milano ai tempi di Maria Teresa
La città contava allora, circa 130.000 abitanti, distribuiti in alcune migliaia di case, ammassate per la maggior parte, all’interno della Cerchia dei Navigli, ma ancora molto lontana dal raggiungere l’intera area cinta delle mura spagnole. Tutto l’anello compreso fra la Fossa interna dei Navigli ed i bastioni, era costellato da gruppetti di case rustiche e tantissimi orti coltivati. La città vera e propria arrivava ai bastioni, soltanto in corrispondenza delle porte, verso le quali si prolungavano gli antichi corsi che s’irradiavano dal Broletto Nuovo. Il corso più aristocratico era naturalmente quello di Porta Orientale, il fastoso corso delle carrozze (Corso Venezia), fiancheggiato nell’ultimo tratto, dai boschetti cari al Parini. [Ndr.- I Giardini pubblici ricavati demolendo l’antica basilica di San Dionigi e il monastero annesso, sarebbero stati fatti dal Piermarini, dopo la morte di Maria Teresa]. Sicuramente meno signorile era il Corso di Porta Romana e, ancora meno quello di Porta Tosa, fiancheggiati, prima dei Bastioni, dalle umili borgate della Vigentina e della Fontana.
Come sempre, era grande l’animazione in centro, all’ombra dell’eterno cantiere del Duomo, che in quegli anni (1774) vide erigersi la guglia maggiore con la protettrice Madonnina (4,16 metri, l’altezza; 584,800 kg, il peso) modellata dallo scultore Perego ed eseguita in bronzo dall’orefice Bini e tutta coperta d’oro. Pare che il progetto di questa guglia ardita risalisse all’Amadeo contemporaneo di Leonardo e avesse più tardi interessato altri grandi, tra i quali il Bernini: alla fine l’aveva realizzata l’architetto Francesco Croce,
Animavano il centro cittadino, allora come oggi, uomini d’affari, turisti in visita italiani e stranieri, gente comune. Nelle lunghe giornate piovose, i commercianti usavano affollarsi sotto le arcate della Loggia dei Mercanti, o sotto il portico di quella degli Osii, al Broletto Nuovo, mentre il luogo tipico del passeggio era il Coperto del Figini in piazza del Duomo, sul lato sinistro di chi guarda la cattedrale dove, sotto un lungo porticato, si affacciavano le seducenti vetrine dei negozi e i vari caffè.
Il buio della notte, era rotto solo dalle flebili luci delle lampade votive accese davanti ad immagini sacre nelle nicchie agli angoli di qualche strada, oppure dalle lanterne delle rare carrozze che transitavano fra i vicoli. A parte il rischio di finire in acqua avventurandosi di notte nella nebbia lungo le strade che fiancheggiavano i canali, il fatto che pochi si avventurassero per strada a quelle ore, non significa che dopo il calar del sole la gente andasse a dormire: c’era anche vita notturna nei teatri, nei circoli nei salotti, animazione che si protraeva fino all’alba e non solo a carnevale.
Siamo nel Settecento, il secolo della decadenza del sentimento religioso, del rilassamento dei vincoli familiari, dell’esibizione brutale della ricchezza e del lusso in faccia a chi non riesce mettere insieme il pranzo con la cena, della passione sfrenata per il gioco, del cicisbeismo, ma anche il secolo dell’evoluzione culturale, dell’illuminismo riformatore e razionalista, della fondazione dell’Accademia dei Trasformati affiancata nel 1762, dall’Accademia dei Pugni, fatta da giovani aggressivi come i fratelli Pietro e Alessandro Verri o come un Beccaria, un Boscovich, un Lambertenghi, un Frisi e tanti altri redattori del periodico “il Caffé”, destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico italiano.
A Milano, venne impiantato il primo stabilimento pilota di tessitura costruito da uno svizzero, il Tieffen, nel 1703, e rimase a lungo isolato e incontrastato. Dal 1730 in poi cominciarono a farsi avanti i borghesi come i Resnati, i Chiesa, i Clerici i Bianchi, i Kramer ecc. che portarono la produzione milanese dei manufatti di seta a livelli qualitativi di eccellenza in Europa, seguiti a distanza da industrie minori, di concia pelli, costruzioni di carrozze, vetrerie. L’industria metallurgica, all’ora’epoca, era ancora molto indietro a Milano, mentre aveva preso piede sull’asse Bergamo-Brescia.
