Skip to main content

Oratorio di San Protaso al Lorenteggio

Premessa

La casetta con tetto a capanna, che si vede in questa foto, si trova all’altezza di via Lorenteggio 31, zona sud-ovest della città.
Per chi proviene dal centro, proseguendo in linea retta oltre la via Vincenzo Foppa, in direzione della periferia, passata piazza Bolivar (sulla circonvallazione esterna), si trova a meno di cento metri dalla piazza stessa. Dal 2015, proprio lì, a ridosso di questa costruzione, c’è un cantiere della metropolitana della Linea blu (M4) che sta in questi giorni ultimando la costruzione di quello che, in gergo tecnico, chiamano ‘manufatto’, cioè l’insieme di servizi complementari come uscite di sicurezza, prese d’aria, impianti idrici, etc. per le gallerie che a 15 o 20 metri sotto il piano stradale, la MM (metropolitana milanese), sta completando, per l’attivazione, a breve, della tratta Solari – San Cristoforo della linea M4 (Linate – San Cristoforo).
Data l’estrema semplicità della costruzione, la sua ridotta dimensione (circa 5 metri di larghezza, 8 metri di lunghezza e 4,5 di altezza nel punto più elevato), nonché la sua strana collocazione in mezzo ad uno spartitraffico, così seminascosta fra i platani, è appariscente al punto, da correre il rischio di passare, quasi del tutto inosservata. Nonostante all’esterno manchi una croce, ebbene questo è l’Oratorio di San Protaso, una chiesetta antichissima, un piccolo, grande gioiello del quartiere Lorenteggio..

Le sue origini

In mancanza di documenti ufficiali, che possano certificare con esattezza la data delle sue origini, appare non semplicissima, la ricostruzione precisa della storia di questa chiesetta.

Commissionata dai Monaci Benedettini della basilica di San Vittore al Corpo, da cui dipendeva,  fu edificata, a quanto confermano gli studiosi, verso l’anno 1000 d.C., presso il sobborgo di Laurentiglio, dove i monaci possedevano un vasto appezzamento di terra. Il borgo, a quei tempi, era uno sparuto insieme di casolari e di cascine in aperta campagna, a qualche chilometro a sud-ovest della Milano medioevale di allora.

Si sarebbe riusciti a definire la datazione delle origini dell’Oratorio, sulla base di un affresco presente nella parte bassa dell’abside: un “velario” tipicamente medievale risalente agli inizi del 1000, quindi coevo o comunque di poco posteriore alla sua costruzione.

Ndr. – La basilica di San Vittore al Corpo, è la grande chiesa di via San Vittore, ubicata nella piazzetta di fianco all’ingresso del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci.

NOTA SU LORENTEGGIO
L’attuale nome Lorenteggio (dato oggi alla via e pure al quartiere), deriverebbe da Laurentilius (o Laurentillus, quale diminutivo del latino Laurenthius), nobile patrizio che, pare, detenesse quel latifondo, in epoca alto-medioevale. Era usanza allora attribuire al possedimento il nome del suo proprietario.
Traccia di questo luogo figurerebbe infatti in un documento dell’anno 1005, in cui si fa riferimento ad una permuta di alcuni fondi ubicati al ‘Laurentiglio’, effettuata da Arnolfo, arcivescovo di Milano, con altri fondi siti ad ‘Ugobaldo’, (l’attuale comune di Uboldo), di proprietà di tale Alerano, abate di San Vittore al Corpo. Per la cronaca, pure ‘Ugobaldo’ era un latifondo che prendeva il nome del suo proprietario, soggetto appartenente ad uno dei rami della potente famiglia Crivelli.

La costruzione di quest’Oratorio, fra campi e marcite, fuori dalle mura medioevali della città, risalirebbe quindi, più o meno, allo stesso periodo in cui venne eretta a Milano, la chiesa del Santo Sepolcro (quella subito dietro la Biblioteca Ambrosiana), sulle rovine del Foro romano.

Era un luogo di culto per i Monaci Benedettini della vicinissima cascina-monastero (dedicato anch’esso a San Protaso) e veniva pure utilizzato dai contadini del luogo, che lavoravano per conto del frati, nelle campagne tutt’intorno.

Cascina-monastero di san Protaso (abbattuta negli anni ’60)

Per inciso, la fotografia qui sopra, del complesso rurale-monastico demolito negli anni ’60 del secolo scorso, pare sia una delle rarissime testimonianze rimaste, del passato di quella cascina. La costruzione che si vede, era probabilmente risalente al Cinquecento o forse al Seicento. Dalla presenza di archi riferibili ad una precedente costruzione, sembra che questo monastero non fosse stato costruito ex-novo sulle rovine di un precedente edificio, ma fosse piuttosto il risultato di una ristrutturazione ed ampliamento di un precedente complesso monastico benedettino databile tra il 1000 e il 1050, e quindi coevo all’Oratorio.
Di fianco alla stradina sterrata per Abbiategrasso, che allora fiancheggiava l’edificio, scorreva un canale per l’irrigazione degli orti lì intorno, canale che attingeva l’acqua dall’Olona, fiume che, allora non ancora interrato, scorreva poco più a nord.

CHI ERA SAN PROTASO?
Sono piuttosto scarse le notizie che lo riguardano. Protaso apparteneva ad una famiglia aristocratica milanese: quella degli Algisi. Fu l’ottavo vescovo di Milano, dal 328 alla sua morte nel 344 d.C., nel periodo in cui era imperatore a Milano, Costante I, quarto figlio maschio dell’imperatore  Costantino I . Il nome Protaso compare su alcuni documenti del 342 e del 343-344, dove figurerebbe aver preso parte al Concilio di Sardica (provincia romana dell’Illirico). Fu martirizzato, e poi sepolto nella basilica di San Vittore al Corpo. La chiesa cattolica lo ricorda nel martirologio romano alla data della sua morte il 24 novembre del 344, con queste parole: «A Milano, san Protasio, vescovo, che difese presso l’imperatore Costante la causa di sant’Atanasio e partecipò al Concilio di Sardica».

