Una Milano quasi sconosciuta
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Dubito che molti conoscano la città sotto questo profilo, o che abbiano per lo meno, avuto occasione di vederla qualche volta. E’ una Milano che, di solito, nessuno prende in considerazione, ed invece è importantissima. E’ non solo interessante per come è organizzata dal punto di vista dei servizi, ma è anche visitabile, essendo, a modo suo, persino monumentale! Se non ci fosse, la nostra vita sarebbe molto diversa, sicuramente peggiore di quella che conduciamo oggi.
Sto facendo riferimento alla Milano “invisibile” , quella città che esiste sotto i nostri piedi, ma che ignoriamo totalmente, quasi non ci riguardasse. E’ l’esatta fotocopia della città che viviamo ogni giorno in superficie, con le sue stesse vie, gli stessi incroci, i medesimi numeri civici. E’ quell’incredibile intrico di tubazioni, che spesso intravediamo per strada, quando le ruspe fanno degli scavi sulla pubblica via, per consentire nuovi allacciamenti di servizi o per la sostituzione di tubazioni ammalorate. Certo, l’acqua inghiottita dagli scarichi dei nostri servizi, finisce in un tubo, sotto il livello stradale, collegato ad un collettore della rete fognaria pubblica, in grado di raccogliere sia i liquami provenienti dagli altri edifici che si affacciano sulla nostra stessa strada, che quelli dei condotti delle strade adiacenti, quasi fossero affluenti di un fiume! Ovviamente nessuno ci pensa, perché oggi, abituati alle comodità, diamo ormai tutto per scontato, al pari dell’acqua che esce dai nostri rubinetti, o della luce che accendiamo, premendo un interruttore.
Prendiamo coscienza della cosa, solo nel momento in cui qualcuno, nel condominio dove abitiamo, ristrutturando il proprio bagno o cucina, fa chiudere, per alcune ore, l’acqua in tutto l’edificio, per consentire gli allacciamenti idraulici in sicurezza. E’ ovviamente solo un minimo assaggio di quello che era assolutamente normale a fine Ottocento, nelle case senza servizi, ove abitavano sicuramente i nostri bisnonni. Avere l’acqua corrente in casa, una volta, era davvero una rarità, non si parla poi dell’acqua calda …. Quanto alle necessità quotidiane, c’era sempre la fontanella pubblica. in fondo alla strada, ove le donne si avvicendavano a riempire secchi e taniche. Il disporre di una stanza da bagno poi, era roba da ‘sciuri’! Certamente, l’igiene personale lasciava alquanto a desiderare …. i più abbienti, supplivano a queste carenze, facendo largo uso di profumi … Una volta alla settimana, quando andava bene, ci si lavava in una tinozza riempita con un paio di secchiate d’acqua, magari leggermente intiepidita vicino alla stufa o al focolare.
Solo chi aveva la fortuna di abitare in case di recente costruzione, allacciate cioè ad un pozzo nero o ad una rete fognaria che scaricava in qualche canale, poteva evitare di scendere in strada per svuotare il secchio dell’acqua sporca. Diversamente, attendendo il buio per non farsi notare, non era infrequente l’insana abitudine del lancio delle secchiate d’acqua direttamente dalla finestra, per non dir di peggio …. Sotto questo profilo, era molto rischioso camminare per strada di notte! Certo, direte, altra vita, altri tempi! Non si può sicuramente dire che i nostri bisnonni, ieri, stessero meglio di noi oggi!
Quando, girando per strada, ci s’imbatte in lavori in corso per rifare tratti di fognatura, si notano spesso dei grandi manufatti in calcestruzzo, in attesa di essere collocati a dimora, sotto la superficie stradale. Generalmente hanno una sezione ovoidale, ma può essere anche circolare. Questo è per facilitare lo scorrimento delle acque reflue, evitando ristagni sul fondo. Il ristagno non c’è proprio perché l’acqua è in continuo movimento, essendo il condotto in leggerissima pendenza. Pensiamo che Milano sia in pianura, e in effetti non si può negare l’evidenza, tuttavia, in realtà, è una pianura solo apparente. La città, a dire il vero, ha una pendenza media dello 0,15% (1,5mt su 1 km) con punte massime dello 0,27% da Nord Ovest (NO) verso Sud Est (SE)! Pendenza minima, quasi impercettibile, ma sufficiente per lo scorrimento, a costo zero, delle acque nere da NO a SE!