Le riforme di Maria Teresa a Milano
Il Catasto
Anche se passa sotto il nome di “Catasto Teresiano”, a dire il vero, il nuovo sistema censuario era stato promosso inizialmente da Carlo VI, e da lui avviato ufficialmente già nel 1718, (quando la secondogenita Maria Teresa era appena nata). Pare che a Milano, i rilievi sul territorio fossero stati in gran parte realizzati già tra gli anni 1722 e 1723, ma il complesso lavoro di stesura grafica e di preparazione e correlazione dei registri immobiliari, nel 1733, era rimasto interrotto per diversi anni. Questo, a causa sia dell’ostilità manifestata dalle casate più nobili ed influenti della città (che corrompevano i funzionari adibiti ai rilievi catastali), che del prolungarsi della Guerra di Successione austriaca. Il lavoro era poi ripreso nuovamente nel 1749, a guerra finita, per volontà di Maria Teresa, sotto la guida del giurista fiorentino Pompeo Neri (uno dei protagonisti delle politiche riformiste volute dagli Asburgo-Lorena nel Granducato di Toscana) che, nell’arco di pochi anni, riuscì a portare a termine sia la riforma amministrativa, che quella catastale. Il catasto, approvato con sentenza del 30 dicembre 1757, entrò ufficialmente in vigore dal 1º gennaio 1760, prendendo appunto, il nome di “Catasto Teresiano“.
Implicita conseguenza di questa ciclopica opera di registrazione della proprietà, unitamente all’esigenza di un maggior controllo del territorio, fu, in seguito, la decisione di qualificare ogni singolo lotto di terreno, dando un nome alle vie della città e numerando con la cosiddetta numerazione teresiana, uno per uno, tutti i suoi 5314 edifici censiti (secondo la rilevazione del 1786).
Ndr. – I nomi alle vie e la numerazione alle case, oggi, ci paiono ovvie, al punto che risulta difficile pensare come, fino a nemmeno due secoli fa, si potesse farne a meno. Eppure era così!
Il Monte di Santa Teresa
Istituito nel 1753, su iniziativa del patrizio genovese Giovanni Luca Pallavicini, inviato a Milano nel 1750 da Maria Teresa d’Austria, in qualità di governatore del Ducato, allo scopo di consentire il pagamento regolare degli interessi ai creditori dello Stato, avviando, col tempo. il graduale rimborso del capitale. Il progetto prevedeva che questo nuovo istituto riunisse tutti i crediti dello Stato, precedentemente divisi tra i diversi Monti.
Il Monte di Santa Teresa diventò così uno degli strumenti essenziali che l’amministrazione teresiana prima, e giuseppina poi, utilizzarono per attuare il vasto disegno riformatore.
L’organizzazione del sistema di appalto delle imposte indirette e la conseguente creazione della “ferma” generale fecero infatti emergere un altro grave problema: il debito pubblico. Oberata da pesanti debiti per far fronte alle guerre, la Camera regia necessitava di essere riorganizzata, e la proposta del governatore suggerì lo stesso provvedimento adottato per la “ferma” delle imposte, cioè la concentrazione i debiti in uno stesso organismo, così come si erano concentrati gli appalti; raggruppando in un solo “monte”, i diversi “monti” dei creditori esistenti, al fine di assicurare il pagamento dei creditori, sollevando la camera dal peso dei debiti.
La cultura
La riforma che, come visto, interessò le scuole di ogni ordine e grado, ebbe, quale imprevedibile implicazione sociale, uno spontaneo processo di avvicinamento fra le classi economicamente più forti (nobiltà, patriziato e borghesia); quelle più deboli rimasero comunque escluse da questo riavvicinamento, ma, dal tipico atteggiamento sprezzante, il comportamento da parte dei più abbienti, nei loro confronti, si tramutò spesso in comprensione e a volte, pure in generosità.
Il processo di adeguamento alle nuove norme fu rallentato dal persistere di formalismi tradizionali difficili da sradicare. Ad esempio, mentre l’ingresso alle Scuole Palatine era stato aperto agli studenti borghesi che aspiravano diventare funzionari pubblici, quando l’accesso allo studio aperto a tutti, era diventato una garanzia costituzionale, continuò invece, ancora per diversi anni, a resistere tenacemente la consuetudine di consentire l’ammissione al Collegio dei Giureconsulti, solo a quanti erano in grado di dimostrare l’appartenenza alla più pura nobiltà.
