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Palazzo Castani

Premessa

Chissà quante volte ci sarete passati davanti, senza sapere che anche questo palazzo ha un nome ed una storia! Non solo, ma tutti coloro che sono amanti dei rebus, qui troveranno certamente, anche pane per i loro denti! Scherzo naturalmente, ma pure questo edificio ha una delle tante ‘chicche’, che Milano, a guardarsi bene intorno, ogni tanto riserva al visitatore curioso. Di questa in particolare, ne parlano addirittura le guide turistiche più accreditate! E dire che non ci vuole molto a scoprirla da sé …. Spesso, basta unicamente guardarsi intorno e soffermarsi ad osservare un dettaglio anche minimo, per scoprire qualcosa che non ci si aspetta!
La verità è che siamo tutti terribilmente distratti (io per primo) e tante cose sfuggono alla vista. Chissà quante volte io stesso, assorto da altri pensieri, sono passato a piedi davanti a questo edificio, senza farci minimamente caso.
Ma cominciamo, per prima cosa, a dare un’occhiata a questo palazzo.

Palazzo Castani

Siamo in pieno centro, a Milano, davvero a due passi dal Duomo, in piazza San Sepolcro, davanti al numero 9, a Palazzo Castani, appunto. Proprio qui, in questa piazza, in cui attualmente convergono 5 vie, in epoca romana, s’incrociavano il cardo col decumano. Esattamente nel punto d’intersezione fra queste due strade principali della città, sorgeva il Foro Romano (cioè la piazza principale che ospitava gli edifici pubblici e commerciali, nonché i templi).

A PROPOSITO DI CARDO E DECUMANO ….

Cardo e decumano, sono due termini derivati dall’antica Roma (e diventati poi di uso comune ancora oggi, nelle città di origine romana), per indicare le due strade principali, tra loro perpendicolari, che tagliavano il castrum (cioè l’accampamento militare romano) in quattro parti uguali.

Il cardo (in latino cardus), andava da nord a sud (con riferimento a Milano, corrispondeva all’asse via Manzoni, via Santa Margherita, Piazza Santo Sepolcro e Corso di Porta Ticinese), mentre il decumano (decumanus), andava da est a ovest (asse Corso di Porta Romana, Piazza Santo Sepolcro, Piazza Affari, Porta Vercellina e Corso Magenta)
.
Le due strade principali dividevano la città in quattro parti uguali, chiamate quartieri proprio per questo motivo. Di regola poi, su queste due vie principali si innestavano perpendicolarmente le strade minori. La città assumeva così un’ordinata struttura a scacchiera.

Sullo stesso spiazzo (incrocio fra cardo e decumano), oggi si affacciano sia l’antica chiesa di San Sepolcro (proprio dirimpetto al Palazzo Castani), sia la primitiva facciata della Biblioteca Ambrosiana, con davanti, il ben più recente monumento dedicato al cardinal Ferrari (arcivescovo della diocesi di Milano dal 1894 al  1921).

E’ un edificio storico che, secondo alcune fonti, pare esistesse sin dal XIII secolo (quindi addirittura coevo del Palazzo della Ragione di Piazza Mercanti in età comunale), quando ospitava i Castani, una famiglia dalle umili origini, che però venne premiata ed elevata al rango nobiliare, da Ottone Visconti (vescovo di Milano), in segno di riconoscimento e gratitudine per la fedeltà dimostrata durante le annose lotte contro i Della Torre o Torriani (altra famiglia nobile lombarda, che reggeva le sorti della Signoria di Milano, prima di venire estromessa dai Visconti).

A dire il vero, con riferimento al Palazzo Castani che conosciamo oggi, la sua ricostruzione fu operata verso la fine del Quattrocento, anche se non si conosce né il nome dell’architetto che l’ha disegnato, né tanto meno, la data di costruzione dello stesso. Il nome “Castani“, attribuito al palazzo, come detto, proviene sicuramente dalla prima famiglia che lo possedette, la stessa che po nel Quattrocento la fece riedificare. Alcune fonti riferiscono che, addirittura fino ai primi del ‘900, era ancora visibile il loro stemma nobiliare in terracotta, sistemato nell’angolo sud-est del cortile. Pur non avendo trovato documenti che lo comprovino, non pare comunque siano stati loro gli unici proprietari di questo palazzo. La convinzione dipende dal fatto che, fra i capitelli pensili del porticato interno del cortile, vi sono anche tre altri stemmi di antiche famiglie milanesi, che gli esperti in materia asseriscono appartenere rispettivamente, ai “dal Verme“, ai “Fontana” e ai “Secco-Suardi“. Non spiegandosi diversamente il motivo della presenza dei loro stemmi nobiliari in questo cortile, è lecito supporre che potrebbero pure loro avere abitato qui, nel corso dei secoli passati.