Statua lignea del vescovo Protaso presente nel coro del Duomo di Milano

Perfetta orientazione astronomica

Può sembrare strano il fatto che l’Oratorio non sia in linea con l’asse della strada attuale, ma leggermente storto (cioè non esattamente parallelo alle altre case della via). Naturalmente questo non significa nulla, visto che la via Lorenteggio, che vediamo oggi, è stata costruita solo verso la metà del secolo scorso e, non necessariamente doveva essere allineata con questa chiesetta millenaria. Considerando che, fino a soli cento anni fa, come testimoniato dalla foto qui sotto, questo luogo di culto si trovava ancora in aperta campagna, non è difficile immaginare, come tutta la zona dovesse essere mille anni fa. Solo il fatto che l’abbiano costruita in aperta campagna con un orientamento rigorosamente equinoziale, induce a pensare (anche se non vi è alcuna prova ‘certa’), che, al pari di altri monumenti antichi, pure questa costruzione sia sorta allineata sulle fondamenta di un antecedente tempietto pagano dedicato a Giove.

Per ulteriori informazioni sull’orientamento delle chiese antiche leggere la nota al seguente link: Orientazione astronomica delle chiese cristiane

La chiesetta di San Protaso nel 1930


Come ci si può immaginare, le leggende che riguardano queste quattro mura, si sprecano, così come le storie che vi ruotano intorno.

Una chiesetta davvero unica

Senza timore di smentite, fra le centinaia di chiese di Milano, questa ha alcune caratteristiche che la rendono senz’altro unica, battendole tutte. Detiene infatti la palma della più piccola chiesa della città: internamente, compresa l’ampia zona absidale, non arriva a 33mq in tutto [Ndr. – non volevo crederci, li ho misurati personalmente!] A parte l’essere poi millenaria, cioè di origini alto-medioevali (ma questo, per noi italiani, è uno cosa abbastanza comune), ha un altro aspetto singolare: è una delle due uniche chiese della città, priva di campane (l’altra è il Tempio Civico di San Sebastiano in via Torino 28). Ma non è tutto ancora! Ultima sua caratteristica, davvero unica, è quella di essere finita , grazie alle sue dimensioni, sullo spartitraffico di una delle strade più trafficate della periferia sud-ovest di Milano!

Ed è anche decisamente molto più ‘fortunata’ di altre, che finirono male, essendo riuscita a superare indenne, vari tentativi di distruzione nel corso dei secoli passati. Per non parlare dell’ultimo, quello più assurdo dei giorni nostri, in cui, la MM (Metropolitana Milanese) aveva deciso di demolirla, perché nell’ambito della costruzione delle gallerie proprio sotto la via Lorenteggio fra le stazioni Bolivar e Tolstoj per la quarta linea della metropolitana Linea Blu, (M4), aveva previsto proprio in quel punto , come già rigerito sopra, la creazione di un ‘manufatto’ di servizio. La chiesetta è riuscita a salvarsi anche questa volta, forte dell’appoggio e della ferma opposizione degli abitanti del quartiere.

A questo proposito, un piccolo inciso: Paola Barsocchi, la Presidente dell’Associazione Culturale Amici della Chiesetta di San Protaso al Lorenteggio”, che, da anni, si sta occupando della valorizzazione dell’Oratorio, nel 2013, stava raccogliendo materiale per un suo libro sull’argomento, quando, facendo le varie ricerche in tempi non sospetti, scoprì (con comprensibile sgomento) che quel bene non figurava fra quelli tutelati, dalla Soprintendenza alle Belle Arti e Paesaggio, non esistendo (alla data) alcun vincolo architettonico che ne vietasse la distruzione. Ovviamente, con incredibile lungimiranza, si attivò immediatamente per ottenerla. Mettendo in moto le pedine giuste, il documento di concessione del vincolo architettonico arrivò nel febbraio del 2015, a distanza di quasi due anni dalla richiesta. Di lì a breve, partì il cantiere del famoso ‘manufatto’ della MM, di cui nessuno aveva notizia, pur essendo a conoscenza che in profondità avrebbero scavato, con la talpa, (la T.B.M. – tunnel boring machine), le gallerie della nuova linea. Incredibilmente, quel manufatto era stato previsto esattamente nel punto dove attualmente c’è la chiesetta che, nei progetti, doveva, naturalmente, essere demolita. E l’avrebbero sicuramente fatto se, a salvarla in extremis, non ci fosse stato quel documento della Soprintendenza, arrivato giusto in tempo, a fermare quello scempio.
Per la cronaca, il ‘manufatto’ della MM, è stato alla fine realizzato a qualche metro dall’abside dell’Oratorio.

