Tommaso Marino e il suo Palazzo
Sommario
ToggleChi era Tommaso Marino?
Tommaso Marino era nato a Genova, classe 1475, primogenito di Luchino ‘ambasciatore’ a Milano presso Ludovico il Moro, e di Clara Spinola, appartenente ad uno dei rami non nobili dell’illustre casata genovese. Aveva un fratello Giovanni (nato nel 1486), e due sorelle, Barbara e Maria.
A parte l’essere ricchi banchieri, l’attività principale dei Marino, era quella di ‘gabellieri’: riscuotevano cioè le imposte, dapprima sotto i francesi, per conto del re di Francia Luigi XII, poi sotto gli spagnoli, per conto del re di Spagna Filippo II. Accanto al mestiere di esattori, i Marino prestavano pure danaro, a tassi d’usura vicini al 20%.
Il padre cominciò l’attività inizialmente a Genova, per poi puntare su Milano, portandosi dietro i figli Tommaso e Giovanni.
Il primo a trasferirsi definitivamente a Milano, già nel 1509, fu proprio il giovane Giovanni, mentre Tommaso e il padre, tornarono a Genova, per continuare a curare gli affari di famiglia.
Nel 1529, con la caduta del ducato di Milano sotto la dominazione spagnola di Carlo V, la famiglia Marino ebbe modo di farsi conoscere per i numerosi prestiti alla Corona, e da quel momento, gli affari cominciarono ad andare a gonfie vele. Prestarono soldi addirittura al re Carlo V, e alla Santa Sede dell’epoca, in cambio di incarichi vari ed onorificenze!
Tommaso, fiutata l’opportunità di concludere molti affari, nel 1540, venne ad abitare a Milano, in casa del fratello. Nel 1541, Giovanni venne nominato Commissario generale del censo e, dal 1545, trovò sistemazione per sé e la famiglia, in una casa proprio all’angolo fra piazza San Fedele e contrada di San Giovanni alle Caserotte, esattamente ove tredici anni più tardi sarebbe stata posta la prima pietra per il Palazzo Marino.
Le diverse attività di Tommaso Marino
Fu proprio durante il governatorato di Alfonso d’Avalos d’Aquino d’Aragona, a Milano dal 1538 al 1546, che cominciò la straordinaria fortuna economica di Tommaso, grazie anche alle continue necessità finanziarie dell’impero. Il versamento nelle casse dello Stato di importi ragguardevoli, lo fece diventare uno dei principali finanziatori dell’ Impero, e gli garantì, come contropartita, il monopolio del sale da Venezia a Milano e Genova, per un periodo di nove anni rinnovabili; altro incarico molto lucroso, che riuscì ad accaparrarsi, grazie all’amicizia col governatore, fu quello delle forniture militari; inoltre si assicurò la garanzia del gettito dei dazi di Milano, Pavia, Lodi e Cremona a fronte delle cifre che avrebbe esborsato per le ingenti spese militari della guarnigione in Lombardia.
Invidiato per le sue conoscenze altolocate, e criticato per la spregiudicatezza con cui riusciva a gestire gli affari, era sulla bocca di tutti, per l’immensa ‘fortuna’ che aveva accumulato.
Bandito come ‘Traditore della patria’
Nel 1546, morto Alfonso d’Avalos, Carlo V chiamò don Ferrante Gonzaga a succedergli, creandolo governatore del ducato di Milano. Discendente dei marchesi di Mantova, questi, inaugurò una politica di espansione del ducato. Il Gonzaga, assieme agli Spagnoli e con l’appoggio di Firenze, organizzò la ‘congiura contro Pier Luigi Farnese’ (duca di Parma filo-francese, – figlio di Papa Paolo III). Tommaso Marino, nella speranza di ottenere sempre maggiori favori, non solo fu tra i finanziatori dell’impresa, ma partecipò pure in prima persona, alle varie fasi della ‘congiura dei Fieschi‘, contro lo strapotere dei Doria, tanto che, dopo il fallimento della stessa, venne bandito da Genova, come “traditore della Patria“. Rimase pertanto nella sua citta di adozione (Milano), vivendo in un fasto principesco.