Il Governo austriaco promosse lo sviluppo e la diffusione della cultura favorendo gli intellettuali. Questi parteciparono attivamente anche alla vita pubblica: nel 1764, ad esempio, Pietro Verri fu fatto membro della Giunta per la revisione della “ferma” (appalto delle imposte ai privati) e l’anno successivo, membro del Supremo Consiglio dell’Economia; Gian Rinaldo Carli, già collaboratore de ”il Caffè”, nel 1765 venne incaricato dal Governo Austriaco, di presiedere il Consiglio Economico di Milano.
Le grandi riforme attuate in Lombardia dall’imperatrice Maria Teresa e successivamente, anche da suo figlio Giuseppe II, “toccarono” sia il Palazzo di Brera, che le istituzioni culturali ospitate in esso.
In seguito alla soppressione dell’Ordine dei Gesuiti, nel 1773, il collegio di Brera e tutte le istituzioni annesse, erano passate sotto la giurisdizione statale. Oltre alla biblioteca gesuitica, vi era pure un Orto Botanico per la coltivazione delle piante officinali, ed un Osservatorio Astronomico fondato dall’illustre matematico e astronomo dalmata Ruggero Boscovich, che per anni, da professore, insegnò in quelle aule. Era stato suo, infatti, il progetto della torretta dell’osservatorio.
Maria Teresa, nel 1774, dette incarico all’architetto imperiale Giuseppe Piermarini (allievo emerito del grande Vanvitelli), di ristrutturare il precedente seicentesco palazzo gesuitico di Brera realizzato da Francesco Maria Richini. Il Piermarini, all’epoca, ‘Ispettore Generale delle Fabbriche di Stato in Lombardia’, cominciò dapprima con la ristrutturazione del palazzo, quindi quella dell’ampio cortile ed infine l’apertura del grande portale coronato da un balcone, sopra l’entrata principale.
Una volta completati i lavori di ristrutturazione dell’edificio in stile neoclassico, vennero trasferite nel Palazzo di Brera, secondo il progetto generale di riforma degli istituti d’istruzione cittadini, Le Scuole Palatine del Broletto Nuovo, con tutti i suoi istituti di educazione laica, aperti ai moderni indirizzi tecnico-scientifici, economici e alle Belle Lettere.
Ndr. – Per la cronaca, a Brera, la cattedra di Eloquenza e Belle Lettere era affidata a Giuseppe Parini, mentre quella di Economia, a Cesare Beccaria.
Nel 1776, queste istituzioni culturali furono integrate con l’ampliamento della biblioteca – nucleo iniziale di quella che oggi è la Biblioteca Nazionale Braidense, la cui sede è ancora nell’antico palazzo. Venne istituita l’Accademia di Belle Arti e la Società Patriottica che divenne in seguito l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, col compito di studiare e sperimentare ogni novità in campo agrario e manifatturiero.
Anche se il museo vero e proprio sarebbe stato realizzato successivamente, pare che fu l’abate bolognese Carlo Bianconi, nominato, nel 1778, segretario dell’Accademia, a dare origine alla Pinacoteca di Brera, grazie alla raccolta di un piccolo insieme di dipinti, sculture, disegni, incisioni, e calchi di opere antiche, attinti pure dalla sua collezione privata, da usare come modelli nei corsi di pittura scultura ed incisione per i giovani allievi della scuola.
La città della moda
Se Milano è considerata oggi la città della moda, lo dobbiamo, guarda caso, proprio a Maria Teresa d’Austria! Fu infatti in occasione del matrimonio del suo quattordicesimo figlio, l’arciduca Ferdinando Carlo Antonio con la ventunenne Beatrice d’Este, celebrato in Duomo, a Milano, il 15 Ottobre 1771, che Maria Teresa fece arrivare a Milano le stoffe più pregiate e i migliori sarti dell’Impero. Non era ovviamente solo per occasione della cerimonia: essendo poi Ferdinando nominato Governatore della città, la coppia visse per molti anni a Milano (ove sarebbero nati i loro dieci figli), ed essendo entrambi amanti di teatri e feste, i sarti ebbero, a lungo, modo di sbizzarrirsi a vestire loro e la numerosa nobiltà ed aristocrazia milanese, che frequentava il loro ambiente.