L’aspetto architettonico

Sebbene l’edificio che vediamo oggi, sia databile tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo (ai tempi degli Sforza, tanto per intenderci), esso ha subito nel corso dei secoli successivi, varie trasformazioni, tra cui il rifacimento, in epoca settecentesca, dell’intera facciata. Questa, ora si presenta a tre piani, intonacata in un pallido colore giallo, con le finestre del pianterreno a contorni semplici, quelle del primo piano, coronate da un timpano spezzato da figure di conchiglie, mentre quelle del secondo, risultano corredate di balconcini mistilinei in ferro battuto. Il tutto è poi completato da un cornicione di gronda riccamente lavorato e sostenuto da grosse mensole.

Il portale

Sempre in facciata, solo il portale in pietra, appartiene all’epoca rinascimentale. Sull’archivolto dell’arco a tutto sesto, campeggia una scritta in latino : ELEGANTIAE PUBLICAE, COMMODITATI PRIVATAE, (Per l’eleganza pubblica e la comodità privata), mentre sull’architrave appare, inciso in greco, un augurio di buona fortuna.
Due lesene  (fusti a pianta rettangolare, a pura funzione decorativa, appena sporgenti dalla parete stessa, dotati di base e capitello), reggono l’arco a tutto sesto dell’ingresso. In posizione leggermente più esterna, vi sono altre due lesene inserite in uno schema analogo, ma di più ampio respiro e trabeato, sostenenti una trave superiore. Nei pennacchi dell’arco, vi sono infine due originali medaglioni con i profili di imperatori romani. Le teste ed i busti scolpiti, sono talmente precisi, da essere stati addirittura riconosciuti dagli esperti ed identificati come l’immagine di Adriano per il medaglione di sinistra, e quella di Marco Cocceio Nerva, per l’analogo di destra.

Il cortile interno

Oltrepassato il portale d’ingresso, un androne con volte a vela, introduce nel piccolo cortile, pure questo di epoca rinascimentale (visitabile solamente in occasione di giornate particolari (come quella dei Cortili Aperti o di altri eventi programmati).

Su tre lati, è costituito da un portico originale con colonne in granito, e raffinati capitelli corinzi in pietra d’Angera, su cui poggiano eleganti archi a tutto sesto, in cotto. Secondo una soluzione di stile bramantesca, i capitelli vengono ripresi al punto di confluenza delle volte, sulle pareti interne del portico, rimanendo però pensili (cioè senza la presenza di semicolonne o lesene che partono da terra). Nei pennacchi degli archi, si inseriscono dei tondi ornamentali che, solo nella parete di fronte all’ingresso, accolgono due medaglioni in rilievo, analoghi a quelli del portale, il primo raffigurante Romolo e Remo, l’altro, il duca di Milano, Francesco Sforza. In seguito ai riadattamenti successivi, il quarto lato del cortile, quello di sinistra, che inizialmente pare fosse pure esso a porticato, appena passato l’androne all’ingresso, è invece ora costituito da un semplice muro.

Sempre nel cortile, al piano superiore, si apre un elegante loggiato a colonnine, con archetti in numero doppio rispetto alle arcate sottostanti, decorati con ghiere in cotto. Proprio in una di queste arcatelle, un tempo murate, era possibile vedere fino agli anni Trenta, un affresco molto ammalorato, attribuito a Bartolomeo Suardi (1465-1530), detto il Bramantino, che mostrava una figura di donna dalla veste rossa, racchiuso in una preziosa cornice in cotto. Tale attribuzione comunque, non risulta indicata, fra le opere di questo pittore.

