Pan de Mej
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Questo, non è un pane in senso stretto, è piuttosto un dolce tipico della cucina lombarda, di chiara origine contadina. E’ una tradizione che il Pan de Mej (o pan dei poveri), detto anche ‘pan meino‘ o ‘panigada‘ venga normalmente preparato in occasione del 23 aprile, giorno designato dal calendario ambrosiano per la celebrazione di San Giorgio, nella data della ricorrenza della sua morte, avvenuta nel 303, nell’attuale Turchia, per onorare un’antica tradizione sospesa tra storia e leggenda.
Molto lontana da quella che era la ricetta originale, oggi il Pan de mej, risulta sicuramente più ‘conforme‘ ai nostri gusti attuali. Dal sapore dolce (la ricetta ovviamente prevede dello zucchero), questo pane risulta ambrato all’esterno, ed aromatizzato con fiori di sambuco essiccati. Si tratta di un pane, o forse più propriamente di un dolce, che, nei tempi andati, si faceva utilizzando proprio la farina di miglio, (il mej appunto, come si dice oggi in dialetto meneghino). In mancanza di farina di grano, i contadini, anticamente, per panificare, usavano quella di miglio, cereale povero.
NOTA SULLA FARINA DI MIGLIO
La farina di miglio è un alimento gluten-free, quindi è un’ottima alternativa per coloro che soffrono di celiachia o di intolleranza al glutine.
Inoltre, è anche una fonte di proteine di alta qualità e di minerali, oltre a contenere una quantità significativa di carboidrati complessi che forniscono energia a lungo termine.
Questa farina ha una consistenza fine e un sapore leggermente dolce, che la rende un’ottima scelta per la produzione di dolci come torte e biscotti. Tuttavia, a causa della sua mancanza di glutine, può essere necessario modificare le ricette tradizionali per ottenere risultati soddisfacenti. Ad esempio, potrebbe essere necessario utilizzare una combinazione di farine per ottenere una consistenza adeguata e una texture morbida.
VALORI NUTRIZIONALI
La farina di miglio è un alimento che fornisce una vasta gamma di nutrienti importanti. Ecco alcuni dei suoi valori nutrizionali per 100 grammi di prodotto:
- Energia: 364 calorie
- Proteine: 9,4 g
- Grassi: 1,9 g
- Carboidrati: 80,9 g (di cui zuccheri: 1,3 g)
- Fibra: 5,2 g
- Ferro: 4,6 mg
- Zinco: 2,3 mg
- Magnesio: 111 mg
- Fosforo: 402 mg
- Potassio: 364 mg
[ rif. – Cucinare.it ]
A partire dal 1700 tuttavia, al posto della farina di miglio, si diffuse la consuetudine di preparare questo dolce, con una miscela delle più comuni varietà di mais e di grano. Oggi lo preparano in pochi, sempre meno, e scovarlo nelle storiche pasticcerie di Milano e provincia non è cosa facile.
Le modifiche operate nella ricetta non hanno tuttavia portato a un’evoluzione semantica del nome, che è rimasto invariato anche se il miglio non si usa più, in barba al principio, tanto caro ai latini, del ‘nomen omen‘.
Ndr. – Per inciso, i latini sostenevano che nel nome delle persone fosse indicato il loro stesso destino: da qui l’affermazione “nomen omen”, che, in italiano, significa “il nome è un presagio”, o anche “un nome un destino”, “il destino nel nome”, “di nome e di fatto” e così via.
Curiosità storiche
A ripensarci, appare davvero singolare come la storia del ‘Pan de Mej‘, s’intrecci a doppio nodo, con la ricorrenza del 23 aprile, giorno, come detto, designato dal calendario ambrosiano, per la celebrazione di San Giorgio.
Nel calendario ambrosiano: 23 aprile – San Giorgio M.
Pare davvero incredibile, ma a differenza di tanti altri santi, non si hanno notizie biografiche certe di San Giorgio, che fu un Martire cristiano; il ché è tutto dire, poiché si tratta di un santo notissimo, che risulta essere addirittura il patrono di nazioni europee come l’Inghilterra, il Portogallo, la Spagna e la Lituania. Infatti, le principali informazioni che lo riguardano, provengono dalla Passio Sancti Georgii, documento questo, classificato però, già nel 496 d.C., tra le opere apocrife (ovvero non riconosciute dalla Chiesa ufficiale).
Chi era San Giorgio ?
Secondo questa fonte, Giorgio, verso l’anno 280 d.C., sarebbe nato in Cappadocia (regione asiatica dell’odierna Turchia), da padre persiano, Geronzio, e madre cappadoce, Policromia. Evidentemente convertiti al cattolicesimo, i suoi genitori lo educarono alla religione cristiana. Arrivato alla maggiore età, si trasferì in Palestina, ove si arruolò nell’esercito dell’Imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato. Si distinse al punto da giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso imperatore, divenendo ufficiale delle milizie.
