Pillole di storia: L’arca sforzesca
Sommario
ToggleEra il 1460, quando il conte Gaspare Vimercati, comandante delle milizie di Francesco Sforza, e suo amico d’infanzia, donò ai frati Domenicani un vasto appezzamento di terreno fino ad allora utilizzato come salmeria per le truppe del Duca. In quell’appezzamento vi era una cappella con affrescata l’immagine della Madonna, detta “delle grazie”, che lui volle donare ai Domenicani perché vi edificassero una chiesa (la futura basilica di Santa Maria delle Grazie), ed un convento.
I lavori , progettati e guidati da Guiniforte Solari, iniziarono nel 1463: il convento, comprendente tre chiostri, fu completato nel 1469, mentre per la chiesa fu necessario aspettare ulteriori tredici anni. La cappella della Madonna delle grazie, venne inglobata nella nuova costruzione, diventando una delle quattordici cappelle laterali della basilica. Opera questa che il Solari non riuscì a vedere finita, a causa della morte che lo colse nel gennaio del 1481, a un anno dal suo completamento.
L’idea del mausoleo per la famiglia
Alla morte del Duca di Milano Francesco Sforza bel 1466, dopo varie vicissitudini e lotte famigliari fra fratelli, riuscì a salire al potere uno dei suoi figli: Ludovico Maria (detto il Moro). Questi, fin da ragazzino, si era ripromesso che, se un giorno fosse riuscito ad arrivare al potere, avrebbe fatto costruire un mausoleo per sè e per la sua famiglia, come si usava all’epoca per tutte le famiglie importanti nelle altre città della penisola (vedi ad esempio gli Scaligeri a Verona, i Medici a Firenze, o i Malatesta a Rimini ecc).
E così, in effetti, lui fece: decise di non far costruire una chiesa nuova, lavoro questo che sarebbe stato troppo lungo ed oneroso, ma di riadattarne una già esistente. La scelta ricadde proprio su quella che era stata consacrata recentemente appena fuori le mura della città, la chiesa di Santa Maria delle Grazie, appunto. Trovandosi a solo qualche centinaio di metri dal Castello, risultava decisamente molto comoda per i suoi inquilini.
La chiesa prescelta però, a suo giudizio, era un po’ troppo ‘pesante’ e ‘severa‘, non più in linea con le tendenze architettoniche di quel periodo e quindi avrebbe dovuto essere ritoccata anche pesantemente, per renderla soprattutto più luminosa. Desiderava, in pratica, qualcosa di più moderno rispetto al classico gotico-lombardo, al quale si era rigorosamente voluto attenere il Solari. Evidentemente non soddisfatto di come si presentava ad esempio, la facciata, troppo ‘dimessa‘, il primo segno di abbellimento che commissionò, fu rappresentato proprio dal portone di marmo a loggetta, che nella versione iniziale non era stato contemplato.
Poi, mentre Leonardo da Vinci era impegnato a dipingere l’Ultima Cena nel grande refettorio del convento, Ludovico fece demolire totalmente l’abside della chiesa originale, facendola ricostruire ex-novo, unitamente ad una grande tribuna, a firma di Donato Bramante.
Questi era un architetto quarantottenne di scuola urbinate, ormai divenuto personaggio di fama presso la Corte, per aver già realizzato poco prima, per conto di Gian Galeazzo Sforza e Bona di Savoia (rispettivamente nipote e cognata di Ludovico il Moro), il restauro della chiesa di Santa Maria presso san Satiro, (la mirabile chiesa all’inizio di via Torino). Notevole infatti l’effetto di profondità da lui ottenuto, nella chiesa della Vergine pugnalata, dove l’abside, in effetti, è praticamente inesistente.
Leggi l’articolo sulla storia della Vergine pugnalata
I lavori di ‘ristrutturazione’ del complesso di Santa Maria delle Grazie durarono cinque anni, dal 1492 al 1497. Bramante riuscì splendidamente a sposare il gotico lombardo (con i suoi mattoni di cotto rossi), con lo stile rinascimentale molto più luminoso (col suo granito bianco).