Se poi, per effettuare il lavaggio, immettiamo nel condotto, dell’acqua in pressione, ecco che lo scorrimento del refluo, da lento quale sarebbe naturalmente, si fa via via più accelerato, per non dire impetuoso. Il rigagnolo iniziale, rilevabile all’estrema periferia della città, diventa via via torrentello e man mano che procede verso zone più centrali, ingrossandosi, si tramuta in fiume, che scorre in gallerie e canali sempre più ampi che si trovano sotto le strade e le piazze che percorriamo ogni giorno.
Dirigendosi verso sud, seguendo la naturale leggerissima pendenza del terreno, il fiume raggiungerà un collettore monumentale (punto d’incontro di acque provenienti da altre zone della città). Ve ne sono tre, in quanto la città è stata divisa in tre parti: ovest, centro ed est. Si tratta di tre grossi nodi idraulici: quello di piazza Bonomelli , quello di Ponzio-Bonardi e quello di via Pacini . Ognuno di questi indirizzerà quel flusso continuo, verso il proprio polo di depurazione delle acque, prima di riversarle nel Lambro o nei terreni agricoli a sud della città. Non a caso, nonostante l’opposizione dei residenti, i nuovi recenti depuratori, quello di San Rocco, di Nosedo e di Peschiera Borromeo, sono stati tutti edificati in zona sud-est della città, Era l’unico posto dove ‘fisicamente’ era possibile costruirli! Quello di San Rocco, ubicato fra Rozzano e Opera serve la zona centro occidentale di Milano compreso Settimo Milanese, mentre quello di Nosedo ubicato in zona Corvetto-Porto di Mare serve prevalentemente la parte centro orientale della città
A partire dal 1993, i tre nodi idraulici sono visitabile gratuitamente, solo il 22 marzo di ogni anno, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, indetta dall’ONU, per ricordare l’importanza e lo sfruttamento delle risorse idriche del pianeta.
Per quanto riguarda i depuratori invece, le visite vengono organizzate diverse giornate al mese, e si possono effettuare, previa prenotazione, nell’arco di quasi tutto l’anno.
Per chi fosse interessato, sul sito della MM, che ha attualmente in gestione la manutenzione della rete fognaria milanese, si possono prendere appuntamenti per visite guidate.
‘Assicurano‘ che l’odore, all’interno dei nodi idraulici, è appena percettibile: ‘dicono’ che non sia nauseabondo e che non si vede neanche un topo!.
Contatti : Metropolitana Milanese S.p.A.
sito Internet: www.mmspa.eu
Milano, diversamente da altre città italiane ed europee, non ha legato il suo nome a un grande fiume. Nella sua storia, non trovano spazio né un Tevere né una Senna, né un Tamigi. Piuttosto Milano è stata, e lo è ancora, attraversata da una rete di piccoli corsi d’acqua e di canali. E’ unica, perché l’acqua vi è stata portata deviando nei secoli, il corso di fiumi, creando barriere, difese, canali per servire la città e, costruendo i Navigli, per favorire il suo sviluppo economico. Pure il sistema fognario contribuisce a questa unicità tutta milanese, essendo stato progettato con caratteristiche tecniche che sfruttano la peculiarità del territorio, ricco di acque. La particolare conformazione dell’area in cui sorge la città, ha permesso la realizzazione di un sistema di condutture, in cui le acque scorrono per gravità.
Bastano questi pochi numeri per dare l’idea dell’estensione e dell’entità del sistema fognario milanese:
- La rete fognaria presenta uno sviluppo complessivo di 1.560,8 km di condotti, ispezionabili tramite circa 50.000 tombini (1 ogni 30mt). 28,1 km di questi,sono rappresentati da fognatura separata e i restanti 1.532,7 km da fognatura mista (dato aggiornato all’anno 2016) e garantisce la completa copertura del fabbisogno depurativo milanese per l’agglomerato urbano. Dei 1560 km, circa 1214 km sono costituiti da condotti minori, con una sezione interna inferiore al 1 mq, 253 km di condotti di medie dimensioni, con sezioni comprese tra 1 e 3 mq, e 93 km di grandi collettori, con aree di deflusso comprese tra i 3 e i 20 mq.