La famiglia
Quando, nel 1546, il fratello Giovanni venne improvvisamente a mancare, Tommaso, che aveva già 71 anni, trasferì subito a Milano la sua famiglia, per prendersi carico delle attività del fratello. Assunse su di sè amche l’onere della tutela dei sette nipoti. Lui, nonostante l’età aveva cinque figli, tutti piccoli, essendosi infatti sposato molto tardi, con Bettina Doria, anch’essa genovese e imparentata con Andrea Doria, grande ammiraglio e figura di spicco della Repubblica di Genova. La maggiore dei figli, Virginia, nata nel 1541, aveva solo 5 anni, e gli altri, Bartolomea, Clara, Nicolò e Andrea erano tutti in scala. Dei cinque figli, l’unica che si sarebbe fatta monaca, sarà Bartolomea. Gli altri quattro, movimenteranno, nel bene e nel male, gli ultimi anni di vita del loro padre.
I suoi clienti migliori
Fra i personaggi fruitori dei suoi prestiti, oltre al governatore di Milano anche il Papa Giulio II e lo stesso imperatore. Fra gli enti, aveva stretti rapporti d’affari sia con la tesoreria che col Senato dello Stato di Milano
Le onorificenze
Nel 1552 era stato nominato senatore del Ducato di Milano.
Nel 1559 acquistò dal governatore, duca di Sessa, il feudo e il titolo di marchese di Terranova (Taurianova in Calabria) a saldo di alcuni debiti. .
Per la sua notorietà e il potere acquisito, Tommaso Marino venne nominato dal governatore, “Membro di Cappa Corta” del Senato, la più alta carica giudiziaria ed amministrativa dello Stato.
Data la posizione, gli mancava solo ancora una dimora adeguata …
La favola che aleggia sul palazzo
Riguardo all’origine di palazzo Marino, non conosceremo mai esattamente la verità. Lui, Tommaso, ormai molto avanti negli anni, lei, Bettina, la moglie non più giovane, ammalata da tempo (morirà infatti prima ancora che si comincino a scavare le fondamenta del palazzo), le malelingue che mettono in giro voci di simpatie … insomma, una storia d’amore tra lui ed una giovani nobildonna realmente esistita … voce che comincia a circolare insistente, una leggenda forse priva di fondamento, che però infonde quel clima di mistero che aleggia in tutte le favole.
Doveva essere davvero una vecchia volpe, quell’ ultra-ottantenne di Marino, affetto da delirio di onnipotenza e con un temperamento focoso e passionale.
Si narra che un giorno (1556) sul sagrato della vecchia chiesa di san Fedele, proprio vicino a casa, abbia incrociato lo sguardo di un’avvenente ragazza, restandone fulminato, tanto era bella. Era Arabella, una giovane veneziana, della nobile casata dei Cornaro. Purtroppo non solo non era adatto a lei, essendo troppo avanti con gli anni, ma non soddisfaceva nemmeno i requisiti minimi: lei infatti, essendo una delle discendenti di Caterina Cornaro, regina di Cipro, era abituata ad una fastosa dimora, che lui non possedeva. Tommaso Marino, totalmente invaghito della ragazza, si rivolse al padre di lei, per chiederla in moglie. Il padre naturalmente rifiutò, adducendo, a valido motivo, il fatto che la dimora del pretendente, non fosse abbastanza consona e decorosa per ospitare la figlia abituata a ben altri fasti. Così il testardo e prepotente Marino si dannò l’anima per far costruire una dimora sontuosa, dedicata ovviamente alla bell’Ara, uno dei primi palazzi di pietra della città, sufficientemente fastoso da poter convincere il padre di lei a cambiare opinione sul suo conto e acconsentisse a farlo sposare con la giovane.
Una versione ipotizza che Marino l’abbia fatta rapire dai bravi su suo ordine, per mettere il padre di lei, di fronte al fatto compiuto.
Sembra che una volta con lui, nella nuova dimora, l’avrebbe ricoperta di gioielli.