Ndr. – Per la sua tenace caparbietà, un vivo plauso alla Presidente dell’Associazione Culturale Amici della Chiesetta di San Protaso al Lorenteggio”, che, unitamente ad Ascoloren (Associazione Commercianti Lorenteggio), da molti anni, con amore e tanta passione, si sta prendendo cura di questa antica chiesina ‘fuori porta’, cercando di salvaguardarne la storia e la bellezza. Apprezzamento tanto maggiore, avendo personalmente sperimentato in tutt’altro campo, quanto sia difficile per un ‘non addetto ai lavori’ (cioè per chi di regola si occupa di tutt’altro), il ricostruirne la storia, ricercando informazioni negli archivi, e interpretando antichi manoscritti magari in latino o in un italiano comunque arcaico. Indubbiamente il suo, è stato un lavoro certosino, un insieme di ricerche amorevolmente raccolte in un interessante libriccino, che racconta la sua millenaria storia, attraverso sia i documenti trovati negli archivi parrocchiali o in quelli diocesani, che, in tempi molto più recenti, le preziose testimonianze di alcuni vecchi abitanti del quartiere.

I suoi diversi soprannomi

la gesa di lusert

Fra i diversi, amorevoli appellativi affibbiati a questa chiesetta, uno dei più simpatici è senz’altro la gesa di lusert (la chiesa delle lucertole), datole, negli anni ’50, dall’attore teatrale Piero Mazzarella (1928 – 2013). Abitando lì vicino in viale Misurata, lui passava spesso davanti a quell’Oratorio semi-abbandonato, allora in stato di deplorevole degrado, in mezzo a sporcizia e sterpaglie. Un giorno, soffermandosi in prossimità dell’ingresso, era rimasto colpito dall’abitudine delle lucertole di scaldarsi al tiepido sole primaverile, stando immobili sia sui suoi muri, che sul legno di quella porta, a quei tempi sempre aperta, a disposizione di quanti, passando di là, volevano dirvi una preghiera o trovarvi rifugio notturno. Mettendo insieme questi pensieri, le dedicò la seguente poesiola in dialetto milanese:

la gesetta delle bisse

Altro soprannome è ‘la gesetta delle bisse(la chiesetta delle bisce) per via delle bisce d’acqua che si annidavano numerose negli interstizi del canaletto d’irrigazione che fiancheggiava la cappella.

la gesa di lusett

Vi è chi ricorda la chiesetta piena di lumini (lusett) all’interno ma anche all’esterno della stessa, soprattutto di notte. Si trattava di ceri accesi per chiedere una grazia o spesso, messi lì di proposito, perché il piccolo oratorio fosse il punto riferimento per chi rincasava di notte di ritorno dalla città, allo scopo d’individuare a distanza, nel buio più totale, la posizione del borgo, al di là dei campi.

La gesetta del Barbarossa

A volte, si sa, è molto sottile il confine fra leggenda e realtà, specie quando si fa riferimento a periodi remoti, quando cioè i racconti venivano tramandati di padre in figlio, senza nulla di scritto che certificasse l’attendibilità delle notizie.

Secondo alcune ricerche effettuate presso la Civica Raccolta del Castello Sforzesco, l’antico sobborgo del Lorenteggio sarebbe stato teatro, nel 1161, di una aspra battaglia fra i milanesi e Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, nel corso della sua seconda campagna italica, scontro che, dopo la pausa invernale, culminò, nel marzo dell’anno successivo, con l’assedio alla città di Milano e la sua completa distruzione. Le truppe di Federico I di Svevia, in attesa di riprendere i combattimenti dopo il freddo inverno, si acquartierarono per qualche mese in prossimità della cascina-monastero di San Protaso. Pare che il Barbarossa, soggetto notoriamente crudele e feroce ma, a modo suo, credente e di parola, avesse in animo di distruggere la chiesetta accanto al monastero, per rappresaglia contro i contadini del sobborgo, determinati ad opporsi alle sue rigide direttive imperiali.

La leggenda narra che, preso forse da un improbabile briciolo di fede, sia entrato nel piccolo Oratorio che aveva intenzione di far abbattere, per fare un patto col Padreterno; se questi gli avesse concesso la grazia della vittoria contro i milanesi, lui in cambio, (molto generosamente) avrebbe rinunciato a far demolire la chiesetta benedettina. Conosciamo benissimo come poi andarono le cose: nel marzo 1162, Federico di Svevia ottenne una schiacciante vittoria sui milanesi, cosa questa che costò loro la distruzione completa della città. Riconoscente per la grazia ricevuta, mantenne fede alla promessa fatta, risparmiando la chiesetta dalla distruzione. Ecco perché ‘la gesetta del Barbarossa‘ è un altro dei soprannomi di quest‘Oratorio.

Ndr – Leggenda a parte, è comunque indubbio che, a modo suo, doveva essere ‘un timorato di Dio’, se, durante la distruzione della città, il Barbarossa impartì disposizioni precise di non toccare gli antichi luoghi di culto della città. Come si spiegherebbe diversamente, che le chiese più antiche di Milano siano arrivate sino a noi, incredibilmente indenni dalla distruzione indiscriminata? (vedi Sant’Ambrogio, San Sepolcro, San Simpliciano, San Babila, sant’Eustorgio e altre).

Casino di caccia dei Visconti

Impossibile tentare di riconoscere oggi, com’era la zona del Lorenteggio a quei tempi! Sembra che la cascina monastero di San Protaso si trovasse ai bordi (o comunque non lontano) da un fitto boschetto, prediletto terreno di caccia dei Visconti, e che pertanto la costruzione rurale venisse spesso utilizzata dai Signori di Milano, come casino di caccia per le loro attività venatorie. Davanti a sé, la cascina aveva aperta campagna e qualche altro casolare sparpagliato a distanza. L’ampia distesa di terreni, oltre alla presenza di vigne e risaie, era coltivata prevalentemente a gelsi che crescevano rigogliosi grazie al terreno umido dovuto alla presenza in zona di numerose risorgive o comunque di fontanili. Le loro foglie servivano a nutrire i bachi da seta necessari alla produzione dei tessuti e dei broccati nella Milano viscontea e sforzesca. Trame e orditi, in breve, conquistarono i mercati di mezza Europa, proprio grazie a Ludovico Sforza detto il Moro, che, pare, debba il suo soprannome, proprio a questa sua passione serica. Moro infatti, deriverebbe da ‘morus’, il nome dei gelsi i cui frutti per l’appunto, sono more bianche o nere.