- Transitano nella rete, in media, giorno e notte, 6 mc/sec di liquame, pari a 500.000 mc/giorno di acque reflue. Nelle ore di punta, al mattino e alla sera si superano gli 8 mc/sec., di notte il flusso è dell’ordine di 4 mc/sec
- Il dimensionamento dei condotti e delle gallerie è stato studiato per le necessità di una popolazione di 2.500.000 abitanti e per la raccolta di un flusso d’acqua meteorica pari a tre volte il normale.
Fognatura separata significa che acque reflue e acque meteoriche scorrono in canali diversi, a differenza di quanto avviene nel caso di fognatura mista (o sistema misto), ove entrambi confluiscono nello stesso condotto.
Cenni di storia del sistema fognario milanese
L’origine del sistema fognario milanese è attribuibile ai romani che dominarono la città fra il 222 a. C. e il 402 d. C.. A Roma, già nel VI secolo a. C., era stata costruita una vasta rete di fognature, allo scopo di drenare le zone paludose. Anzi, la prima cloaca romana di cui si abbia notizia, risale addirittura al VII secolo a.C. e fu progettata per bonificare gli acquitrini che occupavano le vallate alla base dei colli dell’Urbe, e far defluire verso il Tevere i liquami del Foro Romano, di Campo Marzio e del Foro Boario. Naturalmente, col passare dei secoli, la tecnica idraulica degli antichi romani andò man mano affinandosi, tecnica, che esportarono sia a Milano, che in tutte le principali città dell’impero. Lo sviluppo del sistema fognario, per quanto riguarda l’allora Mediolanum , si ebbe naturalmente quando, diventata capitale dell’impero romano fra il 286 e il 402 d.C., i vari imperatori, succedutisi in quel periodo, ne ordinarono la vasta opera di bonifica.
Dagli scavi effettuati in piazza Missori durante la costruzione della stazione della metropolitana 3 (linea gialla), sono stati rinvenuti all’inizio di Corso di Porta Romana, dei reperti di tubature fognarie di epoca romana (vedi immagine in testa all’articolo). Sembra infatti appurato trattarsi di un tronco di una rete di fognature facente capo ad un canale collettore che, da via Torino proseguiva sino al Carrobbio dove allora, c’erano la porta Ticinese e le mura romane della città. E’ molto probabile comunque che le acque reflue, oltrepassato il fossato di difesa delle mura, proseguissero incanalate, fino nel Lambro Meridionale. Sembra, da studi effettuati dagli esperti in materia, che tracce di questa canalizzazione siano individuabili nel percorso del naviglio del Vallone, oggi del tutto scomparso. Pare che questo Naviglio percorresse l’attuale via Conca del Naviglio, proseguendo lungo la roggia dei Lavandai, e la roggia Boniforti, fino alla confluenza di quest’ultima con il colatore Lambro Meridionale, significativamente chiamato ”Lambro Merdario”.
Il lunghissimo periodo delle invasioni barbariche, dopo la caduta dell’impero romano, comportò una fase d’inarrestabile arretramento sia sociale che culturale, un naturale imbarbarimento dei costumi, dovuto ad un ‘impoverimento generalizzato della popolazione. La mancanza di manutenzione dei manufatti romani esistenti, portò al progressivo abbandono delle fognature stesse, e quindi al ritorno ai sistemi primitivi. Se la cosa poteva ancora essere accettabile in una Milano, quando era poco più di una borgata, lo fu molto meno, quando assunse le dimensioni di una città. Tuttavia né l’avvento del Comuni prima, né quello della Signoria o del Ducato poi, migliorò la situazione. Oltretutto era un problema d’igiene urbana, anche per quanto riguarda la pulizia delle strade.
Non mancano in proposito, aneddoti curiosi. Ad esempio la municipalità nel Medioevo, per tentare di risolvere il problema dei rifiuti, aveva escogitato anche qui da noi, copiando quanto già avveniva in altre città europee, di affidare la pulizia delle strade, all’appetito di gruppi di maiali, liberi di scorazzare per la città, cibandosi dei rifiuti che trovavano. L’affermarsi dell’istituzione di un regolare servizio di nettezza urbana è sempre stato vissuto con fastidio dalla popolazione che riteneva addirittura ‘infamante’ tale compito., probabilmente a causa del fatto che chi lo svolgeva non sarebbe mai arrivato ad assumere incarichi pubblici di rilievo.
