Via Montenapoleone, la via del lusso
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ToggleTracce di questa strada risalgono ai primi secoli d.C. ai tempi della Mediolanum, ancora prima che diventasse capitale dell’impero romano. Allora, era poco più di un sentiero subito fuori città, che fiancheggiava la sponda sinistra del Seveso, fiume che ancora oggi scorre in direzione di Piazza San Babila, tombinato sotto il piano stradale, serpeggiante fra le fondamenta delle case della odierna via Montenapoleone (lato dispari). Naturalmente oggi, non vedendo traccia del fiume, la cosa “suona” poco credibile, eppure è proprio così!
Vi siete ad esempio, mai chiesti perché, in totale assenza di apparenti ostacoli orografici, appare così sinuosa la conformazione della via Bigli, cioè della prima strada ‘teoricamente’ parallela a via Montenapoleone verso il centro? La motivazione di simile conformazione sta nel fatto che quella strada, usata ai tempi a scopi essenzialmente militari come percorso di collegamento rapido fra due successivi posti di guardia a due delle porte ad est della città (Porta Nuova e Porta Argentea), era a ridosso delle mura romane costruite proprio sulla sponda destra del fiume, seguendo la sinuosità dello stesso. Il Seveso “funzionava” quindi da fossato esterno a protezione delle mura della città, contro le incursioni dei nemici.
Ndr .- Facendo riferimento ad oggi, Porta Nuova si trovava all’incrocio fra via Manzoni e via Bigli, mentre Porta Argentea si trovava all’imbocco di Corso Vittorio Emanuele, all’altezza di Piazza San Babila.
Il Seveso, che allora scorreva in superficie, proseguendo il suo corso verso le attuali Piazza San Babila e Corso Europa, sfruttando poi una leggera depressione del terreno, creava. all’altezza di via Larga, un piccolo lago che, nel I° secolo, divenne il porto fluviale (all’esterno delle mura), che consentiva il collegamento della città col Po e l’Adriatico.
A riprova della veridicità di questa asserzione, è stato recentemente portato alla luce un breve tratto delle mura di difesa dell’antica Mediolanum, risalente al terzo secolo, ai tempi dell’imperatore romano Massimiano, (circa 287 – 307 d.C.) reperti scoperti negli anni dal 1991 al 1993, durante le opere di ristrutturazione del ristorante Don Carlos nel palazzo del Grand Hotel et de Milan di via Manzoni 27-29, mura che proseguivano in contrada San Donnino alla Mazza, come si chiamava, fino al Cinquecento, l’attuale via Bigli.
Perché si chiama così?
Se andassimo a cercare via Montenapoleone nelle vecchie mappe di Milano, non la troveremmo di certo, In effetti, questa strada cambiò nome diverse volte.
La prima denominazione
A partire dal basso medioevo fino ai primi del Settecento, si chiamò Contrada di Sant’Andrea.
Ndr. – Il termine “contrada” aveva origine militare, forse risalente all’epoca romana: ad ogni contrada, era infatti legata una torre di guardia secondaria, presidiata dai “milites” (unità di cavalleria).
In quel periodo, tutta la zona compresa fra il fiume Seveso (ancora scoperto) e la Fossa Interna del Naviglio, risultava occupata da chiostri e monasteri femminili dei più importanti ordini religiosi, ognuno circondato da ampi e rigogliosi orti, tutti di proprietà ecclesiastica. Lì, c’erano i conventi delle Francescane Zoccolanti, delle Orsoline, delle Agostiniane, delle Benedettine, che si estendevano fino alla cerchia del Naviglio interno. I monasteri comprendevano, grosso modo, gli attuali isolati che contraddistinguono oggi il “quadrilatero della moda”. Rari erano allora i palazzi signorili sorti qua e là disordinatamente, fra un convento e l’altro. Uno dei primi in quella zona, fu sicuramente il palazzo dei Marliani, antica nobile famiglia milanese, di cui si ha notizia già fin dai primi del Quattrocento, al tempo dei Visconti; un altro esempio è la Casa Fontana-Silvestri al n. 10 dell’attuale Corso Venezia lì vicino.