Ndr. – Purtroppo, a volerle ricercare, queste cascine, simbolo della secolare tradizione contadina di queste zone, sopravvissute per tanti secoli alla distruzione, oggi, in massima parte non ci sono più, cadute una ad una, sotto i colpi della speculazione edilizia degli anni 70 del secolo scorso, che ha letteralmente cambiato i connotati della zona.

Napoleone al Lorenteggio

Alla fine del Settecento, a conclusione della battaglia di Lodi del 21 maggio 1796, che vide i francesi vittoriosi sugli austriaci, Napoleone ebbe via libera per marciare su Milano. Prima di entrare in città, si accampò con alcune sue guarnigioni, proprio nei pressi del borgo del Lorenteggio, andando ad occupare le varie cascine della zona. Analoga sorte toccò anche alla cascina monastero di San Protaso, che venne naturalmente requisita e riconvertita in caserma per le truppe. E’ molto probabile che, proprio in quel periodo, in seguito alla decisione di Napoleone di abolire quasi tutti gli ordini religiosi, approvando la secolarizzazione di molti beni ecclesiastici ed il trasferimento in mani laicali dei possedimenti della Chiesa, dopo aver cacciato i monaci, da San Protaso, la cascina perse la sua funzione di monastero, diventando a tutti gli effetti, un semplice complesso rurale. Pure l’Oratorio, a due passi da lì, non ebbe miglior sorte: smesso di funzionare da chiesetta, venne ‘ridotta ad uso profano‘ come locale adibito a ‘santabarbara’ (deposito munizioni e polvere da sparo).
Finita nel 1814, la parentesi napoleonica in Italia, la cascina di San Protaso, venne rioccupata dai contadini del posto, ed il piccolo Oratorio, miracolosamente non saltato in aria, venne utilizzato come fienile e deposito di attrezzi da lavoro. Lasciato andare al più completo degrado, nel corso degli anni, non tardò a diventare rifugio di sbandati e di gente senza fissa dimora.

Ndr. – Ridurre ad uso profano non significa sconsacrare, termine quest’ultimo, usato quando nel luogo sacro avvengono fatti di sangue o particolari sacrilegi. Mentre la sconsacrazione comporta una riconsacrazione operata dal vescovo della diocesi di pertinenza, la riduzione ad uso profano è invece solo una dismissione (magari temporanea), per cui non è prevista una riconsacrazione(non essendo mai stata ‘sconsacrata‘).
Nel caso specifico quindi, la chiesetta di San Protaso, pur ridotta per anni ad un uso profano, non è mai stata sconsacrata. Quindi, anche se normalmente il locale continua ad essere adibito a mostre, serate musicali ecc. vi si fanno ancora oggi delle funzioni religiose.

L’Oratorio, covo dei cospiratori

Nel 1820-1821, al pari del famoso laboratorio di scarpe di Anselmo Ronchetti, il calzolaio più noto di Milano, anche questo ‘innocuo’ piccolo Oratorio (allora fuori città), pare fosse un altro dei luoghi prescelti dove si davano convegno, lontani da orecchie indiscrete, i cospiratori contro gli Austriaci, per costruire un’Italia libera dal giogo straniero. Riunioni alle quali presenziavano, fra i vari intellettuali, patrioti come Maroncelli, Silvio Pellico, e di tanto in tanto, anche il Conte Federico Confalonieri, almeno fino a quando uno ad uno, chi prima, chi dopo, non vennero catturati tutti. Condannati a morte, la loro pena fu poi commutata in ergastolo, da scontare nella tetra e umida fortezza dello Spielberg, come ce ne ha lasciato testimonianza diretta Silvio Pellico ne ‘le mie prigioni‘, libro che, quando uscì, fu uno dei best-seller italiani più venduti e letti in Europa.

In realtà, la scelta del luogo non era del tutto casuale, poiché su quell’Oratorio – che, da bene ecclesiastico qual era, in epoca napoleonica, aveva subito, al pari di tanti altri, un processo di secolarizzazione – i conti Scotti vantavano il cosiddetto ius patronatus , avendolo acquistato dal demanio già nel 1812, unitamente alla cascina, ex monastero olivetano.

NOTA
Il giuspatronato [dalla locuzione latina ius patronatus, «diritto di patronato»] è un istituto giuridico esistito in passato che si applicava a un beneficio ecclesiastico. In particolare riguardava la relazione tra il beneficio (un altare, all’interno di una chiesa, o anche un’intera chiesa parrocchiale) e colui (soggetto collettivo o persona fisica), che aveva costituito la dote patrimoniale del beneficio stesso. Con tale diritto, ad esempio, coloro che dotavano un altare o una cappella, disponevano anche del beneficiato. Nel caso di una chiesa, chi ne promuoveva la costruzione, ne diventava automaticamente “patrono” e aveva il diritto di nominare il sacerdote, cui avrebbe assicurato il sostentamento. [ rif. Wikipedia ]

E’ quindi molto probabile che, condividendo le idee dei Carbonari, il nobile Scotti avesse messo a disposizione dei cospiratori quel piccolo Oratorio, e che lui stesso partecipasse attivamente a quelle riunioni segrete. Luogo questo, fra l’altro, molto gradito a tutti, data la presenza, nella chiesetta, dell’effigie di Santa Caterina da Siena cui, sembra, i nobili fossero particolarmente devoti.