Nemmeno le dominazioni straniere riuscirono a cambiare lo stato delle cose. La realtà era che il fenomeno non era limitato solo a Milano, ma generalizzato in tutta Europa. A pensarci è assurdo, ma a quei tempi, era evidentemente un’esigenza poco sentita! Si ricominciò a parlarne non prima del XVIII sec., nonostante si fossero succedute fin dal XIV sec., con una frequenza allarmante, numerosissime epidemie letali sia di peste che di colera, dovute principalmente a condizioni igieniche non propriamente consone. L’ignoranza era tale che addirittura si rifuggiva dall’acqua, ritenuta dai più, il principale veicolo di malattie.
Come si ovviava alla mancanza di un sistema fognario
Solo durante la dominazione spagnola nel XVII sec., si riprese la costruzione di nuovi canali fognari, ma non essendoci a monte alcun piano organico di sviluppo della rete, il più delle volte, questi venivano costruiti in maniera disordinata, per risolvere problemi contingenti delle singole strade. Erano dei tratti di fognatura che scaricavano nella fossa interna più vicina o al limite direttamente nel Seveso . Sembra comunque che questi condotti fossero, almeno teoricamente, destinati al solo drenaggio delle acque naturali e meteoriche. Evidentemente dovevano esserci strade che più di altre, si allagavano di continuo. Percorso diverso, almeno in teoria, doveva essere lo smaltimento delle acque reflue, e delle deiezioni umane: era quello dei pozzi neri, che esistevano solo nelle case di più recente costruzione.
Testimonianza del Parini nelle sue Odi
Per inciso, faccio riferimento a un componimento di Giuseppe Parini, uno dei massimi esponenti dell’illuminismo e del neoclassicismo in Italia, riguardo al tema civile della ‘salubrità dell’aria’, che lui scrisse nel 1759 e pubblicò nelle sue Odi, molti anni dopo. Allora era da poco stato ordinato sacerdote e, per guadagnarsi la pagnotta, faceva da precettore al figlio del duca Gabrio Serbelloni, vivendo a Palazzo con loro in Corso Venezia n. 16. In poche frasi, testimonia lo stato di degrado in cui si trovava la città di Milano, ai suoi tempi. Trattandosi di un componimento scritto in linguaggio aulico (con latinismi e tecnicismi vari) per trattare argomenti di basso livello e spesso disgustosi, inserisco qui sotto la parafrasi (molto più comprensibile), per dare un’idea di quella che doveva essere la città in quegli anni:
- (Omissis ….)
- Ma ai piedi dei grandi palazzi una gran quantità di letame fermenta e infetta con esalazioni nocive l’aria immobile, che rimane a ristagnare tra le case alte.
- Qui le case dei poveri versano dai vasi da notte fonti, che recano disturbo al pubblico, di liquidi marci e malvagi, dai quali il vapore si diffonde e viene inspirato assieme al fiato.
- Animali morti, abbandonati per le vie affollate, riempiono i giorni estivi di esalazioni malsane, spettacolo che provoca ribrezzo al cittadino che sta camminando.
- Appena è sceso il sole, navazze vaganti con aperture spalancate percorrono ogni strada della città, che quando si sveglia, respira l’aria nociva.
- Le gride vietano ciò, è vero; e Temi, dea della giustizia, osserva con sguardo bieco; ma la pigrizia dell’individualista bada solo ai propri interessi. Sciocco! E non vuoi vedere nel danno comune, il tuo proprio?
- (Omissis ….)
Ogni commento in proposito mi sembra superfluo. Come lui testimonia, la città era praticamente senza fognature e non erano molte le case con i pozzi neri, che era necessario svuotare periodicamente. Da quanto emerge, ora si può anche comprendere come mai, i nobili vivevano quasi tutti nelle ville in campagna o lungo i Navigli fuori Milano. L’olezzo in città, doveva essere davvero insopportabile!