### 15. Palazzo Castiglioni
Erano i Borghi di Sant’Andrea, del Gesù, del Santo Spirito e di quello che, più tardi, fu chiamato Borgospesso perché in questa zona, nell’Ottocento, vi furono costruiti molti edifici, uno vicino all’altro, quindi ‘ammassati’ e da qui il suffisso “spesso”. Non a caso, la prima zona ‘urbanizzata’ fu proprio questa, data la sua vicinanza alla Corsia del Giardino (l’attuale via Manzoni) che, oltre la Porta Nuova (medioevale), passato il ponte sul Naviglio, conduceva direttamente verso nord-est, fuori città.
Fu appena verso la fine del Settecento, sotto la dominazione austriaca, che le sorti di tutta quest’area mutarono radicalmente. Fu in particolare il giuseppinismo a porre un drastico freno al dilagare delle proprietà ecclesiastiche in città.
Ndr. – Con il termine giuseppinismo si indica la politica ecclesiastica di Giuseppe II d’Asburgo-Lorena attuata dal 1780 al 1790, volta a ridimensionare l’autorità della Chiesa cattolica nella Monarchia asburgica del Sacro Romano Impero.
Dal sacro al profano
Con la grande secolarizzazione di beni ecclesiastici, voluta dalle leggi, prima austriache e poi napoleoniche, i monasteri della zona, giudicati assolutamente inutili, vennero soppressi, le monache sloggiate, i conventi demoliti, ed i chiostri e gli orti, convertiti in giardini. L’amministrazione cittadina vendette i terreni confiscati ai nobili e agli aristocratici, che fecero costruire lì, le loro lussuose dimore, dando inizio, in simile contesto, ad una fase di prosperità e ricchezza. Fu questo il momento che la città cominciò ad avvertire, per la prima volta, il bisogno di allargare i propri confini, oltre i bastioni spagnoli.
La seconda denominazione
Il primo passo verso la definizione dell‘attuale denominazione della strada, avvenne però, a fasi successive sotto il governo di Maria Teresa d’Austria. A seguito della riforma finanziaria da lei voluta per risanare le casse dello Stato Asburgico nei vari domini, subito dopo la sua morte, anche a Milano nel 1783, venne creata l’istituzione finanziaria Monte Camerale di Santa Teresa, destinata alla gestione del debito pubblico.
Il termine ‘Monte’, prima parte del nome attuale della via, risale infatti appena al 1783. La banca trovò la sua sede proprio in questa strada in un palazzo di fine Quattrocento, appartenuto all’antica famiglia Marliani, fatto integralmente ristrutturare all’architetto Giuseppe Piermarini. In seguito a ciò, la strada cambiò il suo nome, assumendo quello di Contrada del Monte di Santa Teresa. L’istituzione, a dire il vero, durò una quindicina d’anni in tutto, a causa del succedersi di eventi che, con la calata in Italia dei transalpini, cambiarono il corso della storia di Milano.
La terza denominazione
Per completare la denominazione della via, con ‘Napoleone’, seconda parte del nome di questa strada, bisognerà invece attendere fino al 1804. Quell’anno, Milano era diventata capitale della Repubblica Italiana Napoleonica. L’arrivo dei francesi in Italia nel 1796, aveva obbligato il Monte Camerale di Santa Teresa a chiudere i battenti. Nel 1804, Napoleone Bonaparte fece riaprire questa Banca col proprio nome. La strada venne pertanto rinominata in suo onore, Contrada Monte Napoleone. Non era finita ovviamente!
La quarta denominazione
Avrebbero potuto gli austriaci, dopo la fugace parentesi della dominazione napoleonica in Italia, una volta ripresa Milano (grazie al trattato di Vienna del 1815), lasciare invariato il nome di questa strada? Giammai!!