All’estrema sinistra al primo piano, si può notare nel disegno, l’affresco della donna attribuito al Bramantino

I due piani sono divisi da due distinte cornici in cotto, elegantemente modellate, costituenti la prima, un marcapiano e la seconda, un davanzale. Nonostante le varie modifiche subite dall’edificio nel corso dei secoli, questo cortile può essere considerato ancora oggi un valido esempio di architettura milanese del primo Cinquecento.

A parte l’aspetto architettonico, il palazzo è anche importante per la storia di cui è stato protagonista nel secolo scorso.

L’aspetto storico

Nel primo decennio del XX secolo, il palazzo divenne la sede del Circolo dell’Alleanza degli interessi industriali, commerciali ed agricoli (Associazione Commercianti ed Esercenti).

Piazza San Sepolcro, prima del 1930 – Palazzo Castani è sulla destra. L’edificio ad angolo, verso via Valpetrosa ed anche parte del Palazzo Castani (la prima finestra), verranno demoliti per lasciar posto alla costruzione della Torre Littoria.

Qui, il 23 marzo 1919, Benito Mussolini fondò il cosiddetto “Fascio primigenio, cioè il Fascio di Combattimento di Milano.

UNA PAGINA DI STORIA (RIFERITA A PALAZZO CASTANI)

23 MARZO 1919 – PIAZZA SAN SEPOLCRO
Fondazione dei Fasci di Combattimento

L’appuntamento è fissato per le ore dieci del mattino.
Mussolini è convinto di poter riempire il grande Teatro Dal Verme, ma alla vigilia della tanto anticipata adunata, il timore dell’eco della propria voce nella sala da duemila posti, quasi vuota .prevale. All’ultimo si decide di spostare tutto nel salone del primo piano di Palazzo Castani in Piazza San Sepolcro. Il Circolo per gli interessi industriali, commerciali e agricoli è messo a disposizione da Cesare Goldmann, amico e finanziere di Mussolini. Può ospitare circa trecento persone e, da tempo, usato dalle organizzazioni patriottiche milanesi per riunioni e comizi.
Non più di duecento persone sono presenti – chiaramente se non si contano le migliaia di caduti in guerra che Mussolini evoca immediatamente, quasi a voler riempire la sala pericolosamente spopolata. Neanche dopo la morte si è tutti uguali, se il direttore del Popolo d’Italia decide di «ricordare con predilezione, se non con privilegio, i nostri morti, coloro che sono stati con noi nel maggio glorioso». All’indomani della guerra, l’autentico fattore divisivo tra l’opinione pubblica italiana sono ancora l’interventismo e le decisioni prese quattro anni prima.
In poco meno di quattro ore, l’assemblea fondativa traccia le linee programmatiche della nuova organizzazione politica nazionale. Ex combattenti e arditi, rappresentati dal capitano Ferruccio Vecchi, presidente della riunione, futuristi, per i quali parla Filippo Tommaso Marinetti, anarco-sindacalisti, massoni, ultra-conservatori e nazionalisti votano e approvano un piano d’azione che spazia dalla richiesta delle otto ore lavorative estese a tutte le categorie di lavoratori a minimi salariali, assicurazioni di invalidità e proclami di battaglia ai neutralisti.
Andremo nei loro comizi, porteremo dei candidati e troveremo tutti i mezzi per sabotarli!
D’altronde il capitano Vecchi è molto asciutto: bisogna essere con noi o contro di noi. Mussolini va oltre: «L’adunata del 23 marzo dichiara di opporsi all’imperialismo degli altri popoli a danno dell’Italia». Prospetta un aumento demografico vertiginoso per il prossimo futuro, e dichiara non solo necessario, ma essenziale. un impero coloniale: Noi vogliamo il nostro posto nel mondo poiché ne abbiamo il diritto.
Secondo il Popolo, le ovazioni sono lunghe e molto sentite. Il fascismo nasce così in un salone semivuoto di un Circolo di industriali una mattina di marzo.