Nel tentativo di mantenere Milano pulita, le autorità austriache, ai tempi del Parini, avevano emanato disposizioni affinché i “navazzari”, cioè gli spazzini di allora, girassero con dei carri-botte (“le navazze”), solo nottetempo per la città, (ufficialmente dalle 2 alle 6 del mattino). Più propriamente si sarebbero dovuti chiamare ‘letamaiuoli’ visto che il loro compito, passando di casa in casa, era quello di raccogliere sia i liquami dai pozzi neri, sia di svuotare i secchi, contenenti feci e quant’altro, che, proprio perché maleodoranti, venivano lasciati in bella mostra fuori dai rispettivi portoni, sulla pubblica via. Quando le navazze erano piene, dovevano essere obbligatoriamente scaricate fuori città. Era un’attività che rendeva! Sapendo infatti che il loro prodotto era molto ambito dai contadini, i “navazzari”, spesso abusivi, sbarcavano il lunario, vendendo il loro prezioso carico al miglior offerente, come concime per i suoi campi.
[ n.p.: Non oso immaginare, senza poter chiudere le finestre a causa del caldo appiccicoso e insopportabile, come potessero essere i “tranquilli sonni” degli abitanti di allora, nelle afose notti estive milanesi, in allegra compagnia di nugoli di zanzare e di sciami di fastidiosissime mosche, fra gli odori nauseabondi esalanti dai canali e dalle pubbliche vie …]
La destinazione principale delle acque reflue e piovane fu, per secoli, la Roggia Vettabbia, un canale che collegava il sistema fognario cittadino all’area agricola a sud di Milano. Il principale sistema di smaltimento contemplava l’utilizzo delle acque luride, nelle marcite, metodo questo, introdotto già nel XIII sec. dai monaci cistercensi di Chiaravalle e adottato pure dagli olivetani dell’Abbazia di Viboldone, essenzialmente per la coltivazione del foraggio. La validità di questo sistema di depurazione naturale, venne meno con l’avvento dell’industrializzazione del novecento, quando sia i prodotti inquinanti delle fabbriche, che l’uso di pesticidi nei campi, ne evidenziarono i limiti.
Esigenza inderogabile di trovare una soluzione
Se la mancanza di un sistema fognario poteva essere accettabile nelle piccole borgate dei comuni limitrofi, per una città che, al momento dell’Unità d’Italia, contava già più di 200.000 abitanti, l’assenza di un sistema di smaltimento adeguato, era davvero un problema soprattutto dal punto di vista igienico-sanitario. Solo fra il 1861 ed il 1900, si contarono ben tre epidemie di colera in Italia, nel 1865 – ’67, nel 1884 – ’86 e nel 1893. Epidemie, queste, che interessarono pesantemente anche Milano. con costi sociali molto alti.
Nel cinquantennio fra il 1865 e il 1915 inoltre, la città ebbe anche uno sviluppo industriale esplosivo e la popolazione, grazie all’immigrazione, addirittura triplicò, arrivando a circa 700.000 abitanti. L’urgenza di risolvere il problema fognature, era dunque assolutamente inderogabile e si cominciò a studiare un piano organico, per la soluzione dello stesso.
Il piano delle fognature della città
La stesura di un piano definitivo per le fognature della città, fu un parto molto lungo e travagliato a causa delle rapida espansione dell’abitato.
Centro storico (entro la cerchia interna dei Navigli)
La stesura di un progetto per il Centro storico, fu sicuramente complessa, sia per l’intrico disordinato di canali già esistenti, che per i nuovi scavi che avrebbero potuto compromettere la stabilità dei numerosi edifici storici. Nel 1868, venne presentato in consiglio comunale dagli ingegneri dell’ufficio tecnico, Cesa Bianchi e Bignami, il primo vero progetto di fognatura moderna limitatamente alla zona del centro, compresa fra gli alvei del Grande e del Piccolo Seveso, entro i limiti della fossa interna dei Navigli. La rete capillare già esistente era di 123 canali, parzialmente coperti, con uno sviluppo complessivo di 153 Km. Indubbiamente armonizzare il tutto in modo efficiente non doveva essere molto semplice, tenendo conto che per poter convogliare il tutto in unico collettore, chiudendo tutti gli scarichi abusivi nei vari canali, si sarebbero dovute sventrare intere vie della città. Infatti procedettero con estrema lentezza facendo poco più di 3 km di nuove fognature a sistema misto, in dieci anni. Bisognava anche sistemare in via definitiva la raccolta delle acque meteoriche, creando tombini d’ispezione ecc.