Si narra che Giorgio, Cavaliere di Cristo, a cavallo di un bianco destriero, giunse un giorno nel regno di Silene, in Cirenaica (attuale regione berbera, della Libia orientale). Questo regno che, come racconta la leggenda, pare fosse funestato dalla presenza di un drago, la cui forza distruttrice e la cui ferocia potevano essere mitigate soltanto offrendo al mostro, sacrifici umani. Tradizione vuole, che fosse proprio San Giorgio, “soldato di Cristo”, a salvare dalle voracissime fauci del mostro, la figlia del re, riuscendo a ucciderlo in uno scontro diretto. Come ricompensa per essere riuscito a battere il drago e a risparmiare quindi da morte sicura la principessa, il Santo non volle né onori né denari, ma chiese ed ottenne dal re che tutto il popolo si convertisse al cristianesimo, ricevendo il battesimo.
Sempre nel Medioevo, la lotta di San Giorgio contro il drago, divenne il simbolo della lotta del Bene contro il Male e, per questo, il mondo della cavalleria vi vide incarnati i propri ideali.
La leggenda del soldato vincitore del drago, contribuì al diffondersi del suo culto, che divenne popolarissimo in Occidente e in tutto l’Oriente bizantino, ov’egli è per eccellenza il «grande martire» e il «trionfatore». Rapidamente divenne un santo tra i più venerati in ogni parte del mondo cristiano. Vari Ordini cavallereschi portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l’Ordine della Giarrettiera, l’Ordine teutonico, l’Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri
[ rif. – Wikipedia ]
Secondo le fonti ritenute più attendibili, Diocleziano avrebbe convocato a sé settantadue re, allo scopo di stabilire quali misure adottare nei confronti dei cristiani: San Giorgio, dopo avere donato tutti i propri averi ai poveri, si confessò cristiano di fronte alla corte, e avendo rifiutato l’invito dell’imperatore di eseguire un sacrificio agli dei, venne picchiato e trasferito in carcere.
Qui ebbe una visione di Dio, che gli predisse tormenti per sette anni, la morte per tre volte e la resurrezione per tre volte. Il corpo di San Giorgio venne – secondo la leggenda – tagliato in due con una ruota piena di spade e di chiodi. Successivamente Giorgio resuscitò facendo convertire Anatolio, magister militum, e tutti i suoi soldati, poi assassinati a colpi di spada.
Dopo avere abbattuto gli idoli di pietra presenti in un tempio pagano con un sol soffio, convertì l’imperatrice Alessandra, la quale viene in seguito martirizzata. Ancora, Giorgio resuscitò, su invito del re Tranquillino, due persone morte da più di quattro secoli, facendole scomparire, dopo averle battezzate.
Condannato ancora a morte dall’imperatore Diocleziano, pregò Dio di incenerire l’imperatore e i settantadue re: la sua richiesta venne esaudita, e a quel punto Giorgio si lasciò decapitare, garantendo la massima protezione a chi si sarebbe occupato delle sue reliquie, che oggi si trovano nella città di Lod, in Israele, conservate in una cripta.
[ rif. – Biografieonline.it ]
Ben due, sono le leggende che radicano il ‘pan meino‘, all’ultima decade di aprile: la prima, affonda le sue radici nella Milano medievale; la seconda, è sicuramente molto più recente, risalendo al XIX secolo. Pare che entrambi comunque, siano effettivamente vere.
La leggenda di Vione
Siamo nel XIV secolo, nel febbraio del 1339: pare che a quell’epoca, non tutte le zone del contado a ridosso della città, fossero sicure e che, in particolare una, nell’area a sud del capoluogo lombardo, fosse infestata da briganti e soldati di ventura della Compagnia di San Giorgio, sbandati rifugiatisi là, dopo la battaglia di Parabiago.
Ndr. – La battaglia di Parabiago fu uno scontro verificatosi il 21 febbraio 1339 nelle campagne attorno a Parabiago e Nerviano, tra le truppe milanesi di Azzone Visconti, guidate da suo zio Luchino, contro i ribelli della Compagnia di San Giorgio, guidati da Lodrisio, altro zio di Azzone, pretendente al titolo di Signore di Milano.
A capo di tutti costoro, si era posto un bandito della peggior risma, tale Vione Squilletti, soggetto davvero poco raccomandabile, feroce e sanguinario che, seguito dal suo manipolo di fedelissimi, commetteva soprusi di ogni tipo, terrorizzando gli abitanti di quell’area. A dire il vero, le sue scorribande non durarono moltissimo (esattamente due mesi). Infatti, stufa delle quotidiane vessazioni cui veniva sottoposta, la gente del posto decise di rivolgersi direttamente al Signore di Milano di allora, Azzone Visconti, per spiegargli la situazione insostenibile e chiedergli di fare giustizia. Proprio il 23 aprile del 1339, il giorno della ricorrenza della morte di San Giorgio. avvenne in quella zona (allora fuori città), lo scontro armato tra i soldati dello zio di Azzone, Luchino Visconti (che operava per lui) ed i briganti, scaramuccia che si risolse quel giorno stesso, con la capitolazione del Vione e dei suoi seguaci.