Quel nome Napoleone, così inviso agli occupanti austriaci, andava immediatamente rimosso! Così qualunque riferimento all’odiato generale venne cancellato ovunque comparisse esplicitamente Il nome della via, cambiò quindi nuovamente diventando semplicemente Contrada del Monte.
La quinta (e ultima) denominazione
Come sappiamo dalla Storia, il periodo della cosiddetta Restaurazione, fu particolarmente difficile per Milano, che, avendo assaporato, sotto il dominio francese, i primi aneliti di apparente libertà, ora si ritrovava nuovamente soggetta alla dura repressione austriaca che tentava di ripristinare la situazione esistente prima dell’arrivo di Napoleone in Italia. Dopo i moti del 1821 e quelli del 1831, nel 1848, il palazzo al n. 21 di Contrada del Monte divenne la sede principale della resistenza e del coordinamento delle forze cittadine da cui partivano gli ordini verso tutta la città. durante le famose Cinque Giornate di Milano. Una volta cacciati definitivamente gli odiati austriaci, dopo l’unità. d’Italia, la tormentata strada riprese il nome di via Montenapoleone (o Monte Napoleone), cancellando volutamente ogni riferimento all’ultimo inviso oppressore.
Dov‘era il palazzo del Monte Camerale di Santa Teresa?
La curiosità a tale domanda pare più che legittima, visto che è stato proprio questo palazzo a dare il nome alla via, oggi conosciuta in tutto il mondo. Naturalmente non esistendo più il Monte Camerale l’identificazione del palazzo che ospitò a suo tempo, quella Banca, appare meno agevole del previsto sia perché da allora ad oggi l’edificio fu rimaneggiato varie volte in seguito alle distruzioni operate dai bombardamenti del ’43, sia per l’individuazione del palazzo che, all’epoca, aveva una numerazione teresiana, prontamente sostituita a Milano, dall’attuale, appena fatta l’unità d’Italia.
Per capirlo, faccio una curiosa digressione: si è già precedentemente accennato alla famiglia Marliani che viveva in un bellissimo palazzo costruito nei primi del Quattrocento, in Contrada Sant’Andrea.
Chi erano i Marliani
La famiglia Marliani era una famiglia della nobiltà milanese di cui Castello Marliani fu il capostipite della dinastia dei conti di Busto Arsizio. Tuttavia le prime attestazioni di questa famiglia risalgono all’inizio del XIV secolo, quando i Marliani erano a fianco della famiglia ducale (i Visconti) quando Guido della Torre riuscì a riprendere il titolo di Signore di Milano. Anche nel 1404 i Marliani erano schierati con i Visconti, quando i guelfi milanesi tentarono un rivolgimento del governo: Giovanni Maria Visconti fu assassinato nel 1412 e il fratello Filippo Maria Visconti ereditò una città in rivolta. Venne soccorso da Vincenzo Marliani, castellano di Porta Giovia, che dopo giorni di resistenza consegnò la fortezza a Filippo Maria, legittimo erede del duca assassinato. In seguito Filippo Maria ricompensò la famiglia Marliani per la lealtà dimostrata concedendole il feudo di Melzo e altre terre. Vincenzo divenne quindi il primo feudatario della famiglia Marliani di Melzo e Gorgonzola. [ rif. – Wikipedia ]
Quando Francesco Sforza s’impossessò di Milano nella primavera del 1450, dopo aver assediato la città per mesi, affamando la popolazione, per ingraziarsi i maggiorenti locali, andò ad ossequiare, per prima cosa, proprio i Marliani, allora la più potente, fra le nobili famiglie presenti in città. Così riferisce lo storico Bernardino Corio:
“Si recò al palazzo dell’antichissima e nobilissima famiglia de’ Marliani, ed ivi, innanzi alla porta di Alberto Marliano con un po’ di pane di miglio modestissimamente bevette”.