1557 – Progettazione del palazzo
Questo palazzo non s’aveva da fare né allora né mai …. avrebbe probabilmente scritto il Manzoni, se avesse scritto un romanzo su questa storia!
Il progetto, fatto nel 1557, era di un architetto che andava per la maggiore in quel periodo: il perugino Galeazzo Alessi, che aveva già edificato, in città, le chiese di San Barnaba e di Santa Maria presso San Celso..
Il palazzo si prospettava come un qualcosa del tutto innovativo per Milano, prima di tutto perché libero sui quattro lati, cosa più unica che rara in città, poi perchè coperto non da tetti, ma da terrazze, secondo l’uso genovese e infine, per lo stile manieristico, novità assoluta per quell’epoca. Interessante ad esempio la presenza di colonne dei tre ordini architettonici sulla stessa facciata a pianterreno colonne con caoitelli in stile dorico, al primo piano in stile ionico, al secondo in stile corinzio.
1558 – Inizio della costruzione
Dopo gli espropri e la demolizione delle case esistenti prospicienti via Case Rotte, piazza San Fedele e l’attuale via Marino, il progetto divenne esecutivo. Da notare che tutte le vecchie case lato attuale piazza della Scala, all’inizio non furono interessate alle demolizioni, non essendo stato acquistato il relativo terreno. Quindi il cantiere inizialmente si sviluppò su tre soli lati. Il palazzo tardo rinascimentale, avrebbe dovuto essere collegato, nelle intenzioni, col Duomo, sull’asse che passava parallelo alla facciata principale (quella prospiciente piazza San Fedele), anticipazione della Galleria Vittorio Emanuele, seppur spostata di un isolato.
La posa della prima pietra di Palazzo Marino, avvenne il 4 maggio 1558 all’angolo tra piazza San Fedele e via Caserotte, esattamente dov’era la prima casa del fratello Giovanni.
Godeva che il popolo mormorasse …
Indubbiamente, per la sua attività di ‘gabelliere’, Tommaso non era molto ben visto in città, dalla gente comune. Lui amava far credere a tutti che fosse ‘nobile‘, anche se non lo era affatto. Era molto inviso ai milanesi anche per il suo modo di presentarsi, arrogante e spaccone. Per stuzzicare ulteriormente l’insofferenza del popolo, si era fatto costruire ad hoc una ‘carretta tutto d’oro’ sulla quale andare a passeggio per la città …
E man mano che il suo palazzo s’innalzava da terra, sempre più cresceva il malumore fra la gente … lui lo sapeva perfettamente e godeva a farli schiattare di rabbia e d’invidia, anche perché il suo palazzo, stava diventando il più bello e lussuoso di tutti i palazzi di Milano …
Come se non bastasse, la sua megalomania arrivò al punto di comprarsi nel 1559, una cava di ceppo a Brembate, per togliersi dai piedi gli esosi fornitori, lenti nelle consegne, e assicurarsi la pietra necessaria per rivestire a piacimento, il suo palazzo.
1560 – Tentativo di collegamento con piazza dei Mercanti
Tommaso Marino acquistò l’ultimo lotto di terreno per completare la costruzione del suo palazzo e ottenne l’autorizzazione ad aprire una nuova strada tra il palazzo stesso e piazza dei Mercanti.
A Palazzo Marino, i lavori, almeno internamente, nei tre lati considerati, erano abbastanza a buon punto, a parte il cortile d’onore e le decorazioni variedei saloni interni. Dei tre lati esterni, l’unica facciata effettivamente completata, era quello verso Piazza San Fedele,
L’ingresso lato Piazza San Fedele, non è simmetrico rispetto alla facciata, ma spostato verso destra, essendo in asse con la via Agnello. La piazza San Fedele fino al 1814, era circa la metà dell’attuale. All’epoca vi erano delle case dei Gesuiti, proprietà che loro affittavano. In una di queste, abitava il conte Antonio Greppi e occupava l’area fra l’attuale via Marino e l’ipotetico prolungamento di via Agnello. Successivamente, demolirono quella casa, per far posto, nel 1776, al palazzo Sannazzari, abitato durante il periodo napoleonico, dal ministro delle Finanze, Giuseppe Prina.