[ rif. – //sites.unimi.it/milano_1920/23-marzo-1919-piazza-san-sepolcro-fondazione-dei-fasci-di-combattimento/ ]

L’appellativo di “Sansepolcristi“, attribuito ai primi aderenti ai Fasci, e il nome “Sansepolcrismo“, che starebbe ad indicare il periodo storico delle origini del fascismo in Italia, derivano proprio dal nome della piazza San Sepolcro, alla quale si affaccia questo storico palazzo. Da tale movimento, sarebbe poi nato a Roma, il 9 novembre 1921, il PNF – Partito Nazionale Fascista.

Come si vede quindi da quanto sopra, questo edificio, successivamente, divenne la sede della Federazione dei Fasci Milanesi (i primi Fasci Italiani di Combattimento), il cosiddetto ”antipartito”. il cui movimento venne fondato da Benito Mussolini, il 23 marzo 1919, durante l’adunata di Piazza San Sepolcro, a Milano. Tale movimento sarà diretto erede del Fascio d’azione rivoluzionaria del 1914, entrambi destinati a far fronte a due pericoli: quello misoneìsta di destra (cioè coloro che hanno in odio ogni novità) e quello distruttivo di sinistra.

Palazzo Castani diventò, tra il 1921 e il 1943, la sede del Partito Nazionale Fascista di Milano e, durante l’occupazione tedesca tra il 1943 e il 1945, la sede del Partito Fascista Repubblicano.

Quando fra il 1929 e il 1931, la proprietà dell’edificio passò alla Associazione degli Esercenti di Milano, fra i vari interventi di ristrutturazione all’edificio, si procedette alla demolizione della parte posteriore del palazzo per farvi costruire una grande sala riunioni.

Nel 1937, mentre la Federazione Commercianti, per volere di Mussolini veniva traslocata in Piazza Belgioioso, Palazzo Castani divenne proprietà della Federazione Fascista. Quest’ultima affidò all’architetto Piero Portaluppi (1888 -1967), i lavori di ristrutturazione del Palazzo Castani compresa, fra l’altro, la riapertura, delle logge al primo piano del cortile bramantesco, precedentemente murate, e la sostituzione pure di alcune colonne. Oltre a ciò, il progetto prevedeva la trasformazione dell’intero isolato, progetto che si sposava perfettamente con quello della costruzione, per fortuna, mai portata a termine. della famosa racchetta del piano Albertini.

LA RACCHETTA DEL PIANO ALBERTINI

La racchetta è un’arteria chiamata così, perché il suo tracciato complessivo, partendo da Corso Buenos Aires e arrivando in Stazione Centrale dopo esse passati per Cadorna, aveva una vaga forma di racchetta da tennis. Questo progetto già in corso di realizzazione a partire dal 1934, era stato studiato dall’Ufficio competente dell’Amministrazione Comunale, per facilitare la viabilità, in quanto avrebbe dovuto, secondo le intenzioni, collegare Piazza San Babila con Piazza Cadorna, unendo velocemente l’est con l’ovest della città, aggirando così la zona Duomo, area questa, notoriamente congestionata.
In tale contesto, un tratto della racchetta, prevedeva il collegamento di Piazza Missori. con Piazza San Sepolcro, incrociando via Torino. La cosa avrebbe naturalmente comportato la demolizione di diversi palazzi antichi della zona, incontrando la decisa opposizione dei residenti. Già la demolizione del quartiere Bottonuto (giustificata in parte per motivi di fatiscenza), partendo da piazza Alessandro Volta, e la creazione di via Albricci aveva arrecato danni notevolissimi al patrimonio artistico della città con lo scempio operato (all’altezza di Piazza Missori) alla basilica di San Giovanni in Conca, demolita unicamente perché il disegno della racchetta prevedeva is passaggio esattamente in quel punto.

Sventrando diversi palazzi antichi nel tratto interessato secondo il progetto “Ciò per amor, a dire il vero, l’architetto Piero Portaluppi aveva previsto la costruzione di nuovi edifici monumentali di architettura fascista, tra cui la Torre Littoria proprio sul fianco sinistro della facciata di Palazzo Castani. L’idea di sventrare mezza città (per risolvere un problema di viabilità) snaturando completamente la zona e cancellando la storia del passato, comunque non incontrò il favore dei milanesi che bloccarono il prosieguo della racchetta accettando, loro malgrado, solo dietro insistenti pressioni da Roma, che l’esecuzione dei lavori richiesti dalla Federazione Fascista, si limitasse unicamente alla costruzione della sola Torre Littoria, commissionata al Portaluppi per celebrare il movimento fascista, che qui nacque ed ebbe la sua prima sede.
Durante gli scavi per la sua fondamenta, proprio sul fianco sinistro della facciata di Palazzo Castani, furono rinvenuti, a 2,50 metri di profondità, i resti dell’antico Foro Romano.