Periferia (fra la cerchia dei Navigli e la nuova circonvallazione esterna)
Per l’area più esterna, bisognerà attendere ancora altri vent’anni, prima di riuscire ad avere un progetto definitivo. Questo ritardo dipese anche dal fatto che, nel 1873, entrò a far parte del Comune di Milano, quello di Corpi Santi, un territorio molto esteso, che formava una sorta di anello tutt’intorno alla città, subito al di fuori delle mura spagnole, area questa, costituita da un certo numero di borgate totalmente prive di fognature. Indubbiamente, in questo caso, il discorso era più semplice che non in centro, tuttavia mancando ancora un piano definitivo di urbanizzazione di tutti quegli spazi, era necessario attendere l’approvazione dei tracciati a raggiera delle strade principali, prima di iniziare qualunque fase progettuale di sistema fognario.
Nel 1884 fu stilato il primo piano regolatore della città, passato sotto il nome di “Piano Beruto”, dal nome dell’ingegner Cesare Beruto che lo propose.
Dopo una lunga gestazione ed una profonda revisione, troverà l’approvazione definitiva soltanto nel 1889, anno in cui entrerà definitivamente in vigore. Oltre alla riorganizzazione delle vie del centro, alla proposta di chiusura della cerchia interna dei Navigli, alla demolizione delle mura spagnole ormai obsolete, e alla definizione a raggiera delle direttrici esterne, Beruto si preoccupò pure della gestione del complesso sistema idrico e degli scarichi delle acque reflue e meteoriche. Affrontò in maniera organica il problema fognario, almeno nelle zone di nuova urbanizzazione della città, dove, in parallelo al tracciamento di nuove strade ed isolati, previde la costruzione delle fognature e dell’acquedotto. Tutto questo, al di fuori delle mura, e fino alla cerchia dei viali della nuova circonvallazione esterna.
Lo studio di come creare un sistema efficiente, armonizzando le fognature del centro storico, con quelle nuove costruite fuori le mura, coinvolse figure di primo piano del Comune di Milano, sulla base di approfonditi studi realizzati dal Collegio degli Ingegneri del Politecnico. Nel 1890, sotto la guida dell’ing. Felice Poggi, si ritoccò il progetto per la fognatura generale della città, deviando gli scarichi fognari dai canali del centro storico e convogliandoli più a sud. Tutto il territorio comunale venne diviso in tre zone, ognuna servita da serie di canali quasi paralleli, collegati trasversalmente da canali minori, che, in caso di piogge intense, sarebbero serviti da scolmatori, riversando le acque nei canali più periferici.
La realizzazione del piano non fu indolore soprattutto in centro, non essendo semplice modificare la rete esistente.
I rallentamenti dovuti alla revisione dei piani
Tra il 1899 e il 1900, il Piano Beruto, nonostante fosse già esecutivo, subì forti rallentamenti nella realizzazione dei manufatti, in seguito al cambio di gestione politica della città (cambio del sindaco – da Giuseppe Vigoni destra liberale, a Giuseppe Mussi radical-socialista). Dopo nuovi riesami del piano, dovuti al timore di un sotto-dimensionamento dell’opera, la commissione incaricata dalla nuova Giunta, definì dei criteri più rigorosi per il dimensionamento dei condotti. Venne pure fatto un approfondito esame sullo smaltimento delle acque reflue relativamente alla depurazione biologica e all’utilizzazione agricola delle acque di fognatura col metodo delle marcite, non rilevando alcun tipo di inquinamento delle acque di falda nella zona interessata. Comunque, a parte questi intoppi, i lavori proseguirono poi, abbastanza celermente.
I tre nodi idraulici
L’enorme quantità d’acqua reflua proveniente dalle tre zone in cui era stato suddiviso il territorio comunale, venne convogliata, secondo la provenienza, in tre strutture monumentali presenti nel sottosuolo, autentici nodi idraulici: quello di piazza Geremia Bonomelli (1900-1927), quello di via Giuseppe Ponzio (1925-1926), e quello di via Giovanni Pacini (1926-1927)
Collettore Bonomelli
Si tratta di strutture decisamente imponenti. Quella di piazza Bonomelli ad esempio, è della dimensione dell’intera piazza occupando quasi 2250 mq. Iniziata nel 1900, a 9 metri di profondità sotto la sede stradale, i lavori per metterla in funzione, terminarono nel 1927.
In questo nodo confluiscono i due rami del collettore Nosedo e il canale “scaricatore” al Cavo Redefossi, che accoglie le acque in eccedenza dei due rami quando si verificano forti piogge. L’emissario è sempre il Nosedo, canale che finirà nel depuratore omonimo. L’impianto prevede dei passaggi per controllare ogni singolo canale che confluisce nel collettore, e un locale di controllo, da cui si comandano le paratie per moderare i flussi.