Rimanevano ancora da completare le facciate sia dal lato contrada di San Giovanni alle Caserotte, che dal lato contrada di San Simpliciano (via Marino attuale). Riguardo all’ultimo lato, quello su vicolo dello Straccione, (l’attuale lato piazza della Scala), si sarebbe dovuto attendere ancora qualche secolo.
La funesta profezia
L’odio e la rabbia della gente contro le manie di grandezza del Marino furono tali che, pare, verso la fine di quell’anno (1560), circolasse in città, quale uccello del malaugurio, questa sinistra profezia nei riguardi del palazzo:
‘Congeries lapidum multis constructa rapinis, out ruet, out uret, out alter raptor rapiet’
che tradotto, significa:
‘accozzaglia di pietre costruita grazie a molte ruberie, o brucerà, o crollerà , o un altro rapinatore la ruberà’.
La profezia si avverò effettivamente
Le maledizioni nei suoi confronti, gli produssero nel giro di qualche anno, una serie di effetti nefasti sia a livello familiare, che personale. Morta, già nel 1558, la moglie Bettina Doria quando i due figli maschi, erano ancora minorenni, Nicolò e Andrea, crebbero molto viziati, col vecchio padre. Poiché, fra le sue attività, quella di gabelliere, lo portava ad essere contornato da elementi poco raccomandabili, i ragazzi crebbero in un ambiente piuttosto ambiguo e violento. In casa infatti circolavano sgherri, i bravi di manzoniana memoria, incaricati di riscuotere con le buone o con le cattive, i crediti e le tasse che i debitori non volevano o non potevano pagare.
1563 – Problemi con Andrea
Le prime ‘grane’ cominciarono col figlio Andrea (allora quattordicenne) che, nel 1563, in seguito ad un alterco, assassinò uno dei servi della casa. Non volendo consegnarsi alla giustizia, si rifugiò in casa del cognato, il conte Ercole Pio di Sassuolo, che aveva sposato la sorella Virginia. Il nobiluomo convinse il giovane a costituirsi e ottenne per lui gli arresti domiciliari, a fronte di una consistente cauzione.
Tommaso Marino aveva appena sistemato questa spinosa questione, che l’anno successivo, dovette far fronte a un altro episodio simile, ma ancora più grave.
1564 – Problemi con Nicolò
Nicolò, l’altro figlio (diciassettenne) , in un impeto di gelosia, uccise, nel 1564, la giovane moglie spagnola Luisa de Lugo de Herrera, appartenente a una delle famiglie più in vista presso la corte madrilena. Abbandonata la figlioletta fra le mani della governante, lui fuggì, probabilmente a Roma, facendo perdere le proprie tracce. Tommaso potè fare ben poco per il figlio se non diseredarlo, anche perché il re di Spagna aveva posto una taglia sulla testa del giovane. Non è tutto: vista la situazione, i consuoceri reclamarono la piccolina poichè, data l’avanzata età di Tommaso (89 anni), intravedevano in lei, l’erede universale del presunto cospicuo patrimonio del nonno. Al rifiuto di Tommaso a cedere la nipotina, seguì un’azione legale indetta dai consuoceri, che si tradusse in una pesante perquisizione del palazzo, oltre a portare all’arresto di Tommaso Marino ormai ultranovantenne.
Immagine compromessa
A parte i risvolti giudiziari, questi fatti misero in cattiva luce i Marino e praticamente da allora la fortuna cominciò a girare le spalle al banchiere, sino a portarlo nel giro di pochi anni, alla completa rovina. La sua immagine ne uscì vistosamente compromessa, gli affari crollarono e mentre i debitori non onoravano i loro debiti, i creditori si fecero sempre più minacciosi.
Le spese folli fatte per la realizzazione di quel palazzo, che avrebbe dovuto essere l’ emblema della potenza del suo proprietario, prosciugarono le sue sostanze al punto da obbligare alla sospensione dei lavori, a palazzo ancora incompiuto, rappresentando per secoli l’emblema del tracollo economico del Marino.