Ndr. – Fra il 1937 ed il 1942, sempre Piero Portaluppi, avrebbe costruito l’Arengario in Piazza del Duomo.

Fra il 1929-1930 il palazzo attiguo a Palazzo Castani verrà demolito per lasciar posto alla attuale torre littoria disegnata da Pietro Portaluppi.

Attualmente, il Palazzo Castani ospita il Commissariato Centro della Polizia di Stato, mentre la Torre Littoria è attualmente sede del Comado dei Carabinieri della Compagnia di Milano Centro

La chicca

Palazzo Castani

Si era accennato, all’inizio, ad una ‘chicca‘ che si può vedere a Palazzo Castani: Per nostra fortuna non è in cortile, ma è visibile sempre perché presente in facciata!
Si tratta di una apertura ad altezza d’uomo, dotata di una grata talmente particolare, da essere menzionata quale elemento d’attrazione nelle guide turistiche sia italiane, che straniere.
Perché questa grata sia chiamata con l’appellativo di ‘impossibile‘, risulterà presto evidente a chiunque!

Dov’è?

E’ davvero facile individuarla, poiché la grata impossibile, è sistemata a protezione di una finestrella ovale che, per la sua posizione, balza subito all’occhio attento, essendo l’unica di questa forma ed anche ‘fuori posto’, nel contesto della facciata di questo palazzo, poiché è visibile sotto la prima finestra al pianterreno, alla destra dell’ingresso, vicino al citofono del Commissariato di Polizia.
Insomma, sembra quasi sia messa lì, in bella vista, proprio per farsi notare!

Ingresso quattrocentesco di Palazzo Castani

Francamente, non ho idea di che cosa si possa celare dietro a quella finestrella, né quale senso o utilità possa avere oggi avere avuto in passato, sistemata come si vede, in quella stranissima posizione. Da una rapida valutazione, vista dall’interno, dovrebbe risultare a pavimento nella prima stanza al pianterreno: il fatto poi di essere esattamente posizionata fra fra due finestre (l’una sotto l’altra, già vicine fra loro), non fa che aumentare la curiosità.
La cosa ancora più singolare è che, a guadare bene, la grata di quella finestrella ovale non è unica (come ci si potrebbe attendere), ma è addirittura doppia, con la seconda sistemata ad una decina di centimetri di distanza dalla prima, cosa questa, che aggiunge ulteriore mistero al mistero, quasi a voler suggerire che una sola grata, non garantendo una sicurezza sufficiente, rende indispensabile la presenza di una seconda! Assurdo anche perché questo non è ancora tutto! Ad osservarla attentamente, la grata più esterna lascia interdetti al punto da chiedersi come sia stato possibile realizzarla.
La grata in questione, probabilmente risale al Quattrocento o giù di lì.

Cos’ha di tanto speciale rispetto alle altre? Apparentemente nulla!
Proviamo però a soffermarci un istante davanti a questa finestra e a limitarci ad osservare, con attenzione, come sono fatte le barre di questa grata. D’acchito, sembra un gioco d’illusione ottica: eppure qualcosa di strano c’è indubbiamente!

Come è fatta una grata normale

Vediamo di andare con ordine, cercando di capire come sia fatta normalmente una grata. La foto qui sotto (che fa riferimento ad una grata standard della finestra di uno scantinato di un altro edificio lì vicino), è stata volutamente ripresa da un’angolazione che metta in sufficiente risalto come sono fatte le singole barre sia orizzontali che verticali e come siano infilate negli anelli.

Le maglie di questa grata sono abbastanza larghe prevedendo 4 barre orizzontali e 7 verticali.