L’esistenza di un cunicolo segreto

Appare plausibile in questo contesto di cospirazione, che ci fosse pure un motivo di ordine logistico dietro la scelta del posto per i loro incontri segreti. Si era infatti ipotizzata l’esistenza di un cunicolo sotterraneo segreto, che mettesse in collegamento la chiesetta ‘fuori porta’ con la basilica di san Vittore al Corpo o addirittura col Castello, cunicolo probabilmente realmente esistito ma, a quanto pare, mai effettivamente trovato. Questo, comunque, poteva servire per spostarsi, non visti, da un punto all’altro della città o poteva essere usato come via di fuga, in caso di necessità.
L’esistenza di una botola a pavimento dietro l’altare, nella zona absidale dell’Oratorio, che consentiva l’accesso ad un cunicolo, è confermata con certezza pure dai vecchi abitanti del quartiere ancora oggi viventi, che, da ragazzini, nel primo dopoguerra, giocando allora a fare gli ‘esploratori’, avevano scoperto, nelle loro scorribande in quell’Oratorio sempre aperto, l’esistenza, sotto quella botola, di un passaggio segreto, senza però riuscire a scoprire ove portasse.

Era la classica prova di coraggio: si scendeva con una candela e si faceva a gara a chi andava più lontano. Si lasciava un segno che poteva essere un sasso o un bastoncino per indicare dove si era riusciti ad arrivare vincendo la paura e poi si tornava indietro. Quello che sarebbe sceso dopo, avrebbe dovuto andare più lontano, lasciare il proprio segno, riportando indietro quello di chi lo aveva preceduto, a dimostrazione che effettivamente era andato oltre.

Assodato che il cunicolo c’era effettivamente, anche se non si sa esattamente ove portasse, è comunque certo che permettesse il collegamento diretto con la cascina-monastero attigua al di là della strada, per consentire ai monaci, soprattutto nelle giornate di pioggia, la possibilità di andare tranquillamente a pregare nella loro chiesetta, sfruttando quel passaggio sotterraneo. Non si capisce comunque per quale motivo la botola esistente nella zona absidale della chiesetta, sia stata ‘cancellata’ dopo la penultima ristrutturazione dell’Oratorio, eseguita nel 1960.

Ndr. – Uno di questi ‘allora ragazzini’ è un personaggio noto, l’ing. Tito Samorè, che, ai tempi, abitava proprio in quel quartiere e che, di quelle ‘prove di coraggio’, ha fatto poi la sua professione, diventando un noto speleologo subacqueo. Fu proprio lui, da ragazzino, a scoprire il collegamento fra l’Oratorio e l’attigua cascina-monastero, dall’altra parte della strada!

Tornando a periodo risorgimentale, una volta che gli austriaci individuarono e catturarono i Carbonari ed i loro fiancheggiatori, passarono gli anni e l’Oratorio abbandonato dai cospiratori, finì in uno stato di progressivo degrado. I contadini che poi subentrarono nella cascina, lo utilizzarono per un po’ come fienile e poi la abbandonarono del tutto lasciandola a disposizione come rifugio di gente senza fissa dimora, con rifiuti di ogni genere lasciati dappertutto.

Il messaggio divino

Incredibilmente un giorno, alcuni contadini che lavoravano negli orti lì intorno, visto lo stato di abbandono in cui versava la chiesetta, decisero di ripulirla un po’, con l’intenzione di eleggerla a loro abitazione privata. Naturalmente per prima cosa, eliminata la montagna di rifiuti per terra, pensarono di disinfettare l’ambiente ripulendo le pareti dalla sporcizia accumulata nel corso degli anni: si misero pertanto a dare una mano di calce alle pareti, coprendo anche le zone affrescate. Rimasero indubbiamente sorpresi quando, il giorno seguente, scoprirono che l’affresco della Madonna nella zona absidale, era ancora ben visibile. Diedero allora una seconda imbiancatura, ma l’affresco della Vergine riaffiorava ancora. Avendo constatato che, anche dopo la terza mano di calce, l’immagine della Madonna era più brillante e nitida che mai, rimasero interdetti. Questo fatto, considerato un evento prodigioso, venne interpretato come un messaggio divino: quella cappella avrebbe dovuto continuare ad essere usata come luogo di preghiera.
Da quel momento, si cominciò a ritenere che questa Madonna fosse miracolosa. L’Oratorio riprese la sua funzione originale venendo nuovamente adibito al culto e si riprese ad officiare Messa, fino alla fine degli anni ’30, quando nel quartiere sorse la chiesa parrocchiale di San Vito al Giambellino e l’Oratorio fu di nuovo abbandonato al suo destino. Non essendo però mai stato sconsacrato, di tanto in tanto veniva utilizzato ancora negli anni ’50, per il culto, grazie alla generosa disponibilità delle devote del quartiere che si prendevano cura della pulizia dell’interno, preoccupandosi di mantenere all’ambiente un minimo di decoro

Di chi è questa chiesetta?

L’Oratorio di San Protaso al Lorenteggio, non è della Curia Arcivescovile, come si potrebbe pensare, non figurando fra le sue proprietà! E’ invece del Comune di Milano, che, suo malgrado, a partire dal 1955, ne è diventato proprietario. Quell’anno infatti, essendo nata l’esigenza di allargare la strada esistente, per l’aumentato traffico veicolare, il Comune, avendo previsto l’abbattimento dell’Oratorio (all’epoca molto ammalorato soprattutto esternamente), aveva deciso l’esproprio dei terreni su cui sorge la costruzione. Poi invece, cambiò idea, optando per la soluzione della doppia strada a senso unico (al pari della parallela via Giambellino), con spartitraffico centrale alberato, in mezzo al quale, per ironia della sorte, rimase proprio la chiesetta.