Una ventina di anni dopo, una giovane della stessa famiglia, Lucia Marliani, divenne l’amante prediletta del duca Galeazzo Maria Sforza col quale ebbe due figli Ottaviano (diventato vescovo di Lodi) e Galeazzo (conte di Melzo).
Com’era il palazzo Marliani
Il palazzo Marliani, fu, per circa tre secoli, uno dei maggiori esempi del primo rinascimento lombardo di Francesco Sforza, in cui le forme eleganti e pacate del nuovo stile rinascimentale fiorentino si univano all’esuberanza dei cotti finemente decorati dello stile lombardo, ancora influenzato dal tardo gotico (vedi Banco Mediceo). Il palazzo, scandito verticalmente da lesene, presentava, al piano terreno, finestre rettangolari in cotto decorate con cordoni ed altre intricate trame, mentre il portale, ad arco a tutto sesto, con pennacchi e architrave decorati da bassorilievi, era l’unico elemento genuinamente rinascimentale. Il piano superiore presentava finestre a sesto acuto finemente decorate con al centro decorate con una frangia terminante in un capitello pensile (ovvero si trattava di bifore senza elemento portante centrale).
Il palazzo Marliani, man mano rimaneggiato e modificato nel tempo, fu completamente rifatto nel 1782 per ospitare il nuovo palazzo del Monte camerale di Santa Teresa, rinominato nel periodo napoleonico in Monte Napoleone, che diede successivamente il nome alla via.
Una curiosità inattesa
Ndr. – Facendo le mie solite ricerche con l’obiettivo d’individuare con certezza, il palazzo ove si trovava il Monte Camerale di Santa Teresa (che, come già detto, ha dato il nome all’attuale via Montenapoleone), ricercando spunti utili su vari siti internet, mi sono imbattuto, nell’intrigante racconto di una monaca del monastero di clausura benedettino di Tradate, storia che ripropongo quasi integralmente, perché, interessando proprio una Marliani, è assurdamente illuminante per le mie indagini. Che c’entra vi chiederete … eppure provate a leggere il racconto di questa religiosa, sulla base di documenti da lei casualmente scoperti (perché fuori posto), mentre stava mettendo ordine fra gli incartamenti dell’archivio del monastero. Si tratta di una storia di cronaca nera in cui era rimasta coinvolta una sua consorella, più di un secolo prima.
Tradate – Monastero del Santo Sepolcro (1786)
Continuando a sistemare l’archivio nei giorni seguenti, mi imbatto in un fascicolo, che giudico fuori posto: cosa ci fa il curriculum vitae di suor Francesca Teodora, che è stata da noi dal 1633 al 1651, nella cartella dei sacrilegi? Per verificare meglio apro il fascicolo, anche se non mi piace impicciarmi delle consorelle, però questo caso è del secolo scorso. Il primo foglio certifica che il giorno 27 ottobre 1633 entra in monastero la suora citata, al secolo Antonia Pusterla, maritata Marliani: si sarà monacata perché rimasta vedova? Andiamo avanti: il secondo foglio riporta la fede del battesimo avvenuto nel 1603, qui in Tradate, è figlia di Antonio e Vittoria Trussi; un altro foglio fa sapere che costei, rimasta vedova si risposò con il conte Giovanni Visconti di Fontaneto, mi sembra normale risposarsi, però se si è amato l’uomo che si è sposato sarebbe stato meglio monacarsi.
Segue poi un certificato di matrimonio tra Carlo Marliani, con la specifica di feudatario di Busto Arsizio in quanto successore dello zio, e Antonia Pusterla nel 1629, la cerimonia si è svolta in quel borgo, non leggo bene in quale chiesa, però l’abitazione mi sembra sia a Milano. Allegati a questo quattro fedi di battesimo, saranno dei figli della coppia; infatti Paolo Camillo nasce nello stesso anno, che si sia sposata incinta?. Scusate mi dovrei astenere da simili insinuazioni, d’altronde non è la prima e non sarà l’ultima; seguono Pietro Antonio nato nel 1632 e degli altri due figli Luigi e Francesca il documento è incompleto. Confrontando le date devo concludere che, se lei si è monacata nel 1633, ha avuto quattro figli in quattro anni, caspita! Adesso devo andare, il Vespro mi aspetta.
