Palazzo Castiglioni: il simbolo del Liberty milanese
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ToggleMentre si percorre Corso Venezia in direzione di Piazza San Babila, tra via Palestro e via Senato, è impossibile non notare, sul lato destro della strada, un imponente edificio riccamente decorato: Palazzo Castiglioni. Con la sua facciata monumentale in pietra grigia, il palazzo si distingue per il forte impatto visivo in contrasto con la sobrietà degli edifici neoclassici circostanti. Questo capolavoro, una delle prime testimonianze dell’Art Nouveau in Italia, è uno degli edifici più celebri del Liberty italiano e un importante riferimento nell’architettura del XX secolo. Palazzo Castiglioni, situato al numero 47 di Corso Venezia, è il primo palazzo costruito in questo stile a Milano.
Perché Palazzo Castiglioni fu costruito proprio in Corso Venezia?
Non è un caso che Palazzo Castiglioni sia sorto proprio in Corso Venezia, una via importante dove, nei due secoli precedenti, la nobiltà e l’aristocrazia milanese avevano costruito numerose dimore patrizie in stile neoclassico, sfoggiando sontuosità e opulenza, soprattutto negli arredi interni.
All’inizio del XX secolo, per moda o capriccio, diverse famiglie di industriali benestanti, attratte dal nuovo stile architettonico che stava prendendo piede in Europa, incaricarono architetti locali di progettare sontuose dimore secondo i dettami del Liberty. L’ingegnere Ermenegildo Marazzi Castiglioni, giovane imprenditore colto e ambizioso, affidò la costruzione del suo palazzo a Giuseppe Sommaruga (1867-1917), uno dei maggiori protagonisti del Liberty in Italia. Castiglioni aveva dato disposizioni precise: voleva che la sua nuova dimora si distinguesse dagli altri palazzi signorili del Corso, che erano in gran parte settecenteschi, caratterizzati dalle sobrie forme neoclassiche, simbolo della vecchia aristocrazia. La nuova classe dirigente, però, desiderava contrapporsi a quel passato, adottando i temi di un movimento architettonico innovativo che si stava diffondendo in tutta Europa.
Il progetto affidato al trentatreenne Sommaruga era ambizioso: la casa doveva essere signorile, all’altezza dei nuovi palazzi della borghesia ricca di Corso Venezia, ma allo stesso tempo doveva essere più imponente e incisiva. Castiglioni voleva una dimora in stile floreale, ricercato, come era in voga in Europa in quel periodo.
In Italia, solo Palermo e Torino avevano qualche timido esempio di Liberty, mentre a Milano nessuno si era ancora cimentato in questo stile!
Oltre al desiderio di affermazione sociale, l’ingegnere Marazzi Castiglioni voleva dimostrare che la sua ricchezza imprenditoriale non era inferiore a quella dell’aristocrazia che abitava in quella strada. La costruzione, volutamente diversa dagli altri edifici, intendeva rappresentare una netta rottura col passato e l’espressione di una nuova classe borghese – quella degli industriali e degli imprenditori – in ascesa, decisa a imporsi e a rivendicare il proprio diritto a condividere i privilegi della nobiltà, con inequivocabili segni di opulenza.
Il contrasto tra Palazzo Castiglioni e le costruzioni vicine è evidente: da un lato, l’imponenza delle sue dimensioni e il basamento rustico, con un bugnato che richiama le forme naturali della roccia, dall’altro, le decorazioni plastiche esuberanti, come i putti sopra le finestre del secondo piano e i ferri battuti originali. Non mancano dettagli unici, come il cornicione in rame a sbalzo e le grandi api, simbolo dell’operosità e della ricchezza della famiglia Castiglioni.
Viaggi conoscitivi
Prima di dare avvio alla progettazione di Palazzo Castiglioni, l’ingegnere Ermenegildo Marazzi, unitamente all’architetto Giuseppe Sommaruga, intrapresero una serie di viaggi in Francia, Inghilterra e Belgio per osservare da vicino le nuove tendenze architettoniche europee. L’obiettivo era portare a Milano le espressioni più moderne del Liberty, in linea con la crescente diffusione del movimento. Durante questi viaggi, furono particolarmente affascinati dalle opere dell’architetto francese Hector Guimard (1867-1942), celebre esponente dell’Art Nouveau, noto soprattutto per le edicole d’ingresso delle stazioni della metropolitana di Parigi, con le sue complesse strutture in ferro battuto e vetro.