Restauri

Nel secolo scorso, furono effettuati due distinti interventi di restauro, a distanza di venticinque anni, il primo dal secondo.
Il primo, dopo gli anni della guerra, fu fatto nel 1960: prevedendo un intervento di carattere essenzialmente conservativo, pensando di fare bene, finì per peggiorare, ulteriormente le cose. Ad esempio la chiusura (incomprensibile) di alcune finestre rettangolari con grata, all’epoca esistenti sulle pareti laterali vicino all’abside, per creare al loro posto tre monofore (due sulla parete di destra ed una su quella di sinistra), ha avuto come risultato la creazione di muffe dovute alla scarsa circolazione d’aria. L’aver deciso di sostituire ,ad esempio, la pavimentazione originaria di grosse mattonelle in cotto, con una di piastrelle più moderne, (che poco si addicevano all’ambiente), cancellando incomprensibilmente, (durante la posa in opera) , la botola a pavimento (che consentiva l’accesso al famoso cunicolo) e l’aver pure eliminato il piccolo altare in marmo esistente, contribuirono a snaturare ulteriormente l’identità del luogo già compromessa, per troppo tempo, da un uso improprio.

Il secondo, più impegnativo intervento, venticinque anni dopo, fra il 1986 ed il 1987, fu preso in carico da Lions Club Milano Host che finanziò buona parte delle ingenti spese sostenute. Fu promossa pure una raccolta di fondi che vide la generosa partecipazione di diversi Istituti di Credito e dell’ASCOLOREN (l’Associazione Commercianti del Lorenteggio), che il Comune di Milano avrebbe dichiarato “assegnataria del bene, in comodato d’uso gratuito”. Oltre all’esecuzione degli indispensabili lavori di riparazione sia del tetto che dei danni al soffitto a cassettoni, provocati dalle infiltrazioni, e di eliminazione delle suaccennate muffe, seguì naturalmente la pulizia e tinteggiatura delle pareti interne e il completo restauro degli affreschi. anneriti da anni di smog. Si provvide pure al completo rifacimento dell’intonaco esterno del piccolo edificio, che alla decorosa sistemazione del sagrato.

Ovviamente erano stati fatti altri interventi nei secoli precedenti, anche se si era trattato essenzialmente di lavori più di ordinaria manutenzione, che di restauro vero e proprio. Fra gli interventi più significativi, ad esempio, nel XVII secolo si era provveduto a murare le tre originarie finestrelle esistenti nel semicerchio absidale, per permettere la realizzazione, su quella parete, dell’affresco della Madonna del Divino Aiuto commissionato dai monaci olivetani, subentrati in quel periodo ai benedettini, .

Affreschi

Appena varcata la soglia dell’oratorio e chiuso il portoncino alle spalle, la sorpresa è notevole: tra le pareti trattate a calce, si stagliano affreschi di diverse epoche e stili.

Porta d’ingresso all’Oratorio, ad unico battente, in legno originale del ‘500.
Una veduta d’insieme dell’interno dell’Oratorio di San Protaso (oggi)

Santa Caterina da Siena

Sulla sua parete sinistra, l’Oratorio potrebbe vantare di custodire al suo interno, uno dei più antichi affreschi raffiguranti Santa Caterina da Siena (1347- 1380) di autore ignoto.

Santa Caterina da Siena di Andrea Vanni

E’ certamente il più antico affresco di Santa Caterina da Siena presente in Lombardia e probabilmente secondo in Italia, soltanto a quello del pittore senese Andrea Vanni (1332 – 1414) che si trova nella basilica di San Domenico a Siena che risalirebbe alla fine del ‘300 o alla prima decade del ‘400.

Il fatto che l’affresco del Vanni mostri la Santa senza aureola, con una devota inginocchiata davanti a lei, induce a pensare che il pittore, contemporaneo e concittadino della Santa, l’abbia ritratta con i suoi reali lineamenti, quando Caterina di Jacopo da Benincasa, era ancora in vita, cioè prima del 1380.

Nell’affresco dell’Oratorio di San Protaso, facendo fede a quanto riportato in calce all’affresco stesso, vi è un dubbio d’interpretazione nella terza cifra della data della sua esecuzione. Vi è chi in quella cifra legge un 2 e chi invece un 9, quindi 1428, o 1498 (cioé 70 anni di differenza)!
Santa Caterina pare avere l’aureola (a dire il vero, abbastanza sbiadita nell’affresco), cosa che, essendo stata ufficialmente canonizzata nel 1461, farebbe propendere per il 9, quindi la data di realizzazione potrebbe essere il 1498, il ché sarebbe formalmente corretto. D’altra parte, il 9 non si scrive esattamente come si vede nella foto qui sotto, sia perché l’occhiello superiore non è chiuso, sia perché la parte inferiore in basso, invece di girare a sinistra come sarebbe logico per un 9, gira verso destra e anche in assenza della base, somiglia molto più ad un 2 che non ad un 9. Fosse quindi il 1428, l’anno di esecuzione dell’affresco, la presenza dell’aureola sarebbe comunque accettabile, visto che il processo della canonizzazione di Santa Chiara era iniziato già nel 1411 e comunque alla data della sua morte (nel 1380), da tutti era già ritenuta una Santa.