Appena posso ritorno in archivio, l’esame di questo caso mi sta coinvolgendo, forse troppo. Apro la cartella e nel fascicolo trovo una lettera firmata dal capitano del carcere di Milano, mi sembra si trovasse al castello Sforzesco, vediamo il perché. Il funzionario scrive che Antonia Pusterla Marliani ha dovuto subire il carcere in quanto adultera, inoltre scrive che il medico del carcere ha dovuto curarla per la procurata frattura del femore causata dalla caduta da una finestra, mentre cercava di sottrarsi all’ira del marito, che imbracciava un archibugio, e con la stessa arma aveva appena ucciso l’amante nella loro casa di Milano. Oh poveretta! Mi fa pena questa donna. Se non leggo male sembra che Antonia abbia tradito il marito nel palazzo coniugale , situato nella parrocchia di S. Andrea. Un altro foglio certifica la morte dell’amante, il conte C. Visconti di Albizzate , suo cugino per parte di madre.
Sento bussare alla porta, vado ad aprire, è la superiora:
– Entri pure madre Marianna
– A che punto sei?
– Ho praticamente finito, sto controllando, a campione, se i fascicoli sono collocati nelle cartelle corrispondenti, per esempio ne ho trovato uno che ritengo sia fuori posto
– Di che si tratta?
– Questo riguarda una suora che è stata da noi nel 1633-1651, e si trova nella cartella Sacrilegi, a me sembra strano
– Avrà commesso un sacrilegio, ecco perché è in quella cartella
– Da quello che ho letto era la sposa del feudatario di Busto Arsizio, gli ha dato quattro figli, poi si è concessa all’amante ed è finita in prigione per evitare l’ira del marito che aveva ucciso il rivale
– Quindi per evitare la prigione scelse di monacarsi, meno male che un monastero di clausura è meglio di una prigione, e il sacrilegio?
– Devo proseguire lo spoglio dei documenti
– Procedi pure, incuriosisce anche me il fatto; se non ricordo male il marito poteva farsi giustizia da sé, allora; certo se è riuscito ad uccidere l’amante gli mancava di vendicarsi con la moglie.
– Questo foglio è del parroco di Tradate, un certo Buzzi, approva l’incarico di sacrestana in data 17 luglio 1646, fa presente che la rottura del femore …
– Come è stato?
– Sembra che per scappare dal marito, che aveva appena ucciso l’amante, sia saltata giù dalla finestra.
– Le è già andata bene
– L’hanno poi curata in prigione, ma non proprio bene perché il curato si raccomandava di non affidarle una mansione che potesse pregiudicare lo stato di salute; in quest’altro foglio il capitano delle carceri rammenta che ha dovuto prendere provvedimenti per allontanare il marito perché continuava a tormentare la moglie all’esterno della prigione, un giorno addirittura ha dovuto intervenire personalmente perché il marito aveva crocifisso il cane preferito della moglie, un levriero, davanti alla sua cella
– Mamma mia che tipo, voleva proprio vendicarsi con qualsiasi mezzo
– Non pensavo proprio che la mente umana arrivasse fino a questi punti
– Cara mia, noi viviamo in monastero, ma non sappiamo cosa succede là fuori, e forse è anche un bene; ci sono altri fogli?
– Si, questo è datato 1651, è firmato dalla badessa di allora: <<… si concede la salma di suor Francesca Teodora ai parenti per le esequie, ciò in seguito al consenso del Capitano del Seprio resosi necessario trattandosi di uxoricidio. Il suddetto Capitano ha disposto altresì il fermo del reo Carlo Marliani in attesa della sentenza>>.