I costi per la costruzione dell’edificio
Per la realizzazione del palazzo, l’ingegnere Castiglioni mise a disposizione risorse economiche davvero considerevoli. Da documenti trovati, risulterebbe che a fine dei lavori, la spesa totale ammontò a 950.000 lire, una somma equivalente a circa 4,3 milioni di euro attuali, un investimento decisamente significativo per l’epoca. L’architetto Sommaruga ebbe piena libertà progettuale, occupandosi di ogni dettaglio, dalla scelta dei principali collaboratori, a quella dei materiali, fino alla supervisione delle maestranze. In linea con i principi del Modernismo, egli seguì personalmente tutte le fasi del progetto, realizzando addirittura modelli e cartoni per guidare gli artigiani nella realizzazione di decorazioni in ferro, cemento, gesso e affreschi, senza trascurare gli aspetti tecnici.
Per la costruzione del palazzo, Sommaruga si affidò a un team di scultori e artigiani di grande fama. Tra questi spiccavano Alessandro Mazzucotelli per le decorazioni in ferro battuto, Giovanni Magnoni e i fratelli Ghianda per altri elementi decorativi, l’ebanista bergamasco Eugenio Quarti per i mobili e lo scultore Ernesto Bazzaro per le statue, tutti rinomati nei rispettivi campi.
I lavori preliminari iniziarono nel 1900 con la costruzione della foresteria sul retro, in via Marina, dotata di scuderia e di un cancello d’accesso innovativo che scompariva al suo abbassarsi. La costruzione dell’edificio principale cominciò invece a metà del 1901, poiché l’approvazione finale della facciata su Corso Venezia subì ritardi dovuti alla difficoltà nel reperimento dei marmi di Castione e Candoglia, poi sostituiti da quelli di Carrara e dal travertino. Una volta risolti questi problemi, i lavori furono completati in soli due anni, rispettando i tempi previsti.
Le statue “scandalose” e le polemiche
Quando, nel giugno 1903, tolte le impalcature della facciata, furono svelate le due statue femminili posizionate di spalle ai lati dell’ingresso di Palazzo Castiglioni, queste suscitarono immediatamente notevole scalpore. Le figure, provocanti e discinte, sembravano curiosare attraverso la grande finestra che, ironicamente, era proprio quella del bagno padronale. Da un lato, il popolo milanese reagì con divertita ironia, coniando per il palazzo il soprannome di “Ca’ dì Ciapp” (Casa delle Chiappe), in riferimento alle prominenti natiche delle figure; dall’altro, queste statue diventarono il motivo principale di furiose polemiche, tra i più conservatori.
Le animate discussioni non si limitarono solo alle statue: praticamente ogni elemento dell’edificio venne criticato. Le decorazioni in ferro battuto, le finestre alte e strette, gli oblò e i dettagli abbondanti, come i putti e i cartigli, furono considerati eccessivi e fuori contesto rispetto all’austera estetica neoclassica di Corso Venezia. Il progetto, considerato troppo libero e fantasioso, fu bocciato senza riserve.
Le due statue di Ernesto Bazzaro, che rappresentavano rispettivamente l’allegoria della Pace e dell’Industria, non erano discusse solo per le loro provocanti nudità. L’innovazione più contestata era anche il fatto che non servissero come cariatidi, ovvero come strutture portanti, ma fossero state concepite esclusivamente come elementi estetici, concetto questo, che, per l’epoca, risultava troppo radicale. A ciò si aggiunsero altre critiche, riguardanti il portale giudicato sproporzionato, il finestrone centrale troppo ampio e l’unico balcone, sistemato in posizione asimmetrica al secondo piano.
La pressione dei più conservatori fu tale, che Ermenegildo Castiglioni, preoccupato per le possibili ripercussioni sulla sua attività imprenditoriale, decise di far rimuovere le due statue pochi mesi dopo l’inaugurazione. Contrariamente alle aspettative, le discussioni e polemiche non si placarono, anzi, proseguirono ancora a lungo, rinfocolate anche dalla stampa e in particolare dalla rivista satirica Guerin Meschino, col la pubblicazione di vignette che ancora deridevano lo scandalo generato da quelle due statue.