Non si sa bene, a fronte dei gioielli ricevuti, quali soprusi, Arabella Cornara abbia dovuto sopportare, certo è che un giorno (nel 1570), la trovarono morta in un palazzo di famiglia a Gaggiano, impiccata al baldacchino del letto. Fu una morte misteriosa e tragica (porse per mano dello stesso Marino) e Arabella portò con sè il segreto della sua fine.
1572 – La morte in tarda età
Alla sua morte, nel 1572, all’età di 97 anni, Tommaso non solo lasciò una marea di debiti (1.780.000 lire dell’epoca – una cifra davvero enorme), ma anche il palazzo incompiuto e due figlie sul lastrico. A dire il vero Clara, grazie alle sostanze del marito Manfredo Tornielli, aveva poco da preoccuparsi, mentre Virginia, da poco rimasta vedova del marito Ercole Pio , era piena di debiti, e sei figli da sfamare. La fortuna tornò a sorriderle quando il conte di Monza, Martino de Leyva, nipote del primo governatore del Ducato di Milano dopo la morte di Francesco II Sforza, (Antonio de Leyva), le posò gli occhi addosso e la sposò, pensando di fare chissà quale affare.
Suddivisero il palazzo in appartamenti, che ripartirono fra le figlie e i creditori. A Virginia spettò in uso, quello all’angolo tra piazza san Fedele e via Case Rotte. Lì, nel 1575 nacque la figlia Marianna (de Leyva) che diventerà poi la famosa monaca di Monza (suor Gertrude) descritta dal Manzoni nei Promessi Sposi.
Nel 1576, a neanche un anno dalla nascita di Marianna, morì sua madre Virginia, molto probabilmente di peste.
Il tracollo finanziario dei Marino, sarebbe culminato nel 1577, col pignoramento dello stesso palazzo, da parte dell’amministrazione pubblica (spagnola), a saldo dei numerosi debiti contratti.
Il palazzo passò di mano in mano
Passarono cinquant’anni … La mancanza di manutenzione portò al deperimento del palazzo che, nel 1626, vide la rimozione delle balaustre sovrastanti il cornicione, perché pericolanti. Nel 1632 lo Stato, che stava affrontando la “famosa” peste, riuscì a vendere il palazzo agli eredi del banchiere Emilio Omodei, altro grande finanziatore del governo spagnolo. Gli Omodei non abitarono mai il palazzo, che continuò ad essere chiamato dei Marino. Riacquistato in seguito nuovamente dallo Stato, al piano terreno predisposero degli uffici ove svolgere attività di carattere fiscale (gabelle e dazi), mentre affittarono il piano nobile a vari personaggi illustri e così fu anche sotto la dominazione austriaca.
Durante il Regno italico (sotto Napoleone), il Palazzo fu sede del Ministero delle Finanze, del Tesoro e dell’Intendenza di Finanza; poi divenne l’Emporio del Dazio e la Cassa Generale dello Stato fino al 1848. Infine, dopo le barricate del 1848, divenne sede del Governo Provvisorio.
A partire dal 1861, effettuati i necessari restauri, divenne sede del Comune e dell’ufficio del Sindaco.
1858-1860 – La nuova Piazza della Scala
Dal 1858 in poi iniziarono praticamente gli anni di riqualificazione del centro della città. Resero esecutivo il piano già approvato nel 1855, con la demolizione delle catapecchie antistanti il Palazzo, comprese fra il vicolo dello Straccione e la Corsia del Giardino. Abbattendo l’isolato, si venne a creare la nuova Piazza della Scala.
1861 – La sede del nuovo Municipio
Il 19 settembre 1861 Palazzo Marino divenne ufficialmente sede del Comune e dell’ufficio del Sindaco, mentre le funzioni fiscali, fino ad allora presenti nel palazzo, si trasferirono nel Broletto. In precedenza, il municipio di Milano era situato all’interno di Palazzo Carmagnola.