Esaminando le sole barre orizzontali, cominciando dall’alto a sinistra, si vede facilmente che le prime due sono composte da un tratto dritto seguito da una sequenza di 4 anelli, secondo il seguente schema ( —-o-o-o-o- ). Le ultime due barre in basso, invece apparendo rovesciate rispetto alle prime, prevedono 3 anelli soltanto ed un tratto dritto. ( -o-o-o—– ). Le barre verticali sono viceversa tutte uguali, essendo composte da 2 soli anelli seguiti da un tratto dritto, ( -o-o— ) ove le ultime 4 barre risultano rovesciate rispetto le prime tre. E’ facilmente intuibile come si possa effettuare l’incastro delle sbarre verticali negli anelli di quelle orizzontali ed assemblare il tutto ottenendo la grata che si vede.

Come è fatta a grata di Palazzo Castani

Non altrettanto banale è il caso della grata che si può vedere applicata alla finestrella ovale di Palazzo Castani e che propongo qui sotto.

La prima cosa che si nota, è che è una grata a maglie molto strette (6 barre orizzontali e ben 12 verticali).

Guardando attentamente, in questo caso, la struttura delle prime tre barre orizzontali (cominciando dall’alto), è composta da due terne di anelli intervallate da tratti dritti, secondo una successione del tipo ( —o-o-o—-o-o-o- ). Le seconde tre barre orizzontali, sono sistemate in posizione rovesciata rispetto alle prime (esattamente come nell’altro caso).
Le 12 barre verticali sono più semplici, essendo composte da una sola terna di anelli seguita da un pezzo dritto ( -o-o-o—- ). Naturalmente a tre a tre, sono montate rovesciate.
La complicazione rispetto al caso di prima, è evidente poiché, in questo caso, nelle sbarre orizzontali si hanno due terne di anelli inframezzate da un tratto dritto.

Perchè è ‘impossibile’?

Premesso che non esistono tracce visibili di saldature di alcun genere, non si riesce assolutamente a comprendere come sia possibile infilare gli anelli (delle barre verticali) nel tratto dritto (delle barre orizzontali), compreso fra due terne di anelli. Cioè l’incastro delle barre fra loro è davvero un rompicapo!
Il trucco c’è ma non si vede!

-o-o-o-?-?-?-o-o-o-

In pratica, appare davvero assolutamente misterioso come si sia potuto realizzare l’assemblaggio di simile grata, non potendo naturalmente far passare fisicamente un anello dentro un altro!.

Il manufatto è talmente ben realizzato da sembrare addirittura un pezzo unico, cosa questa, naturalmente non possibile! Sembra di trovarsi davanti ad una di quelle ingegnose diavolerie leonardesche, che, garantendo l’impossibilità di manomissione, contribuisce anche a dare maggior robustezza alla grata. Onore all’ingegno dell’ignoto mastro fabbro , che lo ha realizzato!

La soluzione, secondo il parere di un esperto

Secondo il giudizio di un fabbro esperto interpellato sull’argomento, la grata potrebbe essere stata costruita, utilizzando delle barre di recupero avanzate da un’altra commissione, e comunque, molto abilmente assemblate.
E’ certa in ogni caso, l’impossibilita materiale di poter montare la grata in loco: fu sicuramente prima assemblata altrove, portata sul posto intera così come la si vede, e quindi, murata.

Visto che è assolutamente impossibile infilare l’anello di una sbarra dentro quello di un’ altra, pare evidente che sia stato necessario effettuare un taglio nelle sole barre orizzontali. La genialità sta proprio nell’esecuzione del taglio del tratto dritto (compreso fra le due sequenze di tre anelli). Il taglio viene fatto esattamente in uno dei tre punti d’incrocio con l’anello di una delle 3 barre verticali previste in quel tratto. Lo schema pertanto dovrebbe essere ( —o-o-o-/-/-/-o-o-o- ), ove la ‘/’ indica una delle tre possibili posizioni di taglio. Effettuato il taglio ed inseriti nei due spezzoni, i tre anelli (uno per barra), delle tre barre verticali previste, la successiva saldatura per la ricomposizione della barra orizzontale sezionata, risulta effettuata necessariamente in corrispondenza di uno degli anelli e quindi, totalmente invisibile.

Anche l’assemblaggio del tutto appare piuttosto complesso, essendo comunque realizzato incrociando blocchi di tre barre alla volta. Esercizio fisico e mentale decisamente interessante, come passatempo!

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