Collettore Pacini
Realizzato tra il 1926 e il 1927, il manufatto di via Pacini è senz’altro il più elegante dal punto di vista architettonico. E’ una struttura a pianta circolare in calcestruzzo con rivestimento in malta di cemento lisciata a ferro mentre i gradini della scala a chiocciola di accesso sono in granito. Riceve il flusso di cinque condotti, quattro dei quali provenienti direttamente da via Pacini, ed uno da Via Teodosio.
Collettore Ponzio
Costruito tra il 1925 e il 1926 il collettore di Ampliamento Est, è un manufatto dove confluiscono anche i canali provenienti dalle vie Bonardi e Ponzio, per dare origine a un unico condotto. La costruzione a pianta circolare è coperta con volta a sesto ribassato, suddivisa in otto spicchi terminanti con un cupolino centrale semisferico con foro di aerazione.
Se nei secoli scorsi, Milano scaricava direttamente nei corsi d’acqua che andavano a sud, la cosiddetta “acqua grassa”, vista come una manna dagli agricoltori dell’epoca, perché fertilizzava il terreno e irrigava nello stesso tempo, altrettanto non sarebbe più possibile oggi dove, con l’avvento dell’industrializzazione, le acque reflue contengono anche pesticidi e agenti chimici vari, non eliminabili col filtraggio dell’acqua nel terreno, per via naturale.
L’allacciamento dei comuni dell’hinterland
L’aggregazione al territorio comunale, nel 1923, sia di Baggio che di altri dieci comuni dell’hinterland, scombussolò totalmente i piani del Comune che, alla data aveva già quasi ultimato il grosso della rete fognaria cittadina. Il problema fondamentale era legato al dimensionamento della rete già esistente, cioè alla capacità di assorbire il carico derivante dai nuovi allacciamenti.. Questo comportò un ulteriore pesante riesame della rete fognaria. Tutto il territorio comunale venne suddiviso in due bacini: il primo (interno), che comprende le aree delimitate dall’alveo dell’Olona, dalla Circonvallazione filotranviaria e dalla cintura ferroviaria; il secondo (esterno), che comprende invece la restante parte del territorio comunale. Per evitare di sovraccaricare i condotti della rete fognaria centrale già esistente, si decise la creazione di una sorta di anello fognario intorno alla città in modo da farvi confluire i reflui degli insediamenti delle nuove zone aggregate. Questo secondo bacino, definito “di ampliamento”, utilizza quindi un sistema di collettori, che trasportano le acque direttamente a valle della città, aggirando così, la zona urbana.
Gli impianti di depurazione
Per quanto concerne la depurazione delle acque, il territorio milanese risulta idrograficamente suddiviso in tre bacini scolanti, facenti capo a corpi ricettori diversi:
- il Bacino Occidentale, previa depurazione delle acque reflue presso l’impianto di depurazione di San Rocco, scarica le acque ripulite nel Colatore Lambro Meridionale.
- il Bacino Centro-Orientale, previo trattamento dei reflui nell’impianto di depurazione di Nosedo, scarica nella Roggia Vettabbia e nel Cavo Redefossi ;
- il Bacino Orientale, dopo trattamento depurativo nell’impianto di Peschiera Borromeo, scarica le acque ‘quasi potabili’, nel Fiume Lambro Settentrionale.
Gli impianti di depurazione (San Rocco, Nosedo e Peschiera Borromeo) sono oggi quindi fondamentali per continuare ad utilizzare i reflui, per irrigare le marcite a scopi agricoli. Tali impianti davvero giganteschi, di cui Milano si è dotata solo da pochi anni, ricevono i reflui dai tre nodi idraulici di piazza Bonomelli, via Ponzio e via Pacini , oltre che naturalmente, dall’anello esterno.
Come funzionano
Faccio un esempio per tutti: quello del depuratore di Nosedo che è l’impianto più grande dei tre.
E’ ubicato a sud-est della città, nel comprensorio del sistema irriguo della roggia Vettabbia, in un’area compresa tra la zona di Corvetto-Porto di Mare e la vasta fascia agricola che si estende in prossimità dell’Abbazia di Chiaravalle. Serve il bacino centro-orientale della città di Milano, con una capacità di trattamento in grado di soddisfare una popolazione di circa 1.250.000 abitanti.