La morte di Beatrice
I lavori di ristrutturazione della basilica erano quasi ultimati, quando il 3 gennaio 1497, l’amatissima moglie di Ludovico, Beatrice d’Este, duchessa di Milano, morì di parto. Aveva solo ventidue anni, sei anni di matrimonio alle spalle e già due figli Massimiliano e Francesco e Il terzo in arrivo, nato morto.
I funerali di Stato si fecero proprio a Santa Maria delle Grazie. officiati dall’arcivescovo Guidantonio Arcimboldi e altri alti prelati, e la partecipazione di tutti gli ambasciatori allora presenti a Milano. Durante la cerimonia, Ludovico, che allora aveva quarantadue anni, come estremo atto d’amore nei confronti di Beatrice, espresse pubblicamente il desiderio di essere sepolto accanto alla moglie. Commissionò infatti subito a Cristoforo Solari (il gobbo), uno dei migliori scultori dell’epoca, una fastosa arca monumentale (tomba) destinata alla defunta consorte e a sé stesso, da collocare nell’area del coro, dietro all’altare maggiore.
Il passaggio segreto
Si narra, che in uno degli armadi della sacrestia vecchia della Basilica di Santa Maria delle Grazie, si celasse un passaggio sotterraneo segreto fino al Castello, percorso che il Moro avrebbe fatto costruire appositamente per poter essere libero di andare a pregare quando voleva, sulla tomba della sua giovanissima consorte, senza necessariamente essere obbligato per questo ad uscire dal Castello. Se è vero che usò effettivamente quel passaggio, lo fece comunque per poco più di un anno, perchè il destino aveva deciso per lui un epilogo diverso da quello che sicuramente avrebbe desiderato.
Ludovico era un soggetto esigente
Quello stesso anno, anche quando i lavori per il rifacimento della Basilica sembravano per la maggior parte compiuti, il Moro, ancora insoddisfatto, ordinò di ricercare “tutti l periti si trovino ne la architettura per examinare et fare uno modello per la fazada”.
Purtroppo per lui, l’incalzare degli eventi politici non gli consentì di portare a compimento il suo ambizioso disegno architettonico per la facciata della basilica.
Venti di guerra
Per contrastare gli aragonesi di Napoli, suoi rivali, commise il gravissimo errore di far venire in Italia gli eserciti francesi affinchè gli dessero una mano. ma si accorse troppo tardi dell’errore e fu per lui la fine.
In realtà, i veri problemi nacquero nel 1498, alla morte di Carlo VIII re di Francia, col quale, fino ad allora, aveva avuto buoni rapporti. Gli succedette al trono Luigi XII, duca d’Orléans, già suo acerrimo nemico in quanto, rifacendosi ai diritti ereditati dalla nonna Valentina Visconti, si riteneva pretendente al ducato di Milano, quando nel 1447, alla morte del duca Filippo Maria Visconti , in mancanza di eredi diretti, si pose il problema della successione.
[ Nota – Dopo la morte del duca, ci fu la proclamazione della Repubblica Ambrosiana che operò per circa tre anni: successivamente nel 1450, conquistò il potere insediandosi alla guida del Ducato, col consenso del popolo, il padre di Ludovico il Moro. Questi era il cavaliere di ventura Francesco Sforza, sposato con Bianca Maria, figlia del defunto Duca Filippo Maria Visconti.]
Si autoproclamò pertanto duca di Milano, Luigi XII (re di Francia). Alleatosi con Venezia e con il papa, inviò nel 1498 Gian Giacomo Trivulzio a conquistare il ducato.
Ludovico Il Moro tentò di opporre resistenza, ma fu sconfitto. Riparò allora ad Innsbruck (1499), presso l’imperatore Massimiliano (suo parente), tentando qualche mese dopo, la riconquista di Milano. Tradito a Novara dalle truppe svizzere che, fino ad allora, gli erano state fedeli, essendo sempre state il nerbo del suo esercito, fu da loro consegnato ai Francesi (1500).
Venne fatto prigioniero ed esiliato nel castello di Loches nel dipartimento della Loira. Morìrà otto anni dopo nel maggio del 1508, all’età di 56 anni.
A Milano salì al potere il figlio di Ludovico il Moro, Massimiliano. Fra la sua giovane età (nove anni) e la debolezza di carattere, fu insediato a quella carica dai francesi, perchè succube fantoccio in mano loro.