Al termine della cruenta battaglia, finalmente liberati dall’incubo, gli abitanti di quella zona (che, allo scoppiare della battaglia, si erano tutti barricati nei loro casolari), uscirono in strada per festeggiare con i soldati viscontei, la libertà ritrovata, offrendo loro, in segno di ringraziamento e riconoscenza, del ‘pan de mej‘, con la panera (la crema del latte fresco, raccolta per affioramento).
Proprio sul luogo dove avvenne l’eccidio, comparve, in seguito, riprodotta su un muro, un’effige in cui veniva mostrata l’immagine di San Giorgio alle prese con il drago (a simboleggiare l’eterna lotta del Bene contro il Male) e, più sotto, la scritta “Qui morì Vione”. Fu proprio in seguito a quest’episodio, che quella zona di campagna, con pochi casolari, prese il nome di Morivione (oggi rione periferico di Milano, situato nella zona meridionale della città, attualmente appartenente al Municipio 5).
Nota curiosa a questo proposito, è che, al ripetersi della ricorrenza a memoria di questo evento, la tradizione portata avanti per secoli ( cioè l’offerta in quel luogo, del pan de mej accompagnato da latte o panna liquida) , pare si sia interrotta definitivamente pochi decenni fa (nel secondo dopoguerra).
La leggenda dei lattai
San Giorgio tuttavia non è solo il cavaliere che, secondo tradizione, sconfisse il drago, ma è anche il Santo protettore degli scout e, soprattutto, dei lattai. Proprio da questo ruolo di patrono, trae spunto la seconda leggenda, (storia vera) risalente al XIX secolo.
Il 23 aprile, infatti, giorno dedicato a San Giorgio, era, ai tempi, anche la data in cui si stipulavano i contratti per la fornitura di latte tra mandriani e lattai. Questo naturalmente significava, per i contadini, un minimo di tranquillità finanziaria (reddito garantito per un intero anno) e, per i lattai, la sicurezza di approvvigionamento della “materia prima” (anche per fare i derivati, come ricotte e formaggi). La firma del contratto, veniva dunque celebrata come una festa, offrendo alla popolazione una tazza di panna e del Pan de Mej (da intingere), in segno di riconoscenza verso il Santo, ma anche come simbolo di buon auspicio per il futuro.
Un ‘biscottone’ internamente morbido
Il ‘pan de mej‘ originale, (cioè quello fatto con farina di miglio), pare sia molto friabile, e che si sciolga in bocca, un sapore dolce e burroso, adatto ai celiaci, essendo la farina di miglio, priva di glutine. Talvolta, se al posto del lievito di birra viene utilizzato quello per dolci, il pan meino, preparato in questa variante, diventa più simile a un biscotto e perde parte della sua unicità.
Oggi viene preparato prevalentemente dalle panetterie e da industrie dolciarie specializzate nella preparazione di dolci freschi, ma provare a farlo in casa, non è per nulla difficile.
La ricetta per fare il ‘Pan de Mej‘ in casa
Ingredienti per 4 persone:
- Burro,150 g
- Farina 00, 200 g
- Farina di mais fioretto, 300 g (varietà di farina di mais, reperibile nei supermercati più forniti)
- Lievito per dolci, 1 bustina
- Sale, 1 pizzico
- Fiori di sambuco essiccati, qb. (facoltativi)
- Uova, 3 medie (tuorlo + albume)
- Vanillina, 1 bustina
- Zucchero, 150 g
- Zucchero al velo, qb.
La preparazione
- Fare fondere il burro a fuoco molto basso o al microonde, quindi farlo raffreddare.
- Miscelare, in una ciotola, la farina di mais con la farina 00, unendo pure la bustina di lievito: quindi setacciare il tutto.
- Riunire in una planetaria o in un’altra ciotola capiente, le uova, lo zucchero e la vanillina e sbattere il tutto con delle fruste elettriche, fino a quando il composto non diventi cremoso.
- Incorporare al composto, il burro fuso, un pizzico di sale, e le polveri setacciate separatamente.
- Lavorare il tutto fino ad ottenere un impasto morbido, ma ancora lavorabile con le mani. Prelevare delle porzioni d’impasto di circa 60 g e modellarle entro un disco di 8 cm di diametro.
- Disporre i pan de mej su di una teglia foderata di carta forno, e cospargerli con i fiori di sambuco se disponibili. Spolverizzare i pan de mej con dello zucchero semolato e, successivamente, con dello zucchero a velo.
- Infornare i dolci a 180°C per 20 minuti (o fino a quando risulteranno dorati)
- Sfornare i pan de mej, lasciarli freddare e servirli per una bella colazione o un tè.
Il suggerimento per la sua degustazione
Il modo migliore per gustare il ‘pan de mej‘ è provare ad intingerlo nella panna. Sicuramente è un po’ calorico, ma è davvero gustoso!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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