– Allora il marito ha ucciso la moglie qui nel nostro monastero, ecco perché il fascicolo è nella cartella dei Sacrilegi, e per questo avrà subito la pena capitale
– In biblioteca abbiamo un libro sulla peste del 1630 a Busto, forse si troverà qualche indicazione
– Va bene lo verificherai con calma, ora andiamo al Vespro, per il momento non parlarne con nessuno.
Per mantenere il silenzio su questo caso ho dovuto faticare non poco, le altre consorelle non si sono accorte di nulla, però il mio dormire non è più tranquillo come prima. Comunque sul libro che parla della peste a Busto ho trovato una nota sul feudatario Marliani: in seguito all’uxoricidio gli venne tolto il feudo e fu decapitato perché un conto è uccidere una persona in casa propria, ma uccidere in un luogo sacro come il monastero è sacrilegio, e l’atto veniva punito con la morte.
[ rif. – Antonia Pusterla Marliani – Tradate nella Storia ]
Ndr. – A conferma di quanto riferito dalla suora, avendo trovato questo caso, riportato pure su testi da altri autori, Antonia Pusterla, scoperta dal marito mentre si stava concedendo all’amante, (il conte Cesare Visconti Borromeo, co-signore di Albizzate), si era barricata in una stanza del primo piano sul retro dell’edificio che dava in via Bagutta e dalla finestra di quella stanza si era lanciata in strada per scappare da lui che nel frattempo aveva ucciso il rivale.
Con riferimento proprio alla breve via Bagutta, il Monte Camerale di Santa Teresa sorto al posto del palazzo Marliani, non poteva che trovarsi in un isolato prossimo all’inizio di via Montenapoleone dalla parte di Piazza san Babila (per la precisione, nel palazzo che oggi ospita la pasticceria Cova).
Con riferimento proprio alla breve via Bagutta, il Monte Camerale di Santa Teresa sorto al posto del palazzo Marliani, non poteva che trovarsi in un isolato prossimo all’inizio di via Montenapoleone dalla parte di Piazza san Babila (per la precisione, nel palazzo che oggi ospita la pasticceria Cova).
Via Montenapoleone fra ieri e oggi
Già dalla fine del 1800, via Montenapoleone inizia ad imporsi come sede del lusso. Infatti, sempre più famiglie nobili e della ricchissima borghesia iniziano a prendervi dimora. Nel corso del XX secolo, la via Montenapoleone si affermò come una delle destinazioni di shopping di lusso più importanti al mondo. Le case di moda più prestigiose e le boutique di lusso iniziarono ad aprire i loro negozi lungo questa strada, rendendola un punto di riferimento per gli appassionati della moda e del design.
Secondo l’indice “Main streets across the world”, che censisce le strade dedicate allo shopping a livello internazionale, la via ha fama di essere la più costosa e prestigiosa al mondo, impreziosita dalle vetrine dei grandi nomi come Gucci, Bulgari, Versace, Dolce e Gabbana, Prada, Louis Vuitton, Chanel e moltissimi altri. Via Montenapoleone, via Manzoni, via della Spiga, e Corso Venezia, costituiscono il quadrilatero della moda ove i migliori stilisti offrono le loro straordinarie creazioni.
La zona comprende anche alcune strade interne, tra cui via Borgospesso, via Santo Spirito, via Sant’Andrea, via Bagutta e via Verri ed una delle più amate da turisti, ed esperti del mondo della moda, al pari del quartiere Brera e dei Navigli.
Oggi, via Montenapoleone è conosciuta per la sua eleganza, la presenza di boutique di alta moda, gioiellerie, negozi di lusso, ristoranti raffinati e caffè storici. E’ anche una delle location chiave della Settimana della Moda di Milano, eventi dedicati alle sfilate delle case di alta moda italiane e internazionali. Ospita eventi speciali, mostre d’arte e iniziative culturali che aggiungono ulteriore prestigio alla sua fama internazionale.