Data la confusa situazione politica che, in seguito a questi eventi, si venne a creare a Milano in quel periodo, la salma di Ludovico il Moro non venne mai reclamata, e quindi nemmeno mai rimpatriata.
Ludovico il Moro fu sepolto a Tarascona (in Provenza), nella locale chiesa dei padri domenicani. Quindi la sua tomba di fianco alla moglie, a Santa Maria delle Grazie qui a Milano, restò sempre vuota.
Dov’è l’arca degli Sforza?
Ma anche l’arca monumentale con i resti di Beatrice d’Este, non ebbe vita molto lunga. Ci pensò il ventiseienne Carlo Borromeo nel 1564, appena eletto arcivescovo di Milano, a farla togliere subito di mezzo. Non perchè personalmente ce l’avesse con gli Sforza … (a quell’epoca, fra l’altro, non c’erano più degli Sforza al potere, e Milano, di fatto, era già passata sotto la dominazione spagnola), ma perché, estremamente ligio alle regole, aveva preso alla lettera le raccomandazioni concordate al Concilio di Trento appena concluso.
Scandalizzato, infatti, per la rilassatezza dei costumi anche nello stesso contesto ecclesiastico, dopo tanti anni di mancanza di un arcivescovo alla guida della Diocesi, Carlo Borromeo cominciò a fare una profonda opera riformatrice ad iniziare dall’ambiente del Clero stesso. Stilò personalmente delle regole non solo di disciplina e di comportamento morale soprattutto nei confronti della nobiltà, ma pure curò la stesura di norme importanti per il rinnovamento degli edifici ecclesiastici, pubblicando le “Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae“. Si trattava di un compendio di regole architettoniche, suddiviso in ben 34 capitoli in latino, con dettagli incredibili su come, secondo lui, doveva essere fatta una chiesa, il pavimento, il tetto, le finestre ecc).
[ ndr. – La puntigliosità nell’esposizione di tali dettagli, dà quasi l’impressione che lo sfarzo e la ricchezza degli arredi dell’interno del Duomo, desse a San Carlo, decisamente fastidio. Quasi fosse per lui il vademecum di cos’è che non si deve fare! Per fortuna l’esterno, ai suoi tempi, era ancora molto dimesso. Viene spontaneo a questo punto chiedersi quale sarebbe stata oggi la sua reazione!]
Lo scopo era evidentemente quello di rendere più sobri gli edifici di culto, sia esternamente che internamente e di come si dovessero costruire le chiese nuove o modificare quelle esistenti. Il tutto, naturalmente basandosi sulla rigorosa applicazione delle disposizioni approvate al Concilio di Trento che suo zio, papa Pio IV, aveva portato a conclusione nel dicembre 1563.
Fra le varie disposizioni, ce n’era una che obbligava a far rimuovere dai piedi degli altari o in vicinanza degli stessi, eventuali reliquie o resti di tutti coloro che non fossero riconosciuti dalla Chiesa, come santi. Poichè gli Sforza, certamente santi non erano, la loro arca monumentale venne demolita e andò dispersa. Le uniche testimonianze che si salvarono, perchè acquistate dalla Certosa di Pavia, furono solo le due lastre tombali scolpite dal gobbo Cristoforo Solari, con l’ immagine dei due corpi distesi, uno a fianco all’altro, che oggi è possibile ammirare andando a visitare la Certosa. Le lastre visibili sono comunque un cenotafio e non una tomba.
[ ndr. – Alcune fonti riportano che la certosa di Pavia acquistò queste lastre molto probabilmente a ricordo del matrimonio fra Ludovico il Moro ed Elisabetta d’Este che scelsero proprio Pavia come luogo ove sposarsi, nel 1491.
Ludovico aveva assunto la reggenza del Ducato già nel 1480, di fatto prevaricando il giovane nipote Gian Galeazzo Sforza che era il legittimo Duca di Milano. La scelta di Pavia per il suo matrimonio piuttosto che Milano (come sarebbe stato logico), fu semplicemente un atto di delicatezza dello zio nei confronti del nipote, per evitare che la figura già compromessa del Duca, che si era da poco sposato con Isabella d’Aragona, rimanesse ulteriormente offuscata dai festeggiamenti fastosi per il matrimonio. ]
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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