Come interpretare questa data? 1428 o 1498?
Santa Caterina da Siena (opera del 1428 o 1498 di anonimo frate di Porta Vercellina)

Affresco della scuola degli Zavattari

Sempre sulla parete di sinistra è presente anche un altro affresco risalente alla seconda metà del XV secolo di cui sono ancora visibili purtroppo soltanto pochi lacerti. Nemmeno in questo caso si conosce il nome dell’autore ma è attribuito alla scuola degli Zavattari, fratelli pittori vetrai che si trovavano a Milano per la realizzazione del Duomo ed erano attivi in Lombardia nel XV secolo.
Si tratta di due diversi soggetti affiancati. Sul lato destro si intravede una Crocifissione, in cui sono visibili soltanto il Cristo ed una figura a lato, col volto sfigurato: probabilmente si tratta dell’apostolo San Giovanni evangelista, discepolo prediletto di Gesù, colui che accompagnò Maria, fino ai piedi della Croce.

Lacerto di sinistra, Madonna in trono – Lacerto di destra, Crocifissione (seconda metà XV sec.)

Sul lato sinistro invece, si intravede un Trono sul cui schienale è ancora visibile ia facciata di architettura gotico-lombarda, di una chiesa. Appare riprodotta l’ipotetica facciata del Duomo di Milano, probabilmente il disegno ricopia quello di uno dei primi progetti di facciata per la nuova Cattedrale, disegno evidentemente già esistente ai tempi di realizzazione dell’affresco. Doveva esservi seduta la Vergine con Gesù bambino in grembo. Si presume si tratti di una scena simile (sotto angolazione ovviamente diversa) a quanto compare oggi sulla controfacciata della cappella Ducale della vicina chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, il cui grande affresco ben conservato, risulta, pure questo, attribuito alla medesima scuola (vedi foto qui sotto).

Controfacciata della Cappella Ducale in san Cristoforo al Naviglio Grande

Quasi completamente affrescato invece, risulta essere il semicerchio absidale, che ospita due affreschi di epoche diverse.

Veduta d’insieme delle decorazioni all’abside

Il velario

Nella parte bassa dell’abside è visibile un velario altomedievale, valutato dagli esperti, più o meno coevo alla costruzione dell’Oratorio. Resta purtroppo visibile unicamente la parte centrale, su cui risaltano lacerti di un altro affresco successivo al velario e policromo, sempre però di epoca medievale. Il tutto vuole essere l’imitazione un drappeggio, dal quale affiorano scene di caccia o forse un bestiario. Guardando con attenzione, s’intravede sulla sinistra,dietro il finto drappeggio, la sagoma di un leone, mentre sulla destra, quella di un uomo, divisi fra loro da un bucolico boschetto.

Il velario (XI o XII sec.)

La Madonna del Divino Aiuto

Subito sopra il velario, campeggia invece un affresco barocco dei primi del ‘700 che pur non essendo un capolavoro, è pur sempre di notevole impatto visivo. L’autore, anche in questo caso, non è noto, ma la scelta dei santi che vi sono ritratti, unitamente alla presenza del simbolo degli olivetani (tre Colli sormontati dalla croce del Calvario e da due rametti di ulivo), rendono la committenza inequivocabile. Entro un’importante cornice di angeli, ampie volute e motivi floreali, la Madonna del Divino Aiuto appare attorniata dai tre santi, cari agli monaci Olivetani.
A sinistra, San Vittore (soldato romano originario della Mauritania, facente parte della guardia del corpo dello stesso imperatore Massimiano), figura inginocchiato, con in mano un rametto di palma, simbolo del martirio. A terra il suo scudo, mentre un angelo dietro di lui, tiene la sua lancia.
Al centro, c’è naturalmente Maria (la Madonna miracolosa), con in braccio il bambino Gesù , che pare sorridere a San Vittore.
Sulla destra, San Bernardo Tolomei (canonizzato soltanto nel 2009 da Papa Benedetto XVI), fondatore dei monaci olivetani (ordine religioso della famiglia dei benedettini) presenti in San Vittore al Corpo fin dagli inizi del XVI secolo. Maria pare rivolgersi a lui, con sguardo benevolo appoggiando la sua mano sulla spalla del Santo che, a sua volta, posa la propria su quella della monaca ginocchiata ai suoi piedi, Santa Francesca Romana la fondatrice delle Oblate Benedettine (oblate = consacrate a Dio sin dall’infanzia).

La Madonna del Divino Aiuto (XVII sec.)
Il Cristo (del XVIII sec.)

A differenza di quanto ci si potrebbe attendere, la parte alta dell’abside non termina con un catino affrescato, ma prosegue il soffitto a cassettoni ,dell’aula da dove pende un piccolo crocefisso del ‘700, che domina tutta la sala.

E’ molto probabile che l’anonimo pittore abbia eseguito l’affresco della Madonna del Divino Aiuto ispirandosi alla ‘Sacra Conversazione‘ dipinta da Tiziano, pare intorno al 1513 è conservata oggi presso la Pinacoteca Civica Francesco Podesti di Ancona, oppure alla ‘Madonna di Foligno’ di Raffaello più o meno nello stesso periodo.

Sinopia

Sulla parete di destra è presente la sinopia dell’affresco della Madonna del Divino Aiuto.
Anche su questa, ci sono comunque delle perplessità, dovute al fatto che, notoriamente, la sinopia è il disegno preparatorio eseguito sull’arriccio (si chiama così, il secondo dei tre strati di intonaco necessari per l’esecuzione di un affresco). Tale disegno serve a delimitare l’area della scena da dipingere.

Ndr. – Il termine ‘sinopia‘ deriva da sinope, la terra rossa con forte percentuale di ossido ferrico, chiamato rosso di sinope, dal nome della città turca (Sinope) che si trova nella penisola di Boztepe, sulla costa del Mar Nero, dalla quale veniva importato.