La rimozione delle due discusse opere del Bazzaro, costrinse Giuseppe Sommaruga, a rimodificare controvoglia il portale monumentale. Al posto, delle due statue, l’architetto fu costretto ad inserire dei putti e. al posto del finestrone un grande bassorilievo floreale, opera dello scultore Ambrogio Pirovano. Questa soluzione, comportando la chiusura della finestra del bagno padronale, mirava a rendere l’estetica del palazzo più sobria, ma rappresentò un compromesso doloroso per l’architetto.
Esistono ancora le due statue rimosse?
Lasciate in deposito e quasi dimenticate in un magazzino dell’impresa Galimberti, che aveva curato la costruzione di Palazzo Castiglioni, le due statue trovarono una nuova collocazione circa dieci anni dopo, su una delle facciate della Villa Faccanoni, altro edificio in stile Liberty, progettato da Giuseppe Sommaruga. Perchè non fossero direttamente visibili al pubblico, le due opere furono sistemate sul fianco destro, lato giardino, della villa stessa. Successivamente, la villa divenne proprietà dell’ingegner Nicola Romeo, e oggi ospita la Clinica Columbus in via Michelangelo Buonarroti 48, una zona, all’epoca, molto più periferica di quanto lo fosse Corso Venezia, rispetto al centro città.
Sebbene il giardino della Clinica Columbus sia di proprietà privata, l’accesso alla struttura è pubblico, quindi è ancora possibile, passeggiando lungo il vialetto principale interno, soffermarsi ad ammirare le due statue che, in passato, suscitarono così tanto clamore.
La facciata sul retro
Il lato posteriore che si affaccia su via Marina, è profondamente diverso rispetto alla facciata monumentale di Corso Venezia. Rivolto verso il giardino interno, presenta un carattere più intimo e funzionale. Qui, i mattoni rossi e il cemento sostituiscono i marmi pregiati della facciata principale, conferendo un aspetto più sobrio e meno decorativo. Tuttavia, l’architetto non rinunciò a un tocco di eleganza,ingentilendone l’aspetto con grandi verande in ferro e vetro sia al pianterreno, che al primo piano. Queste ampie superfici vetrate, oltre a offrire una luminosità naturale agli interni, creano un interessante contrasto con la solidità dei materiali costruttivi, richiamando lo stile Liberty con il suo gioco di forme e trasparenze. Il giardino su cui si affaccia la facciata, progettato come parte integrante dell’architettura, , offre ai residenti, un’oasi di tranquillità, in un’area verde privata, –
Gli interni
Entrando dal portone principale di Corso Venezia, si è accolti da un maestoso scalone a due rampe, che si restringe gradualmente man mano che si sale ai piani superiori. Le balaustre e le lampade in ferro battuto sono autentici capolavori di scultura, segno distintivo di Giuseppe Sommaruga, uno dei primi a promuovere a Milano l’uso decorativo del ferro, trasformandolo in un simbolo di eleganza e distinzione.
All’interno, spiccano le elaborate opere in ferro battuto. Sebbene molti pensino che siano state create nell’officina di Alessandro Mazzucotelli, questa ipotesi va smentita, poiché sui pezzi più pregiati, si trova la firma di “Giovanni Magnoni – Costruttore in ferro, Milano“. Tra i dettagli decorativi ci sono putti, chiavi di violino, motivi floreali e forme astratte che si intrecciano in nastri e serpentelli. L’organizzazione interna degli spazi, all’epoca della costruzione, era considerata molto innovativa.
Dal 1957 il palazzo è tutelato dalla Soprintendenza alle Belle Arti. Tuttavia, tra il 1967 e il 1972, la nuova proprietà, l‘Unione Confcommercio, eseguì ristrutturazioni radicali, demolendo gran parte degli interni originali, con l’eccezione dell’atrio, dello scalone monumentale e di alcuni ambienti del piano nobile, considerati di particolare valore artistico. Molti arredi di pregio, tra cui mobili unici disegnati dall’ebanista bergamasco Eugenio Quarti, andarono purtroppo perduti.
Il progetto dell’edificio prevedeva quattro livelli: al pianterreno, sul lato Corso Venezia, si trovavano la portineria, lo studio di Ermenegildo Castiglioni, l’androne, l’atrio e lo scenografico scalone monumentale, mentre sul lato giardino, parzialmente interrato, erano collocati i locali di servizio dell’appartamento padronale. Il primo piano, o piano nobile, era destinato alla residenza della famiglia Castiglioni, con le sale di ricevimento affacciate sul giardino e l’appartamento privato su Corso Venezia. I due piani superiori ospitavano quattro appartamenti signorili, due per piano, da affittare, mentre gli alloggi per la servitù erano nascosti nei mezzanini, fuori dalla vista, come nei palazzi aristocratici.