Il decoro urbano
Indubbiamente la presenza a Milano di Ferdinando d’Asburgo-Este, figlio di Maria Teresa e dal 1771, nominato Governatore generale della Lombardia austriaca, contribuì, con varie nuove opere da lui sollecitate, a migliorare notevolmente il decoro urbano della città, affidandosi all’estro dell’architetto Giuseppe Piermarini (1734 – 1808).
A cominciare dal 1769, un Piermarini allora solo venticinquenne, su ordine del conte Carlo Giuseppe di Firmian (governatore generale della Lombardia austriaca) e col beneplacito di Maria Teresa, aveva ristrutturato il Palazzo Arciducale (Palazzo Reale), sua residenza personale. L’anno seguente (1770), sempre da Firmian (su autorizzazione dell’imperatrice), gli era stata commissionata la prima fontana di Milano, la Fontana di Piazza Fontana (lavoro che, a causa di difficoltà allora insormontabili, lo avrebbe tenuto impegnato per più di dodici anni anni). Nel 1776, dopo il devastante incendio (quasi sicuramente doloso), del Regio Ducal Teatro, che si trovava annesso al Palazzo Arciducale, l’arciduca Ferdinando affidò sempre al Piermarini (col beneplacito di sua madre), la costruzione del Teatro alla Scala opera di immenso valore artistico (completato in soli due anni e ultimato nel 1778) e pure quella del Teatro della Cannobiana (inaugurato nel 1779). Ancora opera del Piermarini nel 1777, su richiesta dell’imperatrice Maria Teresa, la costruzione della Villa Reale di Monza, (solo 700 locali, per un totale di 22.000 m²), quale residenza estiva per la corte arciducale del figlio Ferdinando d’Asburgo-Este, (in sostituzione della Villa Alari di Cernusco sul Naviglio che i Conti Alari, dettero loro in affitto per anni ed utilizzata fino a quel momento). Pare che la scelta di Monza fosse dovuta alla salubrità dell’aria e all’amenità del paese, ma che esprimesse anche un forte simbolo di legame tra Vienna e Milano, trovandosi quel luogo, sulla strada per la capitale imperiale. E’ un gioiello di architettura neoclassica, capolavoro del Piermarini.
Conclusione
Il governo “illuminato” di Maria Teresa è ricordato oggi come un periodo ricco di novità, di riforme economiche e sociali, e di grande sviluppo culturale in tutto l’impero, riuscendo nell’intento per la prima volta di limitare il potere soverchiante della Chiesa, cercando così di rinsaldare il predominio dell’autorità statale. Seppe avvalersi di consiglieri di grande spessore dell’epoca dell’illuminismo, che coadiuvarono con lei nella complessa opera di ammodernamento degli apparati di uno Stato costituito da così tanti popoli di lingua e cultura diversi. Promosse largamente i commerci e lo sviluppo delle moderne tecniche di agricoltura, riorganizzò l’esercito imperiale e rafforzò sensibilmente il prestigio internazionale dell’Austria.
Per contro, si dimostrò troppo tradizionalista particolarmente nella politica religiosa, arrivando ad espellere dalle sue terre ebrei e protestanti, avocando a sé il principio della chiesa di Stato e rifiutandosi di riconoscere il pluralismo religioso, motivo per cui, da tanti suoi contemporanei fu criticata.
Ndr. – Incredibile eccezione a questa sua politica di espulsione di ebrei, protestanti ecc., la città di Trieste che nell’Alto Adriatico, era il porto di Vienna. Fondata come porto, nel 1719, dall’imperatore Carlo VI, era anche un porto “franco” (inteso come luogo di transito di merci e quindi non soggetto a dazi doganali) ma anche città “franca” per quanti vi operavano, Per agevolare i commerci, costoro provenendo da ogni dove, quindi con lingua, cultura e religioni diverse, erano liberi di operare in citta, territorio austriaco “franco”,
Altro appunto a suo carico, che, a dire il vero, non le rende molto onore, offuscando in parte quanto di positivo ha fatto per la città, è quello di aver approvato (probabilmente senza rendersene conto), la ristrutturazione affidata, nel 1773, all’architetto Francesco Croce, dell’antichissimo Palazzo della Ragione al Broletto Nuovo (risalente al Duecento, forse il più antico palazzo medioevale della città). Per poterlo utilizzare come archivio della Camera dei Notai, Maria Teresa autorizzò Croce ad elevarlo di un piano consentendogli di dare alla facciata una discutibilissima impronta neoclassica, quasi in dispregio dell’architettura medioevale della costruzione originale sottostante.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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