Con il Comune, nacque una nuova era per Palazzo Marino, volta a rinnovarne il ruolo di primo piano che gli spettava. Poichè gli interni del palazzo risultavano essere malandati, a cominciare dal grande Salone d’Onore, nel 1871, incaricarono l’architetto Angelo Colla per il restauro conservativo della Sala Alessi, allora sede del Consiglio Comunale, oltre alla sistemazione dei vari uffici esistenti.
La sala Alessi
Il salone dell’Alessi aveva la volta affrescata da Andrea Semino (1525-1594) con il ‘Convitto degli dei per le nozze di Amore e Psiche’, di cui purtroppo non c’è più traccia a seguito dei bombardamenti del ’43.
Le pareti dipinte da lui stesso e dal fratello Ottavio, si preservarono: dodici figure allegoriche raffiguranti gli dei dell’Olimpo, Apollo, Bacco, Mercurio e le nove Muse, le dee delle arti. E così pure so preservarono i bassorilievi che si alternano agli affreschi, e rappresentano le storie di Perseo, Pegaso e Bellerofonte. I busti di Minerva (la dea della sapienza), e Marte (dio della guerra), campeggiano sopra i due grandi portali d’entrata contrapposti.
Poiché, alla morte del Marino nel 1572, l’Erario, che vantava cospicui crediti nei suoi confronti, si era preso il palazzo, gli artisti che ancora lavoravano , non riuscirono mai a completare la decorazione della sala. Gli uffici della Dogana, trasferiti a palazzo Marino, avevano usato, per quasi trecento anni, la sala Alessi, come magazzino.
Dopo il restauro conservativo effettuato dal Comune nel 1870-1871, inaugurarono la Sala Alessi il 3 settembre 1872 usandola, da allora, per le riunioni del Consiglio Comunale. Il giorno successivo, il 4 settembre 1872, fu inaugurato, alla presenza del principe Umberto, il monumento a Leonardo in Piazza della Scala.
Diventata la più bella del palazzo, in quella sala, l’anno successivo, alla morte di Alessandro Manzoni, i milanesi tributarono omaggio alla sua salma.
Il cortile d’onore
Il cortile, collegato direttamente alla Sala Alessi, è un capolavoro del manierismo alessiano: a forma quadrata con al pianterreno un portico a colonne binate con la rappresentazione delle fatiche di Ercole. Al primo piano, una loggia con pilastri scavati da nicchie e delimitati da erme (piccole colonne ai sezione quadrangolare sormontati da una testa scolpita a tutto tondo, che raffiguranti Ermes) in cui sono presenti anche scene mitologiche tratte dalle Metamorfosi di Ovidio. Il tutto è adornato da mensole, greche, festoni, vasi, fiori, frutta e mascheroni.
cortile Palazzo Marino Lapide a Cavour
Il 1 gennaio 1875 installarono a Palazzo Marino, il primo orologio elettrico di Milano.
Il 30 dicembre1877, il primo “telegrafo parlante” dei fratelli Gerosa, mise in comunicazione la stazione dei pompieri di Palazzo Marino, con la stazione della Società Omnibus, di Porta Venezia. |
Il fronte del palazzo, lato ex-vicolo dello Straccione
Contemporaneamente, nel 1871, bandirono un concorso per il nuovo lato del palazzo prospiciente piazza della Scala, lato che, alla data di apertura della piazza, non esisteva proprio, essendo ancora abitate, nel 1880, le vecchie case che si affacciavano all’ex vicolo dello Straccione. Con l’occasione, si pensò anche di creare un nuovo ingresso principale su piazza della Scala. Per dare una facciata consona al nuovo municipio di Milano, affidarono all’architetto Luca Beltrami, il progetto del completamento di palazzo Marino, lato piazza della Scala, e, nel 1886, approvato dalla giunta. Desiderando mantenere invariato lo stile manierista del palazzo seicentesco, Beltrami riprodusse, rivolta a piazza della Scala, la medesima facciata presente in piazza San Fedele, concepita sulla base dei progetti di Alessi. Creò pure uno scalone che dal nuovo ingresso principale, portasse al piano superiore. Beltrami completò il lavoro nel 1892.