Tra gli elementi rimasti intatti, spicca la Sala dei Pavoni, situata al piano nobile, con una volta decorata da stucchi dorati raffiguranti pavoni, in perfetto stile Liberty ispirato alla natura. Gli infissi della sala, la zoccolatura in marmo e il grande camino con specchio sono originali, mentre la tappezzeria è stata rifatta. La veranda luminosa, anche se parzialmente ridotta per necessità della nuova proprietà, si affaccia ancora sul giardino.
Una “chicca” per gli amanti del Liberty è la famosa “Lampada delle libellule” di Alessandro Mazzucotelli, visibile nell’atrio. Simbolo di cambiamento e trasformazione, la libellula è rappresentata in molte culture del mondo. Questa lampada originariamente pendeva dal soffitto della portineria, fino alla vendita dell’immobile.
Il giardino sul retro
Il giardino sul retro, sin dalle origini, fu concepito con una leggera pendenza creata artificialmente per dare profondità e movimento all’area verde. Al centro si trovava un’aiuola ornata di fiori e circondata da vialetti curvilinei, che conferivano un aspetto armonioso e ordinato. Questo spazio verde non era solo un rifugio estetico, ma anche un punto di continuità tra l’architettura del palazzo e la natura, in linea con i principi del Liberty, che spesso integrava elementi naturali nelle sue composizioni artistiche.
Con la ristrutturazione del palazzo, però, il giardino subì notevoli modifiche. Fu eseguito un grande scavo sotto l’aiuola centrale per creare il salone delle assemblee dell’Unione Confcommercio, alterando in parte l’assetto originario dello spazio. Questo intervento sottrasse al giardino parte della sua eleganza originale, ma mantenne comunque una certa armonia con l’ambiente circostante.
Alla fine del giardino, affacciata su via Marina, si trova l’antica scuderia, che pur mantenendo la sua struttura originale, venne ristrutturata e trasformata in una foresteria. Due cancelli a scomparsa, in ferro battuto, realizzati con la stessa maestria decorativa tipica del Liberty, delimitano l’accesso al giardino e testimoniano la cura con cui l’architetto integrò elementi funzionali e decorativi nell’insieme.
Oltre alla funzione estetica, il giardino svolgeva anche un ruolo di rappresentanza per la famiglia Castiglioni, ospitando ricevimenti e momenti di socialità nella parte più riservata del palazzo, lontana dai rumori e dal traffico di Corso Venezia.
Dal 1940 al 1945
Durante la Seconda Guerra Mondiale, l’edificio riuscì a sopravvivere ai bombardamenti del 1943. Requisito prima dai tedeschi e, dopo la liberazione, dagli alleati, divenne il quartier generale delle Forze statunitensi. Mentre i tedeschi si mostrarono rispettosi dei decori e degli arredi, gli alleati vandalizzarono gli interni, utilizzando gran parte dell’arredamento come legna da ardere. Andarono così perduti i pavimenti in legno pregiato e molti mobili di grande valore, tra cui pezzi unici realizzati dal celebre ebanista bergamasco Eugenio Quarti. Fortunatamente, gli stucchi, le decorazioni manieriste e gli elementi coreografici si salvarono e sono ancora oggi testimonianza del valore artistico dell’edificio.
La proprietà dell’edificio nel corso degli anni
Palazzo Castiglioni, costruito originariamente (nel 1903) come residenza urbana dell’omonima ricca famiglia, venne sottoposto a vincolo monumentale nel marzo 1957.
Nel 1965, l’Associazione Calcio Milan trasferì la sua sede in questo edificio, rimanendovi in affitto per un solo anno, prima di spostarsi in via Filippo Turati 3. ed ora, dal 2014, in via Aldo Rossi 8 (zona Portello).
Verso la fine degli anni ’60, gli eredi Castiglioni, non riuscendo più a sostenere gli alti costi di gestione del palazzo (cui si aggiunse in quegli anni anche la tassa relativa alla costruzione della nuova metropolitana Linea 1 (rossa), decisero di vendere l’edificio all’Unione Confcommercio di Milano, Lodi, Monza e Brianza che, da allora, ne è l’unica proprietaria.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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