In conclusione, la storia di via Montenapoleone è intrisa di tradizione, lusso e moda, e continua a essere uno dei simboli più riconoscibili di Milano e dell’eleganza italiana nel mondo.
Ulteriori curiosità e un paio di chicche
Alcuni illustri personaggi abitarono in questa via: uno di questi fu lo scrittore e poeta milanese Carlo Porta (1775 – 1821) che abitò a Palazzo Taverna (via Montenapoleone n. 2), e morì in quella casa. L’autore de ‘La Ninetta del Verzee‘, ricopriva la carica di cassiere . al Banco del Monte (il palazzo dell’isolato attiguo). Poiché fin dalla gioventù era affetto da podagra, spesso capitava che, a causa della sua malattia. fosse assente dal lavoro. In tale evenienza, usava lasciare allo sportello della cassa, il proprio cilindro con sotto un cartello così concepito:
“De Carlo Porta l’è quest chi el cappell:
quand al gh’è minga lu, basta anca quell”
Un altro poeta e scrittore, grande amico del Porta, fu Tommaso Grossi (1790 – 1853): pure lui visse e morì nella casa esattamente di fronte al Porta, al civico n. 1.
Sempre in questa via, sembra che, nel 1840, Giuseppe Verdi abbia composto, la sua terza opera lirica: Il Nabucco con la famosissima aria del ‘Va Pensiero’,
Il fondatore di una nota azienda di borse e valigie, che ha oggi il suo negozio in via Montenapoleone, raccontava che, da ragazzo, cominciò ad imparare il mestiere, come garzone in una pelletteria in periferia. Quando il padrone gli chiedeva di fare delle consegne in zona Montenapoleone, lui, prima di recarsi sul posto, si ripuliva per bene e si cambiava d’abito, per ‘rispetto al luogo’!
Erano decisamente altri tempi, nemmeno troppo lontani, se pensiamo … solo sessant’anni fa … altre abitudini, molto maggior rispetto, altra educazione! Il vestiario maschile, ad esempio, non prevedeva il ‘casual’ come oggi, ma rigorosamente ‘giacca e cravatta‘ anche per fare lavori umili. Quando si era in giro, tutti (ragazzi compresi) portavano il cappello. Del resto, lo testimoniano le numerose foto d’epoca …!
‘El Quartier de Riverissi’ è il soprannome dialettale attribuito, in passato, alla via Montenapoleone e alle vie limitrofe del quartiere, in riferimento all’usanza dei milanesi di togliersi il cappello esageratamente in segno di deferenza, quando, passeggiando per strada, incrociavano le ‘signore-bene’ che abitavano in quella zona.
Poiché le signore che abitavano lì, non potevano che essere mogli o amanti di nobili o persone dell’alta società che comunque ‘contavano’ nelle istituzioni cittadine, l’atto di togliersi il cappello, al loro passaggio, era un modo per indicare agli altri che lui, pur essendo nessuno, ‘contava’ perché ‘conoscendo persone di alto livello’ ed essendo quindi anche da loro ‘conosciuto’, avrebbe potuto godere, all’occorrenza, di particolari privilegi. Psicologia spicciola del formalismo di quei tempi!
Classe 1941. Laureato in ingegneria elettronica: triestino di nascita, milanese di adozione. L’interesse per la storia, l’arte e la natura, ha sempre destato la mia curiosità e passione, fin da giovane. Ora che non lavoro più, e posso dedicare maggior tempo ai miei hobbies, mi diletto a fare ricerche storiche sulla città, sui suoi costumi, sui suoi monumenti, su come viveva la gente, sugli aneddoti poco noti, sui personaggi che, in vario modo, hanno contribuito a rendere Milano, la città che è oggi, nota in tutto il mondo.
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