Ancora anni difficili per il palazzo
L’odissea di questo grande edificio non era però ancora finita: dall’agosto del 1922, il palazzo venne occupato dalle camicie nere.
I bombardamenti alleati del 1943 danneggiarono buona parte del palazzo. La Sala Alessi subì i danni maggiori: col crollo del soffitto, perse gran parte dei suoi affreschi più belli, come molti stucchi ornamentali alle pareti, mentre, incredibilmente, rimase intatto lo splendido cortile maggiore.
: Nella ristrutturazione dell’edificio, effettuata nel dopoguerra, la sala fu ricoperta da una volta più robusta con soffitto a cassettoni all’alessiana. Al posto del magnifico affresco di Andrea Semino, andato distrutto, c’è ora una decorazione a finti lacunari monocromi. Sopra le quattro finestre della volta, altrettanti bassorilievi che rappresentano i temi dell’Aurora, del Giorno, del Crepuscolo e della Notte. Di fianco alle due finestre, sui lati più lunghi della sala, vi sono altri pregevoli bassorilievi rappresentanti i temi dell‘ Aria, della Terra, dell’ Acqua e del Fuoco. Agli angoli della volta, quattro affreschi ovali con le allegorie delle quattro stagioni (purtroppo gli originali di Busso andarono perduti a causa dei bombardamenti).
Sala Gialla e sala Verde
Sempre al pianterreno ci sono la sala Gialla e la sala Verde, chiamate così per il colore del tessuto damascato che ne riveste le pareti, oggi rispettivamente anti sala e sala ove si sono celebrati, a partire dal 4 luglio 1953, i primi matrimoni civili. (Adesso si celebrano altrove).
La sala Verde. in particolare. (chiamata anche sala Marra in memoria di un ex presidente del Consiglio Comunale scomparso prematuramente), venne restaurata completamente, riuscendo a ripristinare la decorazione originale delle antiche volte in stucco. Risulta essere la sala più famosa di Palazzo Marino per aver dato i natali a Marianna de Leyva, (la Monaca di Monza).
Sala dell’Orologio
La Sala dell’Orologio, conosciuta anche come Anticamera del Sindaco, chiamata così per un orologio d’epoca, situato al disopra della porta d’ingresso in noce, incastonata in portali in marmo scuro. Quattordici tele originali del Seicento, opera di importanti pittori dell’epoca, fanno da cornice ad un arredo in stile rinascimentale.
Sala del Consiglio
Invece di utilizzare la Sala Alessi come sala delle riunioni Consiliari, il salone, dopo la guerra, fu adibito a sala di rappresentanza, mentre per le riunioni consiliari si optò per una sede più ampia. ricavata mediante la demolizione di alcuni muri divisori di tre sale al pianterreno, nell’ala del palazzo che si affaccia alla piazza San Fedele.
La Sala del Consiglio è arredata in noce, quattro splendidi lampadari in bronzo fuso appesi a soffitto, mentre ai lati dello stemma comunale del XII secolo, spiccano i simboli dei sei antichi sestieri. Dietro il banco del Presidente, un enorme quadro del Figino rappresenta l’apparizione di Sant’Ambrogio a cavallo sul campo di battaglia a Parabiago (21 febbraio 1339). La prima seduta Consiliare, dopo la Seconda guerra mondiale ,avvenne il 30 giugno 1953, giorno dell’inaugurazione della Sala del Consiglio.
Quadro del Figino – Sant’Ambrogio (battaglia dI Parabiago) Stemmi sestieri Stemmi sestieri
Piano superiore
Al primo piano, sono attualmente sistemati gli uffici della Presidenza della Giunta, del Sindaco, dell’Assessore delegato e del Segretario generale
Visite a Palazzo Marino
Ingresso gratuito.
Le visite si svolgono dal lunedì al venerdì dallo 9.00 alle 17.00, previa prenotazione, telefonando allo 02-88456617. Il palazzo è visitabile sia singolarmente che a piccoli gruppi. Il servizio guida è svolto da personale interno
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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