Una volta completato l’abbozzo di quanto s’intende rappresentare, il disegno viene progressivamente ricoperto dall’ultimo strato d’intonaco e “dipinto a fresco” (cioè quando l’intonaco è ancora umido), per permettere un maggiore assorbimento del colore nella parete.

La sinopia è stata largamente usata fin dai primi del ‘500. In seguito, fu gradualmente sostituita dal graffito e dallo spolvero. L’affresco della Madonna del Divino Aiuto però risale all’epoca barocca e quindi ad un periodo in cui la tecnica della sinopia, in teoria, avrebbe dovuto non più essere in uso.

Curiosità

La proprietà dei Blondel

Nell’Ottocento, il territorio del Comune di Lorenteggio (che successivamente sarebbe stato accorpato a quello di Corsico), era praticamente diviso al 90% tra due grandi latifondisti: il Conte Angelo Durini che ne deteneva circa la metà, ed il monastero di San Vittore in Corpo, proprietario dell’altra metà e il 10% restante era ripartito fra i proprietari di altre nobili famiglie. Confinante con il latifondo dei Durini vi era un appezzamento di terreno di proprietà dei Blondel, aristocratica famiglia Svizzera a cui apparteneva Enrichetta, la prima moglie di Alessandro Manzoni, che, abitando a Milano, l’aveva naturalmente in gestione. Chissà quante volte il famoso scrittore sarà transitato in calesse lungo quella stradina sterrata che passava proprio accanto a questa chiesetta, per recarsi nei possedimenti di famiglia!

L’accorpamento dei Comuni

Corpi Santi

A seguito del Regio Decreto dell’8 giugno 1873, n. 1413, nonostante le deliberazioni contrarie del Comune di Corpi Santi (istituito nel 1782), tale Comune venne aggregato al Comune di Milano a partite dal 1° settembre 1873.

Mappa di Milano e del comune dei Corpi Santi (corrispondente al territorio intorno alla città meneghina), che fu annesso nel 1873 al capoluogo lombardo

Antichi Comuni

In forza del Regio Decreto del 2 settembre 1923, n. 1912, ed in seguito alla delibera del 14 dicembre 1923, del Consiglio Comunale di Milano, i comuni di Affori, Baggio, Chiaravalle, Crescenzago Gorla/Precotto. Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda, Trenno e Vigentino, venivano definitivamente aggregati nell’unico Comune di Milano. Con un successivo decreto del 23 dicembre 1923 e con decorrenza 23 gennaio 1924, furono annesse alla città, pure le frazioni di Lorenteggio (staccata dal Comune di Corsico) e quella di Ronchetto sul Naviglio (staccata dal Comune di Buccinasco). Successivamente, diventavano parte integrante del Comune di Milano nel 1925, Morsenchio e Ponte Lambro ed infine nel 1932, anche una parte di Chiaravalle Milanese.

Comuni annessi al territorio di Milano a partire dal 1923 (preso da Almanacco milanese 2023)

Il cippo del confine comunale

Sul sagrato dell’Oratorio di San Protaso, alla destra dell’ingresso, è stato posto, come ‘cimelio storico’ dell’antico Comune del Lorenteggio, un interessante reperto dei tempi andati (si pensa risalga ai primi dell’Ottocento), sopravvissuto alla distruzione, a testimonianza della storia di questo borgo. Si tratta di un cippo di confine territoriale, rinvenuto semi-interrato alcune decina di anni fa, eseguendo degli scavi per la costruzione delle fondamenta di un nuovo edificio lungo la via Lorenteggio, nel tratto fra le vie Primaticcio ed Inganni. Il cippo di confine, ripreso da tre lati in queste tre fotografie, segnalava, il confine territoriale fra i comuni limitrofi: in questo caso, quello dei Corpi Santi (territorio appena fuori le mura medievali della città) e quello di Lorenteggio (che nel corso dei secoli, ha più volte cambiato i propri confini essenzialmente per problemi daziari). Lorenteggio è stato sia Comune autonomo, comprendente varie cascine, sia ridotto a latifondo e accorpato al Comune di Corsico (per finire poi annesso a quello di Milano, come visto, nei primi decenni del 900).

.

tà.

Come si prenta oggi l’Oratorio dopo i restauri effettuati nel 1985-1986

Note

Indirizzo

Oratorio di San Protaso al Lorenteggio
via Lorenteggio 31 – MIlano

Come arrivarci

Filovia 90 (Circolare destra) o 91 (Circolare sinistra) : fermata Piazza Bolivar

Visite al sito

Normalmente la chiesetta è chiusa al pubblico.
È visitabile soltanto in occasione delle feste di via Lorenteggio a cura di ASCOLOREN, la prima domenica di maggio e l’ultima di novembre, oppure in occasione di concerti vocali, strumentali od eventi culturali organizzati (mostre fotografiche e di pittura, presentazioni di libri, ecc.)

Per organizzare una visita, inviare una email a gesadilusert@gmail.com o telefonare al n. 331 3875299
Le visite guidate sono curate dall’Associazione ‘Amici della Chiesetta di San Protaso al Lorenteggio’

Libretto

Il libretto scritto da Paola Barsocchi, cui ho fatto precedentemente cenno, è intitolato:

Oratorio di san Protaso al Lorenteggio – La chiesina nello spartitraffico

Stampato nel Maggio 2019, da bBold group – Monsano (AN)

Mappe personalizzate di Divina Milano

Scopri curiosità, personaggi e luoghi sulla nostra mappa. Cliccando sulle icone leggi un piccolo riassunto e puoi anche leggere tutto l’articolo.

Il centro

Il Castello