Entrato in funzione a pieno regime nel 2004, questo moderno impianto, centro di eccellenza a livello internazionale, ha determinato le condizioni per la rinascita della Vettabbia che, dopo essere stata per secoli il principale canale di fognatura a cielo aperto di Milano, è tornato ad essere un corso d’acqua normale con grandi potenzialità non solo paesaggistico-ambientali ma anche produttive.
Si tratta di un impianto che occupa ben 16 ettari: Depura mediamente 150 milioni di mc/anno di acqua di scarico, restituendola ad un livello qualitativo idoneo per il riuso irriguo. Sono le acque di scarico derivate dai due principali collettori fognari cittadini: Emissario Nosedo ed Emissario ampliamento est. L’acqua che vi entra (circa 450.000 mc al giorno), rimane nell’impianto per circa ventiquattro ore, durante le quali, subisce una serie di trattamenti, secondo un ordine prestabilito. Per chi ne fosse interessato, riassumo, qui di seguito, in maniera schematica. le fasi principali di questi procedimenti:
Trattamento Meccanico (grigliatura, dissabbiatura e disoleatura)
– grigliatura rimuove corpi e oggetti grossolani (per evitare di rovinare le apparecchiature di pompaggio a valle dell’impianto.
– dissabbiatura serve per rimuovere e ridurre i materiali sospesi e galleggianti.
– disoleatura permette l’eliminazione di olii e dei grassi flottanti sulla superficie.
Trattamento Biologico (denitrificazione, ossidazione e nitrificazione)
– denitrificazione è un processo di rimozione dell’azoto nocivo dall’acqua che comporta purtroppo anche la rimozione dell’ossigeno
. ossidazione è una fase di immissione forzata di ossigeno nell’acqua che fornisce ai batteri presenti nel refluo l’ ossigeno sufficiente per degradare la sostanza organica biodegradabile presente.
– nitrificazione è un processo di ossidazione biologica per la rimozione dei composti azotati (l’azoto e il fosforo sono nutrienti che, in quantità eccessive, possono provocare carenze di ossigeno nei corpi idrici superficiali, portando alla cosiddetta eutrofizzazione).
Trattamento fisico (sedimentazione e filtrazione)
– sedimentazione è l’eliminazione particelle sospese per forza di gravità (creazione di fanghi)
– filtrazione l’acqua viene inviata su delle colonne filtro contenenti sabbia quarzifera di diverse granulometrie. La granulometria viene scelta in base alla tipologia degli inquinanti presenti.
Trattamento chimico (disinfezione)
– disinfezione serve per eliminare i microrganismi patogeni e i parassiti dalle acque contaminate, già sottoposte ai trattamenti secondari (batterie di lampade a raggi ultravioletti, immerse nell’acqua, uccidono tutti i microorganismi presenti)
Dopo questo tipo di trattamento, l’acqua ridiventa teoricamente pulita e ‘quasi potabile’.
Dopo i controlli microbiologici di laboratorio, viene rilasciata per riuso in agricoltura.
I fanghi del processo, ricchi di carbonio, azoto e fosforo, una volta disidratati, sterilizzati ed igienizzati, assumono l’aspetto di terriccio umido che, previa certificazione, possono essere riutilizzati come fertilizzante agricolo.
La parte secca dei fanghi, viene invece processata mediante termovalorizzatore, per il rilevante contenuto energetico che possiede (3.900 Kcal/per Kg di sostanza secca). Diversamente, i fanghi essiccati possono essere anche usati per l’industria del cemento, per fabbricare mattonelle di Klinker; la sabbia lavata, è invece riutilizzata in edilizia.
Le acque depurate, vengono poi recapitate in Roggia Vettabbia bassa e con un collettore di alcuni chilometri, scaricate nel cavo Redefossi, all’altezza di largo Boldrini a San Donato Milanese.
Il Consorzio irriguo della Roggia Vettabbia sfrutta quest’acqua, oggi, per l’irrigazione di 3700 ettari di campi di 90 aziende agricole, coltivati a riso, mais, cereali e foraggio.
Nei mesi invernali, quando l’acqua non viene utilizzata per irrigare, scorre nei canali a valle del depuratore e da questi, ritorna alla falda.
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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